20.1.24

‘La rosa dell’Istria’, l’esodo dei profughi giuliani è un film. La direttrice di Rai Fiction: “Non c’entra secondo la destraTeleMeloni, è memoria condivisa” oppure no ? staremo a vedere

  


di  cosa  stiamo parlando  
Ci sono storie comode, che è facile raccontare perché generalmente accettate, e anzi celebrate. E ce ne sono altre, invece, che disturbano perché a lungo occultate, travisate, addirittura negate. Così, ancor prima della messa in onda, ha suscitato palesi irritazioni La rosa dell'Istria, il film tv che (tratto dal
romanzo di Graziella Fiorentin Chi ha paura dell'uomo nero?, e diretto da Tiziana Aristarco) vedremo lunedì 5 febbraio su Raiuno. Il motivo? secondo la i nazionalisti ed la destra : << Il film racconta la storia dell'esodo dall'Istria dei profughi istriani e dalmati, dal 1943 in poi costretti dai partigiani comunisti di Tito ad abbandonare terra, casa e lavoro, per vagare in cerca d'identità e dignità. Non basta: il film della Aristarco è stato presentato lo scorso dicembre assieme a molti altri titoli, fra i quali però vennero notati soprattutto La lunga notte (sui fatti del Gran Consiglio del 25 luglio 1943) e L'Italia chiamò (biopic su Goffredo Mameli). >>.Ora   Il protagonista Andrea Pennacchi: su   Repubblica  : << Su Rai 1 ‘La rosa dell’Istria’, l’esodo dei profughi giuliani è un film. La direttrice di Rai Fiction: “Non c’entra TeleMeloni, è memoria condivisa” >>
 afferma    giustamente Storie che vanno raccontate perché riguardano anche il mondo in cui viviamo .Lavorando sul territorio abbiamo trovato "ancora ferite molto aperte, non me l'aspettavo. C'è ancora la necessità da parte di molti di avere risposte, ci sono divisioni ancora molto forti". >>  Dello   stesso    temore   è la regista Tiziana Aristarco, parlando del film tv da lei diretto La rosa dell'Istria, con, fra gli altri, Andrea Pennacchi, l'esordiente Gracjela Kicaj, Clotilde Sabatino, Costantino Seghi e Eugenio Franceschini che debutterà su Rai1 in prima serata il 5 febbraio, poco prima del Giorno del Ricordo, giornata  ormai.  diventata settimana  ,  in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata . Il racconto, liberamente ispirato al romanzo Chi ha paura dell'uomo nero? di Graziella Fiorentin (Corbaccio) affronta il tema attraverso il dramma famigliare degli istriani Braico, che di fronte ai crescenti pericoli seguiti all'armistizio del '43 in Italia, tra i soldati tedeschi che cercano di riorganizzarsi nella Repubblica di Salò e le truppe del maresciallo Tito intenzionate ad annettere l'Istria alla Jugoslavia, decidono di lasciare la propria terra per trovare rifugio in Friuli. Esso  dovrebbe   avere   , l'intento    di  << Costruire una nuova narrazione >>
   nel raccontare   <<  un'altra tappa nel ventaglio di racconti che vogliamo fare del nostro Paese nel segno di una memoria condivisa, anche perché vediamo come certe tragedie anche oggi si ripetono - spiega in conferenza stampa la direttrice di Rai Fiction Maria Pia Ammirati, che respinge l'idea che il film tv sia riflesso della cosiddetta Telemeloni - Escludo l'idea che ci sia stato dietro un pensiero di costruzione di una nuova narrazione. Anche perché abbiamo cominciato a scrivere tre anni fa". >>È "importante raccontare anche parti di storia che sono state ancora abbastanza raccontate e  vengo   raccontate  male    strumentalizzate  ideologicamente  .  concordo  con   quanto  si dice sempre  su repubblica  : <<   Parliamo di tutti, smettiamola di parlare solo di una parte, la ricchezza di questo Paese sono le storie, bisogna farle conoscere >>.


                                                        Andrea Pennacchi e Gracjela Kicaj



La rosa dell'Istria, coprodotto da Rai Fiction, Publispei e Venicefilm (che aveva già realizzato sul tema delle foibe il  mediocre   ,  si  salva  solo  per la  fotografia  e il  buon cast  , Red land di Maximiliano Hernando Bruno, qui cosceneggiatore con Angelo Petrella e coproduttore), inserisce la grande storia in una chiave "che la rende [  o dovrebbe renderlòa     corsivo  mio   ] volutamente accessibile al pubblico più ampio possibile, quella del romanzo popolare  >>aggiunge Ammirati.



Nella foto:  Andrea Pennacchi e Costantino Seghi

  dalla  trama 

L'esodo della famiglia Braico
Così seguiamo l'esodo della famiglia Braico, segnato proprio all'inizio dal destino del figlio maggiore, Nicolò. Il capofamiglia, Antonio, medico (Pennacchi), porta la moglie e i due figli, la 18enne Maddalena, talentuosa pittrice e il figlio più piccolo Saulo, prima in Friuli, poi in Veneto, tra spaesamento, pregiudizi, difficoltà economiche e nuovi inizi. Un percorso nel quale Maddalena (Kicaj) incontra Leo (Franceschini), anche lui giovane pittore, che la incoraggia a credere nel proprio talento: una strada che la mette in rotta di collisione con il padre.L'esodo della famiglia Braico, segnato proprio all'inizio dal destino del figlio maggiore, Nicolò. Il capofamiglia, Antonio, medico (Pennacchi), porta la moglie e i due figli, la 18enne Maddalena, talentuosa pittrice e il figlio più piccolo Saulo, prima in Friuli, poi in Veneto, tra spaesamento, pregiudizi, difficoltà economiche e nuovi inizi. Un percorso nel quale Maddalena (Kicaj) incontra Leo (Franceschini), anche lui giovane pittore, che la incoraggia a credere nel proprio talento:na strada che la mette in rotta di collisione con il padre.
"L'esodo ha riguardato 350mila persone che nell'arco di sei, sette, otto anni hanno dovuto lasciare la casa e i loro beni per rimanere italiani" ricorda Alessandro Centenaro, coproduttore per Venice Film. È "un film importante su cui abbiamo lavorato con grande amore e passione - aggiunge Verdiana Bixio, coproduttrice per Publispei - C'è uno sforzo produttivo notevole e si vede una quantità di territorio friulano incredibile, con un'ottantina di location".
Nel ruolo della protagonista c'è l'esordiente Graciela Kicai, albanese che vive in Italia fin da bambina, ora allieva all'Accademia di Brera: "Sono venuta in Italia da molto piccola e non mi è capitato di subire bullismo o di essere emarginata come succede a Maddalena”, spiega. Però quello del film  <<  è  un tema che ritroviamo tutti i giorni nelle notizie, dall'Ucraina al Medio Oriente, vediamo tutti come la storia si ripeta >>.
 Sembra    buna   . Infatti  sempre  secondo  repubblica  : <<  Lavorando sul territorio abbiamo trovato "ancora ferite molto aperte, non me l'aspettavo. C'è ancora la necessità da parte di molti di avere risposte, ci sono divisioni ancora molto forti". Lo spiega la regista Tiziana Aristarco, parlando del film tv da lei diretto La rosa dell'Istria, con, fra gli altri, Andrea Pennacchi, l'esordiente Gracjela Kicaj, Clotilde Sabatino, Costantino Seghi e Eugenio Franceschini che debutterà su Rai1 in prima serata il 5 febbraio, poco prima del Giorno del Ricordo, in memoria delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata. >>
Purtropo  Il racconto, liberamente ispirato al romanzo Chi ha paura dell'uomo nero? affronta il tema attraverso il dramma famigliare degli istriani Braico, che di fronte ai crescenti pericoli seguiti all'armistizio del '43 in Italia, tra i soldati tedeschi che cercano di riorganizzarsi nella Repubblica di Salò e le truppe del maresciallo Tito intenzionate ad annettere l'Istria alla Jugoslavia, decidono di lasciare la propria terra per trovare rifugio in Friuli e  non affronta     tutto   quello   che c'era  prima  . In  quanto  le  origini   di tali  abberrazioni  vanno  ricercate  non solo      il 25 luglio  1943 . 
 


Quindi se proprio    si  vuole  e si deve   "Costruire una nuova narrazione”  va  fatta  a  360 gradi    soprattutto    se  lo si fa  in tv   . Altrimenti   l'istituzione  della  giornata  settimana   è  solo mera  propaganda   ed  uso  politico   \  strumentale   della storia  . E  un'altra tappa nel ventaglio di racconti che vogliamo fare del nostro Paese nel segno di una memoria condivisa, diventa solo ipocrisia  e pulicoscienza  ,  anche perché   <<  vediamo come certe tragedie anche oggi si ripetono - spiega in conferenza stampa la direttrice di Rai Fiction Maria Pia Ammirati, che respinge l'idea che il film tv sia riflesso della cosiddetta Telemeloni.  
Ed  ecco  che  lo  scopo    di   raccontare anche parti di storia  cosi dolorosa  ed  ancora  "  divisiva "  con cui  anora   non  abbiamo  fatto i conti   e    di cui  si pretende  di volere  fare un qualcosa  di condiviso   Quini   parliamo di tutti, smettiamola di parlare solo di una parte, la ricchezza di questo Paese sono le storie, bisogna farle conoscere bene .La rosa dell'Istria, coprodotto da Rai Fiction, Publispei e Venicefilm (che aveva già realizzato sul tema delle foibe Red land di Maximiliano Hernando Bruno, qui cosceneggiatore con Angelo Petrella e coproduttore), inserisce la grande storia in una chiave "che la rende volutamente accessibile al pubblico più ampio possibile, quella del romanzo popolare" aggiunge Ammirati.D'accordo con lei Andrea Pennacchi: "La memoria che hai e che guida le azioni nel presente, è diversa dalla storia che ti insegnano a scuola - sottolinea l'attore - lo dico da figlio e nipote di partigiani. Ora vediamo nel mondo il fallimento di memorie che non sono riuscite a dialogare l'una con l'altra. Queste sono storie che devono essere raccontate perché riguardano anche il mondo in cui viviamo adesso".

17.1.24

la destra continuerà ad attaccare la cortellessi anche dopo il discorso integrale della Luiss ?

 Dopo  i mei articoli :  I II  Riporto  sotto   il discorso integrale che Paola Cortellesi, attrice e regista reduce dallo strepitoso successo nelle sale del suo debutto da regista C’è ancora domani, ha tenuto in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno accademico dell’Università Luiss. Alcuni stralci del discorso sul sessismo nelle fiabe erano stati pubblicati in questi giorni e avevano suscitato diverse polemiche. Ci voleva molto a diffonderlo subito a evitare polemiche ed ....bla...bla....  inutili ed  volgari  
Ma soprattuttto : << Bisognerebbe vergognarsi per la spazzatura che le hanno tirato addosso, anche quelli che si professano "femministi" o sembrano con un po' di sale in zucca.....Ma la vergogna e' sentimento per chi ha intelligenza e dignita' >> (Angela Vitaliano   facebok il 15 gennaio alle ore 16:24). 
 Prima  di  lasciarvi  al discorso ( condivisibile  o meno )     della  Cortellesi   affermo  che    adesso ha  un altro senso  risetto  alla ....  lanciatagli  .Inoltre  avrei   dei dubbi     , delle domande  elucubratorie  sul perchè  solo ora   la  Luiss  ha  deciso di    rilasciare  l'intervento integrale  e  non  subito  .  Ma   visto    il clima   che si è creato   con il caso Lucarelli  e  la  coerenza   con quanto  ho detto   nei post precedente su tale argomento   ( https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2024/01/notizie-non-notizie-e-shitstorm-il-caso.html )   opto  per   il  silenzio   e  il lasciare andare   come  suggerisce  la  famosa  Let It Be (Testo) - The Beatles

Non riuscendo  ad incorporare  il video  nel post      riporto dal post     torvato su   fb     sia  la trascrizione  integale dell'intervento    sia  l'url con   il  video


· Grazie a Paola Casella per la segnalazione.Due giorni di polemiche inutili ormai scomparse dai mediaPaola Cortellesi, il monologo integrale sul sessismo nelle fiabe tenuto all'Università Luiss (sky.it)
"Grazie professoressa Severino, grazie a tutti voi, buongiorno agli ospiti, buongiorno ai ragazzi. Mi chiamo Paola Cortellesi, sono un’attrice, da una ventina d’anni scrivo per la radio, il teatro e la tv. Da dieci anni scrivo film per il cinema e da poco ho esordito alla regia con C’è ancora domani, uno spericolato film d’epoca, in bianco e nero che, in soldoni, tratta di prevaricazione e violenza di genere. Una mattonata, sulla carta, come diremmo in gergo. Con questi presupposti, nessuno si sarebbe aspettato un ampio gradimento della pellicola, e invece, contro ogni pronostico, questo film ha avuto un successo travolgente, ha battuto molti record e al momento è stato visto nelle sale cinematografiche da più di 5 milioni di persone", con queste parole ha esordito l'attrice, sceneggiatrice e regista, ospite all'Università Luiss. "Io ho iniziato il mio lavoro come attrice quasi trent’anni fa, nel mio settore ho avuto molte soddisfazioni, ricevuto importanti riconoscimenti ma, ultimamente, intorno al clamore suscitato dal film, l’interesse nei miei confronti è cresciuto spropositatamente. Questo a volte genera cose anche spiacevoli, come gli adulatori - da cui bisogna sempre guardarsi - e una certa diffusa aggressività di alcuni nel tentativo di trarre vantaggio da questi miei quindici minuti di popolarità. Fenomeni passeggeri e di nessun conto rispetto a esperienze magnifiche e per me eterne come incontrare la commozione sincera delle persone in sala a fine proiezione e la condivisione spontanea di momenti importanti e a volte duri della loro vita", prosegue Paola Cortellesi davanti alla platea composta dagli studenti dell'università Luiss."Tra le cose belle e piacevoli, c’è la telefonata di Luigi Gubitosi (presidente della Luiss, ndr). Quando mi ha chiamata per propormi di essere qui oggi per l’inaugurazione dell’anno accademico di questa prestigiosa università, mi sono sentita fiera, onorata e... inadatta. Io che l’università l’ho lasciata a metà del percorso per andare a studiare teatro - quello l’ho studiato - che poi è diventato il mio lavoro, gli ho risposto che mi sentivo orgogliosa di parlare agli studenti ma che sarebbe forse stato meglio chiamare persone competenti in materia di legge, marketing, economia, perché le mie conoscenze non hanno molto a che vedere con i corsi di studio di questa università e che - le interpreti, le diriga o le scriva - le mie competenze si limitano a raccontare storie. E allora Luigi mi ha risposto: ‘E io questo chiedo, io questo voglio! Racconta il tema del tuo film, fai un racconto nel racconto. Le storie fanno bene, le storie fanno crescere, sono uno stimolo di riflessione’. Ha ragione, quindi eccomi qua", dice Cortellesi."Eccomi qua a cercare di capire insieme a voi perché questa storia di violenza e prevaricazione in bianco e nero ambientata nel passato abbia fatto breccia nel cuore di così tante persone. Perché, perché è successa questa cosa", si domanda Cortellesi."In breve, vi dico la trama, per chi non avesse visto il film, immagino molti di voi (sarebbe davvero presuntuoso pensare che l’avete visto tutti). Delia - che io interpreto, quindi una signora della mia età - è la moglie di Ivano, madre di tre figli. Moglie, madre. Questi sono i ruoli che la definiscono, e questo le basta. Siamo nella seconda metà degli anni Quaranta e la nostra famiglia qualunque vive nella Roma divisa tra la spinta positiva della liberazione e le miserie della guerra da poco alle spalle. Ivano, suo marito, è capo supremo e padrone della famiglia. Lavora per portare i pochi soldi a casa e non manca occasione per sottolinearlo, a volte con toni sprezzanti, altre direttamente con la cinghia. Ha rispetto solo per il suo anziano padre, il Sor Ottorino, un vecchio cattivo e dispotico di cui Delia è a tutti gli effetti la badante. È primavera e la nostra Delia è in agitazione per il fidanzamento dell’amata primogenita, Marcella, con un ragazzo di buona famiglia, Giulio. Un buon matrimonio per la figlia è tutto ciò a cui Delia aspiri. Non chiede nient'altro Delia. Accetta la vita che le è toccata e, se tutto procedesse come stabilito, la nostra storia finirebbe qui. Se non ci fosse l’ostilità dei genitori di Giulio, se non ci fosse tutto quel fermento in città, se non avesse incontrato Nino, il suo primo amore, e se non avesse ricevuto una misteriosa lettera che le toglie il sonno e che le darà il coraggio di provare a pensare a un futuro migliore", spiega Paola Cortellesi. "Ora, detta così, sembra una delle trame di tante fiabe per bambine, sempre un po’ sinistre a dire la verità... Voi ne conoscete qualcuna immagino, no? Cappuccetto Rosso, no? Forse queste sono dei tempi miei, ma immagino che Cenerentola, Biancaneve… queste le conoscerete. Comunque, per chi non le conoscesse… Cenerentola e Biancaneve narrano di giovani sprovvedute, dotate di rara bellezza e di un’ingenuità disarmante (ai limiti della patologia), che subiscono angherie di ogni genere da altre donne malvagie. Quindi la matrigna sfrutta Cenerentola, ragazza bravissima nelle faccende domestiche (che solitamente svolge cantando). E la matrigna tiene nascosta l’avvenenza della ragazza al principe. Ma grazie a una magia, a Cenerentola basta presentarsi in tutto il suo splendore per un paio d’ore perché il principe se ne innamori perdutamente. La matrigna la tiene nascosta ma lui, scaltro, la ritrova e la riconosce… perché l’aveva vista? No: perché ha i piedi sproporzionatamente piccoli... Comunque alla fine lui la salva e la sposa. Questa era la prima cattiva, la matrigna", prosegue l'attrice, sceneggiatrice e regista. "La regina di Biancaneve è ancora più canaglia perché lei è di fatto la mandante del tentato omicidio di Biancaneve. Perché lo fa? Perché lei vuole essere la più bella del reame. Quindi anche con l’aggravante dei futili motivi… Tentato omicidio perché il cacciatore, uomo coraggioso e di buon cuore, non ce la fa. Anche perché la ragazza è troppo bella. È bella. Fosse stata una cozza, al limite l’avrebbe squartata, ma è così bella… E poi è ingenua, perché proprio è ingenua come un cucciolo di labrador. E lui la lascia andare. Allora Biancaneve incontra i Sette Nani, presso i quali si adopera per un periodo come colf. Poi, nonostante le mille raccomandazioni, anche dei Sette Nani, Biancaneve si fida di una vecchia orrenda, con l’aspetto da strega e che infatti è la strega. Morde la mela avvelenata, muore. Risorge grazie a chi? Al principe. A un bacio del principe, che se ne innamora perdutamente perché? Perché è bella. Quindi il principe la salva e la sposa. Ecco, entrambe le ragazze, bellissime - per carità - ma un po’ stralunate, trovano la loro realizzazione nel matrimonio con il principe. Un estraneo. Un estraneo che sposano subito, senza pensarci, senza nemmeno esserci uscite una volta a cena", aggiunge Cortellesi. "Tornando alla trama del mio film, dicevo che la vita della povera Delia è talmente ingiusta da sembrarci la versione deprimente di una favola per bambine, e invece è storia. È storia piuttosto consueta di una famiglia qualunque della seconda metà degli anni Quaranta. Scena 1: uno schiaffone in pieno viso e via, come se niente fosse. Ecco, io avevo questa immagine e il desiderio di mettere in scena - attraverso Delia - le donne che ho immaginato dai racconti delle mie nonne e delle mie bisnonne. Vicende vere, drammatiche, però narrate con disincanto, e addirittura la volontà di sorriderne. Storie di vite dure, condivise con tutte nel cortile. Gioie e miserie, tutto in piazza, sempre. In quei racconti c’erano le donne comuni, quelle che non sono passate alla storia, quelle che hanno accettato una vita di prevaricazioni perché così era stabilito, senza porsi domande. Questo è stato, questo a volte è ancora", racconta Paola Cortellesi. "Da allora le donne hanno fatto grandi passi avanti, si sa, ma come sapete la cronaca ci racconta che in Italia si consuma un femminicidio ogni 72 ore, in media. Donne assassinate per la sola ragione per essere donne, il più delle volte da uomini che dicevano di amarle così tanto da considerarle loro proprietà. Nel nostro Paese ci sono uomini, quindi, anche giovanissimi, che non hanno la capacità di gestire un rifiuto, che non tollerano l’emancipazione, l’allontanamento della donna che credono di amare. E questo, nei casi più tragici, si traduce con : 'o mia o di nessun altro, mai più'", sottolinea l'interprete e cineasta. "Quando ho scritto questo film insieme ai miei co-sceneggiatori abbiamo studiato le dinamiche, da lì siamo partiti: le dinamiche sempre uguali che oggi caratterizzano un rapporto tossico. La donna è isolata, allontanata dalla famiglia d’origine e dalle amicizie; è continuamente vessata da un linguaggio denigratorio, subisce percosse e rapporti sessuali non consensuali. Non è indipendente economicamente, non può scappare. La prigioniera perfetta, la preda perfetta. Questa condizione, che oggi ci ripugna, era all’ordine del giorno alcuni decenni fa, e nessuno allora gridava allo scandalo, nemmeno le donne stesse, perché quello era stato prospettato loro fin da bambine: servire, ubbidire, tacere", fa notare Cortellesi. "Avevo intenzione di fare un film contemporaneo ambientato in un passato non troppo remoto e seguire la crescita di un germoglio spontaneo di consapevolezza in una donna che non sa nulla, che non conta nulla e che appunto si sente una nullità. Delia, la nostra Delia, non vale niente, così le hanno insegnato, ma una lettera con sopra il suo nome - il suo, non quello del marito - e l’amore per sua figlia le accendono il coraggio di cambiare le cose. Io ho trovato il riscatto di Delia, il finale del mio racconto, leggendo con mia figlia un libro per bambine sulla storia dei diritti delle donne. Ho provato a immaginare cosa abbiano provato quelle donne, quelle reali, nel ricevere una lettera in cui qualcuno, lo Stato in quel caso, qualcuno tanto più importante dei loro aguzzini domestici, certificava il loro diritto di contare", spiega. "Con C’è ancora domani ho voluto raccontare le imprese straordinarie delle donne qualunque che hanno costruito ignare il nostro Paese. Delia è le nostre nonne e bisnonne. Chissà se loro hanno mai intravisto un domani. Per Delia un domani c’è: è un lunedì ed è l’ultimo giorno utile per cominciare a costruire una vita migliore. La nostra Delia si salva, e non grazie al coraggio del cacciatore, né tantomeno fuggendo su un cavallo insieme al principe. Si salva esercitando un suo diritto, suo e di milioni di altre donne. Si salva con la consapevolezza e un ritrovato rispetto di se stessa".E infine Paola Cortellesi analizza come segue lo strepitoso successo che ha raccolto la sua pellicola: "Credo che - al di là dello stile e della bellezza del film, per chi lo abbia ritenuto tale - alla base di questo successo ci sia l’empatia, l’immedesimazione. Questo film trascende la fruizione cinematografica ed entra nel quotidiano, evidentemente, e questo non grazie alle mie capacità ma a causa, ahimè, di un’urgenza di riscatto. Perché le giovani generazioni dovrebbero immedesimarsi con una storia del passato? È cambiato tutto, io stessa non posso immedesimarmi in una donna del secolo scorso che è stata trattata al pari di una schiava. Ma allora cos’è che ci tocca? Cosa riconosciamo? La violenza in tutte le sue forme. E se quella fisica per fortuna è una violenza che non ci ha mai riguardato, quella violenza ognuno di noi l’ha percepita almeno una volta nelle parole, negli atteggiamenti, nei commenti sgradevoli a scuola, a casa, sul lavoro. Vive e prolifera nelle piccole cose, ci inganna piano piano. È così presente da risultare invisibile, talmente presente che la diamo per scontata e ci convince che così deve essere, come niente fosse. Noi diamo per scontato che per un ragazzo una passeggiata notturna è una passeggiata notturna mentre per una ragazza è un percorso potenzialmente pericoloso da affrontare in fretta e con mille cautele? È ingiusto, è folle, è sotto i nostri occhi ma a volte lo diamo per scontato, non lo riconosciamo perché è negli schemi", prosegue la cineasta. "Lo sentiamo da piccoli, quando alle bambine con un’indole vivace viene dato del ‘maschiaccio’. Qualcuno ha stabilito che le femmine debbano essere composte, pacate, remissive, graziose e che la vivacità debba appartenere al maschio, a cui viene attribuita non si sa come un’innata aggressività, che infatti diventa ‘maschi-accio’ Accio, dispregiativo se associato a una bambina. lo sentiamo quando ai bambini che piangono si dice ‘non fare la femminuccia’. Come se i maschi non avessero il diritto di piangere, di essere sensibili e fragili. La fragilità è delle femmine, individui deboli. Ucce, femmin-ucce, diminutivo. Loro hanno facoltà di lamentarsi, ai maschi si impone di reagire e farlo subito, pure a cinque anni, quasi che un fisiologico tempo di delusione e di sconforto li esponga al pericolo di una qualche perdita della virilità", continua Paola Cortellesi. "Schemi, condizionamenti tramandati in buona fede se non dalle nostre famiglie dalla nostra società. Modelli in cui finiamo per rinchiuderci pur di piacere, di accontentare, di non deludere le aspettative", illustra Cortellesi, facendo infine un augurio a se stessa, al suo pubblico e a tutta la società."Quello che mi auguro per voi ragazzi è che non abbiate mai paura di uscire dai condizionamenti. Che accettiate il rischio di sembrare strani o pazzi, se questo significherà scegliere. Spero, care ragazze, che non assecondiate l’idea che gli altri hanno di voi. Sono modelli che delimitano la vostra personalità e limitano le vostre prospettive. Spero, cari ragazzi, che siate parte attiva di questa lotta, praticando il rispetto, ammonendo chi non lo fa. Non siate indifferenti, l’indifferenza è una scelta, ed è quella sbagliata. Siate straordinari, concedetevi il dubbio, perché è la vostra libertà", queste le sue parole. "Come dicevo, non ho nulla da insegnare, ma a cinquant’anni ho qualcosa da raccontare. Vi parlo con l’unico vantaggio dell’esperienza. Se alla vostra età avessi potuto contare sul vantaggio di chi era più vecchio, non avrei commesso molti errori. Fate tesoro di chi è in vantaggio, traetene beneficio. Gli errori, si sa, aiutano a crescere. Commetteteli allora, ma fatelo nel tentativo, anche maldestro, di liberare la vostra creatività, di costruire la vostra indipendenza. L’errore che invece potete evitare è fare esclusivamente ciò che si aspetta da voi e quello che gli altri decidono per voi. Siate sempre i protagonisti del vostro progetto e mai le comparse del progetto di qualcun altro. Grazie”, così conclude Paola Cortellesi inaugurando l'anno accademico all'Università Luiss.


16.1.24

DIARIO DI BORDO N°30 ANN0 II (SPECIALE) Notizie, non-notizie e shitstorm il caso Giovanna Pedretti vhs selvaggia lucarelli e i media

Prima lanciava 💩🤬☠👿 su ferragnez , poi vedendo che è come sparare sulla croce rossa si defilata . Ma Poi è uscita la notizia della pizzaiola morta suicida in provincia di Lodi dopo che un suo post social (vero? Falso?) era diventato virale ed era stato fatto oggetto di verifiche . Si chiamava Giovanna Pedretti.  Prima  di mettere     in rete ( ma non solo  )      e  prima  di   fare  debbunking   bisogna  chiedersi     cosa distingue il vero dal falso? Cosa separa un blogger da un bullo, uno chef da un opinionista, una gattara da una giudice dell’universo mondo? Meglio restare ai fatti. E i fatti dicono che una povera donna è morta. Ha ragione ( anche se in parte in quanto   si   sminuisce  le responsabilità  della famosa  blogger  essendo     giornalista  del loro  giornale    )     : << [...] Stare sui social è diventato un mestiere usurante e pericoloso, talvolta mortale. Chi li usa senza precauzioni non è attrezzato a sopportarne le conseguenze e non capisce che il web è come un sifone a U: se ci fai i tuoi bisogni, questi ti ritornano in faccia. E non di rado accade lo stesso anche con gli escrementi altrui.I personaggi pubblici sono sempre sotto i riflettori e, volenti o nolenti, ci fanno il callo. Ma le persone comuni spesso non reggono all’esposizione, soprattutto quando passano in mezzo minuto dagli altari alla polvere, da famosi a famigerati. [...] >> l'editoriale marco travaglio sul FQ del 16\1\2024 .
                 Giovanna Pedretti, striscione contro i media: “Siamo esasperati”  da   
https://www.thesocialpost.it/2024/01/16/giovanna-pedretti-striscione-contro-i-media-siamo-esasperati/


Infatti  come   dice   Giulia  Blasi nella  sua  ultima NW  : <<  Questa settimana cominciamo a parlare di un argomento di cui dovremmo parlare di più, e non solo quando succede qualcosa di terribile.>>
Dei suicidi (lo spiegava bene Tiziana Metitieri in un articolo uscito su Valigia Blu nel 2020) bisogna parlare il meno possibile e nel modo più attento possibile, per tanti motivi. Il primo, e forse più importante, è che non sappiamo mai davvero perché qualcuno sceglie di uccidersi. Anche chi lascia un biglietto con le motivazioni del gesto sta in realtà descrivendo un trigger, una causa scatenante, non le ragioni vere e profonde per cui ha deciso di farla finita. Cosa passa nella testa di chi si toglie la vita, nessuno lo sa e nessuno lo saprà mai: dovremmo astenerci dalle speculazioni, o peggio ancora, dal colpevolizzare singoli individui. Anche quando il collegamento ci sembra evidente.


Se ne parlo oggi, dedicando un numero speciale  della mia  riubrica  diario di bordo  , quindi, non è per fornire la mia opinione sull’esito del caso specifico, ma perché il caso specifico ci obbliga a riflettere sui meccanismi che regolano la comunicazione e, in ultima istanza, i rapporti umani.  << Ogni contenuto,---- come   giustamete  fa notare   Giulia  Blasi   ---- anche il più trascurabile, ha una funzione o un messaggio. In un mercato editoriale basato su un modello di business fragile come quello pubblicitario, i contenuti pubblicati sulle testate sono pensati per rispondere a un bisogno umano, molto spesso di tipo psicologico. In questo caso, il bisogno a cui si risponde è quello di sentire che il mondo non è perduto, che “c’è ancora speranza”, e che anche in un paese in mano alle destre radicali ci sono persone che mettono l’inclusione al primo posto. Li chiameremo “contenuti feelgood¹, perché sono pensati per far stare bene le persone, che li fanno girare perché li trovano educativi ed esemplificativi di modelli di comportamento virtuosi. Sono la versione intellettuale e progressista dei video di animalini buffi. il contenuto feelgood potrebbe anche solo restare tale. Nessuno va a controllare se sia vero o meno, e in un paio di giorni sparisce [... ] 
¹ Il contrario del contenuto feelgood è il contenuto fomenta-rabbia: non ci entrerò qui, ma anche questo dà una risposta a una necessità psicologica, vale a dire quella di trovare colpevoli, capri espiatori e punti di sfogo per una rabbia che altrimenti rischia di incanalarsi in direzioni indesiderate, e che può invece essere sfruttata per ottenere engagement, aumentare il pubblico e i clic da rivendere poi agli inserzionisti. La tecnica del rage farming è stata ed è tuttora alla base del successo di Donald Trump e di gran parte delle destre internazionali, e si basa sullo stimolo continuo del pregiudizio di conferma: gli immigrati rubano e uccidono, la sinistra minaccia la tua libertà, le persone LGBTQ distruggeranno la famiglia, le donne trans sono stupratori travestiti, le femministe sono pazze violente, e via dicendo.

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Certo,e  qui   spezzo  una   lancia  a  fare  della  Lucarelli    e del compagno le testate ufficiali \ maistream i giornali d'opposizione , i siti , i blog , i blog ( ed anche noi e qui mi riferisco anche a me stesso ) dovrebbero verificare l’autenticità di quello che pubblicano, anche quando non si tratta di una notizia . Qui la verifica è stata fatta dopo, da altri soggetti: quindi un contenuto feelgood che già non era una notizia è diventato una notizia (o meglio, si è trasformato in un altro contenuto) quando qualcuno ha sospettato che fosse basato su un contenuto originale non autentico.A cosa risponde questa seconda notizia, o contenuto, di stampo semi-investigativo? A un’altra esigenza, cioè quella di trovare sempre l’inghippo, sentirsi intelligenti e capaci di sgamare le truffe. Chi riprende il contenuto di debunking, per così dire, ce anche chi lo fa per dire: madonna quanto siete boccaloni, ci cascate sempre, vi si frega proprio con poco. Anche qua c’è della soddisfazione, eh: non dello stesso tipo, anzi, di segno opposto, ma c’è. E dove c’è la soddisfazione (quindi: la risposta a un bisogno), c’è anche la viralità.In sintesi: non solo la notizia era una non-notizia, ma pure la notizia che smontava la non-notizia era una non-notizia. Non valeva la pena di fare debunking di questa storia, e tantomeno di farlo con insistenza, come se si stesse investigando un segreto di Stato o abuso del potere . Ha ragione chi dice che se si mettesse la stessa energia nella verifica di notizie importanti saremmo un paese bellissimo e forse avremmo sconfitto la corruzione, la propaganda e le fandonie della gente di potere. Ammesso (e non concesso) che la pizzeria avesse fabbricato un commento da dare in pasto a una stampa alla continua ricerca di contenuti feelgood, quale sarebbe stato il vantaggio? Ballavano milioni? Prebende? Cariche pubbliche? No: lo scenario più ottimistico era che la pizzeria guadagnasse qualche cliente. L’energia impiegata nello scoperchiare la scomoda verità del commento fasullo sembra, ora, particolarmente mal spesa.
E qui entrano i social
Mi è capitato due o tre di volte di finire dentro una shitstorm ( chi mi segue dal mio esordio social lo sa ) generalmente di lieve entità. Di solito risolvo chiudendo tutto per 24 ore, il tempo fisiologico perché la gente si dimentichi perché si era incazzata o ti fa arrabbiare con i metodi di contenimento . Altre mie conoscenti e amiche non sono state così fortunate, e se uso il femminile è perché le donne sono molto più di frequente al centro di queste sassaiole verbali.
Photo by Nsey Benajah on Unsplash
A volte sono azioni casuali, a volte calcolate e sostenute nel tempo: c’è gente che campa, letteralmente, scegliendosi dei bersagli e dandoli in pasto ai cani. E non sono mica solo influencer o content creator: ci sono partiti politici la cui comunicazione è basata in buona parte sulla scelta di capri espiatori contro cui fomentare la sua base. Esemio La Lega ed lasjua base ha usato ( e spesso continua tuttora  )La Boldrini Michela Murgia come bersaglio per anni, anche quando era già ammalata (e la sua malattia, pur non essendo stata resa pubblica, era già intuibile dai contenuti che pubblicava sui social): la raffica incessante di insulti al suo indirizzo finì per causarle un disturbo dell’umore piuttosto grave, al punto che parlare in pubblico era diventato complesso e quasi inaffrontabile. Lei ne parlò in un articolo per Il Post che vale la pena di rileggere, perché ci dice praticamente tutto quello che dobbiamo sapere sulle conseguenze di un attacco di massa. Michela ora è morta,pace all'anima sua , e c’è ancora in giro gente che la odiava al punto di gioire per la sua morte. Per noi che la conoscevamo è un dolore incrociare questi commenti, e ci fa venire voglia di menare le mani (o almeno, a me lo fa venire). Poi passa, perché non ne vale la pena, e perché se per te la gioia è la morte di una persona che non conoscevi fai una bella vita di merda anche senza che io ti prenda a pizze in faccia. Ma dubito che ‘sti poracci avrebbero il coraggio di ripetere la stessa cosa davanti a uno qualsiasi di noi: i social - e non è una novità - ti danno la sensazione di poter dire e fare qualsiasi cosa con impunità.Altre persone che conosco e che sono state bersaglio di shitstorm massicce e continuate hanno sofferto di depressione ( come è capitato al mio esordio sui social ) e hanno dovuto smettere di utilizzare i social media (che erano un canale importante per la comunicazione e promozione del loro lavoro) o hanno dovuto ridurre moltissimo la loro presenza. Chi fa attivismo, prima o poi, se lo può aspettare: a volte l’attacco arriva da fuori, a volte è fuoco amico. La pratica del call-out, che nell’attivismo dovrebbe avere lo scopo di stimolare il dibattito all’interno di una comunità per mezzo della critica pubblica, finisce per essere strumentalizzata per vendette personali e usata senza criterio, spesso senza verificare se le accuse che si muovono alle persone siano fondate. Quando si scopre che era tutto una cazzata, è troppo tardi. La merda è dentro il ventilatore e spruzza dappertutto.
Le shitstorm fanno paura. L’accumularsi di messaggi intrisi d’odio e disprezzo generano malessere e sofferenza, e non portano alcun vantaggio o progresso nel dibattito pubblico. Chi le scatena sa benissimo che conseguenze possono avere, e no, non esistono bersagli giustificati. Giorgia Meloni o Matteo Salvini non diventano persone migliori perché vengono insultati da CosoCosetti1926 sui social, però CosoCosetti1926 si sente meglio perché ha insultato Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Le shitstorm servono solo a chi le fa, non a chi le subisce. Meloni e Salvini, tra l’altro, sono bravissimi a fare i martiri e a raccontare anche le critiche più pacate come feroci attacchi. Però Meloni e Salvini non si gestiscono i social da soli, e i commenti di merda di CosoCosetti1926 li leggono i loro social media manager.La maggior parte della gente sopravvive alle shitstorm, ma sopravvivere non è vivere. Anche chi ci sembra molto forte e strutturato ha delle fragilità di cui non siamo a conoscenza. Basta poco, basta un attimo, e la struttura viene giù. Ne valeva la pena? C’è chi pensa di sì, c’è chi pensa che la sofferenza di chi non gli piace sia giusta. Non mi interessa psicanalizzare la gente a distanza: a volte una merda è solo una merda, e la psicanalisi si paga.
Mi rendo conto di essere stato logorroico ed ancora non ho finito avrei altro da dire . Ma  per rispetto  dei familiari    della  vittima   ho già  detto abbastanza  . Facciamo così: ci prendiamo una pausa, e riprendiamo in seguito. Perché questa cosa che è successa forse non ha a che vedere direttamente con noi come individui, ma ci obbliga a fermarci a pensare a cosa postiamo, a come comunichiamo, agli effetti che quello che scriviamo nei campi di testo dei social può avere sulle persone. Anche quelle che ci stanno sul ..... l’anima.

il Giapponesimo nella cultura italiana non è solo manga ed anime ma ache le opere delle pittrice Kiyohara Otama (清原 お玉?), Eleonora Ragusa e Otama Ragusa.

O'Tama giovane a Palermo
 A volte  , ed  è questo uno  dei  casi  , il web offre  delle  scoperte   notevoli  . In un post   sulla  home  dei  social  che  frequento   e  sui   trovete anche i miie scritti   ,  ho letto e  visto  alcune    foto  d'oppere    della  pittrice    giapponese    Kiyohara Tama . Incuriosito   volendo  andare  oltre   alla sua  voce   su  wikipedia  ,  da    cui  ho  appreso  che   essa era    conosciuta anche con i nomi di Kiyohara Otama (清原 お玉?), Eleonora Ragusa e Otama Ragusa. Ha vissuto gran parte della sua vita a Palermo,  ho   fatto ele ricerche sul  web   è   ho   trovato   questo bellissima  pagina  https://otamakiyohara.onweb.it/it  ad  essa  dedicata  di Maria Antonietta Spadaro ( e  di  cui per  gentile  concessione  riporto   le  foto  che  trovate    nel  post  )  .Ho scoperto oltre  a  due  pittori la  otamakiyohara e   il  marito  Vincenzo  Ragusa    .  Ho  trovato  conferma  quanto affermavo   in questi due  precedenti  post  sull'oriente  :
1)https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2023/12/diario-di-bordo-n-anno-i-oriente-ed.html  
2)https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2022/11/10-giorni-senza-mondiale-occidente-e.html.
Infatti  la  pittrice  in questione  ,    secondo  Maria Antonietta Spadaro   :  << [...]  il suo mondo vissuto ed elaborato in una pittura tra oriente e occidente  [...] Discreta e riservata, la piccola pittrice dagli occhi a mandorla ebbe il coraggio a soli vent'anni di lasciare il proprio paese e la famiglia per trasferirsi con l'uomo che amava in una città, Palermo, di un paese lontano e sconosciuto. Da poco il Giappone aveva istituito rapporti diplomatici con l'occidente e comunque i viaggi intercontinentali non erano all'epoca
affatto frequenti, soprattutto per le donne. Possiamo solo immaginare l'impatto con la sua nuova città: la famiglia di Vincenzo, gli usi locali, la lingua, ecc., e lo stesso Ragusa spaesato, mancando da Palermo da dieci anni ... e con idee difficili da far accettare in un ambiente abbastanza restio alle novità. >>   Pur  non avendo  fatto    studi  artistici  posso affermare  che  le  opere  di     O'Tama che   collaborò a fondare la Scuola Museo Officina d'arte orientale in qialità di docente e direttrice della sezione femminile,   sono  una   contaminazione  di stili   e  un ponte  tra  Giappone  ed  europa   . Infatti   sempre     semre  secondo  la    Spadaro  : <<   si perfezionava nelle tecniche pittoriche più diverse: dall'olio all'acquerello, dal pastello alla pittura parietale, dai dipinti su stoffa agli oggetti d'arte applicata. >>Bellissimi    i soggetti   ch sono  i più vari: ritratti, nature morte, scene di genere, animali, fiori, temi religiosi, ecc. La sua indole curiosa la portava a studiare con attenzione i capolavori della pittura italiana del passato. Cercò in ogni modo di appropriarsi dei modi di vita locali dall'abbigliamento alla cucina, sempre all'ombra del marito, ma con una sua personalitàe mai passivamente . Insieme hanno dato vita al più importante, se non unico, episodio di Giapponismo nel nostro paese.



 Peccato che tale artista sia ancora poco conosciuta . Visto che la sua la collezione fu poi venduta da V. Ragusa al Museo Etnografico Pigorini di Roma, dove è custodita, ma non visibile al pubblico.Composta da 4172 pezzi, tra cui dipinti, xilografie, lacche, statue bronzee, armi, vasi in bronzo e ceramica, strumenti musicali, maschere, abiti, e oggetti di uso quotidiano, costituisce la più importante raccolta di oggetti giapponesi antichi esistente in Italia. La raccolta ha anche un grande valore di testimonianza della cultura giapponese precedente all'apertura verso l'Occidente[10]. Molti degli oggetti della Collezione Ragusa furono immortalati in tavole ad acquerello dipinte a Tokyo dalla Kiyohara: 31 tavole sono conservate a Palermo presso il Liceo Artistico - Vincenzo Ragusa Otama Kiyohara, mentre altre sono a Tokyo in collezioni pubbliche e private.Purtroppo le  esposizioni  fin  ora  fatte  sono  state   solo due   Due sono state le grandi mostre dedicate a O'Tama Kiyohara a Palermo, città in cui l'artista visse 51 anni, entrambe ideate dalla  Spadaro  , né risulta ne siano state allestite altre in Italia.

- La prima allestita nel 2017, nei saloni di Palazzo Sant'Elia e curata da me, ha messo in risalto un episodio estremamente importante di giapponismo in Italia. Attraverso bel 170 opere di O'Tama, del marito, lo scultore Vincenzo Ragusa, e vari oggetti d'arte, arredi, ecc. di ambito giapponese, il pubblico ha potuto conoscere e apprezzare un momento storico significativo della nostra città, immergendosi nelle suggestive atmosfere del lontano Giappone.

- La seconda, ospitata nel 2019-20 negli appartamenti reali del Palazzo Reale e ideata da me e dalla Fondazione Federico II, ha mostrato uno degli aspetti più interessanti della vicenda della coppia O'Tama e Vincenzo Ragusa quando, ancora a Tokyo collezionavano oggetti d'arte e artigianato del luogo, di un'epoca che presto sarebbe scomparsa. Questa magnifica Collezione composta di 4200 pezzi è oggi al Museo L. Pigorini di Roma. Alla mostra del Palazzo Reale furono esposti alcuni acquerelli di O'Tama che raffigurano in modo quasi fotografico tali preziosi oggetti, esposti in bacheche accanto (v. foto). Un confronto di estremo interesse per il quale si ringrazia il Museo Pigorini per il prestito delle opere della Collezione Ragusa, ancor oggi purtroppo non esposta al pubblico.

Un vero peccato  . 
La   sua  è  anche  una  storia    d'amore    .  infatti   
Dopo ben quasi 51 anni di lontananza dal suo paese, e dopo aver imparato a parlare l’italiano meglio del giapponese, O'Tama Ragusa dovette rientrare in patria nel 1933 richiamata dai discendenti della sua famiglia che inviarono, per sollecitare il suo ritorno in Giappone, una giovanissima pronipote che la condusse da Palermo a Tokyo. Eleonora Ragusa morì a Shiba, nel 1939, dove ancora in vita aprì un atelier. Rispettando i suoi ultimi desideri in punto di morte la sua famiglia divise i suoi resti: la metà delle sue ceneri infatti si trova in Giappone, nel tempio di famiglia Chōgen-ji, mentre l'altra metà è sepolta nella tomba del marito, nel cimitero palermitano dei Rotoli, sulla cui tomba c'è una colonna sormontata da una colomba realizzata dallo stesso Vincenzo Ragusa.

15.1.24

perdite

        


Ci  sono  dei  momenti  nel  tuo cammino  che  in cui  i rapporti   con gli altri  viaggiatrori  non sono  più ottimi   ed  ogni uno   ha  preso strade  diverse   o magari  è rimasto indietro o è andato  avanti  . Ma  quando  ,  soprattutto      se  è  una persona   ch conosci   fin dall' infanzia   ed  è tua  coetanea   ( o  quasi  )  ti  lascia  basito e triste  . infatti  e  me  era   come  il grillo parlante   di  pinocchio  (  vedere la  discussione  avuta   soprattutto   con lei  in questo post  )  . Ed  non  smetto  di pensare  a lei ed  le strada percorsa insieme   ed  alla  sua lontananza  . Te ne sei andata via portandoti via un pezzo del mio cuore e  della mia anima  .Eri  , cara    Rox Galleri , una  combattente una   referente di SARDEGNA Comitato Pazienti Cannabis Medica Una   una persona speciale, nonostante il  suo caratterino  dovuto   alle sue immense sofferenze, eri  sempre pronta ad aiutare gli altri. Un dolore immenso apprendere questa tremenda notizia.Mi   unisco  al dolore del marito Massimiliano, che gli è stato sempre vicino condividendo gioie e dolori donando a lei un amore vero raro e unico. mi  mancherai tanto Rox sei andata via troppo presto, ora sei libera dalle sofferenze .  Non riuscendo  più   a scrivere  per  le lacrime   lascio la  parola  a  https://www.pazienticannabis.it/rossana-solo-la-cannabis/   che  riporta      questa  sua  intervista  





La storia di Rossana Galleri e della sola speranza che della Cannabis terapeutica vengano divulgate informazioni corrette.Rossana Galleri ha 46 anni, combatte da anni una vita sempre più difficile per l’associazione di varie patologie che ne hanno compromesso deambulazione, alimentazione e persino la voce. Accanto a lei Massimiliano Ricciu, 45 anni, operaio sugheriero con cui è sposata dal giugno del 2017. Un amore vero, raro, unico certamente nella totale condivisione di gioie e dolori.«Lui – dice Rossana-  è il mio supereroe», che non è una frase difficile da comprendere quando si vive una totale simbiosi tra chi si ama. Massimiliano è la sua voce, talvolta, non solo le braccia e la testa. Rossana ogni tanto si blocca, fa fatica a ricordare. Bastano lo sguardo e gli occhi di lui che interviene con empatia ed armonia.A volte la malattia le blocca i muscoli di ogni parte del suo corpo, e lui le viene in soccorso, ridandole  l’indispensabile serenità interiore, L’amore consacrato, desiderato dalla maggior parte della gente, in due persone straordinarie per resistenza e abnegazione. Chi vive accanto alle disabilità, sa capire cosa vogliano dire queste parole.Rossana e quella maledetta associazione di malattie.Il problema di Rossana è una maledetta associazione di mali che l’accompagnano da tempo.  Una subdola forma di consociativismo diabolico di patologie che la costringono a notti insonni, difficoltà a parlare e deglutire, dolori atroci e la terribile disperazione di non poter camminare se non per sporadiche camminate con le stampelle.Una vita che si circonda però di affetti e tante amicizie, la sorella e le nipoti, dalla madre  acquisita, la suocera, alle tante amiche ed amici che la vengono a trovare. Ma Rossana è tosta, dura e, come lei stessa dice, non brilla per diplomazia. Rossana si nutre di una determinazione non comune che la spinge a tirare fuori le unghie ed urlare al mondo la sua rabbia per quel farmaco a torto chiamato “droga”.Ogni mese le medesime difficoltà ad avere il farmaco, un preparato galenico derivato dalla Cannabis con una determinata percentuale di THC. Solo questa sostanza, perfettamente legale,  le permette di rilassare la muscolatura e potersi considerare viva e ancora piena di speranze ed aspettative.   




Ma c’è da informare, troppa purtroppo la disinformazione e i preconcetti su qualcosa che non è droga ma farmaco. Troppi i pregiudizi di tanti che considerano un malato come lei, un drogato. Scordano anche l’effetto tossico dei normali farmaci così come non sanno nulla di come agisca la cannabis. Le reticenze appartengono anche alla classe medica, dove sono tanti gli oppositori a questa terapia. Dietro, come al solito, ci stanno interessi pazzeschi di lobbie farmaceutiche, l’uso indiscriminato di oppiodi contenuti nei farmaci tradizionali e quello che, a ragione, Rossana chiama “Mafia” delle multinazionali che speculano anche sull’informazione veritiera sulla cannabis.In questa lunga intervista ci spiega cosa sia la Cannabis Terapeutica. Sentirete, oltre Rossana, anche il marito Massimiliano, la suocera e l’amica Barbara. 

    e con questa  poesia di Daniela Piras dedicata a Rossana Galleri


        Nonostante la Vita


"Un alito sofferto
Si scontra con il vento della vita
Crea vortici irrequieti
Correnti e cascate
Agita emozioni
Affiorano rivalse ineluttabili
Bellezza
Amore
Voglia
Gioia
È un faro che rischiara il buio
La potenza dell’essere vivi
È vita che osteggia la vita
In una lotta impari 
Dall’esito incerto" 

                                  


   sule  note  della canzone    prima  riportata     chiudo il post  d'oggi 




14.1.24

siamo passati da una tv libera anche troppo a una tv di bigotti l'attacco dei meloniani a Biagio Izzo e Francesco Paolantoni per lo sketch comico sulla Natività

Qui    si  sta passando   da  un ecesso  (   tette   e  culi ,   volgarità , insulti  , litigi  , dialoghi urlati  ,  insulti  ecc   )    a   una tv  di  bachettoni      come  era  prima  dello  svecchiamento  dei   programmi e del varietà   , perchè ebbene  si   mediaset  ha  avuto    almeno  all'inizio  . I fatti sono questi. Biagio Izzo e Francesco Paolantoni portano su Rai 2 uno sketch comico sulla Natività, con protagonisti San Giuseppe e la Vergine Maria.Un pezzo a mio avviso innocuo, innocente, anni luce dall’ironia dissacrante a cui sono abituati gli stand up comedian ad altre latitudini.Eppure tanto è bastato per scatenare la rabbia dei talebani di casa nostra, con Maurizio Gasparri che arriva addirittura a portare il caso in commissione di vigilanza Rai (la stessa dove si era presentato contro Ranucci con una carota in mano) gridando alla blasfemia, seguito a ruota dai Pro Vita e da Giovanardi.Il motivo di tanta indignazione? San Giuseppe operato alla prostata, Maria rappresentata “come una madre svampita” e - apriti cielo - interpretata da un uomo . Ora capisco che si possa aver offeso . Ma che Nella nuova Telemeloni si finisce sotto inchiesta parlamentare anche solo per aver osato scherzare sulla Natività. Siamo a un livello di censura e bigottismo da far invidia alla polizia morale iraniana. A me spaventa e indigna non uno sketch ironico ( anche se poco rispettoso verso chei crede . ma la satira vera d'essere disturbante ed indigesta altrimenti non è vera satira ma uno spettacolo al servizio del potere ) e all’acqua di rose ma questi cristiani a targhe alterne che si sentono offesi da una Maria maschile, difendono l’onore violato del Bambin Gesù, ma non hanno nessuna pietà per le decine di migliaia di donne e bambini morti ammazzati a Gaza nel loro BLASFEMO silenzio o per i migranti che muoiono in quel cimitero senza croci che è il Mediterraneo. Questo sì, fa veramente orrore.



diario di bordo n 29 anno II . pseudo garantismo che protegge i colpevoli il caso di martina rossi ., cairo si candida o minaccia la destra ? ., quando la perfezione è ostentazione ., le fiabe sono sessiste ed altre riflessioni



 Martina  rossi
  morta  a  Maiorca   per  sfuggire  ad  uno  stupro   .  I legali dei due   agressori  condannati : <<     fu  anche  colpa  sua  >>  .  IL  garantismo   all'italiana  che  tutela  i  copevoli 


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Cairo minaccia di candidarsi sindaco di Milano e chiede al governo di aiutare il calcio e di non toccare i tetti pubblicitari in tv . candidatura o pizzino alle destre ?







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essere sempre perfetti è un inganno, la vera autenticità si trova nelle imperfezioni  Bisogna mostrarsi per quello che si è, solo l'iperfezione ci rende veri😊

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dopo    il mio precedente   post     (  Certo il patriarcato esiste ma la cortellesi esagera nel vederlo dove non c'è e mette in mezzo i cartoni della Disney per l’ennesima polemica sterile su patriarcato e sessismo)    Riprendiamo     il  discorso   sull'intervento della  cortellesi e  sulle  fiabe    . con   due   interessanti  articoli    in merito .
 il primo è  quelo    di   Giulia Blasi ( @Giulia_B) per  https://www.valigiablu.it/  del   13\1\2024


Ho imparato a leggere su I Quindici, enciclopedia per l’infanzia in quindici volumi tematici, quando ero molto piccola. Il volume 2, Racconti e fiabe, è uno di quelli che ho letto di più. Da bambina possedevo un’antologia di Hans Christian Andersen che ho quasi imparato a memoria, come anche – più tardi – i due volumi delle Fiabe italiane raccolte da Italo Calvino e
un bellissimo libro illustrato con miti e leggende di tutto il mondo. Come tutti i nati negli anni ’70, inoltre, ho ascoltato e riascoltato i proto-audiolibri delle Fiabe sonore dei Fratelli Fabbri, la cui sigla è capace di sciogliere in lacrime il più grezzo dei cinquantenni (fatela partire a tradimento durante una discussione per vedere zii e nonni struggersi di nostalgia e deporre all’istante le armi). Non credo, quindi, di poter essere tacciata di revisionismo, se dico che Paola Cortellesi, nel suo discorso di apertura dell’anno accademico alla Luiss Guido Carli, non aveva tutti i torti.
Le fiabe sono sessiste? Se prese alla lettera e trasposte nella modernità, certo che sì. Biancaneve sta a casa a fare la domestica per i nani che vanno in miniera: una divisione dei ruoli molto tradizionale. Cenerentola accetta remissiva la schiavitù della matrigna e viene salvata dalla fata madrina (che le dona abiti e scarpette e la porta al ballo), per poi essere scelta dal principe che la sposerà. La bella che si addormenta all’inizio della fiaba rimane fuori combattimento per buona parte della vicenda narrativa, che è – di fatto – uno scontro fra maghe con un principe che potrebbe quasi non esserci ed è poco più di uno strumento utile a spezzare un incantesimo. Potrei continuare, ma il punto mi sembra chiaro: nella versione delle fiabe a cui siamo più avvezzi, quella Disney, le ragazze sono belle, miti, dolci, modeste e remissive. L’emblema della virtù, presentato alle bambine fino dalla più tenera età come modello di femminilità degna di ricompensa e d’amore, contrapposte alle donne anziane e malvage e a sorellastre brutte e stupide. Sii bella, sii docile, fatti scegliere.
Del discorso di Cortellesi ci sono due cose da dire: la prima è che si trattava del monologo di un’attrice. E i monologhi, prima di ogni cosa, hanno il dovere di essere divertenti. Di esagerare, provocare, far ridere, ribaltare una realtà che crediamo immutabile fornendone una lettura opposta a quella a cui siamo abituati. Da Biancaneve che fa la colf ai nani al principe che riconosce Cenerentola dai piedi e non dalla faccia, tutto sembra pensato per essere buffo, oltre che paradossale. Cortellesi usa le fiabe per mostrare come ogni elemento culturale possa essere messo in discussione e non debba necessariamente essere preso a valore facciale. La seconda cosa è che un discorso del genere viene pronunciato nella consapevolezza – no: nella certezza assoluta – che i conservatori abboccheranno all’istante, facendo partire una polemica che non farà che aumentare la circolazione del messaggio.
Non sono però solo i conservatori a essere partiti a spada tratta per difendere l’onorabilità delle fiabe. Altrettanto, ma con tutt’altri strumenti, hanno fatto gli intellettuali: sul suo profilo Facebook Simona Vinci (autrice di Mai più sola nel bosco. Dentro le fiabe dei fratelli Grimm) sostiene che “Biancaneve, per esempio, non è quella che fa ‘da serva’ ai nani, ma è quella che ha il coraggio di scappare da sola nell'ignoto del bosco per sfuggire a un destino di morte. Cenerentola […] è quella che sfida le regole per partecipare, come tutte le altre ragazze, a una festa da ballo. E ci sono pure quelle che sfidano i padri padroni e scendono nell'oltremondo per andare ogni notte a consumare le scarpe ballando”. Una lettura che può essere discutibile, ma che se non altro è più strutturata delle urla scomposte ai rischi del “politicamente corretto” e della “cancel culture”, qualunque cosa significhi, e di riflesso anche di certe messe in discussione pedestri di un testo originale che non si sa bene nemmeno quale sia.
In un suo articolo uscito su Repubblica nel 2021, Nadia Terranova ricorda, infatti, che le fiabe che conosciamo sono solo una versione – spesso edulcorata, tagliata, privata degli aspetti horror o di un finale tragico – di una storia che viene da stratificazioni di altre storie. Torniamo, per esempio, alla storia di Cenerentola. L’abbiamo conosciuta, come dicevamo prima, come biondina graziosa e inerme, quasi priva di iniziativa personale e rassegnata al suo destino di sguattera per una donna prevaricante e le sue figlie insulse e malevole. Nella versione dei fratelli Grimm, le sorellastre sono belle, ma “nere di cuore” e Cenerentola, pur essendo ridotta a far loro da ancella, è una strega potentissima che si procura da sola il necessario per andare al ballo. Il finale della fiaba è un bagno di sangue, fra piedi amputati per entrare nelle scarpette e colombine al servizio di Cenerentola che accecano le sorellastre per punirle del loro cattivo comportamento. Nella versione di Charles Perrault (pubblicata nel 1697), le sorellastre, ricche e vestite a festa, risultano più brutte di Cenerentola nei suoi stracci: è questa versione ad aver costituito la base per la versione animata del 1950, ma qui non è il principe a non riconoscerla, sono le stesse sorelle che la vedono al ballo vestita a festa e non hanno idea di chi sia quella bella signora che balla con il figlio del re tutta la notte.
Se esistono più versioni della stessa fiaba è perché nessuna fiaba è davvero originale, e tutte derivano da più versioni della stessa storia o leggenda e affondano le loro radici in narrazioni antichissime. Tra le versioni dei Grimm e quella di Perrault c’è anche La Gatta Cenerentola contenuta in Lu cunto de li cunti di Giambattista Basile, in cui Cenerentola ha il nome di Zezolla e ha l’unica ambizione di uscire da sola ogni tanto senza essere vista.
Che dire della Sirenetta protagonista della fiaba di Andersen? La versione proposta dalla Disney nel 1989 ha un lieto fine: Ariel sconfigge la strega Ursula, si rivela al principe, si riprende la sua voce e ci guadagna pure un paio di gambe funzionanti. Anche nella versione di Andersen la Sirenetta rinuncia alla sua voce per potersi avvicinare al principe, ma camminare le provoca dolori lancinanti, e il suo mutismo è un ostacolo che impedisce la creazione di un vero legame d’amore con l’uomo che ama, che finisce per sposare un’altra. La Sirenetta, che sta per disciogliersi nella spuma del mare, viene salvata dalle figlie dell’aria. Se proprio dovessimo trovare una morale per le bambine, la versione originale sarebbe più educativa di quella Disney: rinunciare alla propria voce e individualità per un uomo è un pessimo investimento che non può che finire in tragedia.
Ogni fiaba ha più letture: quella oscura e psicanalitica, che scompone tutto in simboli riconducibili agli abissi dell’inconscio, quella tradizionale di riscatto di una protagonista troppo buona e gentile perché le sue virtù non siano ricompensate, quella femminista che a volte ne chiede il rovesciamento. Ne Il silenzio dell’acqua, Louise O’Neill (apprezzata autrice irlandese di romanzi young adult di grande impatto come Solo per sempre tua e Te la sei cercata, oltre che di titoli per adulti non ancora tradotti in Italia) rispetta il testo originale di Andersen ma ne cambia il finale, restituendo alla protagonista una forma di controllo e autodeterminazione anche nella trasformazione. In Fiabe d’altro genere (pubblicato in Italia da Rizzoli nel 2021), Karrie Fransman e Jonathan Plackett prendono tutte le fiabe tradizionali e invertono i generi dei personaggi: l’effetto è paradossale e risulta a tratti quasi grottesco, ma è utile per capire quanto sia radicata in noi la percezione di quello che è possibile e appropriato per maschi e femmine. 
Nell’antologia di Andersen che leggevo da bambina c’erano due fiabe che sopra tutte mi porto nel cuore, per motivi diversi. La prima è Le scarpette rosse, la storia di Karen (Carola nella mia traduzione), ragazzina povera il cui sogno è quello di possedere e indossare un paio di scarpette rosse che la sua comunità considera troppo impudiche per essere portate in chiesa. Karen lo fa lo stesso, e per questo piccolo peccato di vanità viene punita fino alla morte. È una fiaba macabra, in cui la protagonista è costretta a danzare suo malgrado finché non le vengono amputati i piedi, e anche così le scarpette continuano a perseguitarla fino al pentimento e alla morte. Anche da piccola non potevo che provare compassione per Karen, che non aveva fatto altro che desiderare qualcosa di bello per sé: se dovessi darne una lettura psicanalitica, alla luce di quello che sappiamo di Andersen e della sua omosessualità repressa, quelle scarpe di pelle rossa luccicante possono rappresentare il desiderio proibito per gli uomini oppure la maturazione sessuale delle fanciulle. Per me, piccola, erano una storia avvincente e terrificante con un finale triste. L’altra fiaba che ricordo con affetto è molto meno nota, e si intitola I cigni selvatici. Come molte altre, anche questa fiaba ha un precedente nell’opera dei fratelli Grimm, una fiaba popolare tedesca intitolata I sei cigni. La protagonista, la giovane e bellissima Elisa, è l’unica femmina di dodici figli di un re che – come da tradizione – si risposa con una donna malvagia. La matrigna getta un sortilegio sugli undici maschi, tramutandoli in cigni, e fa cacciare Elisa, camuffandone la bellezza fino a renderla irriconoscibile al suo stesso padre. Anche Elisa, come la Sirenetta, baratta la sua voce con una possibilità: quella di restituire ai fratelli le sembianze umane. Per anni, muta, pesta ortiche con i piedi nudi per ricavarne le fibre e tessere undici tuniche. La missione di salvataggio è la sua priorità, nient’altro conta: anche l’intervento di un re, che la preleva dal bosco in cui vive, è per lei fonte di angoscia. La storia di Elisa, insomma, cos’è? Una storia di oppressione femminile, o una storia di sacrificio e perseveranza? Entrambe le letture sono possibili, ma prima di tutto I cigni selvatici è una grande storia, onirica e surreale. Ed è forse alle storie, prima che alla loro lettura, che possiamo tornare.


il   secondo  del  
La Cantastorie 16 h

FIABE E SESSISMO

Alcuni fraintendimenti circolano intorno al mondo delle fiabe, creando a volte dei veri e propri pasticci.
1) Le fiabe sono SCRITTE.
In realtà sono TRAscritte. Le fiabe sono storie raccontate a voce, sono nate dall'oralità, dall'analfabetismo, dalla spontaneità, e per questo contengono la saggezza popolare. In varie epoche, studiosi e studiose di ogni nazione le hanno infine trascritte.
Sono state diffuse di più le raccolte realizzate da uomini che quelle redatte da donne. Questo è un dato di fatto.
2) Le fiabe sono VECCHIE.
Tramandandosi oralmente, le fiabe vengono continuamente aggiornate secondo la sensibilità dell'epoca in cui vive chi le racconta.
Per loro definizione, per fiabe sono sempre attuali.
Non è un problema aggiornarle: è stato fatto per secoli.
Censurarle è un altro discorso.
3) Le fiabe sono SESSISTE.
La maggior parte delle fiabe più diffuse oggi è conosciuta grazie agli adattamenti cinematografici, pieni della cultura dell'epoca, ma anche straordinariamente progressisti in alcuni aspetti (la Disney ha iniziato a introdurre figure femminili forti molto prima che si parlasse di girl power).
Le fiabe popolari, invece, quelle stampate nelle raccolte citate sopra, possono contenere rimandi storici che saltano subito all'occhio. Ad esempio, sono gli uomini ad andare in guerra, non le donne. Si parla di ragazze "in età da marito". Eccetera.
Sono dettagli: nulla vieta aggiornarli, come si fa da sempre quando si raccontano le fiabe.
Invece è proprio sbagliato credere che le figure femminili siano tutte passive mentre quelle maschili attive.Quindi ecco un elenco di figure femminili attive, positive, volitive, protagoniste assolute, nelle fiabe popolari. Sono solo le prime che mi vengono in mente, ce ne sono tante altre.
- FANTAGHIRO', nell'omonima fiaba toscana.
- Lucetta, la figlia minore della lavandaia in NASO D'ARGENTO, fiaba piemontese.
- PREZZEMOLINA, nell'omonima fiaba italiana.
- La protagonista di SIGNOR SIMIGDALI, fiaba greca (e nella variante dell'Italia meridionale SIGNOR SEMOLINO.)
- La protagonista di A ORIENTE DEL SOLE, A OCCIDENTE DELLA LUNA, fiaba norvegese.
- La protagonista de IL PRINCIPE PERDUTO, fiaba islandese (tra l'altro, divertentissima)
- Vasilisa, in VASILISA LA BELLA, fiaba russa.
- Masha in MASHA E L'ORSO, fiaba russa.
- Kate in KATE SCHIACCIANOCI, fiaba scozzese.
- Janet nella ballata celtica di TAMLIN (qui entriamo in un mondo limitrofo alla fiaba)
Ci sono anche fiabe completamente femminili, di tipo iniziatico, come Il pranzo dei gatti, fiaba italiana con tutta una serie di varianti.Qualche giorno fa ho scritto un post a caldo in reazione agli articoli che parlavano del discorso di Paola Cortellesi alla Luiss. Paola Cortellesi avrebbe fatto ironia sulle fiabe popolari portandole come esempio di contenuto sessista da superare nella narrazione quotidiana.L'ho scritto perché sono un'educatrice teatrale specializzata in narrazione per l'infanzia e lavoro quotidianamente con le fiabe, e porto avanti da molti anni il progetto per il quale è nata questa pagina, La Cantastorie, ovvero performance di narrazione proprio sulla fiaba popolare. Ho anche pubblicato di recente un libro, l'Almanacco delle Stagioni, dove, per trascrivere dodici fiabe, ne ho cercate e studiate un'infinità.L'argomento mi sta un tantino a cuore, per così dire.Dopo il mio commento ne è uscito un altro, molto bello, di Alberto Pellai, dal suo punto di vista di psicoterapeuta.
Non mi metto al suo stesso livello, perché anche solo per questioni anagrafiche Pellai ha più esperienza, più lucidità di me.
Però, guarda a caso, sotto al mio post sono stata apostrofata come "saccente" e con altri giri di parole simili, mi è stato detto di essere più "umile" e di essere solo a caccia di like.
A Pellai, uomo maturo, il cui succo del discorso non è poi così differente, nessuno si è permesso di dire niente del genere. Si parlava di sessismo, giusto?Fantaghirò ha dovuto indossare l'armatura del padre per guidare il suo esercito: una fiaba antica come la sua, purtroppo ancora non superata.
che confermano quando afferma



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  concludo con   una mia   riflessione    sulla  libertà   :  solo chi  è  capace di vicere   il momento....  ha  compreso  i  vero senso  della libertà  . 

 

  

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