Un interessantissimo articolo di Mauro visentin ( Prof. di filosofia teoretica a alla facoltà lettere e filosofia di Sassari ) qui trovate news su di Lui . Esso è un po' post - datato dato che risale al 12 giugno del 2005 ) , ma secondo me ancora valido ed importante
Il dibattito sulla legge 40, che regola l’accesso delle coppie sterili alla cosiddetta fecondazione assistita, si sta, come era prevedibile, infuocando, in vista dell’imminente scadenza referendaria. Come sempre avviene in questi casi, gli interventi di opinionisti, esperti e inesperti, nella foga e spesso nella fretta con cui vengono redatti, risultano viziati da alcuni pregiudizi, che affliggono sia il campo dei sostenitori della legge sia quello degli oppositori. Anzi, si potrebbe sostenere che un equivoco di fondo è comune ai due schieramenti: quello che si possa decidere in nome di una verità razionale, argomentabile e deducibile a partire da principi sicuri. Vorrei spiegare perché mi sembra che le cose non stiano così. Nel farlo, devo intanto dichiarare che, sebbene ravvisi la presenza di argomentazioni improprie, che nascono dallo stesso pregiudizio, anche tra coloro che rifiutano di considerare l’embrione un essere umano, per esempio pretendendo di partire da una definizione incontrovertibile di che cosa sia, appunto, “essere umano”, ritengo anch’io, sia pure per ragioni diverse, che questa differenza non si possa cancellare, cosa che, del resto, anche i sostenitori della legge fanno solo a parole.
Questi ultimi, infatti, quando entrano nel merito della questione non dicono che un embrione è già un bambino, ma sostengono che lo diventerà certamente, se il processo le cui fasi esso è destinato a percorrere non verrà interrotto in modo artificiale. E’ vero, i più avveduti ammettono che ad interromperlo provvede, in certi casi, anche la natura. Ma, appunto, da parte di costoro si asserisce che ciò che la natura è autorizzata a fare non è autorizzato a farlo l’uomo. Non ha alcuna importanza, ai nostri fini, sottolineare qui quello che pure è un singolare pregiudizio, che sembra implicare una sorta di feticizzazione della natura. Ci basta, per il nostro scopo, rilevare che tutti, ma proprio tutti, concordano su questo: l’embrione è un essere umano in potenza, il progetto di un essere umano. Anche i credenti più dogmatici, che ritengono l’anima creata da Dio e “insufflata” nell’uomo, cioè soffiata dentro il suo corpo, ammettono che questo avviene quando lo sviluppo della materia destinata ad accoglierla ha raggiunto un certo grado. Che cosa implica tutto ciò? Esattamente l’opposto di quello che i fautori della legge 40 sostengono, ossia che l’embrione non è un essere umano. L’essere in potenza, infatti, significa appunto “non essere in atto”: nessuno direbbe che un blocco di marmo che uno scultore sta abbozzando sia già una statua. Proprio perché lo è solo “in potenza”, proprio perché lo “diventerà”, proprio per questo non lo “è”, ora, adesso. Tra gli argomenti più curiosi che sono stati addotti per dimostrare che un embrione è già, di fatto, un essere umano, c’è poi quello della “continuità” del processo che legherebbe il primo al secondo. Ora, il fatto che il processo che collega l’embrione al bambino sia continuo, non dimostra in alcun modo che le due cose che ne costituiscono il punto di partenza e quello di arrivo siano una: dimostra precisamente il contrario, giacché la supposta continuità del percorso che conduce l’embrione a svilupparsi in feto e poi a diventare un bambino non toglie nulla al fatto che esso sia un percorso, e che, di conseguenza, il suo inizio non sia identico alla sua conclusione. Dire l’opposto significherebbe proprio negare l’esistenza del “percorso continuo” e perciò vanificare l’argomento o la base su cui quella presunta identità dovrebbe fondarsi, secondo la tesi di chi ragiona così. Ma non è tutto. Anche se si volesse usare l’argomento della continuità in un modo diverso e meno spericolato, dicendo, per esempio, che, quando pure si ammetta la differenza fra l’embrione e il bambino, la continuità del processo che li lega dimostra che l’uno si trasforma naturalmente nell’altro, ossia che l’embrione è, fin d’ora, la base da cui il bambino emerge, anche se si dicesse questo non si potrebbe arrivare a nessuna conseguenza vera, riguardo al punto decisivo, consistente nello stabilire quando avviene questo passaggio o questa trasformazione. Infatti è proprio la conclamata continuità del processo ad impedire che una conseguenza del genere possa essere tratta in modo logicamente vero e incontrovertibile: un processo continuo è divisibile all’infinito e non consente, come si sa o si dovrebbe sapere, per definizione, di individuare un punto “critico” nel quale avvenga qualcosa di decisivo che permetta di discriminare in modo assoluto il “prima” (e ciò che era prima) dal “poi” (e da ciò che viene dopo). La conseguenza è solo una: che, riguardo al momento in cui ci troveremmo, invece che di fronte ad un embrione (che anche per i sostenitori della legge è solo il progetto di un bambino, dunque non è un bambino), al cospetto di un essere umano, non è possibile asserire nulla di vero. L’unica cosa che si può fare è opinare, ossia assumere, in ultima analisi arbitrariamente (stabilendo cioè un limite convenzionale), che fino ad un certo punto ciò che chiamiamo “embrione” non sia un individuo e da quel punto in poi lo sia. E’ quello che ha fatto, per esempio, la legge 194, consentendo l’interruzione volontaria della gravidanza fino al terzo mese. Un credente (o un laico devoto) potrà anche stabilire questo limite facendolo coincidere con il primo istante del concepimento. Ma si tratterà sempre di un’opinione, più o meno arbitraria, e non di una verità innegabile.
Il punto mi sembra questo, e mi sembra che se si discutesse partendo da una simile premessa la discussione sarebbe perlomeno più onesta e forse più ordinata o meno confusa. Sicuramente meno faziosa e terroristica. Anche perché il criterio possibile per dirimere una controversia fra opinioni (e convenzioni), non essendo la verità, può essere solo l’opportunità (per esempio quella di tutelare una vita umana in potenza piuttosto che una vita umana realizzata – e magari sofferente, come un malato di alzheimer e chi lo assiste –, o quella di garantire, viceversa, i diritti di un individuo reale piuttosto che quelli di un individuo presunto).
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