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Hanno cambiato la loro vita, sono fuggite dal loro Paese, hanno deciso di scendere in pista o di dare corpo a storie difficili: sono le donne straordinarie di ogni giorno

 

Hanno cambiato la loro vita, sono fuggite dal loro Paese, hanno deciso di scendere in pista o di dare corpo a storie difficili: sono le donne straordinarie di ogni giorno

Mer 28 Apr 2021 | di Angela Iantosca | Attualità

Foto 9 di 27

Sono forti, determinate, desiderose di cambiare. Sono le mamme d’acciaio, quelle che lottano per se stesse, per i loro figli e che, facendolo, migliorano il mondo nel quale vivono, diventando punto di riferimento per altre donne e mamme. Per questo speciale abbiamo raccontato la storia di chi ha deciso di affrontare i suoi problemi con il peso e di aprire una palestra, la storia di quelle donne che non hanno paura di correre a tutta velocità, la storia di chi è fuggita dal genocidio della sua terra per dare un futuro a se stessa, ai figli e a tante altre donne. E la storia di chi ha impersonato “Pieces of woman”, un film capolavoro che racconta nel silenzio il dolore di una donna che partorisce una bambina che rimane in vita per pochi attimi... 


 

Cira e le 600 donne di Scampia

L’infanzia difficile, una famiglia numerosa, quei 92 kg e poi il riscatto: per sé e per altre donne in difficoltà

Angela Iantosca

«Non ho avuto un’infanzia facile. Sono figlia di una famiglia numerosa con un padre (Giovanni - ndr) che faceva fatica a mantenerci e che maltrattava mia madre (Anna – ndr). Ho vissuto la fame e la miseria. L’unica cosa buona dei miei ricordi è che eravamo tanti. Noi otto fratelli eravamo il nostro mondo, ci sostenevamo, facendoci scudo l’un l’altro, per proteggerci da tutto ciò che ci faceva male».
Cira Celotto è nata a Portici, in una famiglia numerosa, quarta di dieci figli, dei quali due morti. La mamma era casalinga e il padre contrabbandiere. «Papà non c’era mai. Era pesante l’atmosfera, ma per fortuna potevo contare sulla seconda sorella, Maria, molto simile a me. Eravamo entrambe molto sensibili e questo ci faceva soffrire più degli altri. La chiamo ancora oggi mamma: è lei che mi ha cresciuta». 

Parlavano poco, ma si capivano nei silenzi, Cira e la sorella. 
«Cercavamo sempre di non parlare. Ci faceva male pensare a ciò che si viveva in casa. Allora pensavamo ad altro: giocavamo con le bambole, ci truccavamo a vicenda, ci pettinavamo. Cercavamo di andare oltre». 

Nonostante la necessità di cominciare a lavorare da bambina. 
«Ho cominciato a lavorare ad 8 anni: con mia sorella mettevo i prodotti sugli scaffali dei supermercati. Allora non c’era l’dea dello sfruttamento minorile. In cambio del nostro impegno ci davano la spesa da portare a casa. A scuola andavamo di mattina e poi a lavorare alle 5 del pomeriggio, ma andava bene anche quello: avremmo fatto di tutto per scappare dalla situazione familiare. La verità è che cercavamo di stare poco o niente a casa…».

Come era tua mamma?
«Ricordo delle cose atroci: scappava da mio padre, anche se mi ha sempre trasmesso forza. Le dicevo che doveva separarsi, che non doveva subire, ma lei non c’è mai riuscita, perché pensava a noi figli e al fatto che ci avrebbe privati di un padre. Allora non la capivo: non capivo come fosse possibile sopportare per ‘amore’. Ma pian piano lo ha cambiato. E questa cosa ha permesso a me e mio padre di riconciliarci. Oggi posso dire di avere con lui un buon rapporto. Nonostante il dolore, lo amo. Anzi, ammetto di essere sempre stata innamorata di lui: un amore innato non giustificato, perché non si può amare un genitore simile. Quando mi sono sposata, lasciando casa, lui ha cominciato a mostrare affetto. Ma solo nel 2020 mi ha abbracciato per la prima volta». 

Quando hai cominciato a mangiare molto e a prendere peso?
«Ho cominciato con lo sviluppo, a 10-11 anni. Venendo da una famiglia povera, sono cresciuta mangiando tanti carboidrati a pranzo e a cena, perché ci dovevano riempire la pancia. Non avevamo amicizie. Stavamo sempre in casa. Il nostro rifugio era il cibo spazzatura. Anche i miei fratelli, quindi, sono diventati come me nel tempo, sia le sette femmine che l’unico maschio, e mi fa male dire che loro non sono riuscita ad aiutarli, così come ho fatto con tante altre persone». 

Quando hai lasciato la scuola?
«Ho frequentato fino alla terza media. I miei non potevano pagarmi gli studi e bisognava portare qualcosa a casa. Mi sono rifatta nel tempo, prendendo qualche titolo in modo autonomo…». 

Tutto questo finché non sei andata via di casa.
«È accaduto a 23 anni. A 13 mi ero fidanzata con un ragazzo fantastico che poi è diventato mio marito. Lo amavo tanto, ma ho deciso di sposarmi così presto per fuggire da tanto dolore. Lui per me era una speranza. Mi è sempre stato accanto: quando ci siamo fidanzati lui studiava e poi la sera lavorava in pizzeria. Mi aiutava economicamente per le cose principali, per comprarmi un completino intimo o per acquistare qualche prodotto per la cura della persona. È stato la mia luce. Mi ha sempre dato quell’affetto che non ricevevo a casa, essendo noi molto numerosi. Nella  sua famiglia ho trovato una madre e un papà: lui è stato il mio iniziare a vivere. Negli anni del fidanzamento, poiché lui era molto geloso, non andavo in giro per lavorare, ma rimanevo nel mio palazzo dove facevo la speaker radiofonica per cantanti neomelodici e poi la babysitter. Mi diceva sempre: “Ci penso io a te”. Aiutava anche la mia famiglia…». 

Come è stata presa la decisione di sposarti?
«Quando ho deciso di sposarmi, mamma e le sorelle l’hanno presa male, perché io ero quella che cercava di dare amore… Mia mamma ancora piange perché mi vorrebbe a casa. Ero la più affettuosa. Ora con mia mamma è rimasta solo una sorella, che è ragazza madre. Tutte le altre si sono sposate. Qualcuna cambiando radicalmente la propria vita, qualcun’altra no: diciamo che non tutte sono state fortunate come me e non hanno avuto la forza di apportare un cambiamento radicale nella propria vita». 

Dopo il matrimonio hai avuto due bambine. Ma, nonostante la gioia della maternità e dell’essere felicemente sposata, hai continuato a mangiare arrivando a pesare 92 kg. Cosa è successo che ti ha fatto cambiare prospettiva?
«Mio marito, che è un grande sportivo, lavora nell’esercito. Ad un certo punto sono cominciate ad arrivare sempre più donne. Insomma, è subentrata la gelosia e mi sono resa conto di quanto fossi trascurata, di come non avessi cura di me: ero un’anti-donna per eccellenza. Mi è subentrata la paura di perderlo e quindi ho cercato dentro di me tutta l’energia possibile per rimettermi in forma. Sono stata durissima: ho cominciato ad evitare di mangiare a pranzo da mia madre, ho cominciato a camminare, a fare sport. Ho messo un punto alla me del passato. È vero, ci vuole coraggio per cambiare, ma ce la possiamo fare».

Tuo marito cosa ha fatto?
«Mio marito ha avuto un ruolo fondamentale. Mi è stato accanto nei momenti difficili, nei quali rinunciavo a qualsiasi sfizio, e soprattutto abbiamo cominciato a condividere la passione per lo sport. Mi ha insegnato tanto fino a cominciare a fare corsi di formazione insieme, diventando prima lui personal trainer e istruttore per allenamento funzionale e poi io istruttrice. Ma soprattutto ho perso quasi 40 kg». 

Le tue figlie come hanno reagito al cambiamento? 
«La grande ha subìto poco, perché nel crescere lei mi ha avuto quasi sempre accanto: io ho cominciato a lavorare nel fitness che lei era grande. La piccolina ha sofferto un po’ di più, perché ho cominciato a dedicarmi all’attività fisica quando lei aveva quattro anni. Ho cominciato allenandomi due ore al giorno, poi sempre di più. La più grande ha notato molto il mio cambiamento. Ha fatto fatica, ma ora è la mia migliore amica: mi dà forza e coraggio».  

Le tue sorelle come hanno vissuto questo? 
«Due, tre vanno fiere, in altre è subentrata gelosia: con alcune ci siamo un po’ allontanate. Invece mia mamma è fiera di me: sono il suo riscatto».

E per le donne di Scampia? 
«Per le donne di Scampia sono la loro ‘Madonna’: mi hanno detto che vogliono farmi una statua al centro di Scampia. Ho rivoluzionato la loro vita. Anche se l’approccio non è stato semplice: all’inizio mi dicevano di stare attenta, invece l’amore è scattato subito e ora ci sono 600 iscritte che vengono a rimettersi in forma nella mia palestra, che si trova nell’Officina delle Cultura Gelsomina Verde. Quando ho chiesto uno spazio nella loro struttura non sapevo niente, non conoscevo la storia di Gelsomina. Poi ho capito. E ho collegato tutto nella mia testa e mi è sembrato tutto legato: l’Officina è intitolata ad una vittima di camorra e io ho aperto una palestra che rappresenta un po’ il riscatto per queste donne. A breve aprirò anche uno sportello per l’ascolto di donne vittime di violenza».

Quanto la tua palestra è una zattera?
«Se ti do in mano il mio cellulare lo getti dal finestrino: mi chiamano continuamente, mi scrivono (Ride felice - ndr). Arrivano da me per sapere cosa mangiare, ma vengono per altro: per trovare l’oasi del benessere, per stare distaccate, per stare in mezzo ad altre donne. Molte di loro sono vittime di violenza, qualche loro compagno ha tentato di ucciderle. Ci sono tante situazioni difficili e la palestra chiusa di questo periodo, causa lockdown, è un lutto». 

Cosa hai scoperto di Scampia?
«Hanno tutte sete di attività. Cercano emozioni e luoghi in cui essere ospitate. Hanno il desiderio di fare qualcosa per se stesse, cercano spiragli di luce ovunque e ho scoperto che tutte hanno un cuore pazzesco: ma non l’ho scoperto io, aspettavano qualcosa che le accogliesse verso il cambiamento, anche per una sola ora».                                           

 


Iron Dames donne (e mamme) oltre i limiti

Manuela Gostner è una delle Iron Dames, donne che si spingono oltre ogni limite, non solo nella velocità

Francesca Favotto

“Donne e motori, son gioie e dolori”, così recita un vecchio adagio, che dovrà essere evidentemente aggiornato, perché oggi il mondo dei motori (come tanti altri settori) non è più solo appannaggio degli uomini, ma le donne ne sono sempre più protagoniste. 
È il caso delle Iron Dames, le “dame di ferro”, o meglio “donne d'acciaio”, un progetto speciale creato e guidato da Deborah Mayer, imprenditrice e ambasciatrice Ferrari all'interno del Racing Team Iron Lynx, con l’obiettivo di supportare le donne nel Motorsport. Una line-up tutta al femminile, composta dall'italiana Manuela Gostner, dalla svizzera Rahel Frey e dalla danese Michelle Gatting, che partecipa con una Ferrari 488 GTE alle competizioni endurance più affascinanti del mondo racing, come l'European Le Mans Series e il 24 Ore di Le Mans.
Tre donne che non hanno paura di superare i limiti – non solo di velocità – e di misurarsi con uno sport in cui l'adrenalina e il pericolo la fanno da padroni. Noi abbiamo raggiunto Manuela Gostner - classe 1984 e mamma di Maya, 13 anni, e Laura, 9 anni - per capire come questa passione, diventata un lavoro, influenzi il suo modo di essere donna e anche madre. 

Quando hai scoperto che i motori erano la tua più grande passione? 
«Ho scoperto la passione per questo mondo solo per caso e molto tardi, quando avevo già 30 anni: mio padre mi portò alle gare del Ferrari Challenge, promettendomi che alla prossima giornata di test avrei potuto provare l'auto da corsa. L'ho fatto e da quel momento non sono più scesa. Avevo vicino mio fratello, che mi ha insegnato come si porta una vettura da corsa al limite. Ne sono rimasta affascinata, è partita una sfida con me stessa, volevo a tutti i costi imparare anch’io a guidare così». 

Cosa provi quando guidi, soprattutto quando porti una Ferrari?
«Correre in macchina non è paragonabile a nessuno sport. Io ho fatto tanti sport (è stata giocatrice di pallavolo e beach volley ad alti livelli - ndr) prima di diventare pilota, ma il racing è una sfida a 360 gradi, molto stancante sia fisicamente che mentalmente, richiede tanto coraggio, istinto, sensibilità, ma è veramente bellissimo quando si riesce a oltrepassare i limiti che ci poniamo. Riguardo alla Ferrari, guidarla ti dà quel brivido in più rispetto a una macchina da corsa diversa: è una sensazione bellissima, è come far parte di un club esclusivo, dà valore aggiunto all'esperienza». 

In che modo questo mestiere, questa passione, esalta la tua femminilità?
«Io sono una ragazza molto femminile, ci tengo tantissimo, è una cosa che mi piace proprio far risaltare quando sono in pista, perché questo è un mondo molto rude e crudo, e non voglio che questo influisca sul mio sentirmi donna. Voglio portare l'esempio che c'è un modo diverso di vivere il motorsport con il mio sorriso e la mia dolcezza». 

Tu sei mamma di due bambine: esiste un punto in cui si possono incontrare maternità e motori? In che modo la tua passione per le gare ti rende una madre migliore?
«In realtà non si incontrano, nel senso che per me essere mamma non esclude in nessun modo l’essere pilota e viceversa. Correre sembra una cosa pericolosa da fare quando a casa si hanno bambini, ma per me è molto importante che io possa fare un lavoro con il quale posso realizzare i miei sogni, perché voglio lasciare loro questo insegnamento: che nessun sogno è irrealizzabile, che devono seguire il loro istinto. Anche se un giorno vorranno fare il downhill o arrampicarsi sulle montagne, io ovviamente avrò un po’ di paura per loro, però le lascerò libere di prendere la loro strada». 

Che immagine di donna e madre speri di restituire alle tue figlie? Cosa desideri insegnare loro?
«Correre in macchina mi rende una madre migliore senza dubbio, perché fare la mamma 24 ore su 24 per me sarebbe stato davvero stancante. Ho bisogno anche di tempo per me, per realizzarmi, per fare il mio lavoro, per fare le cose che mi piacciono, così quando torno a casa sono una mamma molto più equilibrata e felice rispetto a quella che sarei se fossi onnipresente. Con questo non voglio dire che fare la mamma a tempo pieno sia una cosa da poco o noiosa, anzi il contrario. Però, per mia esperienza personale è fondamentale avere qualcosa che sia solo mio».  

Tirando le somme, quindi, cosa ti ha insegnato il motorsport?
«A me, che sono cresciuta facendo sport di squadra, il motorsport ha dato l’opportunità di sfidare me stessa. Ero abituata al lavoro in team, a essere gentile con tutti, e il ritrovarmi da sola in una macchina da corsa, ha tirato fuori la parte più determinata e aggressiva di me». 
                         
 


L’assistenzialismo è inutile senza formazione

Fuggita dal Ruanda, in Italia ha creato una cooperativa costituita da donne rifugiate. Premiata nel 2018 con il Moneygram Award, Marie Terese, mamma di 4 figli, oggi aiuta le donne migranti e crea occupazione

Marzia Pomponio

E' Marie Terese Mukamitsindo, 67 anni,  cittadina italiana, originaria del Ruanda, un esempio di resilienza, dignità e capacità di mettere l’esperienza personale e le competenze professionali al servizio dei richiedenti asilo, attraverso la creazione di una realtà imprenditoriale inclusiva e produttrice di forza lavoro; premiata nel 2018 migliore imprenditrice immigrato dell’anno con il MoneyGram Award, consegnato dall’ex presidente della Camera Laura Boldrini, e nel 2019 con il Premio Palma d’oro per la Pace presso la città di Assisi. 
Laureata in Scienze sociali all’Università di Bruxelles (Belgio), sposata, quattro figli, un lavoro come dirigente dei programmi socio-sanitari della Regione ruandese, nel 1994 a causa del sanguinoso genocidio ha lasciato la sua Butare, vicino Kigali, e con i figli, la più piccola di 3 anni, ha raggiunto l’Italia. Trova asilo in un centro di accoglienza improvvisato alle porte di Roma, non organizzato per fare fronte all’ondata migratoria. Due anni dopo ottiene il permesso di soggiorno e si trasferisce a Sezze (Latina), dove trova la solidarietà della comunità. Per due anni lavora come badante, riesce a farsi convalidare la laurea, si iscrive all’albo professionale degli assistenti sociali e nel 2004, attraverso un bando europeo, fonda Karibu, una cooperativa sociale che offre accoglienza, formazione e inserimento lavorativo ai rifugiati, in particolare donne con bambini. 
Karibu è stata pensata con un doppio obiettivo: aiutare le donne migranti e dare un contributo alla comunità che l’ha accolta creando occupazione. 
«Karibu in lingua swahili significa benvenuto, perché quando sono arrivata in Italia non c’era accoglienza. Nei centri si viveva come in un magazzino, non potevo gestire neanche i miei figli. Ho pensato anzitutto alle donne, perché subiscono violenze. Gli uomini pagano con i soldi il viaggio, le donne invece anche con il corpo. Ho pensato quindi di lavorare per le donne, ma senza dimenticare la comunità che mi ha accolta e permesso di lavorare».

Ha introdotto il concetto di “rimpatrio con dignità” in risposta alla crisi del lavoro che sfrutta l’emigrato. Di cosa si tratta?      
«Vengono in Europa con l’aspettativa di trovare lavoro e fare soldi, invece restano delusi. Chi è più debole finisce in mano ai delinquenti, va a vendere la droga, altri si arrangiano come braccianti vivendo in condizioni misere. Anche dando loro dei soldi per rientrare nel proprio paese poi tornano in Italia, perché lo vivono come un fallimento. Se invece chiedi “cosa sai fare? che ti piace fare?” e dai la formazione per imparare il mestiere, da saldatore, elettricista, idraulico, e li metti in contatto con alcuni costruttori del paese d’origine, tornano a casa contenti. In Africa non manca la terra e opportunità di lavoro, è un paese in crescita e ha bisogno di persone qualificate».

In un periodo di crisi economica, aggravata dalla pandemia, quale può essere una formula vincente per l’imprenditoria? 
«In Europa è cresciuto tanto l’individualismo e questo rende tutto più difficile. La condivisione è invece importante. Noi siamo abituati a creare rete. In Ruanda c’è la tradizione dell’Umuganda, ogni sabato ci vediamo e decidiamo un progetto da fare insieme: si aiuta a costruire casa a una coppia che deve sposarsi, costruiamo una strada per permettere il passaggio all’ambulanza, puliamo la nostra zona, altre volte facciamo animazione, balliamo. Condividere ci fa apprezzare e difendere la città in cui si vive». 

La cooperativa ha avuto anche 150 dipendenti, in gran parte italiani. Quanto hanno influito i recenti cambiamenti in tema di emigrazione?
«Ora siamo in 40. Già lasciare il proprio paese è un trauma, poi a una persona che ha attraversato il mare, il deserto e ha visto morire, come fai a dire che non ha più diritto all’assistenza sociale e allo psicologo? Come fai l’integrazione se hanno tolto il corso di italiano? Limitarsi a dare da mangiare e dove dormire non basta, l’assistenzialismo è inutile senza formazione».                                                  

A SEZZE DAL 2004
La cooperativa sociale Karibu, con sede a Sezze (Latina), dal 2018 è presieduta da Liliane Murekatete, figlia della fondatrice, Marie Thérèse Mukamitsindo. Dal 2004, anno della fondazione, ha offerto corsi di lingua italiana agli stranieri, assistenza psicologica e sanitaria, corsi di formazione progettati individualmente, dando lavoro a 150 persone, in gran parte italiani, tra assistenti sociali, mediatori culturali, psicologi, educatori, con un fatturato annuo che ha raggiunto anche i 10 milioni di euro. Karibu è oggi una delle realtà più significative in Italia nel sistema di protezione dei rifugiati, capace di combinare attività imprenditoriale e inclusività, con collaborazioni stabili con Enti operanti a livello nazionale e internazionale, come il CIR – Consiglio Italiano per i Rifugiati, Ente promosso dalle Nazioni Unite.

 


È una società ancora maschilista 

Incontrarsi nelle diversità: questa è la vera forza

Emanuele Tirelli

Forza e fragilità sembrano due elementi difficili da far coesistere, soprattutto quando si parla generalmente di donne. «Eppure dovremmo parlare di persone -, dice Elisa Calafiore, psicologa, psicoterapeuta e didatta di psicoterapia per la scuola di specializzazione Gestalt -. Ogni individuo ha la propria storia che viene dall’ambiente in cui è cresciuto, quindi innanzitutto dalla famiglia. Spesso tenderà a cercare o a ricreare dei modelli simili, sia se gli sono piaciuti, ma anche in caso contrario, per trasformare positivamente delle dinamiche nelle quali non ci si è trovati bene. E poi c’è chi si ribella».

Come mai l’Italia riconosce ancora dei ruoli ben definiti?
«Forse perché la nostra società è rimasta abbastanza maschilista. Pensiamo anche a cosa accade sul lavoro: durante i colloqui alle donne viene chiesto innanzitutto se hanno o se vogliono avere dei figli, come se questo fosse un discrimine o un’incapacità di assicurare costanza e professionalità. Si trasforma in un disservizio e non in un diritto».

Perché la donna deve essere sempre forte agli occhi della società?
«In realtà il problema sta nel mancato riconoscimento di un equilibrio. Intendo dire che la donna appare come estremamente fragile o come incredibilmente forte, ma è naturale che un essere umano non possa essere considerato in una sola dimensione. D’altro canto, a una donna troppo forte e autonoma viene detto che è arrabbiata, che resterà zitella, che non potrà essere una buona moglie o una buona madre. È una sorta di ricatto, che spesso parte anche dai genitori stessi, e che trova ancora terreno fertile nella nostra società. Inoltre, se una donna vuole far valere semplicemente i propri diritti, spesso viene detta “femminista”, in un’accezione negativa del termine e come a indicare una contrapposizione con il mondo maschile».

È una questione di potere?
«Mediamente gli uomini non voglio lasciarlo alle donne. Se a portare più soldi a casa è la donna, capita spesso che l’uomo vada in crisi perché non si sente abbastanza maschio per la società in cui viviamo. Il punto, invece, è quello di incontrarsi nelle diversità e mettere in campo le due polarità per trasformarle in una forza. Il problema, però, non riguarda nemmeno la contrapposizione tra uomini e donne, perché tra le stesse donne c’è chi concepisce l’esistenza dei ruoli predefiniti, quindi lo scontro per i propri diritti è sia interno che esterno».

Cosa ne pensa dell’utilizzo che si fa spesso della parola “madre”?
«Che quando viene anteposta alla definizione di una professione, da un lato è discriminante e dall’altro riconosce implicitamente che c’è stato uno sforzo incredibile per ottenere quel risultato, proprio perché la società non considera ancora normale che possa averlo raggiunto una donna, che in quel caso è pure una madre».             

 


Vanessa Kirby: Sopravvivere a un figlio

Ha rubato il cuore del pubblico grazie all’indole ribelle della principessa Margaret in “The Crown” per poi spezzarlo come madre in lutto per “Pieces of a woman”: Vanessa Kirby è pronta a reclamare tutta la gloria che merita

Giulia Imperiale

Ogni parola che esce dalla bocca di Vanessa Kirby è calibrata, ponderata e misurata con cura quasi maniacale. Il controllo che esercita sulle sue dichiarazioni sembra davvero quello di un membro della famiglia Reale, soggetto a rigidi protocolli e sottoposto a continue valutazioni. Dietro quegli occhi profondi si capisce che vorrebbe fidarsi, che le piacerebbe lasciarsi andare, ma poi si barrica dietro un contegno british imperscrutabile. L’attrice londinese preferisce tacere la maggior parte delle volte, in modo che siano i ruoli a parlare, come nel caso del fenomeno tv “The Crown” e del film della stagione, “Pieces of a woman”, che la vede con il cuore a pezzi nei panni di una madre che perde la figlia neonata. 
Spalle dritte, gambe accavallate con grazia, pettinatura impeccabile: il linguaggio del corpo non mente e lei si è già messa in posizione difensiva, pronta a proteggersi e a contrattaccare con rapidità quasi felina.

Quest’edizione degli Oscar vanta svariati record, come 70 donne candidate in 76 categorie. Due di loro sono in lizza come miglior regista. La sensibilità femminile dietro la macchina da presa fa davvero la differenza?
«Certo, ci sono storie al femminile - come “The world to come” - che possono essere realizzate solo da donne, perché una regista ha una sensibilità e una delicatezza che si sostituisce ad un approccio basato su rigore e potere». 

Raccontare l’amore di due donne, come di recente nel caso di “Ammonite” con Kate Winslet, fa subito sorgere paragoni…
«Come se per comprenderlo ci sia sempre la necessità a trovare una controparte maschile, come “I segreti di Brokeback Mountain”. Proprio non si riesce a svincolare la figura femminile dalla relazione con il cosiddetto sesso forte e quindi il personaggio è sempre “la moglie di”, mentre stavolta abbia ribaltato la prospettiva».

Pensa che Time’s Up e MeToo abbiano davvero ottenuti cambiamenti tangibili?
«Io l’ho notato in maniera concreta: dalla sera alla mattina si dibatteva di argomenti diversi e io mi sentivo più ascoltata e maggiormente tutelata. C’è di fatto un’apertura a progetti che hanno le donne al centro del racconto».

Che peso ha per lei nella scelta dei copioni?
«È cruciale perché sento la responsabilità delle donne che decido di rappresentare e non ho intenzione di scendere a compromessi o seguire strategie. Sapere, ad esempio, di aver partecipato alla Mostra del cinema di Venezia con due film, legati a tematiche femminili al 100%, mi rende orgogliosa e felice. Mi sembra di dar voce a chi non ce l’ha e in entrambi i casi queste donne sono alle prese con un lutto enorme».

“The world to come” è ambientato nella metà dell’Ottocento eppure sembra modernissimo nel rappresentare le donne. Come mai?
«Si parla di lutto, di violenze domestiche, di mancata emancipazione, insomma di donne zittite che non vengono ascoltare e raccontate. All’epoca non avevano neppure il diritto di scegliere chi amare, non avevano prospettive e non potevano neppure scegliere come passare il pomeriggio. Questo coraggio di far sentire la propria voce mi ha contagiato e ispirato».

È successo lo stesso con “Pieces of a woman”?
«Certamente, la vicenda – tratta da una storia vera vissuta dalla sceneggiatrice – mi ha ispirata e spaventata allo stesso tempo. Io, infatti, non sono madre, ma ho voluto dedicare quest’opera a tutte le mamme del mondo. Volevo poter accedere a questo dolore indescrivibile della perdita di un figlio in maniera autentica e non solo perché è il primo ruolo da protagonista di tutta la mia carriera».

Questi personaggi non sono perfetti, perché mescolano fragilità e forza. Si riconosce?
«Assolutamente: sin da ragazza ho sempre preso a modello donne solide, ma anche sensibili. Sul piano artistico la mia eroina era Gena Rowland, una tosta e imprevedibile che in  “Gloria – Una donna d’estate” arriva a puntare la pistola per proteggere un bambino».

Non si accontenta di recitare, ora è anche produttrice.
«Ho fondato una casa di produzione per avere voce in capitolo, per poter prendere decisioni ed essere ascoltata».

Come ci è arrivata?
«Con una lunga gavetta fatta di viaggi estenuanti in treno d’estate per recitare da ragazza gratis in teatri sperduti. Mi sono sempre data da fare, ero una che voleva imparare a tutti i costi, facendo esperienza su ogni tipo di palcoscenico, senza nemmeno chiedermi se la piece fosse “appropriata” o meno. Sarò vecchio stile, ma sono una di quelle che scrive lettere di gratitudine e apprezzamento ai registi, che crede ancora nell’artigianato di questo mestiere».

Non sarà stato facile passare dall’essere iperattiva al diventare sedentaria durante il lockdown. Come ha impiegato il tempo?
«Verissimo: non stavo così ferma da anni, mi sembrava di essere tornata ai tempi del liceo, quando il sabato era concesso dormire fino a tardi. Ho capito che la creatività non ha una sola fonte e spesso nasce anche dalla staticità. Io ho cercato comunque di rimanere “attiva” guardando molti film». 

Ha presentato il film “Pieces of a woman” proprio in piena pandemia. Questo l’ha riportata a vivere quel senso di vuoto?
«La morte di un figlio ti porta solitudine e isolamento. Cerchi di trovare un senso nel dolore ma non ne sei capace. Io non so cosa avrei fatto in quelle circostanze, forse avrei cercato di esprimere a parole quella perdita. Sono una persona impulsiva ed emotiva, quindi tenermi tutto dentro durante le riprese è stato faticosissimo». 

Come ci è riuscita?
«Mi è stato detto che in quei casi si ha la sensazione di essere sull’Everest, di urlare, ma a valle, dove ci sono le persone che ti amano, nessuno ti sente per via di un vento troppo forte. Ed era vero».               

LA FENICE LEGGIADRA
La britannica Vanessa Kirby, classe ’88, sta vivendo un periodo d’oro grazie al film “Pieces of a woman” (disponibile su Netflix), che alla Mostra del cinema di Venezia le è valsa la Coppa Volpi, oltre a farle collezionare riconoscimenti e candidature ai premi più prestigiosi, Premio Oscar incluso. Volto di Miu Miu Women’s Tales in Laguna ha anche presentato “The world to come”, dramma storico sulla storia d’amore clandestina tra due donne. Il ruolo svolta-carriera è arrivato però grazie alla serie “The Crown”, che per due anni l’ha vista protagonista nel ruolo della Principessa Margaret. Ha alternato al cinema ruoli action (tra cui “Mission: Impossible” – “Fallout e Fast & Furious” – “Hobbs & Show”) a pellicole indie come “Mr. Jones”. Il suo primo e più grande amore resta comunque il teatro.

16.7.21

Cassazione, lo stalking non è più aggravante in caso di femminicidio o omicidio Un passo indietro di 12 anni: per la Cassazione lo stalking non costituisce un aggravante in caso di uccisione della vittima. Le donne sono sempre più vulnerabili.

 oltre  a  confermare    l'articolo    di   Io Acqua&Sapone     del Mer 26 Mag 2021  di Enrico Molise     riportato nel post precedente  : << perchè  il  feminicidio e   la sua  cultura   sono cosi pregnanti nel  nostro paese  ?  ... >>  ad   contribuire  alla   forte  radicalizzazione  dei femminidi     è  anche  un sistema  giudiziario  retrogrado .
 Infatti  , non capisco  come mai    : nè le  associazioni femministe ,  le  donne  al potee  (   magistrato,  giudici  , pretori  , questori , parlamentari ,   ecc )  ,  salvo qualche  voce isolata ,   .  non parlino  e protestino  della   , è  notizia recente    che (  trovi  una  sintesi al lato ieri,le Sezioni unite hanno ridotto la pena stabilendo che lo stalking viene assorbito dall’omicidio: la sentenza definitiva è di 14 anni e 4 mesi di carcere.Ora  

[...] Al di là del singolo caso, come sottolineato dal pg, questa interpretazione che condanna solo per l’omicidio aggravato è contraria anche a llo spirito del legislatore che aveva considerato fosse da inasprire la pena per chi si accanisce su «una vittima in condizioni di particolare vulnerabilità anche in virtù delle precedenti condotte vessatorie poste in essere dallo stesso reo». E se è vero che anche l’omicidio aggravato può far arrivare la pena anche all’ergastolo, basta la concessione di un’attenuante per far sfumare l’ipotesi più grave. E cancellare con un colpo di spugna lo stalking. Come se quella tortura non fosse mai esistita.

Leggo     sempre  su    repubblica  del  16\7\2021    


Femminicidi, lo stalking non è più un’aggravante "Così le donne indifese"
                                          di Maria Elena Vincenzi




ROMA — Un passo indietro di almeno 12 anni sulla difesa delle donne. Era il 2009 quando fu introdotto il reato di stalking e per l’omicidio della vittima fu aggiunta una specifica aggravante. Il che, nella pratica, consentiva di condannare per tutti e due i reati con un aumento della pena fino all’ergastolo a chi, dopo aver torturato la sua vittima anche per anni, finiva con l’ucciderla. Ma ieri le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che l’omicidio, in quanto reato complesso, assorbe tutto il resto, compresi gli atti persecutori. In pratica, chi uccide paga solo per quello e non per quanto fatto in precedenza. Come se lo stalking o le lesioni con cui hanno prima tormentato la loro preda, rendendola ancora più fragile, non si fossero mai verificati: rimangono impuniti.
Una scelta che ancora deve essere motivata ma che segna una battuta d’arresto grave sul fronte dei diritti delle vittime vulnerabili anche perché la percentuale di atti persecutori che sfociano in femminicidio continua a essere alta. Lo aveva sottolineato anche la procura generale nel corso della requisitoria: «La
conseguenza di un sistema di interpretazione che dovesse riconoscere l’assorbimento dello stalking nel successivo omicidio della stessa vittima rischiano — ha detto il sostituto Luigi Birritteri — di depotenziare un sistema di tutela delle vittima più vulnerabili, in massima parte le donne in situazione di particolare debolezza, che faticosamente si è fatto strada nel nostro ordinamento soltanto negli ultimi lustri. Dalla libertà sessuale a quella di relazione, sino al diritto dell’intangibilità fisica». Per questo l’accusa si era espressa a favore della doppia condanna, come peraltro previsto dalla legge 38 del 2009.
Eppure, la questione aveva avuto interpretazioni giuridiche contrastanti. La Prima sezione del Palazzaccio nel 2020 aveva optato per la lettura proposta ieri dalla Procura: l’omicidio aggravato non è un reato "complesso" e, quindi, la condanna deve arrivare per entrambi. In quello stesso anno, però, la Terza sezione aveva dato lettura opposta, ritenendo che l’assassinio assorbisse tutto il resto. Per questo la Quinta, chiamata a esprimersi di nuovo su un tema dubbio, ha preferito inviare tutto alle Sezioni unite.
Il caso discusso ieri, ma questo è un dettaglio perché è il principio che vale, era quello di un omicidio avvenuto a Sperlonga, provincia di Latina, nel giugno del 2016. Una dipendente delle Poste, Anna Lucia Coviello, è stata uccisa, dopo essere stata stalkizzata per mesi e mesi, da una sua collega in un parcheggio. L’imputata, Arianna Magistri, in abbreviato era stata condannata per entrambi i reati a 16 anni. In secondo grado, dopo un rinvio della Cassazione, aveva preso per gli stessi reati 15 anni e 4 mesi. Ieri, le Sezioni unite hanno ridotto la pena stabilendo che lo stalking viene assorbito dall’omicidio: la sentenza definitiva è di 14 anni e 4 mesi di carcere. [...] 

Quindi  se  ho  ben capito uno può   stalkizzare  un  peersona  prima  di ucciderla  e ciò non viene  considerato  aggravane  ma  reato  semplice .  purtroppo   Dura lexsed lex ("La legge è dura, ma è legge")




14.7.21

ORGIANAS di Daniela Bionda

 ORGIANAS  di Daniela Bionda ISBN 88 87393 23 -0 edito dalla P:T:M Editrice aprile 2006

il libro da me scritto dal titolo "Orgianas" è composto da tre novelle,  ambientate in Sardegna , la prima, ambientata  nella Sardegna  nuragica degli Shardana,  parla della ribellione di Ampsicora e di suo figlio Iosto, all'invasione romana   ed è intitolata "Orgians"

la seconda novella è ambientata durante l'invasione della Sardegna da parte del Vandali, ed è intitolata "Selene e l'ultimo rifugio "

la terza novella è sugli Shardana in Egitto  ed è intitolata  "Il viaggio di Kia"Questo libro scritto nel 2006, è nato dalla mia passione per gli Shardana, popolo del mare, e dall'influenza che provavo in quel momento per le teorie di Leonardo Melis, sebbene le sue teorie non siano state confutate dall'archeologia tradizionale, o comunque solo parzialmente,  hanno esercitato in me il desiderio di scrivere tre racconti stile "Fantasy "basati su fatti e personaggi realmente esistiti ed altri nati dalla mia immaginazione. Per la prima novella dal titolo Orgianas, tutti i personaggi romani e punici,  e naturalmente Ampsicora e suo figlio Iosto sono realmente esistiti.Ho quindi deciso di fare un breve sunto di tutte le tre novelle , troppo lunghe per essere riportate integralmente la prima è tratta dalla novella Selene, e l'Ultimo Rifugio

Selene, e l'Ultimo Rifugio- racconto di Daniela Bionda tratto dal libro Orgianas tre novelle" P.T.M. Editrice
La novella non ha alcuna attinenza con la storia della Sardegna ma è semplicemente un parto della mia fantasia, essendo troppo lunga qui vi è solo un sunto in cui i puntini servono per separare periodi diversi nel racconto.
La deina Selene pallida come la luna di cui portava il nome, sfilò la tunica ed i morbidi sandali che portava, che poggio' sopra una roccia, per poi immergersi nell'acqua di un ruscello seminascosto che conduceva al villaggio di Tiscali, sul monte Lanaittu, ultimo rifugio contro le legioni romane prima, poi saraceni, vandali e Bizantini. Immersa nella fonte sacra , Selene, isolo' la sua mente da tutto ciò che la circondava, separando pian piano i colori, i rumori ed infine gli odori circostanti, lasciando che l' acqua limpida e fresca l'avvolgesse cullandola. Salita su di una roccia, rimase pigramente esposta ai tiepidi raggi del sole, nell' attesa di asciugarsi, dividendo nel frattempo una mela dalla buccia ruvida ed asprigna, così come era ruvida ed asprigna la sua amata terra, con un pettirosso. Deina dei territori limitrofi, con le sue danze ipnotiche riusciva a rubare il miele dai favi, di cui erano ricchi i dolci fatti dalle donne del villaggio.La ragazza viveva da sola, in perfetta armonia con la natura, cibandosi di frutta e miele e della carne che i cacciatori le portavano dopo aver scelto per lei i pezzi più pregiati.Le pelli di questi animali portati in dono venivano scuoiate e trattate per farne morbidi mantelli atti a tenere calda la grotta in cui la loro deina viveva. Le donne del villaggio provvedevano invece, a fornirla di tutti quegli utensili di uso quotidiano, vasetti, ciotole e piccole statue raffiguranti la dea madre, che barattavano in cambio di medicamenti, consigli e filtri d'amore. Una delle mansioni più importanti di Selene era quella di giudichessa, a lei si rivolgevano gli uomini di tutti i villaggi vicini per derimere le contese........... .
Quando voleva stare sola con se stessa, accompagnata dal suo fido falco URO, faceva delle passeggiate sulla spiaggia, in silenzio, a guardare il mare e a farsi cullare dalle onde che raggiungevano la riva. La sua grotta era piena di strani oggetti, provenienti da ogni parte del mondo sconosciuto e che il mare restituiva. La deina felice come non mai si precipitava a raccogliere ogni oggetto, dalle varie forme e colori, trovava tutto prezioso, e battendo le mani come una bambina ad ogni nuova scoperta, li stringeva al petto danzando con loro. L' isola dei venti, così battuta dal maestrale che piegava gli alberi come fuscelli, era spesso infida con i suoi occasionali visitatori, e tracce di vita passata venivano trovate lungo le coste dai pescatori, riemergendo dai flutti per poi depositarsi sulla spiaggia............
Selene da qualche giorno soffriva di una strana inquietudine a cui non sapeva dare ancora un nome. Preso un cavallo, si diresse con URO sulla spalla, e giunta su un promontorio Uni la sua mente a quella del falco, lanciandolo in volo. Le due menti presero a volare in quel cielo limpido e privo di nuvole.
In precedenza Selene non aveva avuto conoscenza delle correnti seguite da URO, e dalle quali si faceva solo trasportare, ora, invece, le sembrava di conoscerle, vederle, così si rilasso' e cominciò a guardare il panorama sottostante, mentre delle nuvole apparirono all' orizzonte. Selene udì l' odore della pioggia prima ancora di udire il tuono. Man mano vide un esercito di Vandali che avanzavano sulla spiaggia ......................
Selene trascino' il giovane vandalo svenuto sino alla grotta. Sebbene gli eventi lo avessero segnato non doveva avere più di venti anni. Il volto era circondato da lunghi capelli tra il biondo ed il rossastro, legati tra loro da un laccio. Piccole rughe di espressione circondavano gli occhi e la bocca come se fosse facile al riso, la sua pelle sana ed abbronzata rivelava una vita all'aria aperta. Comincio' con il lavare le ferite, la spalla ed il braccio erano feriti gravemente, ma il cuore ed i polmoni erano salvi. Nial, questo era il suo nome, borbotto qualcosa di incomprensibile nella sua lingua e subito Selene gli avvicinò il corno di idromele per poterlo addormentare. Avvolto in bende pulite, la ragazza mise il giovane vicino al fuoco sapendo che il freddo si sarebbe cibato della sua essenza. La mattina prese i suoi rimedi e con un puledrino si avviò al villaggio. I vandali erano stati cacciati, ma molti erano i morti e i feriti. Una parte di Selene dovette accettare il fatto di essersi innamorata del nemico..............
I giorni nella grotta passavano lieti, ed ogni giorno Nial diventava sempre più forte, la sera passavano il tempo presso la sacra fonte, dove Nial ritrovava la sua essenza, rendendo Selene molto felice. Anche la lingua non costituiva un'ostacolo , il loro era un intendersi di sguardi e di gesti.
Una sera, un gruppo di cacciatori tra i più esperti, che battevano in lungo ed in largo il terreno alla ricerca di tracce le trovo' vicino alla grotta della loro deina e fu chiaro che chi era li su trovava in veste di padrone e non di prigioniero. Sebbene Selene si fosse comportata come una nemica non poteva essere uccisa ed allora fu chiesto al giovane guerriero vandalo di combattere per la sua vita. Mentre Nial si dirigeva verso la morte, Selene usci a raccogliere dei funghi nel bosco che mise assieme ad altre erbe in un calderone, poi, verso' il composto nel corno. Il bosco era pieno di Sardi Pelliti, vestiti di sola pelle e con le facce coperte da maschere di legno lavorato che rappresentavano vari animali........
Quando verso sera UT portò a Selene il corpo di Nial che non aveva ancora esalato il suo ultino respiro, lo stesero sul sudario all''ombra di una quercia. UT la lascio' sola per dire addio al suo uomo. Nial le chiese una spada, lei acconsentì. Dopo, presi i lacci di pelle ed un grosso ago fatto d'osso, Selene iniziò a chiedere il sudario, quando giunse circa a metà lavoro bevve dal corno ed dopo essersi sdraiata accanto a Nial continuò con la sua opera di cucitura, fino a quando le braccia non risposero più, allora poggio' il suo capo sulla spalla , pronta per il lungo viaggio. Quando l' indomani i guerrieri vennero a rendere l'onore delle armi allo straniero venuto dal mare per l' abilità ed il coraggio con cui aveva combattuto, videro sotto la quercia una specie di bozzolo e lì dentro i due amanti abbracciati nel loro ultimo rifugio
 

14 luglio Oggi moriva Lady Oscar, icona animata che gli omofobi del 2021 etichetterebbero come ‘indottrinamento gender’


 Avevo  visto      sabato 10 su netflix    il  film (    a  fine      post   l'url  della  mia recensione  )   Marie  Antoniette di  Sofia Coppola  la  cosa  sembrava  chiusa li  quando    stamattina    leggendo  il giornale   


mi sono accorto o che  oggi è  14  luglio   l'anniversario   della  rivoluzione Francese   e qui   grandi celebrazioni  e   post  sui social  dei   fans  del Anime  soprattutto  e   del manga   Lady Oscar  .  
In particolare  l'articolo  riportato oggi     di https://www.gay.it/ .  Esso ha ragione il sito quando afferma  che  se  uscisse oggi, Lady Oscar ,  finirebbe per dividere il Paese, con interpellanze parlamentari e proteste di piazza, bambole bruciate a Montecitorio e figurine esorcizzate dai vescovi della CEI.

N,B
Chi come  me      ed  Cristrian Porcino  nostro  utente  autore    del  libro   Altro ed  Altrove    (  vedere   mia  recensione intervista     nell'archivio el blog  )  ha  vissuto , soprattutto l'adolscenza   negli anni  80\90   del secolo  scorso  , esa  già tutto    dell'anime    e  del manga    che     è  un cult   (   qui   in querto video ulteriori e notizie  ) e continua  ad  esserlo anche  oggi   come   si  può  notare   da quest articolo   di qualche tempo del quotidiano la stampa   può  anche    salvo che non voglia  ricordare   o rivevere    quel  periodo   saltare  quest'articolo  




TV di Federico Boni 14.07.2021 - 08:59 | 3.6k
2 minuti di lettura









Il 14 luglio del 1789, Presa della Bastiglia, Lady Oscar moriva, tra tisi e tumulti. André, suo amato, cadeva il giorno prima, a causa di una pallottola, nel pieno di una dichiarazione d’amore attesa una vita intera.41 anni fa finiva l’anime tratto dal celebre manga di Riyoko Ikeda, nato nel 1972, con una 41esima dolorosa e romanticissima ultima puntata, che vedeva i due innamorati morire a cavallo di un’ideale di libertà assoluta, contro la tirannica monarchia.

Oscar François de Jarjayes è l’ultimogenita di una nobile famiglia da sempre leale alla Corona di Francia. Cresciuta dal padre come un soldato, diventa la fedele spalla destra di Maria Antonietta d’Austria. 
Comandante della Guardia Reale, Oscar vive una vita in abiti maschili, indossando quelli femminili in un’unica occasione, nel corso di un ballo di corte. Passasse oggi in tv come prima assoluta, Lady Oscar scatenerebbe quasi certamente la furia dei catto-estremisti italioti, pronti a brandire i forconi contro ‘l’indottrinamento gender’ dei loro figli, contro quell’identità di genere di fatto al centro della trama. Quella protagonista dai tratti androgini, abile spadaccina, cresciuta come un uomo e quasi unicamente con abiti maschili diventerebbe terreno di scontro mediatico e perché no, persino politico. In un’Italia in cui si discute incredibilmente dell’orientamento sessuale dei conduttori Rai, Lady Oscar finirebbe per dividere il Paese, con interpellanze parlamentari e proteste di piazza, bambole bruciate
all’ingresso di Montecitorio e album di figurine esorcizzatI dai vescovi della CEI.
Nei primi anni ’80, quando arrivò finalmente anche nel Bel Paese, l’anime si limitò invece a fare incetta di ascolti, diventando da subito di culto per un’intera generazione. La sigla dei I Cavalieri del Re, con solista Clara Serina, è ancora oggi giustamente venerata, e quanti ragazzi ogni 14 luglio celebrano lei, Lady Oscar, fregandosene abbondantemente della Presa della Bastiglia?
41 anni dopo una parte d’Italia parrebbe essere tornata indietro di secoli, trincerandosi dietro i grembiulini dei propri pargoli per nascondere un bigottismo, una sordità e un’ignoranza di fondo che polemica dopo polemica, menzogna dopo menzogna, raschiano sempre più il fondo del ridicolo.
 
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Altro e altrove  
Cristian a Porcino Ferrara




  

12.7.21

il Sex & Drugs & Rock & Roll. di Marie antoniette di Sofia Coppola

In questo  film  del 2006  (  ma  chi se  ne frega  un  buon film   è  sempre  un buon film  a prescidere  dal periodo    in cui  essso è  stato giurato )    La Coppola torna a lavorare con Kirsten Dunst, ne utilizza la fresca malizia ma al contempo la libera dal ruolo "fidanzatina della porta accanto" che Spider man le ha appiccicato addosso e che Elizabethtown ha solo ritoccato. Aiutata da costumi straordinari (Milena Canonero) e da una colonna sonora che mescola sapientemente   al limite  dela dissacrazione   musica d'epoca a brani di Bow Wow Wow, New Order e Phoenix, Sofia Coppola ci fa "sentire" moderna una storia antica, evitando cliché storici e la ricostruzione politica ,  infatti  non  c'è bnessun  accenno    e  nessuna menzione   a :   lo scandalo  \ affare   della collana    ed  ai  fatti  ( salvo  qualche  breve  cenno )  della  rivoluzione  francese    e  l'amore (   qui  viene   fatto  passare  come  una  semplice botta  e  via    la    storia  e  le biografie ed  il  manga Berusaiyu no bara noto come   Lady Oscar  diranno  che è più profondo  )   tra lei ed  il cone  Fersen  . Questo  è  anche  un limite  perchè    lo fa  sembrare  come   postumo    e  diffuso dagli eredi come  avvenne con   l'ultimo di Kubrick , e  incompleto   soprattutto  perr  chi  s'aspetta  un biotopic   .
Infatti << [...] Guardatela nella prima inquadratura che precede il titolo e che ricorda come capacità di sintesi quella del maestro Kubrick in Eyes Wide Shut >> ( da questa recensione  di   https://www.mymovies.it/ ) . 
Ma      allo  stresso tempo  quello  che  è un limite  è  anche   come  potete  vedere  al  trailler   triportato  sotto la  sua  richezza    ed  il  suo pregio  .Infati   Sembra esserci tutta Maria Antonietta e invece ci sono 2 ore in cui procedere nella scoperta.  È di una donna che ci vuole parlare, una donna che soffre per la disattenzione sessuale del marito che si trova caricata come colpa, una donna-bambina che compensa le frustrazioni giocando con scarpe, cibi, cani come una ricca signora di Beverly Hills.






Le osservazioni vengono confermate da ilMorandini Su MYmovies il Dizionario completo dei film diLaura, Luisa e Morando Mrandini
L'alleanza tra Austria e Francia ha bisogno di essere suggellata con un'unione matrimoniale: l'ultima figlia dell'imperatrice Maria Teresa viene così inviata in Francia, per sposare il futuro Luigi XVI. Inizia così l'epopea di Maria Antonietta, la più odiata e calunniata regina francese. Chiudendo la sua trilogia sulla solitudine del crescere, torna alla regia la talentuosa Coppola con un progetto ambizioso: restituire dignità (e fragilità) umana alla contestata sovrana. Basato sulla biografia di Antonia Fraser Maria Antonietta-La solitudine di una regina , il racconto prescinde dal contesto sociostorico: un film in costume, ma non storico (non a caso la rivoluzione praticamente non si vede e il film si chiude prima della decapitazione). Il suo è ancora un altro film su un sentimento e uno stato d'animo. Girato prevalentemente nei sontuosi interni della reggia di Versailles, con una ricostruzione sfarzosa, e i magnifici costumi di Milena Canonero (premio Oscar 2006). La sua vera forza sta nel ritratto della protagonista. Con un approccio moderno, la Coppola crea un universo iperbarocco, una gabbia dorata in cui Maria Antonietta si muove incosciente: le pressioni della madre, gli intrighi di corte e la dolorosa indifferenza del consorte, la noia sono affogate in una vivace ubriacatura di scarpe, gioielli, dolci, tessuti preziosi, parrucchieri e qualche amante. Ai ritmi techno, acid, rock anni '80 (Cure, Air, New Order, Bow Wow Wow, Phoenix) alternati a musica d'epoca, la luminosa Dunst incarna con grazia e malizia questa regina teenager.

Un   film  geniale   si raccontano    fatti storici   senza   scadere  nel   clichè dei kolossal  della storia di Hollywod    o nella   spettacolizzaione    delle serie   L'Impero romano (Roman Empire) serie statunitense/canadese nata nel 2016, prodotta e distribuita da Netflix. La serie ibrida una narrazione classica da fiction televisiva (pur basata sulle ricostruzioni storiche) e un approccio documentaristico con esperti storici e un narratore che spiegano gli eventi e i contesti sviscerando i personaggi . Mi ricorda  l'anime  , citato prima  Lady Oscar .  

11.7.21

generazioni a confronto e lotta fra cultura ed incultura

In  sottofondo 
Francesco Guccini - Un altro giorno è andato (Live@RSI 1982)



visto che ormai Oramai il web si è spostato sui  social   riporto qui  una  discussione    su fb   con  un mio  contatto  . Quindi  non riuscendo    a stare  dietro a  blog  e  social   ,   v'invito  ,  se  volte     leggere   altri  miei  interventi (    commenti  ,   stati condivisioni  , ecc )   come   quello  riporto   sotto    a seguirmi   ( su   fb  non è  necessario   essere     fra  i  contatti  per   leggere   e    commentare     , visto  che ho  scelto   di  non mettere  nessun  blocco   privacy ,  l'unico  blocco   per  motivi organizzativi    è  quello di  poter  postare  i  vostri post  \ stati  sulla  mia bacheca  )  sui  miei   social  che  vi   ripropongo sotto  .
  
facebook 
https://www.facebook.com/compagnidistrada/  la  nostra  appendice    dove   quelo che non riusciamo  a  mettere  qui siul blog  lo trovate  qui  

istangram

 twitter  

 
Dopo    questa  comunicazione  di  servizio     veniamo  al  post      d'oggi    

Sminchionando fra   gli  stati  dei miei   contatti facebook       ne  ho trovato    uno interessante      e  di un mio  amico    ed  ex  collega   d'università  

Ora  il  problema  è    rassegnarsi     o  rimanere solo     come   si  può notare   in diversi gruppi fb      del  tipo   : "  noi  cresciuti   negli ani  60\80 "  oppure     passare   dal  dire  al  fare      cioè    insegnare   o  fornire        ai nipoti o figli  la   tua  cultura   ed   integrarla  con quella  sua  ?.
Io  come potete  vedere   anche dalla risposta  che ho dato al suo post  ed    essendo  cresciuto nella generazione  di mezzo tra    gli anni  70 ( periodo  dell'impgno politico  \  culturale   )   e  gli anni  80\90  (  disimpegno  ,  edonismo\  consumismo sfrenato  )  sono  per  un integrazione   d'entrambe  . Cosi    s'evita   di mandare il cervello all'ammasso  e  formare  un ulterore   generazione  di webebeti    e fenomeni   come  quelli descritti    dalla  puntata  citata  delle iene  . Ma  soprattutto    s'evitra  commenti       da parte  delle  vecchie  gnerazioni  chiuse per  lo  pià nela  torr  d'avorio e nel passato , che  si chiedo   ma  chi  ...   è    questo    o  quell'  artiasta    o  pseudo  tale  .  A  chi  mi dice   che sono utopista   ed  un sognatore     rispondo     con una  lettera  inviatami  qualche   tempo  fa   . 

N.b  ovviamente   per  motivi di  privacy  ho  modificato    ( mi veniva   male  a  tagliarli  )   i  riferimenti    a  fatti  e persone   reali  ivi  contenute ma  la  sostanza  non cambia    .


Caro  redbeppe
 il suoi post sui tormentoni mi hanno commossa, perché ho colto un alito di tristezza. No, lei non è vecchio, ha “solo” buon gusto ed  dv'essere  crescxiuto  in  ambiente  pluri culturale. Tempo fa ho chiesto al mio nipotino dodicenne, comela  figlia  di  suo cugino  , che musica gli piacesse. Mi ha risposto: il rap.                                                                          Così gli ho mandato il video di Adriano Celentano che canta “Prisencolinensinainciusol”    Gli è piaciuto moltissimo e non voleva credere fosse una canzone stravecchia  abbiamo dovuto  cercare  su  internet     per  provarglierlo  . Cosi gli ho fatto una bella compilation di Adriano, e poi ho continuato con Rino Gaetano, Bennato, de  andrè , renato zero  (  quello   vecchio  non gli  ultimi  )  addirittura Endrigo. Ho l’impressione che abbia cambiato gusti o  quanto meno  non si  folizzi solo    su musica o musicaccia    dozzinale   . Probabilmente non dirà ai suoi amici a scuola di ascoltare musica del secolo passato, non capirebbero  ma    almeno  avra  una  cultura  musicale  pluralista  e non appiattita    ed   a senso unico  

                                              *******


  con questo è  tutto 

Aiuto, mi sono perso in cucina! Tra cibi preparati, poco tempo e vecchie abitudini non sappiamo più quale piatto mettere in tavola e non sappiamo più cucinare nonostante le trasmissioni e glinserti di di cucina

 

Nonoastante      sia nato e cresciuto in  campagna  ed   aiuto mio padre  all'orto  , La coscienza della mia ignoranza mi si è rivelata al mercato. Poichè ,  le  nostre patate    , sono venute  male  , mi manda  al mercato   della coldiretti  a prenderne  .  Chiedo al fruttivendolo un chilo di patate e lui mi domanda: «Vecchie o nuove?». Resto paralizzato  e spaesato  .  Mi arrendo  e provo a  chiamare  mia  madre  ,  ma  il   ha  il cellulare  spento    allra   chiedo  consiglio  al fruttivendolo  : «Devo farle rosolate, quali sono più adatte?». Esso  , forse perchè il paese   è piccolo  o  perchè  siamo clienti  abituali   ha pietà di me:   << le vecchie, asciutte e con la pelle rugosa, sono adatte a essere lessate, le patate più nuove, con la pelle liscia e un colore più vivace, servono per tutti gli altri usi.>>
E' stata la prima volta che mi sono reso conto di quanto non conoscessi o  abbia una  conoscenza    superficiale    delle materie prime da usare in cucina  e    ciascuno\a   di  noi 
ha  bisogno degli altri  .  Ora  in prevvisione    di  un futuro  sempre  più vicino in cui  i  miie  non  ci  saranno più , mi    chiedo   Quanto tempo devono cuocere le melanzane? Come si cuociono i fiori delle zucchine? Molti dei miei amici genitori come me, cucinano per i figli e in qualche modo se la cavano. Ma quasi sempre si rivolgono al cibo da supermercato:   cioè surgelati, piatti pronti, gastronomia o preparati che già a partire dall’etichetta ti strillano quanto è facile prepararli e i pochi minuti che ci impiegherai. “Pronto in cinque minuti!”, “Pronto in tre minuti!”. Chi offre di meno? Nessuna censura, né predicozzo sui cibi naturali: i surgelati per chi ha poco tempo sono una benedizione. Ma non è che affidarci così tanto a loro ci ha resi incapaci di capire il cibo?



Mia madre sostiene che anche lei non sa cucinare. E in un certo senso è vero  a metà : non è che può aprire il frigo e inventarsi una prelibatezza. Diciamo che ha un set di piatti semplici che prepara a menadito  e  per  tradizione  familiare   e qualche prelibatezza per la domenicae  le  feste  . Anche lei era una donna che lavorava , adesso  è  in pensione  ed  si  dedica di più alla  casa    e  quindi alla  cucina   Però  ai suoi tempi surgelati, piatti pronti e piatti con le istruzioni erano molto meno diffusi  o stavano appena  iniziando . Dunque, lei di cibo ne sa certamente  più di me. Ora   per colpa di questa progressiva perdita di sapere    ed  avere  la pappa  pronta  che siamo diventati il Paese europeo con i bambini più obesi ? Non ho la risposta assoluta  , ma qualche anno fa mi colpì    un articolo  che rivelava come noi genitori non avessimo una chiara percezione della forma fisica dei nostri figli. Secondo l’indagine di Altroconsumo, su 20mila famiglie solo il 17% dei genitori vedeva i figli in sovrappeso. E poiché in Italia lo sono il 32% dei bambini è chiaro che c’è un problema di percezione. Lo studio puntava il dito anche contro una cattiva abitudine dei genitori italiani: usare il cibo come gratificazione per i figli, meccanismo che crea un rapporto distorto con l’atto del mangiare. La nostra cultura alimentare, che ci rende famosi nel mondo per la qualità della ristorazione, ma anche un po’ ossessionati dal cibo,  veere   l'incremetatrsi  delle trasmissioni  tv      e  rubriche   televisive  ,   e  non solo dedicate  alla cucina  ed  alle  ricette   di vip   ed  influenzer   fa il resto.
Eppure, finché conoscevamo il cibo, la sua stagionalità, come si prepara, quanto nutre, le cose andavano un po’ meglio. Forse, invece di ricorrere a cibi bio, green, naturali, senza glutine, per celiaci e quindi alla fine ancora più elaborati, faremmo meglio a recuperare, magari insieme ai nostri figli, informazioni su quali patate è meglio usare in padella e nella pentola d’acqua bollente. Ed  andare   a   comprare  ,  possibilmente      ai mercati   o dal produttori   o   a non dipendere  soloed  esclusivamente  dai surgelati    e  dai cibi   da  gastronomici           

perchè il feminicidio e la sua cultura sono cosi pregnanti nel nostro paese ? perchè manca Un’educazione sessuo-affettiva cioè insegnare ad avere cura della relazione, delle emozioni


canzoni. suggerite  

cosa manca al decreto zane  non solo è  Un’educazione sessuo-affettiva Non  l’educazione sessuale   ciò che serve. Ma insegnare ad avere cura della relazione, delle emozioni , del rispetto  ,  della diversità , ecc  eco perchè i femminicidi e la loro ideologia \ base culturale malata è ancora cosi radicata . Infatti Cosa manca? Un’educazione sessuo-affettiva Non è l’educazione sessuale ciò che serve. Ma insegnare ad avere cura della relazione, delle emozioni
Ha raggione quest' articolo preso da io acquasapone


Mer 26 Mag 2021 | di Enrico Molise | Attualità




È sbagliato parlare di educazione sessuale. O, meglio, non è quella che serve davvero. Si tratta invece dell’educazione sessuo-affettiva, che insieme alla componente tecnica, biologica, riguarda pure l’aspetto relazionale legato ai sentimenti, alle emozioni. Inoltre, la nostra società vive un paradosso: ha paura della violenza di genere, delle gravidanze indesiderate, della pedofilia, del bullismo e spesso crede che parlare di sessualità favorisca tutta
una serie di comportamenti. «Gli studi scientifici ci dicono che l’educazione sessuo-affettiva è in grado di smorzare quegli avvenimenti e anche di ritardare l’età del primo rapporto, perché accresce la consapevolezza di sé».

Anche questa volta il nostro punto di riferimento sull’argomento è Marilena Iasevoli, sessuologa romana che ci illustra il legame tra la mancanza di questo tipo di educazione e la violenza di genere.

Parliamo di età.
«I bambini non hanno una grande percezione delle differenze. Le avvertono in relazione a quello che ascoltano e all’educazione che ricevono e fino ai dieci anni i pregiudizi e gli stereotipi non si sono ancora solidificati. Ecco perché è importante dotarli di conoscenza, competenza, di valori che li aiutino a realizzarsi nel rispetto della dignità, propria e altrui. In questo modo per loro sarà possibile sviluppare delle relazioni paritarie, con empatia e rispetto, conoscendo i confini corporei, proteggendo sé stessi e gli altri».
Come iniziare un discorso di educazione sessuo-affettiva con un bambino?
«Le risposte devono essere calibrate in base all’età. Non si tratta di un approccio puramente informativo. Quando il genitore si ritrova davanti ad una domanda non deve farla cadere nel vuoto. Di solito, dai due ai sei anni, le domande riguardano la differenza tra il corpo maschile e quello femminile. Si può parlare anche di come riconoscere e gestire le emozioni, di cosa è possibile fare in pubblico e di cosa solo in privato; del fatto che possano ricevere i baci e le carezze solo dai genitori e magari da altri membri stretti della famiglia. Ma ogni cosa va trattata nel momento in cui viene fuori lo spunto ed è importante non dare informazioni ulteriori: a quell’età si accontentano. Poi, con i più grandi, occorre innanzitutto domandare se hanno già sentito o parlato con qualcuno di quelle cose e calibrare le risposte. Il genitore deve prepararsi con dei libri o rivolgendosi a uno specialista. Sono vicende dinanzi alle quali si ritroverà di sicuro».
E per la discriminazione di genere?
«Viviamo in una società in cui la donna ha sgomitato per svincolarsi dai ruoli che le sono stati cuciti addosso, soprattutto legati alla procreazione e alla cura della casa. Purtroppo questo processo non è andato avanti allo stesso modo in molti uomini, che non hanno metabolizzato pienamente questo cambiamento culturale. Così accade che la violenza venga usata per dominare la donna e per “difendersi” dalla percezione che la mascolinità sia stata minata. Ma anche molte donne hanno interiorizzato questo ruolo e non riescono a uscirne. Così ai figli si può spiegare perché due persone stanno litigando, sottolineare l’importanza della comunicazione e il rispetto dell’altro. I bambini e i ragazzi tendono a imitare, quindi osserveranno e replicheranno alcune dinamiche familiari. È anche possibile cogliere l’occasione di vedere insieme dei cartoni animati e dei film sull’inclusività».

Quindi si rischia di arrivare alla violenza di genere o a subire anche azioni meno violente perché alla base c’è una mancata educazione sessuo-affettiva o anche solo affettiva? Riguarda pure il non volersi bene?
«L’educazione sessuo-affettiva comprende la socialità, le relazioni fisico-corporee, il rispetto di sé e degli altri, la consapevolezza di quando poter dire di sì e quando fermarsi; ma anche la capacità di cogliere i segnali verbali e non-verbali. In assenza, si può arrivare alla violenza di genere, perché, chi non ha avuto nessun tipo di apprendimento sulla relazione con gli altri e sulla gestione dei conflitti, non sa cosa voglia dire affrontare una relazione, sessuale o meno, in termini di scambio equo, paritario e rispettoso. Ed è anche una questione di volersi bene, perché è legata alla crescita dell’autostima. Chi non ce l’ha è probabile che si ritrovi in una relazione in cui abusa o viene abusato. Nel primo caso perché vuole sentirsi forte; nel secondo perché ha una bassa considerazione di sé e crede di meritare quel comportamento. La mediazione degli adulti è fondamentale, perché può spiegare al bambino una determinata situazione, evitando che partecipi in maniera scorretta». 

La responsabilità è familiare?
«Non sarebbe giusto dare questa responsabilità esclusivamente all’educazione familiare o delegare l’informazione a quello che possiamo trovare su Internet. Non possiamo pensare che tutti i genitori siano consapevoli e che tutti abbiamo gli strumenti adatti. Dovrebbe essere responsabilità dello Stato, con l’introduzione dell’educazione sessuo-affettiva tra le materie di insegnamento, da non affidare ai docenti delle materie scientifiche. Con loro è possibile parlare di come è fatto il corpo umano, ma occorre inserire delle figure specializzate in materia per guardare a tutti gli aspetti che sono legati al corpo, e quindi alle relazioni, ai limiti e al rispetto».
 

 

Come ridurre i consumi di carburante , Dalle bottiglie di plastica nascono piumini , Una birra prodotta con il pane invenduto, Bi-Rex: come ricavare la cellulosa dagli scarti alimentari

 

Con dei piccoli accorgimenti alla guida è possibile viaggiare in modo più economico e sostenibile

Mar 22 Giu 2021 | di Giovanni Caretti | Ambiente

Complice la pandemia, l’estate del 2021 sarà all’insegna dei viaggi in Italia e degli spostamenti in auto. Un motivo in più per tenere un comportamento di guida corretto e sostenibile, aumentando il livello di sicurezza e riducendo consumi ed emissioni nocive nell’ambiente. Evitare gli scatti con sorpassi inutili e brusche frenate, ad esempio, non diminuisce solo il rischio di incidenti: fa calare la spesa per il carburante e l’impatto sull’ambiente, sia dal punto di vista delle emissioni che dell’inquinamento sonoro. Il consiglio, quindi, è di utilizzare appena possibile le marce più alte, mantenendo i giri del motore più bassi. Anche il condizionatore andrebbe messo in funzione solo se strettamente necessario: se la giornata non è particolarmente afosa, fino a 60 chilometri orari conviene tenere i finestrini abbassati; a velocità superiori, invece, l’attrito finisce per vanificare il risparmio di carburante. Più in generale, è bene tenere a mente che i dispositivi elettronici aumentano i consumi e le emissioni anche del 25% e bisogna fare attenzione anche ai carichi inutili, che possono far schizzare i consumi su del 40%: ogni chilogrammo in più di bagagli trasportati richiede un utilizzo maggiore di benzina o gasolio.
L’IMPORTANZA DELLA MANUTENZIONE
In molte auto moderne, inoltre, è possibile attivare la modalità “Eco” che permette di ottimizzare il consumo di carburante e di minimizzare le emissioni. Su qualunque tipo di mezzo a quattro ruote resta inoltre essenziale la manutenzione: gli pneumatici sgonfi, oltre a rappresentare un problema sul fronte della sicurezza, peggiorano le prestazioni e costringono a soste più frequenti dal benzinaio. In proposito, è il caso di montare gli pneumatici invernali solo nella stagione fredda perché non solo fanno salire il consumo, ma producono anche più rumore, alimentando l’inquinamento acustico. Anche il controllo periodico dell’olio resta fondamentale per far girare al meglio il motore e per evitare il rischio di immettere nell’ambiente sostanze nocive, dovute a una cattiva combustione o all’usura di liquidi e componenti meccaniche. è sempre bene, infine, cercare di evitare i giorni di esodo da bollino rosso o nero. Se dovesse capitare di restare imbottigliati nel traffico, è importante ricordare di spegnere il motore quando l’auto è completamente ferma; se invece la colonna si muove a passo d’uomo, meglio avanzare lentamente piuttosto che fermarsi e ripartire di continuo.            

           

Dalle bottiglie di plastica nascono piumini

Da 75 bottiglie si ottengono 2 chili di fibra dall’effetto identico alle piume d’oca. E con un’app si può diventare designer della propria stanza

Mar 22 Giu 2021 | di Domenico Zaccaria | Ambiente


Una calda trapunta imbottita con plastica riciclata, sinonimo di rispetto per l’ambiente e per gli animali. Il tutto potendo scegliere il proprio piumino direttamente da casa, grazie alla realtà aumentata. Tecnologia e sostenibilità si fondono nel progetto Casahomewear, che ha lanciato una nuova linea eco-friendly. Per imbottire una trapunta matrimoniale si impiegano 2 chili di fibra derivati da circa 75 bottiglie di plastica riciclata. Ciò è possibile grazie al processo di estrusione: si fondono le scaglie di poliestere derivanti dalla plastica raccolta, per ricavare i polimeri che compongono prima il filato e poi la morbida e calda ovatta. Il risultato, spiega la responsabile ricerca e sviluppo Lara Corna, «è un prodotto che ha la stessa consistenza ed emana lo stesso calore del piumino d’oca, ma rispetta l’ambiente e, fattore non secondario, costa molto meno. 






Le bottiglie di plastica, una volta raccolte in tutta Europa, vengono selezionate, lavate e ridotte in scaglie in uno stabilimento bergamasco certificato Grs (Global recycled standard), a garanzia di una filiera controllata». In pratica uno degli oggetti che maggiormente impattano sull’inquinamento dei nostri mari diventa una preziosa nuova materia prima, in perfetta ottica di economia circolare.
BASTA UN CLICK
Tutto, in questa linea ecologica, è studiato per minimizzare gli impatti ambientali. I prodotti sono realizzati al 100% in fibre naturali, non viene utilizzato alcun filato sintetico derivante dal petrolio e i coloranti scelti sono ecocompatibili e completamente atossici. Persino il packaging è pensato per essere riciclabile: le confezioni possono essere riutilizzate più volte e diventare fodere per cuscini o sacchi portabiancheria. 
Il tutto si inserisce nella grande novità tecnologica portata dall’applicazione per smartphone e tablet di Casahomewear, che coniuga la realtà aumentata con la realtà virtuale e l’uso del 3D, per personalizzare l’acquisto della biancheria della camera da letto in tempo reale. Gli utenti possono trasformarsi nei designer della propria stanza e il procedimento è semplice e intuitivo: basta inquadrare il letto con uno smartphone, scegliere le lenzuola preferite per la propria camera e valutare come si sposano con il resto dell’arredamento, prima di decidere se procedere all’acquisto.      

Bi-Rex: come ricavare la cellulosa dagli scarti alimentari

Produrre carta ricavando cellulosa dai sacchetti dell’umido, dalle trebbie di birra, dal riso e dalla spremitura di agrumi: ecco l'intuizione di due giovani scienziate del Politecnico di Milano

Mar 22 Giu 2021 | di Francesca Favotto | Ambiente


Sono giovani, sono competenti, sono geniali. E se il loro progetto viene ritenuto efficace su scala industriale, potranno dire di aver contribuito con la loro scoperta alla salvaguardia dell'ambiente. Greta Colombo Dugoni, dottoranda in Chimica Industriale e Ingegneria Chimica del Politecnico di Milano, insieme alla collega Monica Ferro, ha scoperto un modo alternativo di ricavare cellulosa per produrre carta, da cui è nato il loro progetto Bi-Rex. 

Partiamo dall'inizio. 
«Ormai due anni fa, lavorando in laboratorio su nuovi solventi, mi sono confrontata con Monica, che stava invece lavorando sulla cellulosa, e mettendo insieme le idee, abbiamo concluso che, partendo dagli scarti delle biomasse agroalimentari che oggi vengono semplicemente inceneriti, producendo anidride carbonica, si possono ricavare nuove materie prime, tra cui la cellulosa, tale e quale a quella che si estrae dagli alberi. Questo si tradurrebbe in meno inquinamento e meno piante abbattute». 

Ma quali sono gli avanzi su cui avete lavorato e da cui si può trarre la cellulosa?
«Per ora, ci siamo concentrate sulle trebbie di birra, sui sacchetti dell'umido, sul riso e sulla spremitura degli agrumi. Tutte queste rappresentano fonti alternative di cellulosa». 

In questi due anni, quanta strada avete fatto? Quali ostacoli avete incontrato?
«Ci siamo adoperate per ottenere dei finanziamenti che andassero a sostenere economicamente la nostra intuizione: nel 2019 abbiamo ottenuto 30mila euro, vincendo una challenge lanciata da Deloitte e PoliHub. Ora puntiamo a ottenerne 160mila come fondo investimenti preseed Poli360, per studiarne la fattibilità tecnica e la sostenibilità a livello industriale, perché al momento abbiamo visto che la nostra idea funziona sì, ma in laboratorio su grammature ridottissime». 

Nell'ultimo periodo avete vinto anche un altro premio.
«Sì, abbiamo partecipato al progetto StartCup Lombardia, tramite PoliHub, che offre sostegno economico alle idee imprenditoriali durante la fase di accelerazione. Abbiamo vinto il premio Eni Joule, che ci ha permesso di ottenere 15mila euro e di accedere al programma di accelerazione Joule Energizer». 

Ora i vostri obiettivi quali sono?
«Vorremmo costituire una startup: il nostro intento è portare la produzione su scala industriale, mantenendone il principio green. Questa sarà la vera sfida, ma è il momento giusto per provarci. Per saperlo ci vorrà ancora un anno e mezzo circa. Mal che vada, abbiamo brevettato il nostro solvente come anticalcare, ecologico ed ecosostenibile: se non dovesse più servire per trasformare le biomasse, abbiamo già pronto questo piano B».      


 

Chi sono Greta Colombo Dugoni e Monica Ferro

Hanno rispettivamente 28 e 37 anni e sono originarie di Inveruno e Lonate Pozzolo, due piccoli paesi della provincia milanese. Hanno incrociato le loro strade nei laboratori del Politecnico di Milano: Colombo Dugoni è una dottoranda in Chimica Industriale e Ingegneria Chimica, mentre Ferro è un Tecnico Laureato del Dipartimento Giulia Nasta. 
Ora, dopo aver confrontato le rispettive intuizioni in laboratorio, hanno scoperto il modo di ricavare dagli avanzi agroalimentari delle biomasse una materia prima molto simile alla cellulosa. Se la loro idea si rivelasse sostenibile a livello industriale, ciò si tradurrebbe in meno inquinamento e meno piante abbattute per la produzione di carta e prodotti da essa derivati. E l'ambiente ringrazierebbe. 
                                                  

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata IX SE NON POTETE SCAPPARE USATE I GOMITI E LE GINOCCHIA

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