L'ultimo saggio del filosofo francese Onfray
che irrita credenti e laici:
«Nego dio, ma anche il nichilismo. I valori: ragione, edonismo»
Se Papa Ratzinger invoca la verità della fede contro la deriva
relativistica dell'Occidente, il filosofo Michel Onfray, dalla Francia,
indica nell'ateismo l'unico antidoto possibile al nichilismo. Il suo
Traité d'athéologie, che indigna i credenti e fa arrabbiare i laici
d'oltralpe, legge la crisi contemporanea dei valori come una
sorta di tsunami legato alla frattura del continente cristiano e
all'affacciarsi di un continente post-cristiano. Al pari dell'epoca
tardo antica, che traghettò la civiltà pagana ai lidi del
cristianesimo, oggi si vive un periodo di «turbolenze
continentali» che reclama un'etica radicalmente nuova. La laicità
com'è vissuta e intesa ai nostri giorni, secondo Onfray, non è più
la risposta a questo disagio.
Perché, a suo dire, essa si mantiene profondamente legata al
baricentro religioso, sostituendo all'autorità di un dio quella di
una peculiare trinità composta da lavoro, famiglia, patria. La
soluzione? Un ateismo radicale, ovvero una laicità
post-cristiana, che, smascherando la dimensione - a suo dire -
fittizia delle credenze religiose, riporti l'uomo alla terra,
restituendo centralità alla ragione almeno quanto alla
sensualità. Il Traité desta molte perplessità dal punto di vista
degli argomenti addotti contro le religioni del dio unico, fondati
su luoghi comuni o tesi apodittiche. La violenza iconoclasta
dell'invettiva di Onfray nel decostruire i tre monoteismi
(cristianesimo, giudaismo, islam) si indirizza a preti, rabbini,
imam, cioè a coloro «che si pretendono depositari e interpreti
della parola di Gesù». Parole forti, spesso irrispettose, alle quali
non corrispondono giustificazioni altrettanto probanti, come ci si
attenderebbe da un filosofo di professione. Qualche esempio?
Solo per restare nell'ambito della fede giudaico-cristiana,
sostenere che la Bibbia è contro l'intelligenza perché Adamo ed
Eva, nel paradiso, non possono nutrirsi del frutto della
conoscenza, è un'ingenua semplificazione. Come è scorretto
affermare, che il Dio biblico «non si manifesta che per
proibizioni», se si pensa che il primo comandamento - dunque il
più esplicito disvelarsi di Dio - avviene mediante un'affermazione
(Io sono il Signore Dio tuo).
Decostruire il Cristianesimo negando ogni storicità a Gesù,
contro le fonti storiche dei Vangeli canonici, di alcuni apocrifi e di
altri testi non cristiani, desta meraviglia, nel XXI secolo. È chiaro
che, con questo metodo, si può arrivare a concludere che nulla
ha senso, che tutto è favola nel Cristianesimo, anche il mistero
eucaristico del pane e del vino, ridotto a «prestidigitazione
metafisica». Però bisogna esser coerenti fino in fondo. Non si
può sostenere, da un lato, che Gesù è un mero «personaggio
concettuale» e poi, dall'altro, riconoscergli l'identità di una
persona, deprecandone l'intolleranza, quando ha cacciato i
mercati dal tempio. Che dire poi del Cristianesimo come
ingrediente del nazismo, solo perché Hitler, in un passaggio di
Mein Kampf cita San Giovanni? Non si capisce neppure come
Onfray possa parlare del «silenzio della Chiesa» sul rapporto
con il nazional socialismo, quando - nel 1964 - Paolo VI rese
pubblici tutti gli atti riguardanti la IIGuerra mondiale, poi editi
nei 12 volumi di Actes ed documentes du Saint Siége relatifs à
la Seconde Guerre Mondiale, contenenti 5100 documenti, che
non figurano nella bibliografia del Traité. L'errore di Onfray è di
sostenere le ragioni dell'ateismo dimostrando l'inconsistenza
delle religioni.
Come spiega bene Paolo Flores d'Arcais nel numero speciale
di «Micromega» intitolato Dio esiste?, l'ateo «non vuol
convincere che Dio non esiste», ma radicarsi piuttosto
nell'uomo a 360°. Così ha fatto Nietzsche, il cui pensiero Onfray
pone ad esergo del suo trattato. E paradossalmente, proprio
questo radicamento nell'umano, porta a fare dell'individuo un
dio, dunque a riaprire le porte al divino pur nel cuore
dell'ateismo. Nonostante tutto Onfray ha il merito (e un certo
coraggio in Francia, dove la laïcité è religione di Stato), di aver
portato a tema la crisi della laicità. Che si dà a vedere quando la
laicità accoglie tutti i valori e il loro contrario, in un difficile
equilibrio tra istanze di tolleranza-pluralismo ed esiti relativistici.
In termini di cronaca, proprio mentre il governo laico in Francia
canta vittoria per la legge contro l'ostentazione dei simboli
religiosi (come il velo islamico), entra come «partner» nella
consulta islamica, con l'auspicio - enunciato a fine marzo dal
ministro Dominique de Villepin - di contribuire alla formazione
degli imam.
[articolo a cura di Vera Fisogni]
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