di CLAUDIO BAGLIONI
come identità, libertà, cibo, salute, lavoro, famiglia, figli, terra, casa, scuola, futuro. Quelli che consideriamo diritti irrinunciabili e inalienabili, per centinaia di milioni di persone come noi, non sono nemmeno speranze. Sono sogni. Anzi incubi. L’incubo di una vita che non ha alcuna possibilità nemmeno di sfiorare la soglia della dignità. Di queste cose abbiamo brevi lampi di coscienza. Durano lo spazio di un servizio di telegiornale; la coda d’emozione suscitata da immagini “forti” o da statistiche che hanno dell’incredibile.
Del resto «cosa possiamo fare?». E’ il mercato. Mercato, globalizzazione, competizione. Non sembrano nemmeno invenzioni umane. Sembrano divinità. Divinità cieche e insaziabili, per ingraziarsi le quali il popolo della terra non può far altro che offrire sacrifici. Sacrifici umani, evidentemente. E dato che questo Mercato vive e si alimenta di differenze e squilibri, per renderlo più florido e più capace di produrre ricchezza, occorre generare squilibri e differenze: produrre povertà. «Mors tua, vita mea».
Non è così. O abdichiamo al senso di essere uomini e alziamo bandiera bianca, o dobbiamo ammettere che governare il mercato è possibile. Non un problema di strumenti; un problema di volontà. Se le cose non cambiano non è perché mancano idee, capacità o risorse. E’ perché gli interessi che premono perché tutto resti com’è sono più forti di quelli (che pure esistono) che spingono per il cambiamento. E’ questa l’equazione da ribaltare. Prima nelle coscienze individuali, poi in quelle collettive. Quindi nelle scelte di politica economica e sociale di parlamenti e governi. Soprattutto dei governi di quei Paesi come la “vecchia Europa” e le altre grandi potenze industriali che “possono” e, dunque, hanno l’obbligo di concorrere a risolvere quei problemi rispetto al sorgere dei quali non sono privi di responsabilità. Il mercato è sovranazionale, certo. Ma non soprannaturale. Passare da un mondo nel quale l’uomo vive per il mercato a uno nel quale il mercato è fatto per l’uomo per tutti gli uomini è possibile.
Questo vogliamo dire, sabato 2 luglio, agli 8 paesi che decidono delle sorti degli altri 200. “Live 8” non è la risposta. E’ la domanda. Domanda di valore e di senso. Domanda di un’altra economia che globalizzi e reinvesta gli utili, ridistribuisca le risorse e, finalmente, promuova ed esporti valori come libertà, solidarietà, sviluppo, salute. Un’istanza etica universale non più rinviabile, per la quale facciamo appello a tutta la forza di cui solo certe parole sono capaci: «Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando la sera cibo caldo e visi amici: considerate se questo è un uomo».
da "Il Messaggero" di oggi
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