15.2.22

Sofia Goggia, Valentino, Totti e gli altri: quando l'impossibile diventà realtà

 


Pechino 2022, Goggia d'argento, l'ortopedico del Coni: "Vi spiego perché la sua è un'impresa" Ai Giochi di Pechino Sofia Goggia ha conquistato l’argento olimpico nella sua specialità, la discesa libera, quattro anni dopo l’oro di Pyeongchang nella stessa disciplina.

La campionessa bergamasca ha recuperato in soli 23 giorni da una lesione al legamento crociato del ginocchio sinistro. Abbiamo chiesto a Francesco Franceschi, professore associato di Ortopedia all’Università Unicamillus di Roma e ortopedico dell'istituto di Medicina dello Sport del Coni i come e i perché del suo recupero prodigioso. infatti Quella della bergamasca, argento olimpico a soli 23 giorni da un grave infortunio, è solo l'ultimo dei tanti recuperi in extremis di grandi campioni che hanno caratterizzato la storia dello sport

Ci si spezza per vedersi ritornare. I 23 giorni che separano l'infortunio di Sofia Goggia dall'argento che vale più dell'oro nella discesa libera delle Olimpiadi di Pechino segnano il confine tra l'impossibile e il possibile. Oltre il dolore e prima del trionfo, ricca è la lista dei campioni interrotti da un ginocchio che salta, un muscolo che si strappa, un incidente di percorso, un destino cattivo. Non escludono il ritorno, mentre in testa il martello che batte è quello di una sola domanda: tornerò quello di prima? Valentino Rossi al Mugello, 2010: frattura esposta di tibia e perone. Il Dottor Costa della Clinica Mobile disse: "E' molto grave, la gamba si è spezzata, è uscito fuori l'osso che ha lesionato la pelle. Non tornerà prima di tre mesi". Trenta giorni dopo Vale era in sella alla Yamaha, ne erano passati 41 quando si presentò in pista. Al Sachsenring giunse quarto.

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Totti e il Mondiale del 2006

Tenacia, quella cosa lì. Tackle di Vanigli su Totti, frattura del perone: drammone azzurro, al Mondiale manca poco. Ma poco è abbastanza per recuperare. Da catalogo: cinque mesi. Totti tornò dopo 100 giorni secchi, andò al Mondiale, segnò contro l'Australia il gol che ci aprì le porte della semifinale e alzò la coppa del mondo. Impresa non riuscita a Franco Baresi nel 1994, in campo nella finale contro il Brasile a 24 giorni dall'infortunio al menisco che l'aveva bloccato ad inizio torneo. Il Ritorno contempla la perseveranza e mette in conto l'azzardo. Mika Hakkinen nel 1995 entrò in coma, quando si svegliò gli dissero: ce l'hai fatta, ora però spegni il motore e scendi dall'auto. Eh, come no. Campione del Mondo 1998, campione del mondo 1999.

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Lauda e Hakkinen al limite dell'incoscienza

Sottrarsi all'evidenza, fuggire la mala sorte. Niki Lauda finì nel fuoco di Nurburgring, era il 1° agosto del 1976. La pelle ustionata, l'anima ferita. Quaranta giorni dopo era in pista per difendere il titolo Mondiale, ma le favole ogni tanto prendono deviazioni inattese: sotto il diluvio di Fuji Lauda decise di ritirarsi. Scrissero che Niki "aveva avuto il coraggio di avere paura". Nel 1995 Marco Pantani venne investito da una macchina mentre correva la Milano-Torino. Cartella clinica da far paura, però nove mesi dopo era di nuovo alla partenza.

Lorenzo in pista a 35 ore dall'operazione, Paltrinieri e la mononucleosi

Talvolta invece la paura è un fantasma, basta fargli "Buuu" e scompare: Jorge Lorenzo, anno di grazia 2013, cade nelle libere del giovedì, si frattura la clavicola, la stessa sera si opera, il sabato - a 35 ore dall'operazione - è in pista. Follia? Claro que sì. Prima delle Olimpiadi di Tokyo Greg Paltrinieri aveva contratto la mononucleosi e - di conseguenza - sospeso gli allenamenti. Si era presentato in acqua come un bambino che rivede il mare dopo un anno. Argento negli 800 stile libero, 4° posto nei 1500, bronzo nella 10 km., a dimostrazione che certi campioni danno il meglio quando il mondo si mette di traverso. E comunque ogni storia si carica di simboli, sta a noi dargli un significato.

L'incredibile Eriksen

Prendete Christian Eriksen. Il 21 giugno, all'Europeo, il suo cuore aveva smesso di battere. Il 14 febbraio, in un'amichevole, quello stesso cuore batteva il tempo della più imprevista delle felicità: un'ora in campo, nell'amichevole che il Brentford ha giocato contro il Southend United, a porte chiuse e orizzonti aperti. Che poi, a pensarci, non conta poi molto alzare una coppa o baciare una medaglia. Più del traguardo, la traccia che resta è quella del viaggio. A spingere Roberto Baggio verso la convocazione al Mondiale di Corea - in quel tardo inverno del 2002 - era tutta l'Italia. Il 31 gennaio si ruppe il legamento. Aveva 35 anni, le sue ginocchia martoriate somigliavano allo scarabocchio di un ragazzino ipercinetico, poteva anche finirla lì. Invece no. Decise di operarsi il 4 febbraio, 76 giorni dopo era in campo a segnare una doppietta e a mandare segnali al CT Trapattoni. Non servì a garantirgli il Mondiale, il Trap lo lasciò a casa. Ma servì a fare di Baggio ciò che amiamo nei campioni eterni: uomini che hanno attraversato il dolore e ne sono usciti forse migliori, di sicuro testimoni di quanto lo sport esalti l'uomo e lo spinga a fare cose impensabili.


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