30.10.13

PARIGI I WRITERS SONO RISORSA MENTRE IN ITALIA VENGONO REPRESSI O CONSIDERATI SCARABOCCHI ADOLESCENZIALI IN PIENA TEMPESTA ORMONALE



mentre in italia tali opere vengono o considerate generalmente tutt'uno con semplici scarabocchi adolescenziali o da gente che è ancora in piena tempesta ormonale oppure descritti  solo come   ( quello si che è vandalismo specialmente quando viene  fatto  sugli edifici storici e non abbandonati    ) a semplici  \  complesse tag per delimitare il territorio del proprio gruppo . Quando  invece  come potete notare  dal video dell'articolo sotto  e  dai vari link  i graffiti  non sono solo tag  .


Segno che mette in evidenza una cattiva informazione ed una ignoranza ed incapacità a guardare al di là della punta del suo naso e che a proposito di graffiti non sa nulla se non le tag che si trova sotto casa.Chi dice che "i graffiti sono delle opere d'arte" sarà esclusivamente condizionato dal fatto che determinati graffiti possono sembrare belli anche ad un occhio inesperto, perchè eseguiti tecnicamente con cura metodica, il che è vero . Ma << Nel writing le due realtà coesistono allo stesso tempo; i graffiti possono essere legali o illegali; ma prescindendo da una questione puramente soggettiva, esistono graffiti illegali che sono pietre miliari della storia "artistica" dei graffiti, ed esistono graffiti legali che sono "inquinamenti visivi" degni di essere ricoperti con un buono strato di quarzite bianca.Molti writer, quasi tutti, persino i più bravi hanno un passato o un presente legato all'illegalità, ma la maggior parte delle persone collegano purtroppo il prodotto finale di un'esecuzione solo sulla base della legalità o meno in cui esse vengono ultimate. A questo proposito lavori eseguiti legalmente o illegalmente dalla stessa persona vengono definiti arte o vandalismo, belli o brutti, spesso senza sapere che dietro alle due tipologie sta la stessa persona.I writer proseguono un percorso "artistico" che li porta ad esplorare l'ambito delle lettere in una ricerca che determina uno o più stili che vengono elaborati e modificati sulla base dell'esperienza, in ciò non c'è nulla di diverso da quello che fa un artista "ordinario". I writer stessi però odiano essere definiti artisti, perchè un artista punta nella sua carriera ad essere un bravo artista, cercando di collocarsi ad un buon livello di reputazione; il writer fa la stessa cosa, con la differenza che non trae guadagno generalmente da ciò che fa, e che nel suo ambito punta ad essere il migliore e basta. E' una questione principalmente competitiva, che taglia fuori ogni altro che non sia esso stesso un writer, perchè le lettere non possono essere comprese a pieno, se non si ha una dimestichezza tale con esse data solamente dall'esercizio che ti porta ad essere un writer. Ad un writer non importa l'opinione di un non-writer, è un mondo a sè stante, per questo prescinde da regole come la legalità; perchè nessuno per un writer può capire un graffito se non è un writer egli stesso.>>( da http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20070906113420AA0aJ4y  ) . 

E  visto che  come diceva Nanni Moretti in un famoso film  le parole  sono importanti non  sprechiamone  altre  troverete ulteriori news   nei  link sopra   e  andiamo al  post  vero e  proprio  

 corriere della sera del 29\10\2013

Paris 13, il paradiso dei graffiti

Quest'estate in Italia c'è stata un'escalation di repressione nei confronti dei writers, che a Milano sono stati anche condannati per associazione a delinquere. Il sindaco del 13° arrondissement di Parigi invece ha scelto un'altra strategia: trasformare questo fenomeno in risorsa.


29.10.13

a che punto siamo arrivati

posso capire  che le  cagate  dei cani    diano fastidio  . Ma  perchè  fare una cosa del genere  ?  
Ma invece di prendersela con gli imbecilli che dei padroni ( OVVIAMENTE SENZA GENERALIZZARE ) se la prende vigliaccamente e criminalmente con i cani .ma che ... di colpa ne hanno loro  . se proprio devi protestare fallo in maniera ironica   e centrando l'obbiettivo  come questa foto. sempre  a tempio  

no halloween americano si alle tradizioni locali come

da la  nuova  sardegna del 29\10\2013

anche la sardegna ricorda Lou Reed

dalla nuova  sardegna del  29\10\2013
Quella sera a cena con Lou e Patti alla Trattoria Rossi 
di Alessandro Pirina

OLBIA Portare Lou Reed e Patti Smith in concerto a Olbia fu, già di suo, un colpaccio da maestro, figurarsi riuscire ad averli insieme sullo stesso palco. 






Una missione impossibile. Ma non per Gianluca Vassallo, che convinse il poeta maledetto, scomparso due giorni fa a New York all’età di 71 anni, a esibirsi insieme alla sacerdotessa del rock sul palco del Molo Brin. Nel 2003 Gianluca Vassallo aveva messo su con la sua Ondata Sonica il Moon stereo festival. Una rassegna di 4 giorni che nell’arco di una settimana portò a Olbia quattro stelle della musica internazionale: Lou Reed, Patti Smith, Franco Battiato e Carmen Consoli. Una rassegna che ancora oggi, a distanza di più di 10 anni, viene ricordata come l’evento musicale più importante che la città abbia mai ospitato. Quattro concerti che richiamarono sul waterfront migliaia di persone da tutta l’isola. E non solo. Lou Reed, che non era mai salito su un palco in Sardegna - poi negli anni successivi approdò anche a Cagliari e a Santa Maria Navarrese -, si esibì il 27 luglio. «Avevo saputo che quell’anno doveva fare la tournee e che sarebbe venuto anche in Italia – ricorda Gianluca Vassallo, artefice della 4 giorni insieme a Carlo Calcina –. Mi interessai e proposi la tappa di Olbia. La trattativa andò avanti per un mese e alla fine arrivò l’ok». Il concerto fu un vero trionfo. Lou Reed entusiasmò il numeroso pubblico con tutti i suoi più grandi successi, fino alla standing ovation per «Perfect day» e «Walk on the wild side». «Avere Lou Reed in città e due giorni dopo Patti Smith mi sembrò un’occasione unica – continua il racconto Vassallo –. Per questo mi misi al lavoro per arrivare al duetto tra i due. Prenotai una barca a vela per Lou Reed, la moglie Laurie Anderson e il cagnolino. Per quattro giorni stettero in giro per le nostre calette per poi la sera fare rientro all’hotel Luna Lughente. Il giorno prima del concerto di Patti Smith andammo alla Trattoria Rossi, sulla spiaggia di Pittulongu. La tavola fu apparecchiata direttamente sulla sabbia e lì mangiammo tutti insieme con loro e le band. Poi a fine serata Lou Reed e Patti Smith si allontanarono per una passeggiata sulla spiaggia e insieme, al chiaro di luna, decisero la scaletta». L’indomani nessuno si aspettava la comparsa di Lou Reed sul palco insieme alla sacerdotessa del rock. Un evento eccezionale che non si era ancora mai registrato prima. E così, quando il poeta maledetto si affacciò - per la seconda volta in due giorni - al molo Brin la folla andò in visibilio e quello che era già di suo un avvenimento storico divenne per Olbia l’evento degli eventi.

28.10.13

Santu Jacu, un Cammino per riscoprire la Sardegna Sant’Antioco a Porto Torres

 da la  nuova sardegna  27\10\2013


Santu Jacu, un Cammino per riscoprire la Sardegna
A Codrongianos centocinquanta persone hanno percorso un tratto del tragitto che collega Sant’Antioco a Porto Torres
di Luca Fiori


 VIDEO Un tratto del Cammino di Santu Jacu

SASSARI. Non è importante la meta, ma il Cammino. Nessuna frase più di quella di Paulo Coelho, l’autore del più celebre dei libri sul Cammino di Santiago, può descrivere il senso del Cammino di Santu Jacu: il Cammino di Santiago de Compostela sardo, un percorso composto da una rete di sentieri lunga 1285 chilometri che attraversano l’isola da nord a sud e da est a ovest, collegando con un tragitto il più possibile vario e percorribile da persone con lo zaino in spalla, circa 100 comuni della Sardegna  .Il Cammino di Santu Jacu, nato da un’intuizione avuta sei anni fa da Umberto Oppus attuale sindaco di Mandas, è stato pensato e tracciato in sintonia e coerenza con l’andare all’imbarco degli antichi pellegrini verso ovest a Santiago de Compostela o a est verso Roma e Gerusalemme, riuscendo a collegare la maggioranza delle chiese dedicate a San Giacomo l’apostolo esistenti in Sardegna, più i resti di alcune in rovina. A differenza del Cammino di Santiago, che parte dai Pirenei francesi e si conclude nella capitale della Galizia (davanti alla tomba dell’apostolo Giacomo) quello sardo non ha un inizio e non ha una fine: si può partire da Sant’Antioco in direzione Porto Torres e viceversa. Il Cammino di Santu Jacu non ha una meta, perché come dice Coelho non è quella la cosa importante. Con questo spirito, certi che l’importante era il Cammino, un gruppo di volontari (non solo sardi) quattro anni fa si è messo a studiare storia, preistoria e protostoria, usi e costumi, tradizioni e vie di transumanza e di pellegrinaggio dell’isola, senza tralasciare bellezze naturali, orografia e sentieri esistenti, parchi naturali e possibilità di alloggio. Il Cammino sardo è nato così e oggi, dopo tanto lavoro, è una realtà.

Ieri lo hanno sperimentato un gruppo di pellegrini e amanti del trekking che ne hanno percorso una piccola tappa partendo da Codrongianos. In 150, forse di più, si sono dati appuntamento nella piazza del paese e a piedi, in bicicletta e a cavallo, si sono messi in cammino in direzione della basilica di Saccargia, passando per vecchi sentieri riscoperti, su cui i volontari hanno tracciato la freccia gialla e la conchiglia: i simboli del Cammino di Santiago, quelli che i pellegrini di tutto il mondo trovano sul sentiero che attraversa quattro regioni della Spagna e che dal 1985 è stato dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Tre ore di passeggiata in mezzo alla natura per immergersi nello spirito del Cammino e lasciare a casa, almeno per mezza giornata, pensieri e preoccupazioni. Tutti gli abitanti di Codronagianos si sono adoperati perché i pellegrini e gli appassionati di trekking arrivati da ogni angolo dell’isola si sentissero a loro agio. L’accoglienza è stata calorosa e a fine mattinata, dopo la visita a Saccargia, la fatica di tutti è stata ricompensata con i migliori prodotti della zona. Questo è lo spirito del Cammino di Santu Jacu: restituire ai sardi e offrire a chiunque venga in Sardegna un altro modo di riscoprire l’isola e le sue tradizioni. La giornata è stata arricchita dalla proiezione del filmato della “pellegrina francese” Isabelle Duchene, una delle prime a percorrere il Cammino sardo, a piedi da Sant’Antioco a Orosei. Campionessa di marcia, la pellegrina alcuni anni fa ha percorso 30 chilometri al giorno in media, un sacco in spalla, viaggiando di giorno, e dormendo dove capitava. Il Cammino di Santu Jacu nasce dall’accordo di 9 comuni, ma il sogno dei volontari che lo hanno creato è di coinvolgerne almeno altri 100, ipotizzando di arrivare a 2.500 passaggi annuali, nell’arco dei prossimi 5 anni. «Con l’afflusso di camminanti, pellegrini, turisti, associazioni e gruppi - dicono - il risveglio economico dei piccoli centri diventerà quasi spontaneo, come è successo in Spagna negli anni 2000». Perché l’importante non è la meta, ma il Cammino.

dai commenti della nuova sardegna


Lukas Baffo · Villasor
Sono d'accordo con la frase finale"L'importante non è la meta , ma il cammino". In questo modo(bisognerebbe sensibilizzare tutti a partire dai ragazzi delle elementari) che la Sardegna, è adatta , come Santiago di Compostela, a questo tipo di cammino che fa bene al fisico e alla mente. certamente ci vuole molta forza di volontà. Ma è molto economico e soprattutto s'impara a riscoprire le bellezze di quest'isola che come diceva Marcello serra "...è quasi un continente..." Ho fatto tante volte itinerari di 13 giorni , o di una settimana , a tappe intorno alla sardegna ,costa -costa- oppure sempre in Cinquecento all'interno dei paesetti delle varie zone della Sardegna suklcis-iglesiente, Campidano -Marghine-La Nurra, Baronia-Ogliastra-Sarrabus ecc, ma a piedi non mai sperimentato questa emozione....ho 65 anni ma chissà ho ancora molta forza e soprattutto molto tempo....sarebbe una nuova e bellissima esperienza ,sana e culturalmente molto utile

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Andrea Vitiello · ITN Nautico carloforte
gli amici del cammino di santu jacu sono a disposizione per qualsiasi cosa,visitate il nostro sito www.camminando.eu nei cammini italiani troverete tutto sul cammino sardo e le mail alle quali scriverci per avere dettagli maggiori,sara' un piacere esservi di aiuto
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come se non bastassero i soliti luoghi comuni su noi sardi adesso anche mafiosi ci fanno diventare : << L'Isola in vetrina per i turisti è rappresentata da 2 mafiosi>>

  da  www.unionesarda.it 

La Sardegna secondo i produttori di souvenir: un uomo con la coppola in testa, i baffi, una cravatta rossa sulla camicia bianca e un completo nero.




Il tutto accompagnato da una scritta: "u mafiusu". Sotto, per completare il quadro, spuntano anche le canne di un fucile. Che, a occhio e croce, potrebbe sembrare una lupara. La donna accanto? Velo nero in testa, vestito tradizionale bianco e rosso. Anche lì c'è una didascalia: "a mafiusu". Nel piedistallo, bianca su sfondo marrone, la dicitura: Sardegna. Un po' di confusione: vero che si parla sempre del pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata. Ma, a quanto raccontano gli esperti, nell'Isola la mafia, in pianta stabile, non c'è e non c'è mai stata".
L'Ansa ha scoperto la statuina tra le tante messe in vendita in un negozio di souvenir in via Baylle, nel cuore della Marina, a pochi passi dal porto di Cagliari. Un errore che sicuramente non farà fare salti di gioia ai puristi dell'identità sarda. Il souvenir -si trova in mezzo ad altri prodotti dello stesso tipo in cui l'essenza della Sardegna è rappresentata dai soliti clichè: un faro sul mare azzurro, una pecora, un nuraghe o un cestino con vino e pecorino.
CAGLIARI. Un tempo in Sicilia si vendevano ai turisti le statuine di Turiddu, "u mafiusu" e Mara, "a mafiusa". Quei souvenir, in versione riveduta, cioè solo senza i nomi di battesimo, sono arrivati anche a Cagliari, e sulla base di u mafiusu e a mafiusa c’è scritto SARDEGNA. I commercianti, tutti stranieri, giurano di essere vittime: Kabir, originario del Bangladesh, a Cagliari dal 1998, guarda e riguarda quell’oggetto che ha messo in vetrina nel suo negozio di via Baylle, a pochi passi dal porto. «Non mi praxiri» (non mi piace) dice in casteddaio stretto. Forse c’è da credergli dal momento che vive qui da quindici anni e la mafia, ma anche l’intolleranza razziale, da queste parti, non l'ha mai vista.Ad avere responsabilità sono certamente i produttori di quella statuina in vendita nelle botteghe della Marina. Da lontano, in una fabbrica di chissà quale continente, hanno scambiato un’isola con l’altra e anche abbigliamento e particolari dato che l' uomo del souvenir sardo ha la coppola in testa, non la berritta, i baffoni neri e porta una cravatta rossa sulla camicia bianca e pantaloni e giacca neri e una lupara.La donna accanto ha il velo nero in testa e il vestito tradizionale bianco e rosso della Sicilia. Non sembra proprio un costume sardo. Ma anche lei è accompagnata dal bollo di mafiusa. La confusione insomma sembra tanta, la pubblicità per la Sardegna in ogni caso pessima, se questo è il ricordo che devono o possono portare via i turisti che arrivano da altri Paesi.È vero che si parla spesso del pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata, che viene denunciato l’arrivo dei mafiosi, ma a quanto sostengono gli esperti, Cosa nostra qui non ha ancora messo radici. Resta quindi il caso della statuina che si trova in mezzo ad altri prodotti dello stesso tipo, e sempre di pessima fattura, in cui l'essenza della Sardegna è rappresentata da un faro sul mare azzurro, da una pecora, da un nuraghe o da un cestino con vino e pecorino.L’errore sicuramente farà torcere il naso a più di un sardo che non troverà la faccenda spiritosa. Kabir, intanto, è mortificato. «È sbagliato – dice – prometto che non le comprerò mai più. Quante ne ho venduto? Mi sembra nessuna, forse solo una, a un turista». Di certo non si è ricoperto d'oro: il souvenir costa appena un euro. «I sardi – si affretta ad aggiungere il venditore – brava gente: mi sono trovato benissimo qui. Peccato (e strofina il pollice con l'indice) che i soldi in giro siano pochi».Ma da dove arriva l’oggetto incriminato? «L'ho comprata all'ingrosso», dice. Ergo, non è il solo a venderlo. Anche se non è in vetrina, infatti, è in esposizione nelle botteghe degli stranieri della zona. E dunque basta girare l'angolo ed eccone un' altro identico.La titolare del negozio è una cinese. E anche lei prende le distanze: «Sbagliato, sbagliato – si affretta a dire – volevamo rimandare indietro».Tutti si giustificano, come se non vedessero quello che comprano, mentre cominciano ad arrivare le prime reazioni politiche. Federico Ibba, portavoce regionale Udc, interviene su facebook e sollecita meno buonismo e un fermo intervento da parte del Comune e della Regione.«Facciano luce su questo episodio gravissimo e soprattutto provvedano a creare le condizioni affinché almeno i nostri souvenir vengano ideati e prodotti in Sardegna – dice – . Immagino le migliaia di turisti che arrivano con le navi da crociera e che portano a casa questa rappresentazione dei sardi. Se gli oggetti fossero prodotti da aziende dell’isola, questo non accadrebbe».
ci  stiamo preparando ad essere colonizzati ulteriormente  dalle mafie  vistpo che  nlle carceri sarde  ci stanno mandando  mafiosi  al  41 bis  o si tratta   di  un errore o creazione  di pessimo gusto  ?



Quaranta giorni di occupazione, la guerra dei pozzi nella miniera



unione  sarda   27\10\2013  Quaranta giorni di occupazione, la guerra dei pozzi nella miniera

Quanti sono rimasti? Antonio Piras prende a colpo sicuro una delle fotografie che ha sistemato sul tavolo di cucina in attesa dell'intervista, la prima della sua vita, probabilmente l'unica. Cinque figli, ottantotto anni, sette pacemaker, ha gli occhi appena velati e una memoria da quiz televisivo. Le mani, curatissime e legnose, sono segnate da tante piccole cicatrici. Quel che resta è la lucidità e la forza di un vecchio combattente.
«Quanti siamo rimasti?» Prende la foto di gruppo, sbiadito bianco e nero, scattata in un tempo lontano e imprecisato. Tutti giovani, camicie candide della giornata di festa e pantaloni larghi, col risvolto, come quelli che usavano i ricchi. Ridono, abbracciati come una squadra di calcio che ha appena vinto il campionato. Sono più d'una decina, tutti con lo sguardo verso l'obiettivo e il sorriso d'ordinanza. L'indice di Antonio Piras li scorre uno per uno. «Peppuccio non c'è più, Lorenzo nemmeno, Tore forse...». Fa l'appello e alla fine dovrebbero essere solo due a poter rispondere: lui e un collega che abita in un paese vicino. «Chi, come me, è nato a Buggerru, in miniera finiva per forza». I ricordi, man mano che parla, si fanno più nitidi, riaffiorano nomi e storie che non possono essere dimenticate. Come il suicidio di quel compagno di lavoro che aveva scelto un luogo singolare per farla finita: «Si era impiccato a una trave della galleria. Lo abbiamo trovato appeso, rigido». E neanche una lettera, un segnale, qualcosa che aiutasse a capire.
Piras ha cominciato a lavorare che aveva quindici anni. In miniera non lo hanno fatto scendere nei pozzi finché non ne ha compiuto diciotto. L'apprendistato («eravamo trenta manovali e venti maestri di muro») durava da otto a dieci ore al giorno, sei giorni su sette, per un salario da fame: non a caso Buggerru finirà sulle cronache nazionali dei giornali per i suoi morti, i minatori non andavano in paradiso, allora (e neppure adesso).
Anche se appartiene ad un'altra generazione, Antonio resta un sopravvissuto di sempre. Prima elementare, giusto per capire cosa significasse leggere e scrivere, destino segnato come quello dei ragazzi della sua età, ha attraversato la vita con serenità e senza invidia. Si considerava (e si considera) un privilegiato per aver potuto lavorare da subito mentre tutt'attorno vivevano assediati dalla povertà. In fondo, non ha rimpianti. Solo un lampo d'emozione quando gli si chiede di tornare al tempo dei tempi.
A che quota ha lavorato?
«Meno centocinquanta a Carbonia, settanta sotto il mare a Buggerru. Ero armatore».
Cioè?
«Il compito della mia squadra era quello di armare le gallerie, in pratica dovevamo sistemare l'intelaiatura di legno che reggeva le gallerie. Quando si apriva una nuova via bisognava stare proprio dietro quelli che perforavano per mettere tutto in sicurezza».
Rischi?
«Tanti ma non stavi lì a guardarli in faccia. Nei fornelli, che sono i buchi appena fatti, io dovevo occuparmi della pulizia, rimuovere il materiale, insomma preparare la piazza agli armatori. Che ero sempre io».
Infortuni?
«Abbastanza però li posso raccontare. Scavando scavando ti fai male alle mani, io tre volte ma niente di serio. Ti ricucivano in infermeria».
Paura?
«Quando facevano scendere il materiale nelle nuove linee c'era da stare attenti alle frane. La montagna fa scherzi: un conto è romperla di fronte, altro conto è quando scende di lato. Tutto all'improvviso succede e finisci sotto. Mi ricordo quella volta che Tore si è sentito male. Io ero a un fornello e lui gridava Tonio, Tonio aiutami».
Che c'entra la paura?
«Lasciami finire e lo capisci anche tu. Tore era per terra, aveva dolori al petto, allo stomaco. Non riusciva a stare in piedi. M'è venuta la disperazione. L'ho raccolto da terra, al diavolo il fornello, e me lo sono caricato sulle spalle. Pesante a reggerlo, mi'. Risalivo piano piano e siccome non lo sentivo più lamentarsi, avevo paura che era morto. Alla fine ce l'ho fatta a portarlo fuori. Alla luce. Mica come l'altro a Carbonia».
Perché, cos'è successo a Carbonia?
«Lì, dove ho fatto carbone per tre anni prima di venire a Buggerru a scavare zinco, uno si è sentito male. Gridava gridava, poi ha smesso. Quando lo abbiamo riportato su, non si muoveva niente. Gli hanno messo un telo sopra, mischino».
Morti da frana?
«No. Frane ne ho visto molte ma sotto non ci sono finito. Non ho nemmeno visto morire mio fratello: lavorava in miniera come me, a Montevecchio. Stava scaricando legna, gli è mancato di colpo l'ascensore, che l'avevano chiamato, e lui non poteva vederlo che non c'era perché aveva la legna addosso ed è precipitato nel pozzo: quaranta metri. E mio cognato, allora?»
Suo cognato?
«Schiacciato da una gabbia».
Cos'è la gabbia?
«Vuoi che te lo dica in dialetto? La gabbia è una gabbia come tutte le gabbie, con le sbarre: serviva per farci scendere nei pozzi».
Vi faceva compagnia la paura.
«Rischiavamo tutti: noi, i capiservizio, i sorveglianti. L'importante era non pensarci alla paura altrimenti non riuscivi a lavorare. E lavorare dovevi».
Malattie.
«A Carbonia ho preso il tifo ma non sapevano cos'era. Era tifo a tutta forza, febbre altissima e pensavano che bastava una copertina leggera. Ma neanche allora m'hanno voluto in camposanto. Poi ho fatto i calcoli renali: ventisette. Colpa dell'acqua che bevevamo giù, non era potabile potabile».
Silicosi?
«Al settanta per cento. Mio padre, che anche lui lavorava in miniera, non ha fatto in tempo ad ammalarsi: è morto prima di prendersela, la silicosi».
Si considerava fortunato ad avere un lavoro?
«Un po' di fortuna l'ho avuta: tanti incidenti e sono ancora qui a raccontarla. Il fatto è che ho stretto amicizie in miniera. E questo ti salva».
Perché?
«Se i compagni ti vogliono bene, se si tratta di amici veri, sono pronti a rischiare per salvarti, pronti a darti un aiuto se tu - com'è capitato a me - tiri fuori dalla terra una mano squarciata».
Cosa facevate nel tempo libero?
«Svaghi vuoi dire? Non ce n'erano. Quando finivo in miniera, se il mare non era cattivo andavo a pescare coi fratelli Di Giordano e Palmas. A remi. A remi fino davanti a Ingurtosu siamo arrivati, e se c'era un'altra barca tutti a gara a chi arrivava prima. Quanto pesce ho portato a casa: allora ce n'era, ma ce n'era sul serio. Poi, quando il mare non faceva, seguivo il giardino che avevamo. Anche la zappa è dura, lo sai?»
Scherzi.
«In miniera, certo. Ci fregava che eravamo giovani e tante volte non pensavamo alle conseguenze. Per esempio quando abbiamo messo uno stivale pieno d'acqua sulla porticina del piazzale. Adesso lo posso dire: lo sapevamo benissimo che il prossimo a entrare era il capomaestro dei muratori. Unu malu . Entra, quindici litri d'acqua addosso s'è beccato. Ci è costato il mese quello scherzo».
Il mese?
«Multati. Tutto il salario del mese. Ne mettevano una quantità di multe. Ma quella volta ce la siamo meritata. La parete della montagna era piena di buchi a mare. Uno, che è diventato famoso, ora vanno perfino a visitarlo i turisti. Dai buchi, in alto, aspettavamo il cambio-turno: rovesciavamo l'acqua in testa a quelli di sotto e quando alzavano la testa non vedevano nessuno. Vai e scoprilo da quale buco avevano fatto il gavettone».
Scioperi.
«Io scioperavo sempre. Sono stato dieci volte a Roma, piazza san Giovanni. Andavamo a protestare, a chiedere condizioni migliori».
E salari più alti.
«Beh, sotto sotto a quello pensavamo. Non è un diritto avere un po' di soldi e sentirti più libero? Io non ne ho bruciato uno di sciopero».
In chi sperava, il partito o Dio?
«Speravo di incontrare gente seria, gente che si rendesse conto di che vita facevano i minatori in Sardegna. Fiducia? Un po' in Dio e un po' nel partito, dipendeva dalla volta».
Donne di miniera.
«Non erano per niente escluse. Oltre mia mamma, tante altre. Avevano il compito delle pulizie e di scaricare i vagoni che arrivavano su, selezionavano il materiale buono da quello che era pietra e basta».
Crumiri.
«Quattro o cinque. Ma è una razza: c'erano e ci saranno sempre, non muoiono mai. Bisognava stare attenti, allora: se ti allontanavi dalle masse, come diceva il sindacalista Daverio Giovannetti, correvi rischi e favorivi la controparte. Io, che da giovane avevo un buon carattere, non riuscivo a sopportarli, i crumiri. Una mattina che eravamo tutti nel piazzale per scioperare ne ho visto uno entrare al lavoro. Gli ho lanciato una trave».
Colpito?
«No, per fortuna. Ma l'ho sfiorato. Se l'avessi colpito avrei perso il lavoro, mi avrebbero licenziato in tronco. È che quando sei giovane la rabbia ti chiude il cervello, fai cose che a mente fredda non faresti. Io, per esempio, odiavo i crumiri ma non mi interessava aggredirli. Bastava che sul lavoro non gli dicevo neanche ciao al cambio-turno».
Padroni.
«Vederli era difficile. Avevano una palazzina dove nessuno di noi poteva avvicinarsi. Mangiavano per conto loro. Ogni tanto scendevano giù, accompagnati dai capiservizio, qualche volta ci rivolgevano la parola, altre volte zitti. E poi scappavano perché avevano paura di perdere l'aereo. Era gente che aveva sempre fretta, quella».
Caporali.
«I nostri si chiamavano capiservizio oppure sorveglianti. Ce n'erano gentili. Altri sgarbati, ma così sgarbati che mi veniva voglia di prenderli a calci. E lo avrei fatto, era che ci perdevo il posto. Perché allora non è come adesso che prima di licenziarti ce ne vuole, e ce ne vuole molto. No, ai miei tempi bastava poco: un lavoro fatto male, una risposta maleducata, una lite tra compagni. Bisognava fare davvero attenzione».
Il ricordo più vivo?
«Quaranta giorni di occupazione. Ci portavano un po' di pane per non farci morire di fame. Dormivamo a turno un po' dove capitava. Il tempo non passava mai, c'era un giorno di ottimismo e uno di disperazione. Quaranta, sono lunghissimi: sembrava che i padroni non si arrendevano mai».
Com'è finita?
«Come dicono oggi alla televisione: tavolo di trattative. Noi abbiamo ottenuto un po' di quello che chiedevamo e loro un po' di quello che pretendevano. Non è stata una gran vittoria se penso che ci è costata quasi un salario e mezzo. Le ore non passavano, il tempo sembrava fermo. C'era una staffetta che garantiva i viveri, da casa mi mandavano qualcosa tanto per non farsi sentire lontani lontani...».
Ha mai odiato qualcuno?
«Odiato proprio no però - non posso fare il nome perché forse è vivo ancora - non ho dimenticato il caposervizio che mi ha insultato. Era insieme al dirigente Biagi e io mi ero permesso di proporre un rafforzamento della galleria. Mai l'avessi detto: ma cosa ne capisci tu, cosa ne sai, sei solo stupido. Sarò stato anche stupido ma avevo ragione perché il dirigente l'ha guardato e gli ha detto: fate come dice lui».
Incontravate i dirigenti durante la passeggiata serale?
«Mai. Nella miniera c'era anche una casa degli impiegati dove potevano entrare solo gli amministrativi, i capiservizio e i sorveglianti. Noi no, manco per le feste. È così la miniera, figli e figliastri».

27.10.13

spesso i musicisti più bravi sono quelli senza etichetta e chi si auto producono il caso del chitarrista roberto palmas

vedere  anche
in questa  settimana , ho ascoltato ( meno male  che  era un cd   , altrimenti avrei consumato il disco   e\o la puntina  )  i due  cd   solisti   : Lo spirito   della terra  e mani come nuvole   del chitarrista   Roberto Palmas  . Egli  sa mantenere i toni calmi e chiari, senza arrabbiarsi troppo, soffrendo ma non agonizzando. in cui Roberto intende restituire alla chitarra il meritato ruolo di protagonista che spesso le è stato sottratto. In quest'ultimo disco, firma egli stesso tutti i brani maturando l'avvicinamento alla tecnica compositiva già iniziata precedentemente.

Lo "SPIRITO DELLA TERRA" è dedicato alla memoria della grande ballerina Isadora Duncan (1877-1927), autentica pioniera della danza moderna e donna dalla personalità visionaria e trasgressiva i cui ideali sull'arte e sulla musica sono stati fonte di ispirazione nella creazione di questo disco. La pubblicazione di questo lavoro, seguita da diverse esibizioni sia da solista che con piccole formazioni, riscuote un'accoglienza molto favorevole, testimoniata da vari articoli presso la stampa, e da recensioni su alcune riviste specializzate nazionali.


Mani  come nuvole

   <> da  facebook più  precisamente  https://www.facebook.com/events/342188995910556/

 

In entrambi  i cd  Roberto    si dimostra  un chitarrista difine bravura strumentale, capace di rileggere con la sua chitarra acustica, in modo discreto ed elegante anche pagine più che famose di Villa Lobose Francisco Tarrega (rispettivamente la celeberrima Choros n.1 ,  Isabel ,Lagrima ),rendendo manifesta una vera passione rispettosa per Quique Sinesi del cui repertorio vengono riproposti ben quattro brani: Solo, Estudio para pua n.2, Cancionen nueve, Cascadas
Complessivamente  .Un  Tocco leggero, quasi di velluto,precisione nell'arpeggio e buona esecuzione in Roberto Palmas si accompagnano all'esecuzine . << la nota più interessante  di un album, tutto sommato assai gradevole e che sul piatto scivola molto bene la una bella vena compositiva. >>  (  Walter Porcedda   la nuova  02 ottobre 2002 )  .
I suoi  tre  (  io ne  ho ascoltato due  , ma  basta  ed  avanza  per  esprimere  un giudzio    globale  )  cd sono di   buon livello.  le  canzoni  più belle  ?   del  secondo  Japa, Microtango, Guardando lontano ., del primo  viaggio  , desiderio   arc  en ciel  . Ho viaggiato   tra echi latini e sardit, insomma  un pensare globale   agire locale   cioè guardare   avanti  ma  senza   gettare ialle ortiche il  proprio passato  \  la  propria  cultura   , le proprie   radici  . Indìsomma  : <<  tre piccole perle di un musicista da tenere d'occhio. >>  secondo Walter Porcedda, le  potenzialità ci sono  .
 Unica pecca  , ma  non toglie  spontaneità , freschezza , talento è che  pur  avendo   tutte le caratteristiche  , è  quello di rimanere  limitato  all'auto produzione e  ad essere senza  etichetta   e  non   andare oltre  un pubblico di nicchia  e di specialisti   Infatti per potermi  procurare  i  suoi  cd   ho dovuto fare  i salti mortali ed  grazie  a  un amico musicista    sono riuscito  a trovare la  sua associazione  e da li mi  ha  contatto lui  . Me ne serviva  solo uno  da regalare , ma lui  è stato gentilissimo   e mi  ne  ha  fatto avere  due  )  i  suoi  cd   ho dovuto fare  i salti mortali ed  grazie  a  un amico musicista    sono riuscito  a trovare la  sua associazione  e da li mi  ha  contatto lui  .
Quindi  se   riuscite  a  procurarveli non ve ne pentirete

Cagliari, il medicinale per il Parkinson lo fa diventare un giocatore d'azzardo e la scelta del comune d'oristano per ridurre senza proib izionismo il gioco delle slot machine

a  chi dice  questa  storia  è  una  ..   purtroppo tutto  vero   facebook smiley grumpy  si legga   questo  articolo  che  parla di storie  simili    proveniente  da  un sito serio  come   http://www.parkinson-italia.it Se invece di commentare a vanvera vi informaste un pò.... Molti medicinali, sul bugiardino, riportano tra gli effetti collaterali quello di essere propensi al gioco d'azzardo. Non è una cavolata. Ed è vero quello che c'è scritto sull'articolo  <<  Nel mio paese c'è un uomo affetto dal parkinson. Ai tabaccai  >>  da un commento alla news  sulla pagina facebbok  dell'unione  sarda  <<è stato proibito di vendergli i gratta&vinci. Lui scappa addirittura da casa per andare a comprarseli nei paesi limitrofi. >> .
Ma  ora  basta polemiche   ed  ecco la storia  .

 Il calvario di Mauro Sainas e le pericolose controindicazioni di un farmaco

Dal Parkinson all'azzardo

Maniaco del gioco a causa delle medicine, ora è guarito









   Paolo Mauro Saias  dalla  pagina facebook dell'unione  sarda del 27\10\2013


La somministrazione giornaliera di un medicinale per curare il Parkinson e dà qui il calvario del gioco d'azzardo. Storia di un cagliaritano.
Il calvario di Mauro Sainas, cagliaritano, inizia nel 2009 con un tremolio alla mano: ha 42 anni quando gli viene diagnosticato il Parkinson.
Inizia la terapia con il Mirapexin e nella sua vita arriva un altro terribile problema: la voglia disperata di giocare. A qualunque cosa. Poker online, schedine, gratta & vinci, lotto. Un patrimonio andato in fumo.
Mauro si rivolge al centro delle dipendeze della Asl e qui scopre che è il farmaco prescritto per il Parkinson ad aver innescato in lui la ludopatia.Dal Parkinson al vizio del gioco, un legame subdolo e paradossale che passa attraverso un farmaco e regala conseguenze da incubo. La malattia invalidante di un corpo sempre più lento e affaticato si trasforma nella fame di scommesse e azzardo per colpa di un sistema di cure certificato dagli «effetti indesiderati».Il calvario di Mauro Sainas, cagliaritano, comincia nel 2009, con un tremolio alla mano. «Lì per lì non gli ho dato troppa importanza», racconta con la consapevolezza di chi sa che la sua storia è già scritta. Passano i giorni ma il tremolio non si ferma. Anzi, si fa più insistente. A febbraio del 2010 decide di rivolgersi a uno specialista. La visita dal neurologo segna l'inizio del suo primo incubo. «Mi disse che c'erano tre possibilità, una peggiore dell'altra: Sla, tumore o Parkinson». Gli esami approfonditi sgomberano il campo e danno l'amara certezza: è il morbo di Parkinson. Mauro a quel tempo ha 42 anni.IL MIRAPEXIN Inizia la terapia col Mirapexin: prima un dosaggio leggero per tre volte al giorno, poi un'unica somministrazione. Passa appena una settimana e si apre un altro scenario inquietante: la voglia pazza di gioco d'azzardo. «Sono sempre stato un uomo parsimonioso, non avevo mai comprato nemmeno una schedina. E invece mi son ritrovato a passare notti intere attaccato al computer.COME UNA DROGA Mi collegavo ai siti di poker online, attirato in un vortice senza ritorno». Migliaia di euro buttati via. «Era come una droga, non riuscivo a farne a meno». Poi sono arrivati i gratta & vinci e il dieci e lotto istantaneo.Giocare, giocare, giocare: il tarlo nel cervello non va via. Intanto il conto si prosciuga. Arriva la chiamata della banca. «Il direttore era un mio amico, mi chiese cosa mi stesse succedendo e mi bloccò la carta di credito». Ma il vizio è difficile da controllare. «Lavoravo alla Seruis automobili, sono arrivato a prendere ottocento euro dall'azienda. Dovevo giocare». L'incontro con una psicologa riporta un po' di luce, Mauro si rivolge al centro per le dipendenze della Asl. Lì la rivelazione: è il farmaco prescritto per curare il Parkinson ad aver innescato in lui la ludopatia. «Riandai dal neurologo su tutte le furie, nessuno mi aveva informato di questo effetto collaterale. Ho cambiato cura, e ho frequentato per sei mesi la terapia di gruppo a Senorbì. Oggi non gioco più».IL BUGIARDINO L'effetto collaterale è tanto incredibile quanto reale, tanto che dal 2005 compare tra le avvertenze del bugiardino. «Sino a qualche anno fa il problema non era ricollegato all'assunzione del farmaco. Oggi si conosce bene», spiega Giovanni Cossu, responsabile del centro Parkinson del Brotzu. «Tutti i farmaci anti Parkinson possono indurre a comportamenti compulsivi, alcuni più di altri. Il Mirapexin ha un rischio maggiore, ma i benefici sulla malattia sono tanti». Sono mille i pazienti in cura nella struttura di via Peretti, la disavventura di Mauro capita a pochi. «I casi di ludopatia dovuti alla somministrazione del farmaco non sono frequenti, ma nemmeno rari. Possono essere l'uno o il due per cento».
Sara Marci



il secondo articolo ed  il terzo  sempre dall'unione sarda del 27\10\2013


«Se eliminate tutte le slot machine Imu e Tares saranno meno care»  Il dato: spesi 20 milioni all'anno   





ORISTANO La strategia del Comune per debellare re la dipendenza da videogiochi Mentre in Parlamento si discute su una nuova proposta di legge per combattere il fenomeno, la città di Eleonora fa da apripista in Italia.Mentre in Parlamento si discute su una nuova proposta di legge per combattere il fenomeno, la città di Eleonora fa da apripista in Italia.Mentre in Parlamento si discute su una nuova proposta di legge per combattere il fenomeno, la città di Eleonora fa da apripista in Italia.
Ti piace vincere facile? , solo per lo slogan. Perché è più facile restare al verde inseguendo la dea bendata. Giochi d'azzardo e lotterie sono ormai un caso sociale tra aspettative di guadagni rapidi e dipendenze patologiche. Una vera emergenza a cui Oristano intende porre rimedio con una serie di sgravi fiscali per quei locali pubblici che mettono al bando le slot machine. La lotta di contrasto al fenomeno del gioco d'azzardo parte dal Consiglio comunale che ha previsto vari incentivi come sconti su Imu, Tares o imposte sulle insegne. 
L'ALLARME C'è chi si è indebitato per tentare la fortuna, padri di famiglia che si sono giocati l'intero stipendio. Casi estremi, ma non certo isolati: negli ultimi due anni il fenomeno è più che raddoppiato. «Una situazione da non sottovalutare assolutamente - commenta il consigliere comunale di maggioranza Roberto Martani - Il gioco d'azzardo crea dipendenza, sono sempre più numerosi gli adolescenti che rimangono vittime di questo sistema». Il problema è stato affrontato anche in Parlamento (decreto Balduzzi che prevede misure restrittive), ma adesso si parla di una nuova proposta di legge. E nell'attesa Oristano fa da apripista. 
LA PROPOSTA L'idea del gruppo consiliare Insieme, sposata dall'intera assemblea civica, è quella di puntare sulla prevenzione. «Nessun terrorismo verso gli esercizi commerciali che vendono i giochi su carta oppure coloro che ospitano le slot machine, ammessi dalla legge - va avanti Martani - però è un sistema che va regolamentato e in qualche modo scoraggiato». 
LE AGEVOLAZIONI L'obiettivo dell'amministrazione comunale è quello di mettere in piedi una campagna di informazione, rivolta soprattutto ai più giovani, per far conoscere i pericoli legati al gioco d'azzardo. Ma non solo: anche incentivare gli esercizi disposti a eliminare dal proprio locale i vari giochi con incentivi economici come sconti sulle imposte comunali, dal suolo pubblico alle insegne passando per la Tares e l'Imu. Nelle prossime settimane si lavorerà anche a un regolamento comunale che preveda ordinanze sulle sale da gioco per prevenire abusi. Si ipotizza una sorta di censimento dei locali per conoscere meglio la realtà e controllare il fenomeno. «Il problema è molto serio - ribadisce l'assessore ai Servizi sociali, Maria Obinu - ce ne siamo occupati diverse volte per casi isolati, ma adesso è indispensabile trovare adeguate soluzioni». Agli uffici comunali si sono rivolte persone che chiedevano contributi economici straordinari per situazioni di estremo disagio «salvo poi scoprire che i soldi servivano per giocare alle slot machine e comprare gratta e vinci». 
LE REAZIONI Per proprietari e gestori sarà un bel dilemma. Scegliere tra un mancato guadagno e un gesto di solidarietà (con sgravi fiscali). «La questione è molto complessa, anche perché questi giochi sono legali - commenta il presidente della Confcommercio Nando Faedda - per qualche locale sono lo strumento che consente di tenere in pedi l'attività». I dati della dipendenza da gioco sono allarmanti. «È ovvio che servono controlli e una maggiore regolamentazione. Ma non colpevolizziamo i proprietari dei locali". 


Valeria Pinna






è una bella iniziativa che serve a ridurre e forse anche sconfiggere senza crociate e proibizionismo un fattore a rischio molto grave specie in Sardegna . Infattti sempre dall'unione




Scatta l'allarme, cento pazienti in cura dai medici del Serd







ORISTANO In cura ci sono anche ragazzini di tredici anni. Un esercito di pazienti che soffre di "ludopatia", una delle nuove e più preoccupanti dipendenze. Al Serd di Oristano i casi sono in netto aumento negli ultimi tempi. Colpa della crisi economica, dicono gli esperti, e paradossalmente sono i più deboli a cercare alternative nel gioco d'azzardo e a tentare di racimolare qualche soldo. In media ogni cittadino spende milleduecento euro all'anno, in tutto l'Oristanese si giocano 20 milioni di euro.


Attualmente al Serd della Asl 5 sono in cura oltre 100 pazienti, di questi un quinto sono ludopatici puri cioè non sono affetti da altre dipendenze. Sotto osservazione degli specialisti anche una trentina di minorenni. Il fenomeno recentemente è finito sotto la lente d'ingrandimento di psichiatri, psicologi, educatori, assistenti sociali in un seminario organizzato dalla Azienda sanitaria locale. Gianfranco Pitzalis, responsabile del Serd, ha fatto sapere che «l'obiettivo è stato cercare di fornire gli strumenti per fronteggiare un fenomeno recente, ma dalle dimensioni allarmanti».


Nel centro di via Michele Pira arrivano pazienti da ogni angolo dell'Oristanese, l'età media è tra i 40 e i 44 anni, spesso i disturbi sono legati ad altre forme di dipendenza, come l'alcol. Nel tunnel finiscono sia gli insospettabili professionisti che persone con reddito basso. Secondo la Asl «il fenomeno è esploso in misura direttamente proporzionale al proliferare dei siti on line dedicati al gioco d'azzardo, dei "gratta e vinci" e dei tagliandi distribuiti negli spazi pubblici - fanno sapere - è stata registrata un'impennata con la crisi economica e infatti la dipendenza dal gioco ha implicazioni economiche, familiari e sociali devastanti».


Gli specialisti del Serd organizzano percorsi di cura specifici, che prevedono terapia psichica e farmacologica. E spesso vengono coinvolti anche i familiari del paziente. Il servizio di assistenza è stato dunque potenziato per far fronte alla nuova emergenza.
V. P.

l'amore non è solo sesso o storie stucchevoli baci e bacetti ( pussy pussy ) ..... .. ma anche storie del genere Stati Uniti, ragazza gli donò un rene lui la sposa tre anni dopo il trapianto

  toccante  storie  presa  sia  su http://oknotizie.virgilio.it/go.php?us=9c582b191177177  sia   sul quotidiano locale unione sarda   Sabato 26 ottobre 2013 17:08  da  cui  è preso  l'articolo sotto riportato

.. ma  anche  storie   
Stati Uniti, ragazza gli donò un rene lui la sposa tre anni dopo il trapianto



I due sposini

Due giovani statunitensi protagonisti di una storia a lieto fine. Prima il fidanzamento, poi un figlio e infine le nozze. Nel terzo anniversario del trapianto.
Chelsea Clair, una ragazza dell'Indiana, aveva 22 anni quando tre anni fa conobbe Kyle Froelich, all'epoca appena 19enne a un esposizione d'auto. Tra i due scattò il classico colpo di fulmine. Ma subito scoprì che il giovane aveva una gravissima disfunzione renale, diagnosticata quando aveva appena 12 anni. Le sue condizioni erano molto gravi. Ma da quel giorno la loro vita cambiò radicalmente. Chelsea, ascoltando la sua storia, decise subito di donargli un rene, malgrado lo avesse appena conosciuto. Tutto andò per il verso giusto. Le visite mediche dimostrarono che lei, come donatore, era perfettamente compatibile con l'organismo del ragazzo. Il trapianto ebbe successo. Ed esattamente tre anni dopo quell'operazione, il 12 ottobre, i due si sono sposati al Danvill Conservation Club, lo stesso luogo che ospitò la mostra d'auto in cui si conobbero per la prima volta. Un'unione molto profonda: circa un anno fa, la coppia ebbe un figlio, Wyatt, che ora ha 11 mesi.
LA STORIA - Come racconta la stampa locale, la loro storia sembra essere tratta da un copione di Hollywood: Kyle, appena ricevette l'offerta, sulle prime ringraziò ovviamente la ragazza, ma non si fece troppe illusioni. Già tante volte in passato amici, parenti, si erano detti disponibili al trapianto, ma mai nessuno sino a quel giorno aveva superato i test clinici. Così lui aveva quasi perso le speranze. Ma quella volta era diverso: Chelsea fece le prove proprio il giorno dopo aver conosciuto il suo futuro marito. E dopo lunghissime 4 settimane di paziente attesa, arrivò il via libera definitivo e le procedure di trapianto poterono finalmente avere inizio. Sei mesi dopo, Chelsea e Kyle, si svegliarono in ospedale dopo l'intervento, in due letti, uno a fianco all'altro, ognuno con un rene perfettamente funzionante. Esattamente tre anni dopo quel giorno così importante, hanno coronato il loro sogno d'amore. "Tra di noi esiste un legame che nessuno può capire, se non ha mai vissuto storie simili: lei non è solo mia moglie, ma la mia migliore amica", ha detto l'uomo. Quindi, scherzando, Chelsea ha replicato: "Il mio è un matrimonio d'interesse. Lui ha un mio rene, devo stare sempre attenta che lo tratti con tutte le cure del caso".

24.10.13

finalmente le banche fanno qualcosa di buono Banche sarde in guerra contro il gioco d’azzardo Coinvolti Banco di Sardegna e Banca di Sassari: carte di credito inutilizzabili sui siti a rischio, consigli ai clienti ludopatici


Una  buona  volta le banche  fanno qualcosa  di utile   in una regione   in cui  <<    a   dimostrare la gravita della situazione nell’isola ci sono i dati. Dicono che la febbre del gioco continua a salire. Le ultime cifre ufficiali risalgono all’inizio del 2012, e mettevano Il Sassarese e la Gallura in pole position. Da queste parti fa un numero di puntate più alto rispetto a Torino e Roma. In totale, la raccolta nel 2011 ha fruttato un miliardo e 812 milioni. Al di là di questa montagna di denaro, che in un'area povera suscita da sola parecchie riflessioni, colpisce ancora di più la media pro capite: ogni residente nell'isola, bambini e ultranoventenni compresi, ha speso per i giochi poco più di mille euro in un anno. E visto che tanti sardi non credono in un investimento del genere basato sulla pura fortuna, ne deriva che molti altri hanno tirato fuori dal portafoglio il doppio o il triplo di questa somma. Il Sassarese e la Gallura si profilano così tra le le zone più propense a sfidare la sorte: la spesa per il gioco la vede salire addirittura al 20 posto. Il che la colloca davanti a metropoli come Roma, Torino, Napoli. Non si toccano le vette di Pavia e dintorni, che detengono il record italiano con quasi 2.900 euro all'anno pro capite, ma con una cifra attorno alla metà di questa somma il nord dell'isola si conferma al top tra molte aree del Meridione. Più distanziateCagliari-Sulcis-Iglesiente-Campidano,Nuorese-Ogliastra, Oristanese.  >>

e sempre  dalla    nuova sardegna del  24\10\2013


Banche sarde in guerra contro il gioco d’azzardo Coinvolti Banco di Sardegna e Banca di Sassari: carte di credito inutilizzabili sui siti a rischio, consigli ai clienti ludopatici
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di Chiaramaria Pinna


SASSARI. «Questa volta non direte male delle banche, vero?». La domanda è di Luigi Odorici, amministratore delegato della Bper, il gruppo di cui fanno parte anche Banco di Sardegna e Banca di Sassari. No, questa volta nessuna doglianza, anzi, un applauso per la banca che ha deciso di bloccare i fondi ai patiti dell’azzardo, ai malati delle macchinette mangia soldi e del video gioco evitandogli cadute dalle quali sarebbe difficile risollevarsi.
La crociata è cominciata qualche mese fa, in sordina «quando – spiega Odorici – dalle filiali emiliane sono fioccate le segnalazioni che molti clienti, il giorno stesso in cui veniva accreditato nel conto lo stipendio o la pensione, prelevavano l’intera somma». Il sintomo è apparso subito chiaro, così la banca si è fatta carico del problema e ha cominciato ad intervenire. Il primo passo è stato bloccare le carte di credito abilitate ai pagamenti sui siti classificati nella categoria «gambling» (gioco d’azzardo) e, per essere coerenti, far fuori dalle filiali i biglietti delle lotterie e i Gratta&vinci. Non solo, gli impiegati sono stati autorizzati, con una circolare, a drizzare le antenne e così, appena vedono che il conto in un attimo finisce in rosso prosciugato in una sala giochi o in una tabaccheria, scatta la convocazione del cliente che a questo punto diventa un paziente. L’attenzione sarà particolare, se lo spendaccione compulsivo ha un debito, un mutuo, un fido con la banca e la Bper rischia di avere indietro fiches da poker perchè tutto finisce a foraggiare il gioco on line piuttosto che nel bar sotto casa. «Preciso – spiega subito Odorici – possono anche lasciare allo sportello la cifra che ci devono, ma il problema va oltre, perchè abbiamo deciso di impegnarci ad affrontare una piaga che ormai è sociale».
«Con il tatto che il caso richiede – aggiunge Luigi Odorici – forniamo gli elementi affinchè il cliente malato di gioco prenda contatti con i centri di recupero. È conclamato che il gioco d’azzardo è una patologia dalla quale non è facile guarire». E ha costi altissimi.
La notizia dell’operazione buon samaritano della Bper è arrivata a poche ore dall’inizio del convegno della Federserd, la federazione che riunisce chi lavora nei centri di recupero dalle dipendenze che si è svolto alla Camera dei deputati, nel corso del quale il sociologoZygmunt Bauman ha dato una notizia che nessuno avrebbe voluto sentire. «Vi deluderò ma devo dirvi che non credo che per le dipendenza ci siano rimedi magici. Ciò che possiamo aggiustare sono gli effetti e non le cause». Questo perchè sono radicate nel nostro modo di vivere, e ha citato la grande solitudine, la fragilità e la precarietà della vita di oggi rispetto ai «percorsi tracciati» di un «mondo solido e prevedibile» come era quello di qualche decennio fa. Per cui le promesse pubblicizzate anche sulle tv di Stato da bellissime e ammiccanti giocatrici che offrono bonus da mille euro attecchiscono. «Anche restare tanto tempo online, come fanno oggi i giovani – ha aggiunto – è una manifestazione dell'aver rinunciato alla società reale o del cedere alle difficoltà». Insomma, secondo il sociologo la maggior parte della gente sente di non essere in grado di gestire la situazione e perciò fugge, guarda da un'altra parte. «Si fa affidamento sulla fortuna, la vita viene vissuta come gioco d'azzardo, quindi non meravigliamoci di come si comportano i giovani». I danni sociali e sanitari provocati dal gioco sfiorano i 6,6 miliardi di euro annui. A questi vanno aggiunti 3,8 miliardi di euro di mancato versamento dell’Iva, nel caso in cui i 18 miliardi di euro, sul fatturato complessivo, che non tornano ai giocatori in forma di montepremi fossero stati spesi in altri consumi. «L’azzardo non crea denaro ma lo distrugge» dice Simone Feder, psicologo in prima linea contro le macchinette. «In un anno 50 mila esercizi hanno chiuso i battenti, e l’industria dell’azzardo continua a crescere: bisogna invertire la rotta. E bisogna farlo partendo dal territorio». Feder snocciola numeri. Nel giro di 5 anni, tra il 2005 e 2010, gli utenti presi in carico dai Serd (servizi per le tossicodipendenze) sono aumentati del 23%, registrando un picco enorme per il gioco d’azzardo, di quasi 7 volte (+691%

«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...