19.5.05

Referendum.una legge fuori dalla realtà

un  atti o articolo  di  Claudia Mancina  pubblicato  sulla rivista  cartacea  c del  umero di aprile 2005 onfronti   i  cui editoriali sono disponibili anche nella versione online www.confronti..net 

 

«Considero politicamente grave ed eticamente discutibile la scelta fatta dalla Chiesa cattolica di invitare tutti i fedeli all’astensione. Se la Cei è così convinta delle ragioni etiche che la spingono a difendere questa legge, perché non fa una battaglia sui contenuti, permettendo un confronto nel voto (ossia invitando a votare “no”)?». 

Sul tema dei quattro referendum in materia di Procreazione medicalmente assistita abbiamo ascoltato l’opinione di Claudia Mancina, docente di Etica dei diritti alla Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma «La Sapienza». Parlamentare dei Democratici di sinistra dal ’92 al 2001, nel ’98 ha contribuito a fondare (assieme a Miriam Mafai, Franca Chiaromonte, Giovanna Melandri, Giulia Rodano, Tana De Zulueta e molte altre intellettuali ed esponenti del mondo politico) l’associazione di donne «Emily in Italia», che promuove la presenza delle donne nella vita pubblica. Nel 2002 ha pubblicato Oltre il femminismo. Le donne nella società pluralista (Il Mulino) e nel febbraio scorso è stata tra le firmatarie dell’appello (vedi pag. 18) di laici e cattolici del centrosinistra contro l’invito all’astensione giunto dalla Conferenza episcopale italiana. Professoressa Mancina, cosa vi ha spinto a lanciare un appello contro l’astensione sui referendum? Considerate l’astensione un comportamento politicamente «sleale»?Innanzitutto il tentativo di andare oltre la contrapposizione laici-cattolici. Non è mai stato vero che i laici fossero tutti da una parte e i cattolici tutti dall’altra e questo schema appare ancora più insensato oggi. Abbiamo cercato di trovare il terreno per una posizione politica comune, pur articolata in scelte diverse per quanto riguarda i singoli quesiti referendari. Naturalmente non andare a votare è lecito, resta un diritto dell’elettore. Però considero politicamente grave ed eticamente discutibile la scelta fatta dalla Chiesa cattolica di invitare tutti i fedeli all’astensione. Se la Cei è così convinta delle ragioni etiche che la spingono a difendere questa legge, perché non fa una battaglia sui contenuti, permettendo un confronto nel voto (ossia invitando a votare «no»)? A mio avviso sbaglia anche chi sostiene che queste questioni siano troppo complesse e importanti per essere decise in un referendum. Ma allora questa obiezione dovrebbe valere anche per il Parlamento... si tratta di un ragionamento capzioso e offensivo nei confronti della democrazia.Quali sono gli aspetti della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita che considera più gravi?

Sicuramente quelli che i quattro quesiti referendari mirano ad abrogare. Va detto che nell’appello si riconosce la necessità che vi sia una legge che definisca limiti e condizioni per la procreazione medicalmente assistita, così come avviene in tutti i paesi europei. Non c’è una parte politica che vuole una legge e un’altra parte che vuole il «far west», come una certa propaganda vorrebbe far credere: noi del centrosinistra nelle precedenti legislature avevamo già avanzato diverse proposte. Il punto è individuare quale legge si vuole per il nostro paese. La legge 40 è in primo luogo irrealistica, inadeguata alla realtà: se applicata rigorosamente rende quasi impossibile la procreazione assistita. È molto grave l’equiparazione dei diritti del concepito a quelli del già nato, così come il limite dei tre embrioni, che comporta una diminuzione dell’efficacia dei trattamenti e moltiplica i rischi per la salute della donna e degli stessi nascituri. 

C’è chi teme che le modifiche apportate dai referendum possano aprire la strada a pratiche di selezione eugenetica o alla clonazione umana. Come risponde a queste preoccupazioni?

Questo è il classico atteggiamento apocalittico che usa l’argomento del «piano inclinato» per suscitare il terrore nell’opinione pubblica evocando scenari irrealistici. La clonazione è comunque vietata in tutta Europa dalla Convenzione di Oviedo che stabilisce limiti precisi in materia di bioetica. Per quanto riguarda l’eugenetica, vorrei dire che questo pericolo non c’entra niente con il tentativo legittimo di evitare di trasmettere ai figli gravi malattie. Cosa che oggi già avviene, ma per mezzo dell’interruzione di gravidanza. Non è allora meglio farlo prima, con una diagnosi pre-impianto, piuttosto che dopo con l’aborto?

Il problema è che sono già in corso ricerche sugli embrioni soprannumerari che hanno lo scopo di identificare i geni di alcune malattie degenerative molto gravi, di cui molte persone attorno a noi soffrono, che possono essere sconfitte solo con un intervento a livello genetico. I sostenitori della legge rispondono che la ricerca si può fare comunque sulle cellule staminali adulte, senza bisogno di ricorrere a quelle embrionali. Saremo tutti felici quando non ci sarà bisogno di utilizzare gli embrioni, ma in questo momento gli scienziati ci dicono che è necessario per sviluppare la ricerca in modo efficace. Gli embrioni soprannumerari sono alcune decine di migliaia, si trovano nelle celle frigorifere e a causa di questa legge sono destinati a non essere utilizzati, quindi ad essere gettati via, dato che dopo un certo periodo di tempo non sono più impiantabili. Vorrei capire perché è più etico buttare via questi embrioni anziché utilizzarli per la ricerca medica che può salvare numerose vite umane.
Una critica che viene mossa alla legge attuale è di imporre la visione etica di una parte a tutta la società, quindi anche a quella parte che non la condivide. Ma non crede che si possa dire lo stesso, a parti invertite, anche nei confronti di chi vuole la vittoria dei sì?

Ci sono questioni etiche delicate e complesse sulle quali non è facile trovare un compromesso di natura quantitativa (ognuno rinuncia a un «pezzo» della propria verità o ad alcuni dei propri principi). Sono temi molto controversi: nessuno potrà mai dimostrare né che l’embrione è persona né che non lo è. Non è un fatto puramente scientifico, ma è un problema delicato, con implicazioni morali e filosofiche molto serie, a partire dall’interpretazione e dal valore che si dà al concetto di «vita».

Proprio perché si tratta di una faccenda molto controversa, non ritengo che possa essere stabilito per legge che l’embrione è persona o che non lo è. Va lasciata alle coscienze, perché apparteniamo a una civiltà democraticamente e intellettualmente sviluppata. La legge non può esprimere delle tesi filosofiche, a meno che non si tratti di tesi universalmente condivise e soprattutto incarnate nella realtà della vita sociale, come ad esempio il principio di uguaglianza di tutti gli esseri umani. Dire che l’embrione è vita umana è cosa diversa dal dire che è persona e che quindi ha tutti i diritti fin dal primo momento. Non credo affatto che l’embrione sia una «cosa» e credo che quasi nessuno tra i favorevoli ai referendum lo pensi. Però non ritengo neanche che sia una persona allo stesso livello di una persona già nata. Gli embrioni hanno cioè un valore etico, ma questo valore non è assoluto, può essere cioè commisurato rispetto ad altri valori: una ricerca scientifica che può salvare molte vite umane è un valore importante, rispetto al quale si può pensare di utilizzare gli embrioni. 

Cosa succederà in caso di fallimento della consultazione referendaria?

Se vincesse l’astensione lo riterrei un fatto estremamente negativo per la società italiana, sarebbe una vittoria di chi non solo ha sostenuto delle posizioni che mi paiono eccessive sul piano dei divieti e della sfiducia nei confronti delle coscienze, ma addirittura non ha avuto neanche il coraggio di confrontarsi con gli altri partecipando al voto. 

C’è il rischio che il prossimo passo sia il tentativo di rimettere in discussione la legge 194 sull’interruzione di gravidanza?

Personalmente non ho mai condiviso questo tipo di preoccupazioni. Mi pare che la 194 sia una legge talmente tanto radicata nella società italiana da non giustificare questo genere di allarmismo. Certo, se vince l’astensione potrebbe esserci la tentazione da parte della Chiesa cattolica e di alcuni settori politici di alzare il livello dello scontro anche su altre questioni, ma spero che i cattolici che sono contrari al referendum vadano a votare «no», respingendo questo invito all’astensione che mi sembra un elemento di inquinamento della convivenza tra opinioni e opzioni morali diverse. 

Prodi ha detto che si sente figlio della Chiesa cattolica, ma «figlio adulto», quindi andrà a votare.

Quali sarebbero le conseguenze politiche del raggiungimento del quorum, con la vittoria dei sì?

In caso di vittoria dei referendum, sul piano politico ci sarebbe senz’altro un rafforzamento dell’Unione e della sua coesione interna. Sul piano più generale sarebbe una faticosa conferma di una scelta laica del paese, iniziata già negli anni Settanta con il referendum sul divorzio, che mi pare abbia portato bene a questo paese.

 

(intervista a cura di Adriano Gizzi)

1 commento:

AcquaChiara ha detto...

come vedi, arrivo nel tuo blog! Grazie della tua visita

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