31.10.23

Halloween, origine e significato di una festa antica anche in Italia: intervista a Eraldo Baldini di elisabetta barberio

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Halloween è tra le feste più attese. Ogni anno crescono le tendenze, gli eventi e le pubblicazioni che omaggiano la tradizione legata al 31 ottobre e i giorni a seguire. Per molto tempo si è pensato che fosse una festa americana, poi, mano mano che la divulgazione ha preso piede, sono emersi gli antichissimi culti praticati dai Celti e da tutte le popolazioni germaniche che, fino a oggi, ci hanno tramandato leggende, miti e rituali dai molteplici significati, molti dei quali ritroviamo dislocati in tutta Europa. Quello che è sempre mancato in questa affascinante narrazione è il fatto che anche l’Italia è anticamente legata a questa festa, e non è affatto vero che l’abbiamo ereditata dagli Stati Uniti, ma è un retaggio arcaico che attinge dalle nostre radici pagane. Eraldo Baldini, saggista e ricercatore nel campo dell’antropologia culturale, e Giuseppe Bellosi, specializzato in documentazione e nello studio dei dialetti, scrivono a quattro mani un testo articolato ed esaustivo sull’origine, sul significato e sulle tradizioni di Halloween, in un viaggio nel folklore del nostro Paese, regione per regione. Non solo, gli autori ci raccontano come la celebrazione di questa festività (la versione americana) è diventata così celebre, facendo dimenticare agli italiani ciò che un tempo, negli stessi giorni, i propri antenati festeggiavano attraverso cibi specifici, usanze, leggende sovrannaturali, riti propiziatori, e tanto altro. Questo prezioso testo ha l’obiettivo di ripristinare un’antica memoria, persa nei secoli, che solo pochi territori ricordano ancora.


Una celebrazione neopagana di Samhain (fonte: wikipedia.org)


Oggi Halloween sconfigge e surclassa Ognissanti?

  
Sì, è piuttosto evidente. E questo quasi mille e trecento anni dopo che fu introdotta in questa data una festa dedicata a tutti i Santi, e poi un paio di secoli più tardi quella del giorno dei Morti (2 novembre), per cercare di cristianizzare le celebrazioni manistiche (cioè dedicate al culto dei defunti), osservate negli stessi giorni, che appartenevano da tempo immemorabile a religiosità precristiane e poi a culture e tradizionali europee.
Abbiamo già espresso la nostra opinione: la festa è quasi certamente preceltica, e interessa da tempi immemorabili molte genti europee, con affinità di date, forme e contenuti. Ma in ogni caso, comunque sia andata, la sostanza delle cose non cambierebbe affatto relativamente a ciò che vogliamo sottolineare con questo libro: che la festa di Halloween, cioè, da un po’ di anni in voga pure in Italia, anche se da noi giunta all’attuale successo in virtù di recenti suggestioni provenienti da lontano, ha nel nostro Paese un profondo ed evidente background storico-tradizionale, non solo nelle aree celtiche.
https://strokestownpark.ie/event/samhain-self-guided-trail/
Perché l’idea che Halloween abbia radici americane ha attecchito così tanto in Italia?

Quello di ritenere che la celebrazione di Halloween (parola che, ricordiamolo, non è altro che la contrazione di All Hallows Eve o All Hallows Even, rispettivamente “Vigilia di Ognissanti” e “Sera di Ognissanti”) sia nata in America, e altrove sia giunta, senza alcun background, solo in virtù di colonizzazione culturale o imitazione, è un errore frutto di disinformazione e di “ignoranza” (nel senso etimologico del termine): gli etnografi e gli antropologi culturali hanno, in larga parte, sempre sostenuto, e a ragione, che la ricorrenza è di ovvia origine europea, forse pan-europea, ed è molto antica. Anche se si è soliti ritenerla di origine celtica, a giudicare dalla sua morfologia e diffusione si può in realtà affermare che si tratti di una forma religioso-culturale arcaica, e dunque pre-celtica. I Celti furono comunque la popolazione che più a lungo ne conservò forme e continuità, attribuendole anche l’importante ruolo di capodanno.
La ricorrenza e suoi contenuti furono portati nel Nuovo Mondo dagli emigranti europei, e assunsero ampia diffusione soprattutto dalla metà dell’Ottocento in poi, cioè dopo le grandi ondate migratorie di popolazioni celto-cattoliche (irlandesi sopra tutti). In America poi, nel corso del tempo, vennero privilegiate e consolidate alcune forme celebrative fino ad arrivare a quelle oggi a tutti note.
Per circoscrivere alla realtà italiana: non si può negare che il boom odierno di Halloween sia dovuto anche o soprattutto a suggestioni cine-televisive e letterarie provenienti da oltreoceano, ma è altrettanto vero che nel folklore delle nostre regioni, nei giorni che vanno dalla vigilia di Ognissanti, cioè dal 31 ottobre, a quello di San Martino, 11 novembre, legati in un continuum celebrativo, sono da tempo immemorabile presenti, o lo erano almeno fino a un passato recente, tutti gli elementi costitutivi della festa. E questo da ben prima che la Chiesa, nel medioevo, cristianizzasse tali ricorrenze riservate al culto dei defunti, dedicando il 1° novembre a Tutti i Santi e, più tardi, il 2 novembre ai Morti. Dalle Alpi alla Sicilia troviamo (o trovavamo) in abbondanza in quelle date riti di accoglienza per i morti e gli antenati, questue di bambini o di poveri nelle case, dolci tradizionali dal nome macabro (come ad esempio ossa di morto), zucche intagliate, pratiche divinatorie, racconti terrificanti.


Foto degli anni ’60, Alamy Foto Stock (fonte: today.com)


Quale rito regionale ti ha colpito di più durante la tua ricerca? E tra le regioni italiane, quale si distingue per aver mantenute intatte le tradizioni legate al Giorno dei Morti?

Dovrei fare un elenco lunghissimo, i riti “regionali” (del resto piuttosto simili fra loro) sono numerosissimi. Ciò che mi ha colpito all’inizio delle mie ricerche, quando ancora privilegiavo l’idea che nel nostro Paese fossero esclusivamente o principalmente le zone storicamente celtizzate (quindi soprattutto il Nord della penisola) a mostrare e conservare forme tradizionali considerabili prodromi di Halloween, è che in realtà il Centro, il Sud e le Isole non sono da meno. Pare comunque di potere individuare forme più abbondanti e conservate lungo il versante adriatico: ma ciò può essere solo frutto di una maggiore mole di documentazione disponibile.
Un’area in ogni caso che mi ha affascinato per la ricchezza e la continuità (senza interruzioni nei secoli o forse nei millenni) delle tradizioni espresse relativamente alla celebrazione di culti manistici tra fine ottobre e inizi di novembre, con eclatanti forme sia individuali sia collettive che, dalle zucche intagliate, alle questue, alle rappresentazioni e a tutto il resto danno vita, diciamo così, ad una riconoscibilissima “Halloween”, è quella che riguarda una parte dell’Abruzzo, la Valle Peligna. Ma, come ho già detto, quasi tutte le regioni hanno conservato la tradizione o la memoria di simili morfologie del “festivo” in quelle date.
Foto generata con AI (fonte: www.canva.com)


Secondo la tua esperienza cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? Ci saranno delle nuove interpretazioni di questa festività?

Credo che in futuro si arriverà soprattutto a considerare la celebrazione di Halloween per quel che è, cioè una tradizione che ha avuto corsi e ricorsi ma appartiene appieno alla realtà europea, dunque anche a quella italiana. Ciò avverrà in primo luogo perché, seppure lentamente, una maggiore e più corretta informazione convincerà di ciò un numero sempre maggiore di persone (perlomeno di quelle libere da pregiudizi, stereotipi e chiusure preconcette). In secondo luogo perché ormai sono molti i “nativi halloweeniani” (permettetemi il neologismo compreso in questa locuzione). In molte aree infatti (ad esempio nella mia Romagna) sono almeno trent’anni che si ri-celebra Halloween, quindi sono tanti i bambini, gli adolescenti, i giovani e persino gli adulti per i quali questa festa “c’è sempre stata” a prescindere da elucubrazioni o sguardi interrogativi rivolti passato. C’è sempre stata perché fin da piccoli l’hanno vista e vi hanno partecipato.

Cosa succedeva a Samhain? (fonte: milleunadonna.it)


Quali sono i tuoi progetti futuri?

Io scrivo sia saggistica, essendo per formazione un antropologo culturale, sia narrativa. Mi è sempre piaciuto, quindi, lavorare su due tavoli distinti ma non distanti. Al momento sto scrivendo un romanzo che sarà pubblicato da Rizzoli nella primavera prossima, ma finito quello tornerò certamente a occuparmi di tradizioni e culture popolari, campo affascinante nel quale c’è ancora molto da indagare.

RIFERIMENTI DI ERALDO BALDINI

Facebook: https://www.facebook.com/eraldo.baldini.autore
Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Eraldo_Baldini

Basnewende di Talatou Clementine Pacmogda

 Qualche  tempo      fa  durante  una  discussione     sull'immigrazione     mi  suggerirono Basnewende   di  Pacmogda  Clementine  . Appena  rovo  un po'  di tempo   me  lo  leggerò  .
Lo so  che   per  evitare   di scrivere  sproloqui    dovrei  aspettare  a leggere il libro  . Ma   seguendola  su  Facebook   e  avendo letto  quest  articolo    : << Talatou Clementine Pacmogda:biografia scrittrice >> su    RecensioneLibro.it   la  sua  storia   ho  deciso  di   intervistarla  . Ecco   la  nostra  discussione 

  1. Poichè  molti  vengono in italia  di passaggio   per  andare da parenti  o gente  della  loro  comunità  in altre nazioni europee   ti chiedo   se non avessi    trovato l'amore   saresti rimasta  lo stesso  in italia ? 

Non sarei rimasta in Italia. Come sai sono venuta in Italia con un’opportunità. Ho vinto una borsa di studio per il dottorato alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Spesso si pensa che tutti arrivano in Italia per scappare da qualcosa. Immigrare è una parola colma di significati perché racchiude in sé persone e motivi vari. Tutti immigrano anche gli europei e tutti i giorni ci sono delle persone che se ne vanno da vari parti del mondo. Immigrano i poveri ma immigrano anche i ricchi. L’umano si dice sia un essere parlante, un essere pensante ma è anche un nomado per definizione. Da quando c’è mondo ci siamo sempre mossi da una parte all’altra fino a popolare tutta la terra. I motivi dello spostamento cambia da persona a persona, cambia secondo il momento storico, i numeri cambiano e il posto dove si trova più partenze cambia anche ma l’immigrazione è sempre esistito. Per tornare alla tua domanda, direi che sarei tornata indietro. Avevo conseguito un dottorato che avrei portato in tasca a casa e che mi avrebbe aperto molte opportunità nel mio paese di origine. Anche dopo il mio fidanzamento con quello che è mio marito ora, avevo deciso di tornare a casa a cominciare di lavorare aspettando che lui riesca a sistemarsi poi avremo pensato a come ricongiungerci. Anche lui come me aveva finito gli studi nel 2012 e quindi eravamo tutti alla ricerca di lavoro che per me si sapeva sarebbe stato molto difficile trovare, visto le mie origini e l’origine dei miei titoli di studi. 

  1. In italia  c'è  razzismo  ?

Sì, in Italia c’è razzismo come altrove. Il razzismo esiste dappertutto perché in ogni paese e in ogni epoca si trova sempre un gruppo di persone che prende di mira un altro gruppo per sentirsi superiore. Prima di questa immigrazione di massa, in Italia erano i meridionali a essere considerati inferiori e non si affittava casa in alcuni regioni del nord “ai meridionali”. Ora sono i neri, gli africani, gli stranieri, quelli considerati diversi, a essere presi di mira. Il razzismo è molto pronunciato ora perché la situazione economica mondiale e soprattutto italiana offre poche opportunità e quando la gente sta male dentro e socialmente è difficile e faticoso e così si cerca un capro espiatorio. È sempre colpa di qualcuno se noi stiamo male. La storia ci racconta che gli ebrei per esempio hanno pagato carissimo negli anni 30  il disagio del mondo dopo la crisi economica del 1929. In Italia, e in quasi tutta l’Occidente , attualmente il razzismo è al suo culmine proprio perché in tempo di difficoltà economiche l’umano tende a diventare egoista. “Ci rubano” il lavoro perché il lavoro si fatica a trovare e quindi per molti questo è dovuto a chi arriva da noi. “Non vogliono fare nulla e stanno in giro con telefonini” perché la vita è talemente dura che bisogna trovare a chi dire :”io me la sto sudando mentre tu non fai nulla”. Non importa se è vero o falso. È importante soltanto sapere che qualcuno è la causa della mia sofferenza. Certo i politici usano questo per garantirsi la poltrona. Più un problema sociale viene politicizzato più si rinforza e arriva a volte a essere incontrollabile e qua nascono i danni sempre per qualcuno, perché si tende a negare diritti e a umiliare.

 

  1. Ne  sei stata  vittima ? 

Quando si parla di razzismo non si parla solo di aggressioni verbali o fisiche ma di un atteggiamento generale che si vive. In questo si e spesso è anche istituzionale. Per esempio quando sono in aeroporto con mio marito bianco, lui va tranquillo mentre io sono controllata. A volte ho come l’impressione che io acquiesco valore solo per la sua presenza di fianco a me. Quando siamo tutti e due con nostra figlia, lei è salutata, le fanno i complimenti, siamo persone. Però quando sono sola io con lei, o non ci guarda nessuno o dicono:”come parla bene italiano!” Perché di fatto viene considerata straniera anche lei. Quando cerchiamo una casa in affitto devo citare mio marito per farmi ascoltare altrimenti a volte non mi guarda nemmeno il proprietario della casa. Per fortuna ora abbiamo comprato casa e questo è risolto 😂. Quando vado a firmare un contratto nessuno mi guarda perché nessuno pensa che una nera può fare l’insegnante. Poi dopo si scusano quando vengono a sapere che sono lì per firmare un contratto di docenza. Quando prendo il treno in prima classe, mi guardano come fossi un extraterrestre perché convinti che abbia sbagliato vagone. Quando da sola vado fuori dalla zona dove sono conosciuta, e voglio chiedere la mia strada e prima mi avvicino e saluto prima di chiedere, molti si allontano prima di sentirmi parlare, etc. È proprio nella testa di molti ancora in Italia che il nero è un essere inferiore, per forza povero e mendicante, incapace di raggiungere certi livelli perché di norma analfabeta. Nel 2023 si continua in Italia a pensare che l’italiano è per forza bianco. Invece l’italiano ormai è multiculturale e composto da vari colori. Dire ancora oggi a un bambino che forse è nato e/o sta crescendo in Italia, o forse ha uno dei genitori italiani perché nato di una coppia mista o adottato, che parla bene l’italiano, è completamente infelice. Da adolescenti questi nostri figli rischiano di sentirsi discriminati e persi perché loro sono italiani di fatto, le loro origini sono qua in Italia e non bisogna confonderli con i loro genitori che possono avere un’origine diversa.

 

  1. Come giudichi   la frase   aiutiamoli a casa loro  è  giusta o razzista  ?

È un'affermazione ipocrita. Come dicevo prima, l’immigrazione ha vari motivi e si tratta di un diritto che va garantito ad ogni individuo. La gente si sposta anche se sta bene allora non hanno sempre bisogno di aiuto. Una volta si immigrava quando mancava l’erba per il pascolo, quando bisogna avvicinarsi a un’altra sorgente di acqua perché quella di prima si era prosciugata, quando il posto dove si viveva era infestato da virus o batteri che creavano epidemie, ma anche quando le condizioni climatiche erano favorevoli e quindi la demografia cresceva e alcuni gruppi decidevano di andare a trovare altri posti, forse perché aumenta la competizione e nascevano conflitti. Casa loro dove? Il mondo è di tutti e l’abbiamo popolato viaggiando. Tutto questo “casa nostra” o “casa loro” è nato quando gli occidentali hanno deciso di tracciare i confini non solo da “loro”e per “loro” ma addirittura per gli altri senza chiedere il loro permesso e nemmeno informarli. I confini creano un “dentro” e un “fuori” e concedono o negano diritti impunemente. Nessuno di quelli che partono chiedono un “aiuto”. Vogliono partire altrove per combattere da soli per le loro vite e per quelle delle loro famiglie. Sono convinti che possono costruire qualcosa di meglio lasciando il posto dove sono nati che non deve essere una prigione per loro. Mentre con il mio passaporto burkinabé potevo viaggiare in massimo una ventina di paesi in tutto il mondo è stranamente tutto all’interno dell’Africa, ora con il mio passaporto italiano posso viaggiare in più di 170 paesi nel mondo. Questo perché a secondo delle tue origine hai un passaporto debole o un passaporto forte che ti offre possibilità di muoverti o meno. È un’ingiustizia che se non sanata crea sempre clandestinità.Poi è facile sedersi comodi e dire “aiutiamoli a casa loro”. Come vuoi aiutarli? Con cosa e per quanto tempo? Su che campo li aiuti? Riesci ad aiutare milioni di persone in Asia, America e Africa? È soltanto la manifestazione di un rifiuto di vedere delle persone che sono diverse da noi. Sarebbe bello prima dire : “ridiamogli casa loro” perché prendiamo tutto da “loro” sfruttandoli e impoverendoli da secoli. Semmai dovessimo aiutare dobbiamo fare di tutto perché non abbiano più bisogno del nostro aiuto e quindi che non siano più considerati mendicanti. A parte che chi dice “aiutiamoli a casa loro” non fa mai nulla per nessuno nemmeno dov’è vive.

 

  1. Vista la tua esperienza  ti senti  più  seme  o radice  ?

Senti! Le radici sono importanti per gli esseri umani perché come si dice: “anche se non sai dove vai, almeno sappi da dove vieni”. Però bisogna capire che le nostre radici sono diversi di quelle degli altri. Gli alberi vivono con le radici ben fissati al suolo e se le radici vengono danneggiati cadono o muoiono. Per gli umani è diverso perché gli umani Hanoi i piedi che servono per muoversi anche lontano dai radici. Le radici servono all’umano solo per orientarsi. Quello che è importante per noi umani è il movimento. Perché è quello che ci nutre. Andiamo in giro per dare e ricevere. Andiamo da un posto all’altro per lavoro, per turismo, per necessità. Scopriamo nuovi orizzonti, ampliamo le nostre tete di conoscenze, facciamo nuove iniziative, cerchiamo partenariato, impariamo e insegnano. Quindi preferisco essere seme e infatti mi sento come tale. Butto semi ovunque vado alcuni germogliano altri no ma è la vita e va bene così.


Prato, la prof incinta dell'alunno 14enne condannata a 6 anni, il marito: «Quel bambino lo crescerò come fosse mio. Mia moglie? L'ho perdonata»

 


riordinando  i  giornali per  la  diferenziata     ho trovato  che    nei giorni  scorsi    c'è  stata   la  conclusione della  vicenda  processuale  della  professoressa di Prato che ha avuto un figlio da un suo alunno 14enne. La vicenda ha suscitato molto scalpore in Italia e ha avuto una vasta copertura mediatica. La  donna è stata condannata a sei anni di carcere per atti sessuali e violenza sessuale per induzione su minore


Qui  un sunto  della  vicenda 


I  giornali  ed  i media    parlano  anche della  reazione del marito per  le reazioni    " non violente   " nei  confronti  ella  moglie   e  del ragazzo  minorenne  . Il marito della donna, come riportato da Internapoli.it e Fanpage.it, ha dichiarato di voler crescere il bambino come se fosse suo .  Infatti    a Vanityfarair  ha  dichiarato :  «Non mi piace passare per quello che non ha colpe, in passato avevo commesso errori anche io. Abbiamo parlato dopo lo scandalo, come si fa fra persone civili. Tutto si può salvare se si analizza. Stiamo insieme sin da giovani, ne abbiamo passate tante».Uno di quei pochi uomini che  , non a  parole  ,  a saputo mettere in pratica  il perdono  ed  la  comprensione  , è riuscito  lucidamente  senza  farsi trasportare  dall'odio  ed  dal rancore  la  situazione   anche analizzandosi   senza  scaricare  tutto  su  di lei  ed  a mettere   da parte   la  sua mascolinità     e il suo orgoglio ferito    .Un altro   l'avrebbe lasciati al  loro  destino  ( nei  migliori  dei  casi )  oppure  insultata   ed stalkerizzata   se non addirittura  uccisa\i (  nel peggiore  dei casi  )  .  Un  uomo  cosa  , rara  parlo per  esperienza  personale ,  che mette    da parte  il suo  orgoglio  ferito  da  un  tradimento .Molto saggia la  ecisoe  :    « Molti pensavano che avrei lasciato mia moglie, ma il nostro rapporto, invece, si è rafforzato. Tutto si può salvare se si analizza. Stiamo insieme sin da giovani, ne abbiamo passate tante», spiega il marito della donna pratese al Corriere della Sera. Egli  dovrà badare da solo a due bambini, il quindicenne di cui è padre biologico e il bambino di 5 anni di cui ha rivendicato la paternità. «Ma per me non esiste differenza, sono i miei figli», precisa immediatamente.

30.10.23

Una guida insuperabile per gli amanti delle lapidi un modo di festeggiare halloween alternativo





Menttre cercavo un post per le clebrazioni dei morti e dei ovvero halloween tematica che divide come dimostra questo mio  post 



in particolare questo da discussione


Laura Settimo
Spero che chi è disgustato dai prodotti americani si astenga anche dal consumare pomodori, patate, mais e tabacco. Solo per citare i più famosi 😉
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Autore
Giuseppe Scano
mi spiace ma non concordo . perché qui si, almeno mi  sembra da quel che ho capito , contesta /si odia non prodotti ( in questo caso una rielaborazione e sfeuttamenro culturale di tradizioni altrui ) dell'America cioè degli Usa ma il modo  omologante con cui lo hanno imposto  e  il modo  in cui   noi  italiani  lo abbiamo accolto e fatto nostro a scapito delle nostre tradizioni mortuarie pagane e cristiane facendolo diventare  fenomenoi di massa   vedi  fumetti   ,  film , ecc    a  tema  


 Ho  trovato   sia     sul il Fq    d'oggi  ( screeen shot  sotto  )




 una  storia   interessante   che  si svolge     In un mondo tempestato dall'emergere continuo di nuovi influencer, concentrati in ambiti ormai tipici come la moda, il benessere, la cucina o il lifestyle.
Infatti fra loro c'è ancora qualcuno che si smarca con la propria originalità riuscendosi a ritagliare uno spazio sicuramente libero dalla concorrenza: i cimiteri, e tutto ciò che gli ruota intorno.A riscuotere un impensabile successo in quest'area decisamente poco battuta è Giulia Depentor, conosciuta ormai come "l'influencer dei cimiteri". Giulia è autrice di un podcast dal titolo che lascia poco spazio all'immaginazione: «Camposanto», podcast italiano sulle città ultraterrene. «Questo è camposanto, il podcast dedicato a chi ama i cimiteri - si legge nell'introduzione -. Io mi chiamo Giulia Depentor e amo leggere le storie scritte sulle lapidi, osservare le fotografie sbiadite dal tempo e immaginare le vite degli abitanti di queste immense città ultraterrene .
 
dal  https://www.ilmessaggero.it/

Giulia Depentor ha 40 anni ed è originaria di San Donà, Venezia, ma vive Treviso. La sua passione per i cimiteri è nata durante la pandemia di Covid-19. «Non avevo grandi aspettative, all’inizio - spiega al Corriere della Sera - Pensavo, al contrario, che sarei stata vista come strana… Invece fin dalla prima puntata, ho avuto un grandissimo riscontro». Il suo podcast si può trovare su tutte le principali piattaforme, da Spotify al suo sito personale, giuliadepentor.it, e il suo successo si è accompagnato alla crescita del suo numero di follower su Instagram, conosciuti come "i Camposanter".


 

"Immemòriam", il primo libro di Giulia Depentor, è stato pubblicato da Feltrinelli Editore appena lo scorso 24 ottobre. «Una sorta di atlante cimiteriale», lo definisce l'autrice, «con il quale vi porterò con me in giro per l'Italia a visitare cimiteri e altri luoghi legai alla morte.Visitare i campisanti, leggere le lapidi, osservare le foto dei defunti sono attività piene di sorprese e un modo per conoscere culture e popoli», ha spiegato.

«Da piccola ero solita accompagnare le mie nonne in cimitero e le aspettavo mentre sistemavano le tombe dei miei nonni - ha raccontato al Corriere-. Passavo le ore ad ascoltare le loro storie e aneddoti. Ero affascinata dalle lapidi e soprattutto dalle foto, accompagnate da date ed epitaffi». Da adulta, questa fascinazione è diventata un obiettivo preciso, intellettuale e allo stesso tempo scientifico: esplorare, analizzare il contesto storico e artistico e scoprire le storie dimenticate dei defunti.
Dal cimitero dei suicidi di Grunewald a Berlino, a quello del Far West a Bodie in California, da quello di Aoyama a Tokyo, passando per i non cimiteri di Rarotonga nell’arcipelago delle isole Cook, i campi santi del mondo raccontanto della cultura e del rapporto di un popolo con la morte.

Ad accompagnarla nelle sue esplorazioni "cimiteriali" c'è Olga, la sua fedele cagnolina che Giulia definisce ironicamente "Camposanter's little helper".
Giulia Depentor, che su Instagram racconta di sé, semplicemente : "Leggo, viaggio, 
scopro cimiteri", parlando con il Corriere ha detto di avere un proprio cimitero preferito, quello di San Michele in isola, a Venezia, che è stato il soggetto del suo primo podcast. Viene istintivo quindi chiedersi dov'è che lei dove vorrebbe essere sepolta? La sua risposta al Corriere è inaspettata: «Voglio essere cremata - risponde -. Ho il terrore di essere sepolta viva, come in un racconto di Edgar Allan Poe».



«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...