Eluana, quando la sacralità è disumana
Enzo Mazzi
Enzo Mazzi
Eluana Englaro cesserà di vivere o ricomincerà a vivere?
Questo interrogativo scuote le coscienze di fronte alla interruzione dell’alimentazione forzata di una donna da sedici anni in coma irreversibile.
La vita di Eluana è identificabile col battito cardiaco o con la funzione digestiva assicurate non dalla autonomia del proprio sistema biologico ma solo dalla potenza della tecnologia medica, oppure è forza vitale in continuo divenire che preme per essere liberata da un corpo che da se stesso non sarebbe più in grado di contenerla? E chi ama di più la vita: la suorina che vorrebbe continuare ad alimentare forzatamente la donna in coma o il padre che ha scelto di generare di nuovo la figlia liberando la forza vitale di lei imprigionata da sedici anni in un corpo incapace di funzioni vitali autonome?
E non è tutto. Perché l’interrogativo riguardante la vita e la morte di Eluana è forse la domanda fondamentale che accompagna l’umanità fin dalla sua origine e che costituisce la spinta della trasformazione creatrice. Eluana è tutti noi, è ogni donna e ogni uomo.
Mia figlia - ha detto a più riprese il padre di Eluana - aveva un senso del morire come parte del vivere e non avrebbe accettato di essere una vittima sacrificale di una concezione sacrale della morte come realtà separata e opposta alla vita.
Può darsi che sfugga la pregnanza di un simile messaggio. Ma è proprio lì in quell’angoscioso intreccio di vita/morte che si radica da sempre ed oggi in modo particolarmente intenso la spinta della evoluzione culturale.
Al fondo della crudeltà insensata che tutt’ora insanguina il mondo c’è la persistenza di un senso alienato della vita derivante dal dominio del sacro e dalla sua penetrazione nella società moderna. La vita è sacra. È un principio etico fondamentale. Ma è sacra in quanto parte della sacralità di un tutto in divenire che comprende finitezza e morte. Questo dice la saggezza dei secoli a chi ha orecchi per intendere. La cultura sacrale invece separa la vita dalla sua finitezza.
La vita viene sacralizzata come dimensione astratta contrapposta alla dimensione altrettanto astratta della morte. La sacralità, intesa come astrazione, separazione e contrapposizione fra le varie dimensioni della nostra esistenza, è la proiezione di un’angoscia irrisolta, di una frattura interna, di una mancanza di autonomia e infine di una alienazione della propria soggettività nelle mani del potere.
La critica che è rivolta alla gerarchia cattolica ormai da molti credenti, compresi tanti teologi e teologhe di valore, riguarda proprio la incapacità a liberarsi e liberare dal dominio del sacro. "La proprietà dell’Evangelo è quella di metterci in una intransigente lotta contro il sacro … in quanto la sacralizzazione è la stessa cosa che l’alienazione dell’uomo … ma noi dobbiamo constatare che la fede cristiana si è come corrotta, imputridita …". Queste affermazioni forti di padre Ernesto Balducci sono condivise da molti nella Chiesa e sono alla base della critica per l’intransigenza della gerarchia verso le posizioni etiche espresse da Eluana e dai genitori di lei.
È un compito immane la liberazione del profondo dalla cultura sacrale che genera violenza. Bisogna andare finalmente alle radici, individuare e tentar di sradicare il gene della violenza che cova in tutto l’apparato mummificato, simbolico e normativo, delle culture del sacro tanto laiche che religiose.
Ognuno deve fare la sua parte, dovunque si trova ad operare, usando gli strumenti di conoscenza e di saggezza che gli sono stati forniti dall’esperienza di vita e dalla rete delle relazioni che ha potuto intrecciare.
Eluana e suo padre stanno facendo la propria parte. Seminano senso positivo della vita con sofferenza e con forza.
A loro dobbiamo essere profondamente grati.
La vita di Eluana è identificabile col battito cardiaco o con la funzione digestiva assicurate non dalla autonomia del proprio sistema biologico ma solo dalla potenza della tecnologia medica, oppure è forza vitale in continuo divenire che preme per essere liberata da un corpo che da se stesso non sarebbe più in grado di contenerla? E chi ama di più la vita: la suorina che vorrebbe continuare ad alimentare forzatamente la donna in coma o il padre che ha scelto di generare di nuovo la figlia liberando la forza vitale di lei imprigionata da sedici anni in un corpo incapace di funzioni vitali autonome?
E non è tutto. Perché l’interrogativo riguardante la vita e la morte di Eluana è forse la domanda fondamentale che accompagna l’umanità fin dalla sua origine e che costituisce la spinta della trasformazione creatrice. Eluana è tutti noi, è ogni donna e ogni uomo.
Mia figlia - ha detto a più riprese il padre di Eluana - aveva un senso del morire come parte del vivere e non avrebbe accettato di essere una vittima sacrificale di una concezione sacrale della morte come realtà separata e opposta alla vita.
Può darsi che sfugga la pregnanza di un simile messaggio. Ma è proprio lì in quell’angoscioso intreccio di vita/morte che si radica da sempre ed oggi in modo particolarmente intenso la spinta della evoluzione culturale.
Al fondo della crudeltà insensata che tutt’ora insanguina il mondo c’è la persistenza di un senso alienato della vita derivante dal dominio del sacro e dalla sua penetrazione nella società moderna. La vita è sacra. È un principio etico fondamentale. Ma è sacra in quanto parte della sacralità di un tutto in divenire che comprende finitezza e morte. Questo dice la saggezza dei secoli a chi ha orecchi per intendere. La cultura sacrale invece separa la vita dalla sua finitezza.
La vita viene sacralizzata come dimensione astratta contrapposta alla dimensione altrettanto astratta della morte. La sacralità, intesa come astrazione, separazione e contrapposizione fra le varie dimensioni della nostra esistenza, è la proiezione di un’angoscia irrisolta, di una frattura interna, di una mancanza di autonomia e infine di una alienazione della propria soggettività nelle mani del potere.
La critica che è rivolta alla gerarchia cattolica ormai da molti credenti, compresi tanti teologi e teologhe di valore, riguarda proprio la incapacità a liberarsi e liberare dal dominio del sacro. "La proprietà dell’Evangelo è quella di metterci in una intransigente lotta contro il sacro … in quanto la sacralizzazione è la stessa cosa che l’alienazione dell’uomo … ma noi dobbiamo constatare che la fede cristiana si è come corrotta, imputridita …". Queste affermazioni forti di padre Ernesto Balducci sono condivise da molti nella Chiesa e sono alla base della critica per l’intransigenza della gerarchia verso le posizioni etiche espresse da Eluana e dai genitori di lei.
È un compito immane la liberazione del profondo dalla cultura sacrale che genera violenza. Bisogna andare finalmente alle radici, individuare e tentar di sradicare il gene della violenza che cova in tutto l’apparato mummificato, simbolico e normativo, delle culture del sacro tanto laiche che religiose.
Ognuno deve fare la sua parte, dovunque si trova ad operare, usando gli strumenti di conoscenza e di saggezza che gli sono stati forniti dall’esperienza di vita e dalla rete delle relazioni che ha potuto intrecciare.
Eluana e suo padre stanno facendo la propria parte. Seminano senso positivo della vita con sofferenza e con forza.
A loro dobbiamo essere profondamente grati.
fonte: 20 luglio 2008 l'Unità
Il caso di Eluana ci pone una riflessione sul senso della vita
Don Raffaele Garofano Pacentro (Aq)
Don Raffaele Garofano Pacentro (Aq)
La morte appartiene alla vita, diceva Eluana.
Nella cultura cristiana la morte è addirittura definita «il giorno della nascita» alla vera vita.
Il caso di Eluana ripropone una riflessione sul senso della vita, di quando essa possa essere ritenuta tale; se si possa o si debba lasciare alla malattia di fare il suo corso; se sia legittimo decidere della propria sopravvivenza di fronte ad una "vita" che tale più non può definirsi, crocifissi in un letto di morte anticipata, senza pensare, parlare, provare emozioni; se sia legittimo fare il testamento biologico disponendo delle proprie volontà. Sono interrogativi che un cristiano si pone e ai quali certamente non si può dare una risposta definitiva e gravosa come l'intervento del card. Bagnasco e le posizioni impietose di certa stampa cattolica. I vescovi hanno affermato di «non poter tacere» sulla drammaticità della sentenza che autorizza l'interruzione dell'alimentazione artificiale ma in molte nazioni cattoliche, dove esiste la pena capitale, la Chiesa "tace", non è così drastica nel condannare la pena di morte né altrettanto zelante nel difendere la vita umana. Il padre di Eluana insiste nel voler salvaguardare la volontà della figlia e invita la Chiesa, quando proclama i "suoi" principi, ad una maggiore riflessione e coerenza e al rispetto delle leggi di uno Stato laico. Dopo aver lottato e sofferto per 16 anni, Beppino Englaro chiede di «fare in modo che la natura riprenda il suo corso che è stato interrotto da protocolli rianimativi che hanno portato Eluana allo stato vegetativo permanente: una condizione innaturale…clinicamente creata e dalla quale clinicamente se ne deve uscire». Pare che anche papa Wojtyla abbia rifiutato terapie ormai inutili.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, redatto dall'allora card. Ratzinger, al capitolo "Il rispetto per la vita umana", 2278, recita: «L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'"accanimento terapeutico". Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente».
Sembra che Ratzinger abbia scritto queste parole pensando a Eluana.
Al card. Bagnasco e ai vescovi sarà mancato il tempo per leggere il Catechismo di Benedetto? Appaiono illuminanti le parole di don Gino Rigoldi sul "Corriere" del 15 luglio: «L'essere cristiani non è lanciare anatemi, farsi portatori di massimalismi, scegliere per forza di stare dalla parte del bianco oppure del nero. Nel caso di Eluana ci troviamo davanti ad un dramma di una delicatezza assoluta. Il Vangelo non è un'arma da taglio».
La legittima pluralità di opinione nella Chiesa
in relazione alla scelta del padre di Eluana e alla sentenza della Cassazione
Firenze 18 dicembre 2008
In questi giorni, sulla stampa e alla TV, è tornato alla ribalta un dibattito avvenuto già in passato, in un’occasione simile, per la morte di Welby. Anche questa volta il dibattito coinvolge appassionatamente persone e gruppi.
L’occasione è stata la sentenza della Cassazione che autorizza la sospensione dell’alimentazione artificiale di Eluana Englaro in coma irreversibile ormai da 17 anni.
Nell’opinione pubblica si sta affermando la convinzione che la Chiesa su questo problema ha una posizione uniforme e monolitica, cioè la scelta del padre di Eluana e la sentenza della Cassazione sono inaccettabili. In altre parole, ancora una volta, si identifica la Chiesa con il Papa e i Vescovi, dimenticando che il popolo cristiano è una realtà composita: ci sono le Comunità parrocchiali e i gruppi, i laici e i preti, i religiosi e le religiose, i Vescovi e il Papa, con la presenza dello Spirito che dà forza a tutti coloro che sperano e credono. Tutto questo in una diversità di funzioni, ma in una comune responsabilità.
Noi intendiamo affermare che nella Chiesa, a tutti i livelli di responsabilità e di partecipazione, c’è una legittima pluralità di opinione a questo riguardo. Ed è una grande ricchezza che sia così.
Il Cardinale Carlo Maria Martini scrive sul ‘Sole 24 Ore’ del 21 gennaio 2007, e ci risulta che la sua posizione non è isolata:
"La crescente capacità terapeutica della medicina consente di protrarre la vita pure in condizioni un tempo impensabili. Senz'altro il progresso medico è assai positivo. Ma nello stesso tempo le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona.
È di grandissima importanza in questo contesto distinguere tra eutanasia e astensione dall'accanimento terapeutico, due termini spesso confusi. La prima si riferisce a un gesto che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte; la seconda consiste nella "rinuncia ... all'utilizzo di procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo" (Compendio Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 471). Evitando l'accanimento terapeutico "non si vuole ... procurare la morte: si accetta di non poterla impedire" (Catechismo della Chiesa Cattolica, n.2.278) assumendo così i limiti propri della condizione umana mortale.
Il punto delicato è che per stabilire se un intervento medico è appropriato non ci si può richiamare a una regola generale quasi matematica, da cui dedurre il comportamento adeguato, ma occorre un attento discernimento che consideri le condizioni concrete, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. In particolare non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete — anche dal punto di vista giuridico, salvo eccezioni ben definite — di valutare se le cure che gli vengono proposte, in tali casi di eccezionale gravità, sono effettivamente proporzionate. Del resto questo non deve equivalere a lasciare il malato in condizione di isolamento nelle sue valutazioni e nelle sue decisioni, secondo una concezione del principio di autonomia che tende erroneamente a considerarla come assoluta. Anzi è responsabilità di tutti accompagnare chi soffre, soprattutto quando il momento della morte si avvicina. Forse sarebbe più corretto parlare non di "sospensione dei trattamenti" (e ancor meno di "staccare la spina"), ma di limitazione dei trattamenti. Risulterebbe così più chiaro che l'assistenza deve continuare, commisurandosi alle effettive esigenze della persona, assicurando per esempio la sedazione del dolore e le cure infermieristiche. Proprio in questa linea si muove la medicina palliativa, che riveste quindi una grande importanza".
Noi ci sentiamo in sintonia con queste prese di posizioni e nelle nostre parrocchie, comunità di base, associazioni, molte persone le condividono, come a suo tempo condivisero la critica verso il rifiuto del funerale in Chiesa di Welby.
Don Renzo Fanfani (già) parroco di Avane, FirenzeDon Sergio Gomiti della Comunità cristiana di base dell’IsolottoDon Fabio Masi parroco di Paterno, FirenzeDon Enzo Mazzi della Comunità di base dell’Isolotto, FirenzeDon Alessandro Santoro prete della comunità di base Le Piagge, Firenze
2 commenti:
questa è la vera chiesa . quella che preferisco e che mi da la forza di continuare a crederci e di non dovermi vergognare
questa è la chiesa CRISTIANA da seguire perchè è UMANA!
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