la primavera e la sua bellezza

  dall'unione sarda  del  1\4\2011
Cronaca Regionale

Erbe di campo, miracolo di primaveraDagli asparagi alla cicoria, esplosione di primizie tutte naturali

Venerdì 01 aprile 2011
DAL NOSTRO INVIATO
LELLO CARAVANO ( caravano@unionesarda.it )

La raccolta della cicoria era una festa. Le donne si recavano in campagna con i figli più piccoli. Si cantava, si parlava, si raccontavano storie. I bambini giocavano, le mamme raccoglievano la cicoria con un coltellino, usavano una sola mano, con l'altra tenevano le cocche del grembiule dove veniva depositata l'erba di stagione (Da un racconto sulcitano).

ARBUS C'è un grande prato verde, un orto spontaneo e sterminato che si estende da un capo all'altro dell'Isola. Un mondo di prelibatezze selvatiche e saporite, un universo di borragine, malva, cicoria, asparagi, crescioni, cardi, timo, tarassaco, erba cipollina, aglio, bietole, finocchietti e ravanelli selvatici. Primizie vere, naturali, biologiche (con qualche avvertenza per l'uso), povere e belle. Una gioia per gli occhi e per i palati, condimento per piatti semplici ma irresistibili: zuppe, minestrine, frittate, risotti, carni.
STAGIONE ECCEZIONALE Erbe di campo: da raccogliere, rigogliose grazie a una stagione di pioggia come da tempo non si vedeva. Crescono in terreni ancora gonfi di acqua, riscaldate dal sole primaverile, pronte per finire in padella (l'importante è cuocerle subito, guai a farle deperire e scolorire: sarebbe un vero delitto). Gusti e aromi che si fondono, amaro, dolce, ancora amaro, poi il dolce per chiudere. Un'esplosione di verde a portata di mano. Ma quante tonnellate di asparagi sta regalando questa piovosa e soleggiata primavera sarda? Ce ne sono ovunque, in pianura, in collina, sui monti, lungo le coste. Una produzione smisurata, largamente superiore alla domanda che pure è sempre forte: su sparau piace da matti. Si fanno follie (soprattutto all'inizio della stagione, visti i prezzi) per il re delle campagne che ama vivere ai margini, ai confini di un terreno coltivato, di un oliveto, di una strada, addossato a un muretto a secco. Basta vedere le schiere di appassionati che battono le campagne da fine gennaio. Molti per rivenderlo nei mercati (soprattutto cagliaritani, tra i box di San Benedetto ne entrano ogni settimana da mille a duemila chili), altri per cederli a intermediari che li spediscono direttamente nella Penisola. Altri solo per provare il gusto della raccolta, forse l'ancestrale soddisfazione di procurarsi il cibo da sé.
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Dalla Trexenta alla Marmilla, dal Sarrabus al Sarcidano, dall'Ogliastra alla Gallura, c'è un universo di primizie. Che esplode sulle colline dell'Arburese che guardano il mare, da Scivu a Piscinas fino a Porto Palma, nella Costa Verde delle lunghe spiagge e delle vecchie miniere. «Nel territorio di Arbus c'è una grande ricchezza di erbe spontanee, figlia della mancanza di agricoltura e allevamento intensivi. Qui l'ambiente si caratterizza per una biodiversità naturale ricca di specie endemiche, come l'astragalo, una piccola borracinacea e la ginestra arburensis», spiega Mauro Pusceddu, agrotecnico e apicoltore, profondo conoscitore delle erbe spontanee, sia quelle utilizzate in cucina sia quelle legate alle tradizioni popolari.
SA GICOIA Chi se ne intende dice che la stagione sarà ancora lunga. Per esempio, la cicoria. Sa Gicoia burda , sinonimo di semplicità, è la madre di tanti ortaggi diventati nobili: da un suo ceppo sono nate le scarole, le indivie, i radicchi. È la povera dei campi ma se raccolta nel periodo giusto, regala un gusto delicatissimo (grazie ai terreni umidi per le piogge, il dolce prevale sull'amaro). Spiega Pusceddu, che è un uomo di campagna (presta la sua opera professionale anche nella colonia penale-agricola di Is Arenas): «Quando va in fioritura, la cicoria ha una maggior quantità di tannino, risulta più amara e fibrosa. E molto spesso la confondiamo con il tarassaco, una piantina che ha lo stesso gusto. Si differenziano solo per i fiori: gialli il tarassaco, azzurri la cicoria. Stesso discorso vale per l'asparago, più è vecchio più è amaro».
FESTA A BORONEDDU E che dire del finocchietto selvatico, su fenugu ? Aroma inconfondibile, è ingrediente in una miriade di piatti della tradizione popolare, dalle zuppe all'agnello, alla favata. Giovane è più delicato e tenero. Un piccolo paese dell'Oristanese, Boroneddu, 200 abitanti, sul lago Omodeo, lo celebra - insieme con gli asparagi - da ben 24 anni. «Lo infiliamo dappertutto», osserva Bona Masala, presidente della Pro loco che organizza la sagra in programma domenica. Ci saranno asparagi e ovviamente su fenugu , rosolato con olio e gerda e poi spalmato sul pane fresa, la spianata.
S'ERBUZZU A GAVOI Erbe che danno sapore a piatti poveri, di una volta, diventati preziosi perché difficili da trovare e assaporare. Ma in tempi di pasti veloci e di forni a microonde, sono questi i sapori di cui si sente la mancanza e che spesso si ricercano sulle tavole dei ristoranti. Per fortuna, ristoratori meritevoli dedicano uno spazio sempre più importante nei menu alle erbe dei campi, da Nuxis a Siddi, da Villamar a Oliena, da Turri a Cuglieri fino a Gavoi, dove non manca mai s'erbuzzu , la zuppa a base di primizie spontanee. «L'abbiamo preparato proprio ieri - dicono Rossano e Paolo Soru della Osteria Borello - Quante erbe mettiamo nell'erbuzzu? Diciassette, quando ci sono».
I FIORI DELLA BORRAGINE Le erbe di stagione ci riportano in campagna. Sono una scusa per una passeggiata e magari per conoscere i segreti delle verdure che un tempo arricchivano i piatti dei nonni. Prendiamo la borragine. Bellissima da vedere, alcuni chef la usano come ripieno dei ravioli, ma la vera bontà sta nell'assaggiare quei meravigliosi fiori viola: un nettare, non a caso chiamati succiameli . O il carciofino selvatico (sa cuguzzua, buono sott'olio) o la salvia moscatella che aromatizza le bevande. Bisognerebbe saperne di più, conoscerle, aprire piccole università del sapere contadino in ogni paese e accompagnare turisti e appassionati per i campi. Nell'Arburese alcuni agriturismo e fattorie didattiche si stanno muovendo e propongono mostre, iniziative e assaggi. Sarebbe anche un modo per avvicinarsi alle tradizioni dei campi, quando le erbe si usavano, oltre che per nutrirsi, anche per curarsi e per risolvere problemi domestici o di lavoro. «Pensiamo a quando la pianta dell'asparago, raggomitolata, veniva usata all'imboccatura del tino per filtrare il mosto fiore delle uve bianche - racconta ancora Pusceddu - o al profumato elicriso, l'erba di santamaria, utilizzata come giaciglio per i capretti o anche per affumicare la cotenna dei maialetti».
Le verdure naturali ci raccontano di un tempo andato, oggi ci fanno riscoprire una cucina semplice, saporita, casereccia. Sapori antichi e perduti da tempo che ci appaiono nuovi. Frutti di stagione, uno-due mesi per coglierli e poi se ne vanno. Sono le erbe di campo, il miracolo di primavera.

l custode di tesori della terra

Salvatore Murtas e la sua “patata 'e moru”

Venerdì 01 aprile 2011

 
DAL NOSTRO INVIATO
CATERINA PINNA SCANO MONTIFERRO Custode di tesori. Ci vuole una vita lunga 83 anni e mille mestieri alle spalle per godersi il privilegio di vedere ogni primavera fiorire sa patata 'e moru o guardare i tralci carichi di grappoli di Pascale Nieddu e Biancu . Salvatore Murtas è un uomo speciale, ironico e a dispetto degli anni molto appassionato. Ha attraversato la sua vita, e lo fa ancora adesso, con la leggerezza di chi sa sempre trovare interesse nelle cose. 

Come in un immaginario cerchio che si chiude, Salvatore è tornato a fare ciò che faceva da ragazzino insieme a suo padre: coltivare la terra, la ricca e lussureggiante campagna del Montiferru. In mezzo ci sono gli anni del Venezuela, quelli trascorsi in Svizzera, il lavoro come estrattore di sughero nell'Isola, perfino un extra come tassista, al bisogno.
EDEN L'oggi è qui, in cima a un'altura, nel suo giardino-vigna-orto-frutteto, un piccolo Eden che si affaccia sulle dolcissime colline di Scano Montiferro. Qui, a sa matta 'e su erittu , Salvatore insieme al fratello Francesco di 85 anni, coltiva ancora sa patata 'e moru , un tubero scuro, non bello a vedersi, con un'incredibile pasta viola. È la patata tipica di questo paese ed è sconosciuta o quasi al resto della Sardegna, anche se c'è chi ha già sperimentato la pasta viola per farne dei gustosi gnocchi.
«Io invece me la ricordo fin da bambino», racconta Salvatore. «Allora andavo in campagna con mio padre e questa qualità di patata che non dà una gran resa, veniva seminata per delimitare le proprietà. Da noi, si è sempre mangiata, anche se il modo per cucinarla è sempre lo stesso, unico: arrosto». 

VENEZUELA Salvatore racconta nella cucina della sua casa di Scano Montiferro. L'ha costruita lui, pezzo dopo pezzo, sul terreno acquistato nel 1964 per 715 mila lire. «Era una bella somma. I soldi li avevo messi da parte durante gli anni trascorsi in Venezuela». Otto per essere precisi. Salvatore parte come tanti sardi a cercare un lavoro là, dove c'è. «In Sardegna non c'era nulla. Anzi c'era solo fame». Va a fare l'aiutante di macchine per la perforazione dei pozzi petroliferi. Lui, pastore-contadino impara presto, fino a diventare per la ditta che lo ha assunto un uomo di fiducia. «Guadagnavo bene - ricorda con soddisfazione - ero diventato un bravo operaio specializzato». Era la fine degli anni Cinquanta.
Salvatore Murtas corre veloce sulle onde dei ricordi. Caracas, l'isla de Margarita, Curacao, Maracaibo. Dettagli, commenti arguti, memorie divertenti. Una vita vissuta intensamente, come se ci fosse sempre un lato buono da scoprire. In Venezuela prende la patente, lavora sulle piattaforme nell'Oceano. «Quando smontavamo portavamo il pesce appena pescato in un trattoria dove lo arrostivano».
PATATA 'E MORU Forse Salvatore ha mangiato anche le patate a pasta viola della sua infanzia che ora coltiva in vecchiaia. Già, perché queste patate diventate rare, una cultivar unica che identifica con esattezza un territorio, sono arrivate in Sardegna almeno un secolo fa, al termine di un lungo viaggio cominciato proprio dall'America del Sud.
Tracce di ricordi preziosi che Salvatore Murtas cercherà di ricomporre quando torna definitivamente nella sua Scano, a casa, dopo altri anni da emigrante trascorsi nella Svizzera tedesca. «Allora lavoravo in una fonderia. Non mi piaceva tanto». Nel frattempo, in uno dei rientri a Scano Montiferro, una giovane donna, Maria, colpisce il suo cuore. Lui le scrive una lettera dalla Svizzera, parla di sé e la conquista. Si frequentano per un mese, l'anno seguente si sposano. Stanno insieme da oltre 40 anni.
E sono nonni felici. «Tutti i soldi che ho guadagnato li ho investiti nei quattro figli». È una delle regole di vita di Salvatore Murtas, un uomo semplice, ricchissimo di principi. Oggi il suo tempo è dedicato alla lavorazione del sughero, un hobby figlio del lavoro di estrattore della corteccia della quercia fatto al rientro dalla Svizzera. Ha trasformato il garage della sua casa in un laboratorio-bottega di souvenir.
VITIGNI Ogni mattina poi con il fratello Francesco va a sa matta 'e su erittu . Un bel sole ancora tenue illumina i filari e le margheritine già fiorite. «Questo è Pascale Nieddu e Pascale Biancu - dice indicando tralci ancora nudi - sono vitigni antichi, che nessuno più coltiva». Proprio come le patate 'e moru . «Moru perché sono scure, nere. Una volta le avevano tutti. Quando nel 1971 sono tornato per restare, ho chiesto a mia comare di darmene un pochettino . Così ho cominciato a seminarle di nuovo anch'io».
Un po' per nostalgia, un po' per amore Salvatore Murtas, si è ritrovato inconsapevole custode di un piccolo tesoro della tradizione alimentare sarda. Patata 'e moru , patata portata dai mori. «L'aggettivo demoru - spiega Alessandra Guigoni, etnoantropologa dell'Università di Cagliari, autrice di un libro sui vegetali americani in Sardegna - sta a indicare un prodotto importato nell'Isola. Erronaeamente si è creduto fossero stati gli arabi, i mori, a farlo, mentre certamente sono stati gli spagnoli che nelle lontane Americhe avevano stabilito le loro colonie. Tuberi come la patata 'e moru sono ancora diffuse e comuni in paesi come la Bolovia, il Perù, meno ma anche in Venezuela».
PASTA VIOLA La curiosità di questa patata così insolita per un gusto europeo è che sia riuscita ad arrivare a noi, dopo un'evidente selezione fatta nel tempo. Verosilmente la coltivazione di questa qualità doveva andare oltre i confini di Scano Montiferro, eppure oggi la si trova solo in questo bel paese, a due passi dalle sorgenti di Sant'Antioco e dal Parco degli Uccelli. C'è ancora un aspetto interessante: un alimento viola difficilmente incontrava il gusto delle persone. Destino toccato in sorte, per lungo tempo, anche alla melanzana (termine di origine araba ma nel linguaggio popolare era invece mela insana). Di certo la gente di Scano non si è fatta intimidire e ha scoperto che il sapore meritava. «Quando si è laureato il primo figlio- ricorda Salvatore - allo spuntino in suo onore, c'era anche una gran teglia di patata 'e moru arrosto». In campagna l'aria è frizzante. «Bisogna aspettare il momento giusto per la semina». Salvatore attenderà che i segni della primavera siano più robusti. Solo allora preparerà la terra per un nuovo raccolto di patata'e moru..

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