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Giulia Lamarca. La dura verità sui miei viaggi
17 Novembre 2021
Ultima modifica: 21 Dicembre 2021 ore 15:44
Giulia Lamarca. La dura verità sui miei viaggi
Psicologa, travel blogger. Dopo l'incidente si reinventa ed esplode la passione per il viaggio. Ora racconta tutto in un libro
Scritto da Nicoletta Pasqualini
Una ragazza piena di vita, appassionata di beach volley. A 19 anni, per un banale incidente, il suo mondo crolla improvvisamente. Ma Giulia reagisce, incontra Andrea e insieme cominciano a viaggiare, scoprendo una nuova missione.
Quando abbiamo incontrato per la prima volta Giulia Lamarca, nell’agosto del 2019, la sua pagina Instagram aveva 16 mila follower; un risultato che, ci diceva, aveva superato ogni sua aspettativa. Ora, a distanza di soli due anni, i follower sono diventati oltre 150 mila. Conquistati grazie a un forte investimento sul piano comunicativo, ma anche ad una storia davvero unica e alla straordinaria capacità di condividerla facendo sentire tutti partecipi delle sue emozioni.
"Prometto che ti darò il mondo" è il primo di libro di Giulia Lamarca in cui racconta la sua vita. Una storia che parla di disabilità, ma soprattutto di amore, perseveranza e libertà.
La vita di Giulia è una continua sfida, per superare barriere fisiche legate alla sua disabilità, ma soprattutto barriere mentali, che vorrebbero relegare persone come lei entro percorsi dedicati. Giulia invece, proprio da quando è in carrozzina, ama viaggiare, ma non le va di seguire corsie riservate, perché è convinta che a nessuno dovrebbe essere preclusa la possibilità di andare ovunque, fosse anche sul Machu Pichu o sulla Muraglia Cinese (dove effettivamente è stata), o di prendere un aereo anche se non l’ha prenotato con largo anticipo.
Una scelta scomoda che l’ha portata, assieme al marito e amico Andrea, a vivere avventure incredibili, che ora racconta nel libro Prometto che ti darò il mondo edito da De Agostini. Un testo autobiografico scritto con la stessa immediatezza con cui ama raccontarsi sui social, che è difficile collocare in un genere: c’è la storia di una ragazza che a 19 anni si ritrova in un letto di ospedale e scopre dagli sguardi di chi le sta attorno che la sua vita non sarà più come prima ma trova anche la forza di reagire, c’è una storia d’amore, c’è il racconto di tanti tanti viaggi che delineano progressivamente un percorso di crescita umana che va oltre la storia personale e diventa una proposta anche per il lettore.
L’intervista che trovate di seguito, realizzata nel 2019, si concludeva proprio con il suo desiderio di raccontare tutto in un libro. Obiettivo raggiunto. Come pure un altro grande desiderio, avere un figlio, e chi la segue sui social sa come la vita di Giulia e Andrea sia cambiata con l’arrivo della piccola Sophie.
Chi è Giulia LamarcaGiulia Lamarca, giovane psicologa torinese, nel suo blog racconta tutto, ma proprio tutto, sui suoi viaggi in carrozzina. Città agibili, cosa mettere in valigia, come prendere un aereo, gli ostacoli… insomma, consigli utili. Si può andare in giro per il mondo se si è in carrozzina? Lei non ha dubbi, visto che lo sta facendo da anni il marito Andrea Decarlini, sposato il 13 marzo 2016, con il quale condivide questa passione. In quasi 8 anni hanno toccato 5 continenti, 23 Paesi e visitato più di 75 città. Lei prova, sperimenta, osa con la sua carrozzina e poi dà delle dritte a chi vuol fare una vacanza all’insegna del divertimento ma anche dell’accessibilità, mettendo in guardia da barriere architettoniche e mentali in cui si può incappare. Ad esempio: «Io amo Parigi, ma hai mai provato ad andare in bagno a Parigi? È praticamente un’impresa – racconta –. Ho fatto perciò un video, per aiutare chi come me deve affrontare questo problema. Ebbene, qualcuno mi ha dato della sbruffona, altri invece hanno capito».
Giulia non ama le mezze misure. Questa è la dura realtà di chi viaggia in carrozzina, perciò vuole farla conoscere, per aiutare a non rimanerne impantanati.
Era una sportiva, oggi una viaggiatrice. Il suo carattere vulcanico non si è spento neppure dopo che, il 6 ottobre 2011, un assurdo incidente l’ha resa paraplegica.
Quello che si è aperto dopo l’incidente è uno scenario del tutto inedito per lei. L’amore per il viaggio le dà una nuova prospettiva, perché è convinta che la disabilità non può bloccare la libertà.
Cosa mettere in valigiaDue sono gli ingredienti necessari per affrontare un viaggio in queste “condizioni”: perseveranza e audacia, doti che sente di avere in abbondanza e che – forse per la sua formazione da psicologa – vuole infondere negli altri.
Travel blogger su Instagram, perché?
«Sto cercando sempre di più di esserlo, non è neppure un anno che sono sui social. Voglio lanciare un messaggio forte: provarci, non arrendersi. Dare consigli reali, ovunque le persone vogliano andare. Parlo a tutti, ma raccontando il quotidiano tratto di resilienza, di inclusione. Perché vivo così, ne faccio parte.»
Solare, positiva, decisa…
«Sì, ma anche testarda. Se c’è una cosa in cui credo molto, lotto, mi arrabbio, ma sempre con il sorriso, con una battuta. Ci sono persone che vivono la mia stessa condizione e, per stanchezza, diventano passive. Il sorriso e l’abilità nel parlare sono la mia forza. Queste caratteristiche mi hanno permesso di fare cose per cui normalmente ti dicono: “Non si può”. Non mi volevano far andare a Machu Picchu, ma alla fine ci sono riuscita. Questo è il motivo per cui ho deciso di andare sui social e aprire un blog, per raccontare che sono poche le cose impossibili nella vita.»
Com’è nata la passione per il viaggio?
«Sono cresciuta in una famiglia di camperisti che ha viaggiato per l’Italia. Fin da piccola desideravo scoprire altre culture, conoscere la loro storia. Ho sempre dubitato di quello che la gente mi raccontava. Volevo vedere di persona. Ma non avevo ancora trovato qualcuno che volesse fare quel tipo di esperienza. Tutto è cambiato dopo l’incidente. Sono diventata un’altra persona ed ho iniziato a viaggiare.»
L'incidente di Giulia LamarcaCosa ti è successo?
«Sette anni fa ero in scooter con il mio ragazzo di allora. Durante una curva ha perso il controllo e io sono caduta indietro. È stato un incidente strano. Pensavo di essermi rotta il piede. Non capivo bene cosa mi stava succedendo. Ero per terra e non potevo alzarmi.»
Poi?
«Ho avuto una lesione midollare e ho trascorso 9 mesi nell’unità Spinale dell’ospedale di Torino, che è diventata la mia famiglia. Lì dentro tutto è cambiato: i valori, le amicizie. Hai a che fare con un altro tipo di problemi che creano un dislivello enorme con le persone che conoscevi prima. Ricoverati con me c’erano anche molti stranieri, provenivano da culture diverse, ma avevamo gli stessi sentimenti, bastava uno sguardo per capirci. Questa cosa mi ha insegnato molto.»
Rimettersi in piedi psicologicamente e trovare la forza di affrontare il mondo da seduti.
«Il mio problema casomai è stato inverso. Non tanto come ho fatto a rialzarmi, ma quanto ci ho messo a decidere che era una situazione critica. Non ho mai smesso di ridere anche se tutti si chiedevano quando avrei pianto. Mio marito, che ho conosciuto in ospedale nel 2012 mentre stava facendo tirocinio di fisioterapia, si è innamorato di me proprio perché sorridevo. Ho imparato che il dolore è una cosa che la gente non sa contenere.»
In che senso?
«Quando parli del dolore, d’istinto la gente cerca di trovare una soluzione, proponendoti di fare terapie varie: ippoterapia, tanto per dirne una. Non capisco perché per un disabile tutto si debba trasformare in terapia. Quando hai un dolore così, non c’è soluzione. Non è che la gente non voglia ascoltare, è che nessuno ci insegna ad ascoltare il dolore, condividendo quello che sta provando l’altro.»
E la tua famiglia?
«Non ho mai voluto caricarli troppo. Gli raccontavo tutto una volta passata la crisi. Chi ha visto veramente la parte più vera di me è stato Andrea e, a pillole, la mia migliore amica. Ma se sono diventata la persona che sono è grazie ai miei genitori, che mi hanno sempre sostenuta e lasciata libera.»
Non viaggio da sola
Nel blog Andrea lo presenti come fisioterapista, migliore amico, compagno di viaggio e marito.
«In realtà mi sono sciolta quando Andrea mi ha detto: “Se tu un giorno crollerai, io, anche alle 3 di notte, ci sarò”. Ed è così che è successo. Era un mercoledì sera, erano più o meno le 3 di notte quando l’ho chiamato al telefono. Abbiamo parlato fino a mattina e da quel giorno ho iniziato con lui a permettermi di dirgli tutto quello che stavo vivendo, soprattutto la pesantezza.»
Non riesco ad immaginarti così.
«Un altro momento forte di pianto è stato quando mi ha chiesto di sposarmi. Ero felice davvero, ma ho realizzato in quell’istante che non potevo coronare il sogno di bambina di essere in piedi con lo strascico e camminare lungo la navata. Questa cosa mi ha fatto molto male.»
Giulia Lamarca nel giorno del suo matrimonio
Invece com’è andata?
«Provarsi l’abito da sposa è veramente un casino: le commesse che ti dicono che devi metterti i tacchi e io rispondo che i tacchi non me li metto, è inutile tanto non mi alzo. Sono queste piccole cose che fanno soffrire. Andrea era disposto ad annullare tutto, amen! Ma è uno che non si lascia intimorire dal parere degli altri. Mi ha aiutato con piccoli escamotage. Io mi sono presa l’abito da sposa che mi stava meglio. Avevo bisogno di sentirmi molto bella quel giorno.»
Racconti anche cose scomode.
«Altre persone in carrozzina forse non te lo dicono, ma in realtà ti senti sempre inferiore ad un’altra donna, soprattutto in eventi in cui le persone si mettono in tiro. Hai questa sensazione che ti ritorna. Se guardi la pubblicità sono tutte alte, snelle, hanno i tacchi e non hanno il problema di andare in bagno. Per Andrea non era un problema, per lui sono già bella, era solo un problema mio.»
Pensavi sarebbe stato possibile che qualcuno ti avrebbe amato ancora, anche se in carrozzina?
«Ancora oggi ci sono dei periodi in cui mi sembra impossibile. Io sono stata lasciata dal ragazzo dell’incidente, per telefono, il giorno in cui gli ho detto che non avrei più camminato. Questa vita è faticosa per me e anche per Andrea. Uno lo vede come un eroe che mi porta sulle spalle a Machu Picchu, ed è vero. Magari si stuferà di qualcuno che per mettersi alla prova deve sempre andare in giro. Di ogni cosa ci sono due facce. Se dovessi stare ferma a Torino sarei molto infelice. Questo mi spaventa ancora oggi. La carrozzina non c’entra proprio niente. Quello che c’entra è il carattere.»
Cosa significa viaggiare per te?
«I primi viaggi sono stati una fuga. Poi è diventato un modo per ricostruirmi una personalità nuova e smettere di costringermi ad adattarmi a quello che facevo prima. “Fai ancora sport?” mi chiedeva chi mi conosceva. “No”, punto e basta! Credo che tutto questo viaggiare porti con sé le grandi domande della vita. Alcune ricevono risposte, altre le sto ancora cercando nei posti in cui mi sento veramente bene.»
Cosa scopri?
«Che le discriminazioni sono stupide.»
Viaggi sempre in coppia con tuo marito: un bisogno o una scelta?
«Non è che ho bisogno di lui, io voglio Andrea. Non potrei scoprire delle cose senza lui. Andrea è un ingrediente essenziale. Il viaggio ci ha aiutato, siamo cambiati insieme.»
Come li organizzate i vostri viaggi?
«All’inizio avevo tanta paura. Sai, in ospedale ti dicono che sei delicata, che non devi farti male, perciò pianificavo e controllavo tutto. Ora viaggiamo più all’avventura. Le persone, vedendo che ho bisogno, si avvicinano a me spontaneamente e sono più idonee di quelle che si pagano. Prendiamo un biglietto andata/ritorno. Poi ci organizziamo nel territorio. Giriamo anche senza spendere tanti soldi, adattandoci, dormendo negli ostelli. Quando viaggi devi essere una persona disponibile a metterti in gioco. E raccontare può produrre qualcosa d’importante».
Perché dalla carrozzina mi racconto, anche su Instagram Scrivere sui social suscita anche reazioni. «Intanto non mi aspettavo un riscontro così forte. Poi alcuni, vedendomi allegra, pensano che io non abbia problemi. Ho fatto una video intervista qualche mese fa dove mi raccontavo: ho beccato tanti commenti positivi ma anche insulti che mi hanno fatto male. “Allora puoi viaggiare”, “la disabilità non ti dà problemi”... È che cerco di non farli vedere. I miei viaggi in realtà sono una sfida. A volte ho pensato di aver rischiato troppo. È che i viaggi mi fanno bene. Mi fanno dire che questa vita per me ha un senso, ne vale la pena.» Psicologa e blogger. Come ti combini?
«Ad oggi uso la psicologia per questo tipo speciale di persone. Alcune Startup mi stanno contattando per questo pubblico specifico. Perciò sto collegando la psicologia ad innovazione. Voglio far conoscere la diversità e tutelare i diritti di chi è in difficoltà.»
Cosa si aspetta chi viene in terapia da te?
«Hanno capito che ho la capacità di ascoltare davvero il dolore e di sviluppare la resilienza. Lo psicologo deve smettere di non far conoscere quello che fa nella vita. Anche da paziente io vado da chi conosco. Il mondo è cambiato, non siamo più all’epoca di Freud.»
Quali sono i tuoi sogni?
«Il più forte è essere Ambasciatrice Onu o lavorare nelle mediazioni tra Paesi. Non escludo neppure di entrare in politica.»
E il sogno più vicino?
«Sto scrivendo un libro. Racconterò la mia vita ma in maniera applicativa. Farò conoscere ciò che mi ha aiutata ad uscire da quello che ho vissuto. Insomma, delle istruzioni per l’uso per vivere in questo mondo che cambia.»
25.6.22
fuga dall'andrangheta nel nome dei figli \e
« Sono la madre di un ragazzo di 15 anni e uno di 13. Temo che possano finire in carcere o essere ammazzati come è successo a mio padre, mio fratello e mio suocero... Per favore, mi aiuti». Sono proprio i figli, e il desiderio di assicurare loro un futuro lontano da prigione e morte, il filo conduttore fatto d’amore che unisce le storie delle donne di ‘ndrangheta che si rivolgono al programma Liberi di scegliere, il protocollo governativo creato nel 2012peroffrire ai minori di famiglie mafiose la possibilità di una seconda vita lontano dalla criminalità organizzata.
Che cos’hanno in comune queste donne? «Sono vedove bianche. La loro vita è scandita dalle visite in carcere al marito, ai fratelli, ai figli. Sono condannate anche loro. Alcune avevano ruoli chiave, potere e soldi, eppure non godevano di alcuna libertà. Se il marito non c’è, sono controllate dalle suocere o altri parenti. Subiscono una doppia violenza: un’esistenza immersa nella brutalità delle regole del clan e la minaccia costante da parte della “famiglia” perché le prime persone che danno loro la caccia per ammazzarle, quando se ne vanno, non sono i mariti: sono i padri che vogliono salvare l’onore del cognome», continua la Rando, che ha incontrato decine di queste signore del coraggio. «La realtà mafiosa è immutata ma loro sono cambiate nel tempo. Hanno accesso a internet, seguono la tv e hanno maturato una consapevolezza: il diritto alla felicità. La storia di Lea Garofalo, testimone di giustizia uccisa per vendetta dall’ex compagno, e il film su di lei (Lea, di Marco Tullio Giordana, 2015, ndr) hanno avuto un effetto dirompente per loro, ne parliamo spesso. Inizialmente quando arrivano da noi si comportano da mafiose, persino nella postura e nel linguaggio. Eppure col passare dei mesi tutte si accorgono di non avere mai sperimentato prima cosa fosse una vita “normale”. “Finalmente riesco a respirare”, è la frase più frequente. Nessuna, in dieci anni, è mai tornata indietro. Sono donne rigenerate, anche nel pensiero», spiega la Rando.
«Stiamo seguendo la storia di una ragazza figlia di un professore universitario e nipote di un magistrato. Ha 27 anni ed è distrutta. Ha interrotto gli studi per sposarsi col rampollo di una famiglia importante, il classico ragazzo belloccio e pieno di soldi. Dopo le nozze sono cominciati i guai ma lei ha voluto nascondere tutto alla sua famiglia. Il marito la picchiava e la ricattava usando il figlio: “Se parli, se scappi…”. La ragazza ha iniziato a soffrire di anoressia e a quel punto i genitori l’hanno convinta a confidarsi. Il marito è finito in carcere e lei ha potuto riflettere e rendersi conto che viveva un inferno anche perché mentre lui era dietro le sbarre era controllata dal clan. Quando è venuta da noi a denunciare, tremava così tanto da non riuscire a stare sulla sedia. Sua madre e suo padre sono stati grandiosi. Le hanno detto: “Lasciamo tutto, casa e lavoro, andiamo via”».
Sono tante le storie rimaste nel cuore del giudice Surace, quelle che Di Bella segue a distanza da anni e quelle che la Rando non molla mai. «Ammiro tutte queste donne. Però c’è una ragazza a cui sono molto legata: suo fratello, in carcere come anche il padre, anni fa ha ucciso la madre e lei è sola. Finito il liceo si è iscritta all’università ed è bravissima. Mi dice spesso che le manca la mamma, anche perché non è mai stato fatto ritrovare il corpo e questo la fa soffrire. Quando i suoi amici fuori sede ricevono la visita dei genitori per lei è un momento difficile ma poco tempo fami ha confidato: “Mia madre mi ha insegnato che ci possono essere tante mamme, persone che ti stanno vicino. Aveva ragione”. Ora è in Inghilterra a fare un corso e mi ha scritto: “Per la prima volta nella vitami sento spensierata”».
Viste spesso come l’anello debole della catena, le donne possono essere quello più forte perché lo spezzano. «La madre di due bambini ha scelto il nostro percorso mentre il marito era in carcere e lei in attesa di una sentenza di condanna», prosegue la Rando. «Quando le abbiamo consigliato di lasciare che i piccoli si avvicinassero subito a una famiglia affidataria, ha rifiutato. Era infuriata con noi. Poi ha riflettuto: “È vero, per loro sarà più semplice così”. I bimbi stati dati a una coppia di professori, persone dolcissime. Due anni dopo, quando è arrivata la condanna, la mamma ha spiegato ai figli: “Ho fatto degli errori e devo andare in prigione ma fidatevi di queste persone che vogliono aiutarci”. Quando la signora ha riavuto la libertà, il legame con la famiglia affidataria era così stretto, il suo senso di gratitudine così intenso, che ancora oggi trascorrono le feste e le vacanze insieme».
differenza d'età tra uomo è donna e viceversa è nei rapporti d'amore è ancora tabù ?
sia da Lorenzo Tosa che Andrea Delogu Su “Vanity Fair” racconta di essere innamorata di un uomo di 17 anni più giovane di lei e di come, ancora oggi, questo per una donna sia considerato un tabù, qualcosa di sconveniente, nella migliore delle ipotesi inopportuno. Finché è l’uomo ad avere 20, 30 anni, anche mezzo secolo di più (come nel caso di Berlusconi e Marta Fascina), è un latin lover.
Infatti per rispondere alla domanda elucubratoria che ho fatto nel titolo me la differenza d'età fra i sessi è vero che in amore vero tra due persone è quello di condividere il percorso di vita a prescindere dell'età anagrafica Ma facendo attenzione che la distanza non sia troppo esagerata . Non scambiatemi per bigotto o retrogrado . Qui non è questione di conformismo , d'essere conservatore o progressista , ma di decenza e dì etica oltre un certa differenza ( massimo 10 \12 anni a mio avviso ) non bisognerebbe andare altrimenti c'è il rischio di cadere nel ridicolo e nel perverso .
Ma soprattutto non la si deve considerare come il caso di Andrea Delogu di cui ho parlato nelle righe precedenti considera tabù a senso unico e discriminante
Dopo il questionario della vergogna, un altro schiaffo ai disabili: tagliati i contributi ai caregiver e resistenza di una madre con la figlia che ha Encefalopatia ipossico ischemica
Di cosa stiamo parlando
Questionario del Comune di Roma: “Quanto ti vergogni di tuo figlio disabile?". Risposta: “Tranquilli, non intende candidarsi con voi” da La cattiveria Il Fatto Quotidiano25 Jun 2022 e WWW.FORUM.SPINOZA.IT
per chi volesse saperne di più i link sotto
- https://roma.repubblica.it/cronaca/2022/06/24/news/questionario_campidoglio_ti_vergogni_di_tuo_figlio_disabile_roma-355213512/
- https://roma.repubblica.it/cronaca/2022/06/25/news/contributi_cargiver_tagliati_regione_lazio-355318016/?ref=RHTP-BH-I354284481-P3-S5-T1
da https://luce.lanazione.it/lifestyle/ 20 Giugno 2022
di Caterina Ceccuti
N.B le foto sono state gentilmente concesse dalla famiglia
La forza di mamma Benedetta e il sorriso di Viola: “Mia figlia non può né parlare né camminare, ma non compiangetela”
Colpita da Encefalopatia ipossico ischemica, la piccola ha subito danni permanenti durante il parto. La madre racconta a Luce! i momenti più belli e i più difficili della loro vita: "Una volta le dissi 'ti amo più delle stelle', lei alzò gli occhi al cielo"
Questo avrebbe dovuto essere il racconto di Benedetta, una madre molto coraggiosa che dodici anni fa, per un errore umano, ha accolto nella propria vita una figlia colpita da Encefalopatia ipossico ischemica. Invece, mano mano che l’intervista andava avanti, ad ergersi a protagonista della storia è stata proprio Viola, questa bella ragazzina dai colori chiari, orgogliosa e tenace, che non teme la propria disabilità ma detesta piuttosto essere commiserata. Viola ha subito un danno da parto, che la costringe su una sedia a rotelle e che le impedisce di esprimersi attraverso le parole. Ed è questo a farla soffrire sopra ogni cosa: l’impossibilità di parlare, più ancora che di camminare, e soprattutto la difficoltà di farsi intendere dagli altri come vorrebbe. Eppure, nessuno potrebbe dubitare che Viola sia capace di farsi capire, dopo aver letto le parole con cui Benedetta ha saputo mettere in chiaro la forza di sua figlia. E grazie alla dedizione di due genitori speciali, la personalità straordinaria di Viola emerge chiara e forte nella costellazione di conquiste in cui ha saputo trasformare la sua vita.
Benedetta, com’è Viola di carattere?
“Sicuramente solare, simpatica e allegra. Sa essere spiritosa, ma anche polemica. Di lei amo l’autoironia e la determinazione, ma devo ammettere che ha il suo caratterino, e questo in più di un’occasione è stata la sua forza. Spesso infatti mi sono resa conto che a soffrire per le cose che non vanno sono più di lei. Se andiamo al parco, per esempio, Viola vede gli altri correre ed è felice, è serena se vede i suoi coetanei giocare. Certo, io e suo padre abbiamo sempre cercato di farle fare tutto il possibile: equitazione, concerti di musica, piscina, viaggi ecc. Ma penso che il merito della sua serenità sia principalmente suo. Comunque Viola è anche una ragazzina molto permalosa, se la lega al dito, ed anche se è buona come il pane conviene sempre non pestarle i piedi: se decide che non vuole più andare da un terapista, stai pur certa che non ci metterà più piede. In questo periodo poi ci facciamo delle litigate! Soprattutto per colpa degli sbalzi di umore forti che, come tutti gli adolescenti, sta avendo in questo periodo. Come se non bastasse quest’anno si è invaghita di un compagno di classe e ha avuto la sua prima delusione d’amore. Purtroppo è solo la prima…”.
Cosa successe al momento del parto, dodici anni fa?
“Sono andate storte tante cose che invece avrebbero dovuto andare dritte. Ho partorito a 39 settimane più 6 giorni, perfettamente nella norma, ed ero stata seguita lungo tutto l’iter pre parto dal Primario dell’Ospedale ‘Fate bene fratelli’ di Roma. Non avevo badato a spese, all’epoca avevo 37 anni e ci tenevo che venissero fatti tutti i controlli del caso. Avevo anche desiderato di partorire con un cesareo, per evitare rischi, ma il mio medico non aveva voluto. I prodromi del parto furono lunghissimi e i dolori molto forti, ma il parto non voleva aprirsi. Così mi ruppero le acque manualmente e da lì iniziò il calvario. Dolori sempre più forti, poi l’elettrocardiogramma che iniziò a segnare un battito irregolare, segno di sofferenza nella bambina. Ancora il cambio turno del personale, la sfortuna, il parto che continuava a non aprirsi e i dolori che diventavano ancora più forti. Alla fine fui portata in sala parto e mi vennero applicate sei ventose, di cui una manuale, le ultime parole che ho sentito sono state “abbiamo perso il battito”, poi la corsa in sala operatoria e il cesareo di urgenza. Viola era morta, ma l’hanno rianimata. Solo che dopo è mancato un intervento immediato, prima di condurre mia figlia in terapia intensiva è passato troppo tempo, durante il quale non è stata applicato il protocollo per l’ipotermia terapeutica – o baby cooling – che serve per limitare i danni dell’asfissia intrapartum. Si tratta di una sorta di trattamento neuro protettivo, tant’è che dopo 24 ore Viola ha avuto le prime crisi epilettiche”.
Quali sono state le conseguenze?
“Una diagnosi conclamata di Encefalopatia ipossico ischemica, con conseguente compromissione dei nuclei della base, che sono responsabili dell’equilibrio e della sfera del linguaggio. Mia figlia è rimasta quasi 35 minuti senza ossigeno, per ciò non camminerà mai autonomamente e non potrà mai parlare”.
Quale è stato il suo stato d’animo?
“Avrei potuto abbandonarmi alla rabbia, ne avrei avuto tutto il diritto. Ma ho scelto di non farlo, per Viola, per me stessa e per la mia famiglia. Non vado mai a riguardare la cartella clinica né leggo le sentenze del tribunale, anche se mi hanno dato ragione. Ho scelto di allontanare la negatività e di tirarmi su le maniche, di impegnarmi con ogni mezzo perché mia figlia abbia la migliore vita possibile, la maggior autonomia possibile e, soprattutto, perché possa essere felice, anzi perché si possa essere felici tutti e tre insieme. E dopo 12 anni, grazie al lavoro fatto, Viola è più che presente, comunica con gli occhi attraverso un puntatore oculare”.Entrambi i genitori di Viola provengono da precedenti matrimoni. “I primi anni sono stati molto duri per tutti”, racconta la mamma (Foto gentilmente concessa dai genitori)
Suo marito ha avuto da subito la sua stessa forza d’animo?
“I primi anni sono stati molto duri per tutti, specialmente per lui. Entrambi venivamo da precedenti matrimoni, ma mentre io non avevo avuto figli, mio marito ne aveva avuto uno, dunque vedendo crescere Viola aveva inevitabilmente fatto paragoni con quello che avrebbe potuto essere, o potuto fare, e soffriva molto. Io, semplicemente, mi limitavo a guardare Viola e a credere in lei. Non sono mai riuscita a considerarla gravissima, come invece prontamente i medici hanno sempre sottolineato che fosse nel corso degli anni. Io non ho mai voluto etichettarla, neanche quando la neuro psichiatra lesse la prima risonanza che le avevamo fatto e mi disse “Il danno è gravissimo”. Non si è mai pronti a sentire parole come queste. La cosa più difficile è non lasciarsi sopraffare dalla rabbia. Purtroppo ho amiche completamente dilaniate dalla rabbia e dal dolore, inferocite contro il mondo, che neanche riescono ad occuparsi del proprio figlio, né a godere delle piccole cose”.
Qual è stato il piano d’azione, una volta portata a casa la vostra neonata dall’ospedale?
“Ci siamo subito attivati. Abbiamo portato la piccola a fare visite specialistiche e già dall’età di quattro mesi ha iniziato a fare psico motricità tre volte a settimana. Ma era poco rispetto a quel che si poteva fare, poco rispetto a quello di cui aveva bisogno per poter sfruttare le proprie capacità residue. Purtroppo la presa in carico del territorio si è rivelata insufficiente, perché ci hanno insegnato solo ad accettare la disabilità di nostra figlia, non a concentrarci sulle possibilità di miglioramento e riabilitazione. Abbiamo iniziato a frequentare centri specializzati nell’assistenza alle Paralisi cerebrali, sia in Italia che all’estero. Viola negli anni ha seguito programmi speciali di nuoto e di fisioterapia che hanno lo scopo di ripristinare i riflessi primitivi, un impegno notevole sia per mia figlia che per tutta la famiglia, costretta ad allontanarsi da casa per intere settimane. Ma è stato in quelle occasioni che ho conosciuto altre mamme fantastiche e ho visto migliorare tanti bambini. A casa, fin da piccolissima, l’ho bombardata dal punto di vista cognitivo: organizzavo giochi di sensibilizzazione del tatto e della propriocettività, le parlavo in tre lingue diverse ecc”.Una
Qual è stata la sfida più dura?
“La masticazione: la sua è una Paralisi Cerebrale con quadro di tetraparesi ipertonica distonica, il che significa che mia figlia è preda di forti movimenti involontari. Se cerca di prendere un bicchiere con la mano, compie cento movimenti con tutti e quattro gli arti che non sono funzionali. Nel tempo abbiamo eseguito un lavoro di raffinamento. Certo, non mangia con il cucchiaio ed è un po’ sotto peso, ma la masticazione l’abbiamo raggiunta, grazie alla tenacia sia mia che sua, e non devo frullare il cibo per poterla nutrire”.
Avete pagato privatamente tutte le terapie per Viola?
“Certo, e stiamo parlando di terapie costose, che comportano spesso anche trasferte all’estero per me e per un accompagnatore, visto che mia figlia è cresciuta e non riesco più a portarla da sola. Lo Stato non prevede rimborsi, anzi spesso faccio fatica a svincolare i soldi dell’accompagno dal giudice tutelare. Io e mio marito lavoriamo entrambi, abbiamo potuto contare sui nonni, dunque siamo stati fortunati. Ma conosco famiglie che non possono permettersi cure simili, benché paesi come la Slovacchia e la Polonia siano dotati di centri di altissimo livello per il potenziamento delle persone con Paralisi Cerebrale, che sono sicuramente meno costosi dei centri italiani”.
Quale programma segue Viola quando vi recate nei centri specializzati?
“Programmi molto intensi. Fa cinque ore al giorno di allenamento, massaggi, fisioterapia, ippoterapia, nuoto ecc. Le giornate iniziano alle 8 e non finiscono prima delle 16. È molto impegnativo per tutti, ma devo dire che alla fine di ogni esperienza Viola si porta a casa qualcosa”.
Oggigiorno Viola cosa può fare?
“Dal punto di vista motorio è come se avesse meno di un anno. Non sta seduta da sola per più di qualche minuto, ma cammina con l’aiuto di un deambulatore. Le mancano l’equilibrio e la parola. Riesce a comunicare con gli occhi, ce ne siamo accorti fin da piccola, una volta che le dissi “Mamma ti ama più delle stelle” e lei alzò gli occhi al cielo. Ma abbiamo dovuto faticare moltissimo, anni e anni di frustrazione prima che, finalmente, quattro anni fa ottenessimo il puntatore oculare, grazie al quale lei usa gli occhi come fossero un mouse sullo schermo del computer. Può mandare messaggi, giocare, comunicare con più soddisfazione. Questo per lei è essenziale, perché non sopporta che le si mettano in bocca parole non sue. Purtroppo il luogo comune del “Sei sulla sedia a rotelle e non parli, per cui non capisci niente”, la fa spesso da padrone. A scuola quest’anno ho dovuto litigare con la professoressa di italiano perché si rifiutava di parlare direttamente con Viola, ma si rivolgeva solo al suo insegnante di sostegno
Qual è il suo incubo di madre?
“Sicuramente il “dopo di noi”. Non posso contare su nessuno di più giovane di me o di mio marito che possa prendersi cura di Viola. Per questo stiamo lavorando con tutte le forze per renderla il più possibile indipendente. A volte vorrei essere immortale per poterla accudire per sempre”.
Ha mai chiesto a Viola quale fosse il suo desiderio più grande?
“Sì, e la risposta non è stata quello di camminare, come invece mi sarei aspettata. Mi ha detto che vorrebbe poter parlare, le dà fastidio il fatto che tutti pensino che sia stupida solo perché non parla. E la fa soffrire il fatto di dover sempre dimostrare che invece non lo è”.
Anche questa estate, Ledha o la Lega per i diritti delle persone con disabilità si mobilita per garantire il Diritto al centro estivo e il Dovere della sua accessibilità.
Nel mese di giugno, il centro antidiscriminazione Franco Bomprezzi ha infatti ricevuto il 20% di segnalazioni in più da parte di famiglie che si sono viste rifiutare l’iscrizione al centro estivo per i propri figli. Tra le denunce raccolte, anche la prassi – diffusissima – di chiedere ai genitori un contributo aggiuntivo rispetto alla retta per poter usufruire di un assistente durante lo svolgimento del centro. “Chi vieta, oppure limita, la partecipazione dei bambini disabili al centro estivo non ha la consapevolezza di quanto male faccia sentirsi dire no, per te non c’è posto”, dice il direttore di Ledha Giovanni Merlo. Oltretutto, “si tratta di una violazione dei diritti umani“.
IL PROBLEMA DOPO LA PANDEMIA È ESPLOSO
Che siano comunali, organizzati dalle parrocchie o sportivi, in Italia i centri estivi si fanno spesso trovare impreparati in tema di accessibilità. E così, di anno in anno, chiudono la porta in faccia a tanti bambini che avrebbe diritto come gli altri ai loro servizi. Un problema storico che il direttore Merlo con la sua Ledha segnala “da diversi anni, anche prima della pandemia, ma che quest’anno è esploso”. Non attrezzarsi per accogliere nei centri estivi i bambini con disabilità è “una palese discriminazione in violazione della legge 67 del 2006 sulle pari opportunità”, continua Merlo. Inoltre, “la prassi diffusissima di delegare il contributo per la partecipazione dei loro figli alle famiglie, da parte degli enti gestori, è illegittima”.
COSA FARE E A CHI SEGNALARE: NUMERI UTILI
Le famiglie che si vedono rifiutare il diritto al centro estivo dei loro figli possono segnalare questi episodi al Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi all’email antidiscriminazione@ledha.it. La Lega ha inoltre pubblicato sul suo sito una scheda legale rivolta alle famiglie e il fac simile di lettera che i genitori possono direttamente scrivere agli enti gestori dei servizi ricreativi pubblici o privati che siano. Le risposte delle amministrazioni potrebbero non essere tempestive, per questo Ledha offre anche consulenza legale gratuita.
che rafforza la mia elucubrazione mentale espressa all'inizio del post
24.6.22
Una grande lezione di Unità Pastorale, da parte di papa Francesco siamo tutti figli di uno stesso Padre ed i Padri non allontanano, non disprezzano e non giudicano
sé quel volume di cui parla nelle scuole e nelle carceri dove fa informazione. Un libro che racconta la sua vita e il suo percorso verso la formazione della persona che è oggi, della realtà delle persone transgender e lo ha messo tra le mani del Pontefice.Una giornata organizzata da suor Genevier, amica del Papa, una religiosa che vive nei Luna Park, che raduna e si occupa degli ultimi. Gli ha proposto l'incontro, spiegandogli però che non si trattava di una sola persona e lui le ha risposto "Portale tutte". "Ci siamo radunate al Vaticano insieme alla suora e a un sacerdote, che fa parte del Gruppo Cristiani lgbt+ Nazionale TRANSizioni – progetto a cura de La Tenda di Gionata. Il Papa ci ha ricevute singolarmente ed io sono stata la prima spiega Alessia con emozione – Portargli il mio libro è stato un sogno che si è avverato". Alessia ha spiegato com'è stato l'incontro con il Papa: "Non ha voluto che mi inginocchiassi, mi ha stretto la mano e quando mi sono presentata come una ragazza transgender mi ha risposto che non gli importava chi fossi, che abbiamo un unico Padre, come se volesse dirmi sei una sorella".Alessia ha regalato il suo libro al Papa: "Lo ha preso e mi ha detto, brava hai fatto bene a scrivere la tua storia. Poi mi ha raccomandato di essere sempre me stessa, ma di non farmi avvolgere dal pregiudizio nei confronti della Chiesa"
pride Bologna, polemiche per l’esclusione dell’associazione di poliziotti lgbt. Gaynet e Famiglie arcobaleno: “Ci ripensino”
pride Bologna, polemiche per l’esclusione dell’associazione di poliziotti lgbt. Gaynet e Famiglie arcobaleno: “Ci ripensino”
La denuncia sul Resto del Carlino di Polis Aperta: "Le pratiche escludenti non ci appartengono". Gli organizzatori non cambiano idea (per ora), ma crescono le richieste di rivedere la posizione
di F. Q. | 23 GIUGNO 2022
A due giorni dal Gay Pride di Bologna fa discutere la decisione degli organizzatori, la rete Rivolta Pride, di escludere dalla partecipazione Polis Aperta, l’associazione che riunisce gli omosessuali che lavorano nella polizia e nelle forze armate.
A denunciare la situazione, come riporta il Resto del Carlino, è stata la stessa associazione. “Ci è stato chiesto – scrivono – di non presentarci con i loghi e lo striscione dell’associazione, ma di partecipare in modo anonimo, quasi dovessimo nascondere chi siamo. Fin dalla nascita, l’associazione si è impegnata per il riconoscimento dei diritti civili, dalla legge Cirinnà al ddl Zan, per il riconoscimento degli alias alle persone in transizione e dell’omogenitorialità. Perché siamo consapevoli che solo tutelando le molteplici identità individuali della società si garantisce la difesa di quella democrazia che abbiamo deciso di rappresentare indossando una divisa. Le pratiche escludenti non ci appartengono, così come non ci appartiene il dileggio, la discriminazione, il pregiudizio che trasuda da certi toni. Questo odio non ci appartiene”.
Rivolta Pride ha risposto ricordando come l’esperienza si richiama alla rivolta in risposta alla repressione di Stonewall. “Riconosciamo – replicano – che l’omolesbobitransafobia è presente in tutti i luoghi di lavoro, anche all’interno della polizia e delle forze dell’ordine. Anzi, spesso è proprio in questi settori che le discriminazioni trovano spazio, incentivate da un ambiente, quello delle caserme, intriso di machismo e maschilismo. Per questo, ci teniamo a chiarire che la nostra non è una presa di posizione contro Polis Aperta, ma di critica aperta alle forze dell’ordine come istituzione, e come luogo di riproduzione di violenza sessista, omolesbobitransfobica, abilista e razzista”.
Anche Gaynet ha preso le distanze dalla decisione della rete Rivolta Pride: “Prima di tutto: qui parliamo di Polis Aperta, realtà fatta da persone LGBTIQ+ che combattono ogni giorno proprio quei pregiudizi e quel sessismo, continuando nel loro quotidiano quella rivolta che celebriamo ogni 28 giugno. Negare a donne e uomini LGBTIQ+ di presentarsi con la divisa che usano ogni giorno, la stessa divisa con la quale hanno conquistato un coming out faticoso e importantissimo, significa rifiutare il loro percorso. Significa calpestarlo ed esporlo alla mercé di chi potrà dire “quelli ti considerano sempre feccia”. Significa praticare la stessa discriminazione che da sempre combattiamo, quel “tu non vai bene” che abbiamo sentito di recente a Roma in un locale contro una ragazza lesbica. Significa mettere in campo una Rivolta al contrario”. E continuano: “Dal pride vanno cacciati via i fascisti, non fratelli e sorelle in divisa o alleatə che ci mettono la faccia. Colpire chi cerca di cambiare le cose è la strategia perfetta per non cambiare nulla”. Quindi “carə amichə di Bologna, ripensateci“.
Una linea condivisa anche dall’associazione Famiglie arcobaleno: “Sabato saremo al Pride di Bologna, il Rivolta PRIDE, con le nostre famiglie e con le nostre storie, anche se quest’anno non siamo state tra le realtà che lo hanno organizzato e promosso”, hanno scritto su Facebook. “Il Pride è di tuttə, tutte le persone e le realtà che lo vivono e attraversano, e in un Pride non c’è spazio per l’esclusione: quindi speriamo di cuore che si superino le polemiche di questi giorni e di ritrovarci tuttə (ma proprio tuttə, Polis Aperta compresa) sabato per lottare insieme e rivendicare insieme i diritti negati“.
Madre SPIRITUALITA’ CRISTIANA, MISOGINIA E SESSUALITA’ NEGATA: UNA TRILOGIA di Madre Maria Vittoria Longhitano
E' uscito in questi giorni l'ultimo libro dell'amica Madre Maria Vittoria Longhitano
"Non dimenticate mai che sarà sufficiente una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti delle donne siano rimessi in discussione. Questi diritti non sono mai acquisiti. Dovrete restare vigili durante tutto il corso della vostra vita.
la Controriforma - per antonomasia considerata "la" crisi del mondo occidentale - rappresentò un momento di forte repressione del "genio femminile" ma produsse anche, come contraltare, una forte e coraggiosa reazione da parte di un tenace segmento del mondo femminile. Vengono, inoltre, esplorate come paradigmatiche del periodo della Controriforma, le vicende di donne come Santa Teresa d'Avila, Veronica Giuliani nonché di quei circoli femminili che sognavano, nella cupezza di un universo in conflitto, un mondo di pace, dialogo e convivenza pacifica tra gli esseri umani. Sta per uscire il mio nuovo libro (tra pochissimi giorni disponibile il link per l'acquisto). Ecco come lei stessa lo presenta : << Stavolta, si tratta di un mattone. Non ho inteso scrivere un testo divulgativo ma ne è scaturito, a mio avviso, un testo piacevole. Potenzialmente, per il linguaggio, per quanto possibile "comune" (ho evitato accuratamente, anche parafrasando molto, di usare un lessico tecnico-specialistico) lo scritto risulta alla portata di tutte/i, nonostante la complessità dell'analisi dei contenuti e gli approfondimenti di tipo storico-antropologico (chicche "particolari" che potrebbero suscitare interesse). >> Il testo è corredato di un apparato critico di più di quattrocento note e da una accurata bibliografia di notevole spessore. << Per me è la ripresa o la reviviscenza stentorea di una passione, quella per la "gender history" - temporaneamente sopita per dedicarmi a ciò che è evidente per chi ha seguito il mio percorso - che mi ha accompagnata fin dai tempi dell'Università, della mia collaborazione con il compianto prof. Coco, mio relatore, detentore della Cattedra di Storia Moderna all'Università di Catania.>>
In parte, sono ripresi alcuni temi del suo lavoro di Laurea così come la ricerca - alacremente condotta per diversi anni nei vari Archivi Storici del Catanese - su una interessante e appassionante storia avvenuta in un monastero benedettino di Piazza Armerina in piena Controriforma. La ricerca fu edita, qualche anno addietro, dal prestigioso Archivio di Storia Patria (a firma della sottoscritta e del prof Coco). Il mio libro - che narra la vicenda nella sua terza e ultima parte - ne dà una lettura a partire dai parametri individuati dagli studi di genere.
Il testo è intitolato:
SPIRITUALITA’ CRISTIANA, MISOGINIA E SESSUALITA’ NEGATA: UNA TRILOGIA.
Sostanzialmente, è così suddiviso:
- Sessualità femminile, desiderio e repressione. Antichità ed esordio del Cristianesimo.
- Genere recluso e piacere demonizzato. Testimonianza di Teresa d’Avila. Una vicenda esemplare: Veronica Giuliani, donna tra l’amare il “patire”.
- Una pagina di storia siciliana. Un caso di “conoxencia carnali”, sacrilegio e infanticidio in piena Controriforma.
22.6.22
Maltrattata perché lesbica, il giudice condanna a tre mesi il caporeparto della Lidl Insultata e umiliata sul posto di lavoro perché omosessuale, Sara Silvestrini, 40enne di Lugo, ha vinto la battaglia in tribunale contro coloro che l’hanno derisa e contro il sindacatoi che faceva filone con il padrone
Da sinistra, Federica Chiarentini e Sara Silvestrini con l’avvocato Alfonso Gaudenzi da https://www.ilrestodelcarlino.it/ravenna |
Il supermercato Lidl al centro del ciclone |
foto simbolo |
per evitare chiamate indesiderate o messaggi molesti su whatsapp usate due schede una pubblica ed una privata
questo post di Aranzulla conferma il consiglio che davo in un post ( cercatevelo nell'archiviuo dell'ann...
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Come già accenbato dal titolo , inizialmente volevo dire Basta e smettere di parlare di Shoah!, e d'aderire \ c...
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