5.9.22

La dolorosa battaglia di Carlo Iannelli per la verità su suo figlio Giovanni , con i social come arma


Lo so che voi lettori/lettrici  sarete stanchi di leggere ancora di questa vicenda e vorreste sentire parlare d'altro o  nuovamente d'essa aggiornata . Ma



«Lo so che faccio la figura del rompic… – esordisce Carlo Iannelli   su https://bici.pro/focus/storie/   del  4,9.2022 – non sono un leone da tastiera, ma che cosa devo fare? Quale altro strumento ho per far capire che si sta perpetrando una grave ingiustizia, coprendo non solo chi è stato chiamato in causa, negando la possibilità di arrivare alla verità?».






quindi è per questo nonostante ne abbia parlato a più riprese queste pagine continuo a parlarne riportando l'articolo di Gabriele Gentili  04.09.2022 su https://bici.pro/focus/storie/

7 ottobre 2019. Quel giorno finisce, troppo troppo presto, la vita di Giovanni Iannelli, promettente corridore pratese vittima di una caduta all’87° Circuito Molinese di Molino dei Torti, gara under 23 in provincia di Alessandria. Quel giorno finisce anche la vita, per come era stata fino ad allora dedicata alla famiglia, al lavoro, al sostegno della passione del figlio, per Carlo Iannelli, avvocato toscano (padre e figlio sono insieme nella foto di apertura).

Iannelli correva per la Uniontrade-Cipriani e Gestri. Era un buono sprinter con doti di passista
La vita strappata a 22 anni
Ne inizia un’altra, che si tramuta ben presto in una lotta quotidiana, interminabile, per rendere giustizia a suo figlio. Un autentico inferno, fatto di aule di tribunale, carte bollate, documenti su documenti, un labirinto che non porta mai da nessuna parte.
Giovanni muore a 22 anni. Cade in volata, finisce contro un pilastro di mattoni, a meno di 150 metri dal traguardo. Le immagini tv, le foto scattate (in rete sono ancora disponibili) dimostrano chiaramente che pur essendo una gara nazionale (come se questo dovesse fare la differenza) non ci sono protezioni adeguate. Quelle protezioni minime necessarie per gestire in sicurezza un evento ciclistico, neanche le transenne se non per gli ultimi 40 metri.
La vicenda prende subito una piega strana: il rapporto dei Carabinieri segnala il loro arrivo sul luogo dell’incidente alle 16,15, la gara si conclude alle 16,24… Non vengono fatti rilievi, misurazioni, non vengono scattate foto né sentiti testimoni tra cui gli altri ciclisti coinvolti nella caduta. Sul verbale si scrive che Giovanni è caduto in maniera autonoma per l’alta velocità, in fase di sorpasso di altri corridori. Il rapporto della giudice di gara segnala che il corridore è stato “incauto”.

Il successo di Iannelli alla Coppa Caivano, seconda vittoria nel 2014

  Sempre   secondo   l'articolo   il  padre  Carlo   ha   dovuto  e  sta  subendo   un cammino    di umiliazioni

Questa è solo la prima umiliazione che deve subire Carlo. Nel corso dei mesi, delle udienze, delle arringhe ne arrivano tante altre, affermazioni  ciniche   e  poco rispettose   che fanno rabbrividire come quella dell’avvocato difensore del Comune di Molino dei Torti (chiamato a rispondere in sede penale insieme alla società organizzatrice, ai due direttori di corsa, presidente di giuria e Comitato Regionale Piemontese della Fci):



 «I genitori hanno altri figli e i nonni altri nipoti».

A tre anni di distanza, Carlo è provato, ma non domo: «Due anni dopo è arrivata l’archiviazione da parte della giudice di Alessandria – dice – negando così la possibilità di un processo. Ho percorso mille altre vie legali per far riaprire il caso, trovando spesso porte chiuse e, quando anche qualcuno si rendeva conto di quanto stava accadendo, si scontrava con il classico muro di gomma. Ricorsi rigettati senza neanche essere esaminati nel merito, appena ricevuti. Ma io non mi arrendo, lo devo alla memoria di mio figlio».
La vita di Carlo, che ha sempre vissuto nel ciclismo, da presidente di società a giudice di gara, affiancando quella sua passione al lavoro e corroborandola al seguito di suo figlio Giovanni, passa attraverso due binari. Uno è il costante impegno in sede legale per riuscire ad avere un processo dove finalmente si possa quantomeno discutere di quel che avvenne quel maledetto pomeriggio. L’altro passa attraverso i social.
Molti avranno fatto caso che su Facebook come su Instagram, sotto moltissimi post ciclistici ma anche di altri argomenti, compare Carlo che pubblica gli aggiornamenti su come sta andando la sua battaglia legale. Per certi versi sembra un novello Don Chisciotte, con uno smartphone al posto della lancia, unica arma per combattere uno status quo granitico.

Carlo Iannelli con in braccio Giovanni vicino a Marco Pantani. 

  Conconcordo   pur  non  avendo  conosciuto     solo telefonicamente     e via  email  il pare    con il  fatto       riportato   sempre  dall'articolo in  questione   che  

La sua storia per certi versi ricorda la tenacia con cui Mamma Tonina ha continuato a lottare, giorno dopo giorno, per arrivare alla verità sulla morte di suo figlio Marco Pantani.
«Io ho iniziato ad andare in bici guardando Marco – dice – custodisco in ufficio una foto con lui, mio fratello e Giovanni da bambino. Sono pienamente convinto che dietro la sua morte e le sue vicende precedenti ci sia stato un complotto, ma le similitudini si fermano qui, le circostanze sono troppo diverse».
Il dolore che traspare a ogni sua parola, tanto sofferta quanto soppesata, si mischia alla tenerezza alla domanda su chi fosse Giovanni Iannelli.
«Un ragazzo d’oro, corridore esemplare, che interpretava questo sport con una passione enorme, ma senza cedere mai a nessuna lusinga, a qualsiasi scorciatoia. Si era tesserato a 5 anni, ancor prima di avere l’età per gareggiare da bambino. Ha fatto tutta la trafila, ha iniziato a vincere al primo anno junior, vicino a Signa, battendo in un colpo il campione toscano Baldini e quello italiano Trippi.La 

La sua unica convocazione in azzurro fu a Roubaix, un’emozione enorme
«Un giorno al suo diesse Mirco Musetti arrivò la chiamata di Rino De Candido, selezionatore della nazionale juniores: voleva Giovanni per la Parigi-Roubaix di categoria. Mio figlio si ritrovò in squadra con Ganna, Affini, Plebani. Era entusiasta. In gara forò dopo 40 chilometri perdendo il treno giusto, ma volle finirla a tutti i costi, anche se fuori tempo massimo».
Il 7 ottobre saranno tre anni che Giovanni non c’è più. Carlo continua la sua battaglia: «Chiedo solo che un magistrato abbia il coraggio di andare contro il sistema, di esaminare tutte le carte. Di capire che quel giorno sono state commesse gravi mancanze che hanno portato alla morte di mio figlio e che le stesse sono state artatamente coperte. Io continuerò a lottare e a raccontare la mia battaglia».

ora      quando troverete i suoi commenti in fondo a qualsiasi post, o post   che mette  sulla mia bacheca   , credo   che  li guarderete in modo diverso…ed  non vi lamenterete  più  se   ripeterò sempre  la  sua  storia  e credo  che   che    condividerete    e  denuncerete   questo crimine giudiziario compiuto sulla pelle di un ragazzo Esemplare di un corridore Esemplare di 22 anni con la complicità con il concorso in primis della Federciclismo e quindi delle altre istituzioni sportive e non di questo Paese

4.9.22

[ la malinconia può essere preziosa parte II ] Autunno, stagione di passaggio





da  https://www.giltmagazine.it/



In attesa che gli effetti dell'auttunno   facciano la loro comparsa un temporale in lontananza allontana la malinconia e la tristezza che ti porti dentro ( ho già spiegato il perchè ) anche nei momenti di felicità . 
 
cosi   pure  un bagno nel mare non ancora non  auttunnale  

                                     







piccole librerie che ancora resistono

 




Jack, il cane libero: mascotte di Dolianova e star su Facebook

  unione  sarda   4\9\2022
                      Carla Zizi

Passo sicuro e andatura veloce di chi sa il fatto suo. Chi lo incontra al mattino sa già che difficilmente si fermerà per un saluto. Jack, il cane diventato da qualche anno la mascotte di Dolianova, è un abitudinario. Manto nero, screziato di marrone e muso leggermente allungato: si direbbe che abbia antenati bassotti ma quello che ammalia è lo sguardo buono ed eloquente. Scorrazza indisturbato per le vie del paese, rigorosamente sui marciapiedi, da mattina a sera. Libero Jack ha un padrone che lo


accudisce, è dotato di regolare microchip, è un animale educato e rispettoso. Ma è uno spirito libero: impossibile tenerlo in casa a poltrire. Ha necessità di uscire tutti i giorni per andare a trovare i suoi amici. La sua giornata inizia da una pasticceria del centro. «Jack fa spesso tappa qui, in genere beve un po' di latte, a volte il suo premio è un pezzettino di würstel che lui adora, ma gradisce soprattutto due coccole e un angolo dove riposare per qualche minuto – dice Susanna Corrias, banconiera del caffè di Piazza dei Pisani – noi, qui lo adoriamo. Abbiamo paura più che altro delle automobili. Corrono tanto, in paese. Jack lo sa e non è raro vederlo attraversare sulle strisce pedonali». A spasso Poco più in là, la passeggiata prosegue: seconda tappa al negozio di articoli per animali. Con un abbaio, dal timbro inconfondibile, segnala la sua presenza e Valentina Manca, titolare del negozio, accorre subito. «Se la porta è aperta, lui entra senza troppe cerimonie. Non sempre prende il suo biscottino, a volte passa solo per un saluto. Si siede, sonnecchia e dopo un po' riprende allegramente il suo giro». Una sosta davanti al supermercato, in pieno centro, è d'obbligo. I clienti abituali lo salutano e se non lo vedono si preoccupano. Chi invece ancora non lo conosce lo segnala sui gruppi social pensando al povero cagnolino smarrito in attesa del padrone che lo vada a recuperare. Il coro delle risposte non si fa attendere: «È Jack, spirito libero, torna a casa da solo. È la mascotte di Dolianova». La star Sui social è ormai un'autentica star: i post a lui dedicati compaiono a cadenza settimanale. Per non parlare delle tantissime foto che lo ritraggono nei suoi spostamenti quotidiani. Non c'è angolo del paese che non abbia esplorato, attratto talvolta da qualche cagnetta vivace: ecco perché per qualche giorno è possibile non incontrarlo in centro. Con la riapertura delle scuole però il suo itinerario, come ogni anno, subirà una variazione. «Quasi ogni giorno lo vediamo all'ingresso della scuola materna, poi si sposta alle scuole elementari – dice Anna Carrassi, bidella presso l'istituto di viale Europa – i bambini impazziscono per lui e lui ricambia in pieno tutto quell'affetto. Un mio collega, durante la pandemia, faceva il gesto di misurargli la temperatura suscitando l'ilarità di tutti». Arriva la sera: tra i tavoli dei locali della piazza Europa, Jack passeggia senza disturbare. Aspetta che qualche bimbo giochi con lui e se qualcuno gli allunga un assaggino, non lo disdegna. Poi, come di consueto, torna a casa a dormire oppure approfitta dell'ospitalità di qualcuno. Ma sempre al sicuro, protetto dall'affetto di un'intera comunità. 

2.9.22

da nuoro alle sfilate a miami Nadia Petite Ψ






 qui le  sue  creazioni  Nadia Petite Ψ | Facebook 


La psichiatra sassarese Laura Fumagalli in Iraq per aiutare i sopravvissuti a un genocidio e La favola di «Nadia Petite»: da Nuoro alle sfilate a Miami

 La psichiatra sassarese Laura Fumagalli in Iraq per aiutare i sopravvissuti a un genocidio
In missione con Medici senza frontiere in un villaggio colpito dall’Isis. «Si portano dentro il ricordo dell’orrore»

 l’agosto di otto anni fa: seicento uomini vengono uccisi a colpi di kalashnikov, le donne rapite diventano schiave e merce di scambio. La piccola stoica minoranza religiosa Yazida, nell’Iraq settentrionale,  vittima di un sanguinoso genocidio da parte dei terroristi dell’Isis. Una tragedia raccontata da “L’ultima ragazza”, il libro del premio Nobel Nadia Murad, che da quell’orrore ; riuscita a salvarsi. Otto anni dopo, Laura Fumagalli ha raccolto, ma in maniera diversa, storie di vite – ancora – strappate alla quotidianità .
Laura Fumagalli (al centro) assieme al resto dell'équipe
impegnata nella missione in Iraq



Laura le ha ascoltate dai letti di ospedale di un piccolo villaggio. I pazienti di fronte, che forse nemmeno sanno di essere tali, e lei, psichiatra, a cercare di capirli e farsi capire in inglese. Laura, 42 anni, di Sassari, rientrata da poco da una missione umanitaria per conto di Medici senza frontiere a Sinuni, in Iraq.  partita lo scorso gennaio, era la sua prima volta. Dice di aver bisogno di qualche mese per metabolizzare l’esperienza.
La cosa più; sorprendente, Laura Fumagalli la dichiara subito:La comunità yazidi \ una minoranza etnoreligiosa che ha subito nel 2014 il genocidio da parte dell’Isis, ma nella loro storia ne ha subiti ben 74. E nonostante ciò continua a essere aperta e disponibile col prossimo. Le persecuzioni continuano, ora hanno gli echi delle bombe. Racconta Laura che durante il suo servizio di sei mesi presso una piccola struttura ospedaliera, ci sono stati due episodi di bombardamenti particolarmente pesanti da parte della Turchia. La prima volta ci è tato dato ordine di evacuare, si stava formando un corridoio di sicurezza ma era notte, una situazione pericolosa, e siamo rimasti nell’ospedale – dice la psichiatra –. La seconda volta è stato bombardato un edificio a un minuto da noi. In entrambi i casi vedevamo i miliziani sparare dai tettiLa guest house di soccorso era per\u0026ograve; marchiata Medici senza frontiere: I bombardamenti erano precisi, fatti coi droni, per questo sul tetto avevamo il logo cosi' da evitare di diventare un target direttLaura era l’unica italiana nella equipe di assistenza formata da medici di tutto il mondo, da Inghilterra, Francia, Svizzera, Germania e Grecia nel gruppo europeo, da Congo, Nigeria, Tanzania e Camerun in quello africano. Laura definisce la sua esperienza  e in quell’aggettivo ci sono situazioni vissute estremamente profonde. Ho visto una comunità molto forte, unita purtroppo nella tragedia. Il momento peggiore arrivava quando bisognava comunicare le patologie croniche, ma ho trovato persone che cercavano sempre di reagire, senza perdere la speranza o farsi sopraffare dallo sconforto. Un atteggiamento diverso rispetto a quello degli occidentaliCi sono quelle che restano impresse più di altre. Il camice da psichiatra costringe a guardare le cose dall’alto. Raccontarle ora significa invece rivestirle di emozioni: Molti non si sono ripresi dal genocidio. Una ragazza – ricorda Laura Fumagalli – era rimasta prigioniera dell’Isis per tre mesi e quando riuscita a tornare a casa era completamente psicotica. Era libera ma segnata nell’animo. Poi mi ha colpito moltissimo il caso di un uomo con disturbo post traumatico da stress: lui \u0026egrave; riuscito a scappare nelle montagne ma ha visto e vissuto cose che lo hanno segnato per sempre. Quando le famiglie fuggivano – racconta Laura – non avevano modo di portare nulla e alcuni lasciavano per strada i neonati. Quest’uomo continua ad avere gli incubi legati proprio a quell’immagine, dei bambini abbandonati nella fuga. E quest’uomo è  riuscito a buttare fuori i propri demoni attraverso le sedute psichiatriche, ma l’aiuto \u0026egrave; su tutti i fronti, sul campo ci sono diverse Ong e ognuna d\u0026agrave; il proprio apporto. Ci sono le sedute, i farmaci, la psicoterapia, l'ospitalita' il cibo. Un lavoro di squadra con l’obiettivo di rimettere insieme i pezzi di vite strappate. La domanda più; secca: ripartirebbe per una missione umanitaria? La risposta lo è ancora di più 




crociere alternative .l'impresa felice di due ottantenni che molla gli ormeggi ad Olbia dopo tre mesi in barca a vella

 


Dal virtuale al reale: è di Sassari il volante scelto da Mercedes Maximilian Goetz I modelli di Cube controls conquistano la casa automobilistica tedesca L’azienda leader nel sim racing è nata dalla scommessa vincente di due ami

  dalla  nuova   srdegna  online 

 
 Tra i capannoni della zona industriale di Predda Niedda, brillano le luci di Cube controls. È una sorta di laboratorio dell’innovazione, capace di comunicare col mondo e al cui interno lavora un team sardissimo. Chi è appassionato di giochi virtuali e simulatori di gara, molto

Maximilian Goetz
probabilmente sta impugnando uno dei volanti nati dalle idee di questi ragazzi di Sassari. Manufatti di alta tecnologia con pulsanti e luci richiesti da gamer, piloti di professione e grandi marchi.
La storia L’azienda rappresenta un unicum in Italia e gareggia in un settore, quello del sim racing (i simulatori di guida, appunto) di prima fascia, dove ha pochi altri concorrenti internazionali. Come le storie romantiche, anche questa nasce da un incontro e da un piccolissimo angolo nel mondo: quello tra Fabio Sotgiu, ora Ceo di Cube controls, e Massimo Cubeddu, lead designer, nella ciclobottega di via Porto Torres a Sassari. Il secondo produceva artigianalmente volanti per simulatori, nel garage di casa. Fabio veniva da un passato nelle corse kart e motociclistiche. È il 2016 quando il progetto prende il via, ci si suddivide i compiti e si realizzano i primi modelli. Ora l’attività si è allargata e conta quasi una ventina di dipendenti. Si è assestata nel settore come azienda da fascia premium, la produzione è passata da qualche decina di pezzi l’anno ai 3.500 del 2021 e ha un fatturato di due milioni e mezzo.


Dallo schermo alla pista «La distanza con la realtà? Davvero poca», dice Francesco Delrio, responsabile della comunicazione. Si parla degli abitacoli dei simulatori, che al giorno d’oggi da fuori sembrano così simili a quelli reali. Davanti allo schermo, volante, pedaliera, motore, telaio, sedile. «Esclusi i fattori come il caldo e la spinta data dal peso della vettura, l’esperienza è molto vicina a quella vera e propria». Per questo, spiega, ormai tra i piloti professionisti del motorsport si è diffusa l’abitudine di usare i videogiochi di simulazione («iRacing va per la maggiore, poi Assetto corsa, che è italiano, e i giochi su licenza Formula 1 e Rally») per tenersi allenati e studiare i nuovi tracciati. «Permette di pensare strategie, spingersi oltre senza il rischio fisico. Come Cube controls abbiamo tra i clienti Rubens Barrichello, Lando Norris, Valentino Rossi». Sugli eSport si investe tanto, anche sul concetto di passare dalla stanza dei giochi direttamente al paddock. «Sì molte scuderie per reclutare giovani piloti stanno guardando al mondo dei videogame – commenta Francesco –, un nostro ambassador è James Baldwin. Due anni fa ha esordito in una gara reale al British Gt Championship senza aver mai guidato un’ auto da corsa, ed è arrivato primo. Sapeva il tracciato, conosceva tutte le curve, le velocità da prendere».

I volanti Performance e design sono le due parole che il gruppo di Cube controls sceglie per descrivere il proprio lavoro. Ospiti di recente alla Maker faire Sardinia a Olbia, il loro simulatore è stato preso d’assalto dai visitatori e Francesco, mentre spiegava le specificità dell’azienda, mentre parlava dei modelli di volante, li accarezzava e se li rigirava tra le mani come dei piccoli tesori. «È importante la performance, che l’oggetto riesca a restituire una sensazione di vera guida. Poi, sarà perché siamo italiani e fa parte del nostro Dna, c’è tanta attenzione al design, cosa che in questo settore mancava». I volanti sono costruiti «in materiali pregiati come fibra di carbonio e alluminio, riducendo al minimo la plastica» e vengono assemblati uno ad uno a mano. Mani umane, non meccaniche.

La Mercedes chiama In programma c'è l'idea di allargarsi alla creazione di altre componenti, sono già sul mercato le prime pedaliere. E l’ultimo grande progetto è un chiaro passaggio dal virtuale al reale, grazie a una collaborazione prestigiosa. Mercedes-Amg ha bussato alla porta dell’azienda sassarese per chiedere di disegnare e realizzare un volante ad hoc. «Una cosa per noi di grande onore e per loro senza precedenti, che ci ha permesso di portare le nostre esperienze virtuali nel motorsport reale. Il volante che abbiamo progettato è per la Mercedes-Amg GT Track Series ed è qualcosa di completamente nuovo per l'ambiente. C'è un'attenzione particolare all'estetica, di solito bistrattata per ragioni funzionali. È stata la prova che possiamo farlo e ci apre nuove porte», commenta entusiasta Francesco Delrio. L’auto è stata annunciata ad aprile a edizione estremamente limitata e i 55 esemplari verranno venduti entro l’anno. Dai siti specializzati viene descritta come «l'auto più potente mai realizzata dalla divisione sportiva della casa tedesca».

rifugio sulle piattaforme digitali . Virtus , la tigre bianca

in sottofondo 
 Lasciami Andare - Gianmaria Testa 


Oggi propongo dei film ,  soprattutto il secondo   tristi e malinconici   erano quelli che  mi  ci  volevano   dopo un estare  di  merda    ( vedere   il post  : <<  la  malinconia    può essere preziosa  - autunno 2022 >>  ) che   anora  mi tormenta   

Vitus  2006 diretto da Fredi M. Murer


un bambino prodigio, di dodici anni, in grado di suonare il pianoforte con maestria sin dall'età di sei anni, gran giocatore di scacchi e lettore di enciclopedia. I genitori, date le sue capacità, lo iscrivono in una scuola prestigiosa, ma frequentata da ragazzi più grandi.In cuor suo Vitus vorrebbe essere un ragazzo normale e frequentare i suoi coetanei, e l'unico in grado di capire il suo stato è suo nonno, con cui condivide la passione per il volo. Una notte si butta dal balcone e finge, per la caduta, di aver perso tutte quelle capacità che lo contraddistinguevano dagli altri bambini, e, si considera una persona normale: ciò porta allo sconforto dei genitori, in particolare della madre che cade in depressione. Il nonno scopre l'inganno, ma mantiene il segreto. Grazie alla sua intelligenza, Vitus fa diventare ricco suo nonno e fa riavere il posto di lavoro a suo padre. Il giorno seguente il nonno di Vitus si fa male e due giorni dopo muore. Alla fine, per non scoraggiare ulteriormente i genitori, Vitus torna ad essere se stesso e a riacquisire tutte le capacità che la natura gli ha dato e che lo rendevano speciale e praticamente unico.

Un fim  bello  ,  favolistico , un po' prevvedibile  il finale  msbello.lo.stesdi .  Sulla  scia   di Will Hunting - Genio ribelle (Good Will Hunting) del 1997 diretto da Gus Van Sant e interpretato da Matt DamonRobin WilliamsBen AffleckCasey AffleckStellan Skarsgård e Minnie Driver.

La tigre bianca

(The White Tiger) è un film del 2021 scritto e diretto da Ramin Bahrani.Si tratta dell'adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo di Aravind Adiga del 2008. Il film è interpretato da Adarsh Gourav nel suo primo ruolo da protagonista, insieme a Rajkummar Rao e Priyanka Chopra, che sono anche i produttori esecutivi del film.



 L'epico viaggio di un povero autista indiano che deve usare il suo ingegno e la sua astuzia per liberarsi dalla servitù, in un'India iniqua in cui il riscatto sembra essere possibile solo attraverso l'illegalità. esso  è la  storia  di Balram, ricco fondatore di una startup di Bangalore, racconta  in una lettera indirizzata al primo ministro cinese la sua storia. Nato in un povero villaggio del nord dell'India con il nome di Balram, inizia a lavorare come autista per una ricca famiglia corrotta. Spinto dalla voglia di riscattarsi socialmente e di vendicarsi dei soprusi ricevuti in qualità di servo appartenente ad una casta bassa, l'astuto Balram riesce ad ingraziarsi il suo padrone Ashok, arrivando ad ucciderlo e a prendere il suo nome e il denaro usato per corrompere la classe politica indiana, per poi recarsi a Bangalore e diventare un imprenditore di successo.Il consenso dei critici del sito web recita: "Ben interpretato e ben fatto, The White Tiger distillano i punti di forza del suo materiale originale in un dramma cupo e avvincente"  . Cinico e  divertente .  Un ottima  metafora    quella    della  stia di  polli  

1.9.22

la richiesta di : svolta , moralità , ecc di Moser e fondriest alla federciclismo per il caso Dagnoni vale anche quello del giovane ciclista Giovanni Ianelli ?

per  approfondire  la  vicenda  

https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2022/07/puoi-una-condanna-per-diffamazione-far.html
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2022/06/giovanni-iannelli-aggiornamento-una.html
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2022/06/ingiustizie-ed-insabbiamenti-italiani.html



 Fa piacere notare che anche i signori #francescomoser, #mauriziofondriest #vittorioadorni #giuseppesaronni #alessandroballan oltre alla signora nonché collega #NormaGimondi si siano finalmente



accorti che nella #federciclismo occorre MORALITÀ, ETICA, TRASPARENZA. Vorrei però ricordare come il padre suddetti che, oltre al “caso provvigioni”, esiste ed è tuttora irrisolto, sin dalla presidenza di Renato Di Rocco, un “caso” assai più grave, scandaloso, inaccettabile, irreparabile che è quello relativo alla morte di Giovanni Ianelli E che ci sono diverse circostanze tremende, agghiaccianti, oscure ed inquietanti che #federciclismo, #CONI, certi #magistrati e non solo devono ancora chiarire ecco cosa riporta il padre

di seguito, riassumo: -LUCA BOTTA, GIUDICE DI GARA NAZIONALE DELLA FEDERAZIONE CICLISTICA ITALIANA (FCI), PRESIDENTE DEL COLLEGIO DI GIURIA, NEL MENTRE MIO FIGLIO È STESO A TERRA SULL’ASFALTO, PRATICAMENTE MORTO, EMETTE UN COMUNICATO CON SU SCRITTO:NULLA DA SEGNALARE. -GIULIA FASSINA, GIUDICE DI GARA DELLA FCI, CHE FA PARTE DI QUEL COLLEGIO DI GIURIA, DICHIARA IL FALSO AI CARABINIERI DI CASTELNUOVO SCRIVIA E QUINDI ALLA PROCURA FEDERALE DELLA FCI. -I CARABINIERI DI CASTELNUOVO SCRIVIA QUEL GIORNO NON SVOLGONO NESSUNA ATTIVITA’ D’INDAGINE, NEPPURE UNA FOTOGRAFIA CON IL CELLULARE. -IL GIUDICE SPORTIVO PIEMONTESE DELLA FCI OMOLOGA QUELLA GARA CICLISTICA MORTALE SENZA PROVVEDIMENTI.

-LA STRUTTURA TECNICA DEL COMITATO REGIONALE PIEMONTESE DELLA FCI APPROVA IL PROGRAMMA DI GARA SENZA GLI OBBLIGATORI DOCUMENTI RELATIVI ALLA SICUREZZA, DOCUMENTI CHE POI FALSAMENTE SI MATERIALIZZANO PER ESSERE PRODOTTI NEL GIUDIZIO SPORTIVO SVOLTOSI AVANTI LA CORTE SPORTIVA DI APPELLO DELLA FCI DALLA SOCIETÀ ORGANIZZATRICE QUELLA CORSA CICLISTICA MORTALE TRAMITE IL DIFENSORE AVV. GAIA CAMPUS (COMPONENTE DELLA COMMISSIONE NAZIONALE ELETTORALE DELLA FCI). -LA PROCURA FEDERALE DELLA FCI, CAPEGGIATA DALL’AVV. NICOLA CAPOZZOLI, SVOLGE L’ISTRUTTORIA IN ASSENZA DI CONTRADDITTORIO, INSABBIA LA MIA DENUNCIA E COLLABORA SIN DALL’INIZIO CON LA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI ALESSANDRIA CHE, NONOSTANTE LE MOLTEPLICI ED INEQUIVOCABILI EVIDENZE, ARCHIVIA LA MORTE DI MIO FIGLIO SENZA NEPPURE VOLER CELEBRARE UN GIUSTO PROCESSO PER ACCERTARE LA VERITÀ ED ASSICURARE LA GIUSTIZIA. -LA FCI, ANCHE TRAMITE IL DOTT. ROBERTO SGALLA, SUO ESPONENTE APICALE (PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DIRETTORI DI CORSA E SICUREZZA), CONSULENTE DELLA PROCURA FEDERALE DELLA FCI CHE POI DIVENTA ANCHE CONSULENTE DEL PUBBLICO MINISTERO DI ALESSANDRIA (CHE ARCHIVIA LA MORTE DI MIO FIGLIO), DEPISTA LE INDAGINI.

Single shaming: perché essere single dopo i 40 anni è ancora motivo di "vergogna"

   da  repubblica  

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Famiglia allargata: nuove tradizioni per dire "basta" ai tabù (alfemminile.com)


L'Italia è un Paese in cui sempre più spesso si sceglie una strada alternativa alla coppia. Secondo l'Istat, più del 33 per cento delle persone vive da solo, eppure c'è ancora chi pensa che le persone non sposate e senza figli siano incomplete o infelici. La storia di Daniela e i consigli della psicologa per liberarsi di uno stigma sociale




L’Italia è diventato un Paese di single. Secondo gli ultimi dati dell’Istat, il 33,2 per cento degli italiani, cioè 8,5 milioni di persone, vive da solo. E per la prima volta la famiglia mononucleare supera quella costituita dalle coppie con figli, il 31,2 per cento. Tanti, per essere considerati un’eccezione. Eppure, ancora oggi molti subiscono la discriminazione del “single shaming”, la vergogna di essere single.
Spesso a patirla sono soprattutto le donne e ad alimentarla sono i pregiudizi e gli stereotipi sociali che associano il non avere un partner a una sorta di colpa, un difetto, una mancanza che va colmata. Chi è single spesso viene ancora bersagliato da domande fastidiose e scomode - “Come mai sei ancora da solo o da sola?”, “Possibile che non trovi nessuno?”. Interrogativi che possono sminuire e offendere, come se vivere o meno in una relazione determinasse il proprio valore. Invece non è certo lo status sentimentale a decidere chi siamo e quanto valiamo, nessuno dovrebbe sentirsi sbagliato o in difetto discriminato perfino, solo perché non è parte di una coppia.

La storia di Daniela

“Non ho mai pensato che avere accanto un uomo potesse essere motivo di vanto, ma neanche di dovermi vergognare per non averne uno. Eppure, ancora oggi, il fatto che io sia single a 43 anni a molte persone non va proprio giù. Non parlo della pressione dei parenti, di mia madre soprattutto, che vedono nella mia vita senza marito e figli motivo di infelicità. Mi riferisco piuttosto ai miei coetanei e alle amiche, che guardano alla mia singletudine con imbarazzo, nonostante mi conoscano bene. Mi guardano con occhi compassionevoli, cosiderando 'proprio strano che una donna in gamba come me non abbia ancora un partner'. I più temerari mi propongono appuntamenti al buio per risolvere quello che per loro è un grave problema, cosa che per me non è. Anzi. A dirla tutta la mia vita mi piace così com’è: sono libera di decidere per me stessa e di cambiare i programmi anche all’ultimo; le amicizie non mi mancano e ho la mia indipendenza economica. Fino a due anni fa avevo una storia ma quando è finita ho deciso di prendermi del tempo da dedicare a me stessa. E ora ammetto, ci ho preso gusto ad essere single, e anche se per alcuni sono una zitella un po’ sfigata, vado dritta per la mia strada. Se incontrerò un uomo che mi piace, accoglierò l'amore e quel che verrà, ma cercarlo a tutti costi non è un obiettivo che voglio pormi. Vorrei che gli altri rispettassero questa mia scelta senza metterla in discussione o doverla sempre rimarcare come se fosse insana e inappropriata”.Di “single shaming” abbiamo discusso con Nicoletta Suppa, psicologa, psicoterapeuta e sessuologa, per partire dalla storia di Daniela e trarne conclusioni utili a molti.





Cos’è il single shaming?

“Letteralmente l'espressione vuol dire vergognarsi di essere single. È un fenomeno di natura sociale che spinge le persone a sentirsi in difetto per il proprio status sentimentale, poiché non è aderente alle aspettative sociali. Uno stigma che nasce da stereotipi ancora radicati nella nostra cultura basata sulla famiglia: si giudica negativamente chi a una certa età non si è sposato e non ha avuto figli, non avendo aderito alle fasi canoniche di una vita considerata “normale” e standardizzata. Il single shaming viene alimentato dall'atteggiamento e dalle domande delle persone che sul single riversano le aspettative dello stare in relazione. Le domande più frequenti rispecchiano un atteggiamento di attesa, come ad esempio: "Che aspetti a fidanzarti?". Le continue pressioni esterne fanno sentire il single inadeguato e inadempiente. Questo succede a maggior ragione quando la persona non vive in maniera del tutto serena la propria singletudine. Ma può generare comunque malessere anche a quei single che non hanno nessun disagio”.

Quali sono le cause di questo fenomeno?

“Sono sociali e culturali. Tutto si riduce alla considerazione che l'essere single è una fase di attesa tra una relazione e l'altra ma non sempre è così. Partendo da questo presupposto, molti considerano il single come qualcuno che è manchevole, che non è completo poiché non ha una relazione. Altri, per questioni culturali profondamente radicate in alcuni contesti, arrivano a pensare che single sia sinonimo di solitudine e di fallimento, perché se non si è in coppia non si ha ottenuto nulla nella vita. Per queste persone la realizzazione personale è strettamente legata alla coppia e alla famiglia”.

Perché ancora oggi si giudica negativamente chi non ha un partner?

“Si tende a pensare che chi non è in coppia è incapace di avere una relazione perché è problematico o troppo selettivo e non sarà mai felice. In questo modo si perde di vista l'elemento dell'individualità che invece può portare una persona a scegliere, in base a considerazioni personali, di essere single e di cercare la sua personale strada della felicità. Molte persone preferiscono ad esempio vivere al di fuori di una relazione stabile, perché non vogliono rinunciare ad una maggiore libertà o perché vogliono dedicarsi ad altri aspetti della propria vita come ad esempio il lavoro”.

Il single shaming colpisce più le donne?

“Sì, perché ancora esiste un doppio standard di valutazione: spesso gli uomini single non sono giudicati male, mentre le donne vengono stigmatizzate con il classico stereotipo della zitella. Resta viva l'idea che la realizzazione personale di una donna debba passare necessariamente per la costruzione di una famiglia, e diventare moglie e madre. È come se l'essere donna fosse meno importante del suo ruolo sociale.La conferma? Molte donne, una volta sposate e con i figli, sembrerebbero rinunciare a spazi personali e all'espressione della propria individualità. Al contrario, è comune una visione dell'uomo che si realizza anche al di là della famiglia, con il lavoro e non solo. Si giustifica l'uomo single che insegue le proprie passioni considerandole prioritarie rispetto ad una relazione stabile. Molte donne poi hanno assorbito questo modo di pensare e soffrono non tanto perché provano disagio, ma perché credono di non potersi affermare al di là dei ruoli di moglie e madre. In questo modo si perde di vista quella che è la priorità personale dell'individuo: il realizzarsi al di là dei ruoli sociali imposti”.



Perché non bisogna mai vergognarsi di essere single?

“Perché è una condizione che rende l'individuo comunque completo, capace di stare con sé stesso. Questo traguardo individuale non è scontato e può minare l'autostima. Cosa fare se accade? È bene chiedersi se siano gli altri a farci sentire così. Se non fosse per quelle continue domande o quei commenti fuori luogo, proveremmo imbarazzo? Se la risposta è no, il nostro problema non è la vergogna, ma il potere che stiamo dando agli altri di giudicare la nostra vita. Pur non essendo facile, sarebbe utile lavorare su sé stessi per essere più centrati e dare valore a ciò che siamo”.

Come si fa a neutralizzare il single shaming?

“Per far capire agli altri che non è una vergogna essere single, il primo passo è sentirsi in sintonia con la propria scelta e non provare nessun disagio a vivere così. Per sbaragliare chi non smette di fare domande sconvenienti sul perché siamo single, può essere efficace usare l'ironia, che serve a depotenziare il giudizio dell'altro. Con ironia si può rispondere ponendo dei confini con frasi come: "Perché ti preoccupi che io sia single? Hai mai pensato che non è poi così male?" Un'altra arma utile nei confronti del single shaming è quella di mostrare i lati positivi dell'essere single, che spesso chi è in coppia invidia, in modo sottile. Primo tra tutti la libertà di cui gode un single e la capacità di stare da solo. Teniamo sempre presente che il giudizio e la critica spesso nascono da un senso di frustrazione per la propria vita. Alcuni di coloro che disapprovano i single potrebbero anche invidiarli in fondo, poiché sono incastrati in relazioni non sempre felici e incapaci di prendersi le proprie libertà”.

A Milano c'è un circolo del tennis pubblico e gratuito: "Ma quale padel, il nostro è il vero sport" Nel 2006 il comune di Milano riconvertì nei pressi del parco Trenno

 A Milano c'è un circolo del tennis pubblico e gratuito: "Ma quale padel, il nostro è il vero sport" Nel
2006 il comune di Milano riconvertì nei pressi del parco Trenno un parcheggio di fronte a una scuola in due campi da tennis pubblici e gratuiti, una rarità non solo per il capoluogo lombardo ma anche per il resto del Paese. Da allora, negli anni, si è formato un nucleo storico di frequentatori che si sono autonominati "TCT", ovvero "Tennis Club Trenno", che, tramite una divertente pagina Facebook, raccontano la gestione dei campi e associano - anche se informalmente - i nuovi arrivati. "Il nostro - racconta Fabio Maffini, tra i gestori della pagina e insegnante di tennis - non è un circolo ufficiale ma ideale, dove tutti possono associarsi. Il tennis ha un costo, da noi no". E così, fra inverni passati a spalare la neve dal campo e pomeriggi estivi tra volée o partite a carte, il club è arrivato fino a 140 iscritti. "Questo - argomenta Mauro, altro giocatore - è un luogo di vera socializzazione che tiene lontane le persone da bar, bicchierini, scommesse e via discorrendo".



 Il circolo ha una forte componente di pensionati anche se non mancano i più giovani. Rispetto a pallacanestro o calcio, sport molto praticati in aree urbane in maniera estemporanea e gratuita, il tennis non ha storicamente uno spirito "di strada". Cosa che, invece, al TCT è molto presente e non senza polemiche sulla gestione dei campi. "Per prevenire incidenti su chi deve giocare e chi no - dice Pino, storico frequentatore 69enne - c'è una regola non scritta. E cioè si fanno doppi, da due set e poi si lascia il campo. Chi non rispetta la regola non è benvenuto". Nel gruppo del TCT ci si dà soprannomi, come "Acciughina" o "Bradipo", c'è "L'Artennista" Francesco, che disegna caricature dei nuovi arrivati e i campi sono divisi in due: uno per i più bravi, l'altro per i principianti. Un piccolo esempio di comunità creata da un intervento amministrativo che, ai suoi membri, fa lanciare un messaggio: "Ce ne vorrebbe uno in ogni zona di Milano".
                                    di Andrea Lattanzi

  da  non confondersi  con  Il padel (dallo spagnolo pádel, a sua volta dall'inglese paddle )  sport con la palla di derivazione tennistica. Si pratica a coppie in un campo rettangolare e chiuso da pareti su quattro lati, con l'eccezione delle due porte laterali di ingresso. Il gioco si pratica con una racchetta dal piatto rigido con cui ci si scambia una pallina uguale a quella da tennis, ma con una pressione interna inferiore, che permette un maggior controllo dei colpi e dei rimbalzi sulle sponde. Non è da confondersi, quindi  ,  con il paddle tennis di cui è una variante. ..... qui altre  notizie   sul  suo derivato Padel