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Presente, l'ultimo album di Renato Zero, uscito dopo tre anni d'attesa, abbiamo ormai letto di tutto: l'autoproduzione dopo il divorzio dalla Sony, la voglia di riallacciare un rapporto col pubblico forse un po' perduto per le recenti imposizioni delle multinazionali, l'esigenza un po' bulimica di raccontarsi a viso aperto.
Ciò che spiega, del resto, le recenti apparizioni televisive, ma anche radiofoniche, del Nostro.
Siamo così stati lieti di vederlo ospite in trasmissioni di qualità, da Fazio alla Dandini, e stimato da amici e colleghi illustri (Sorrentino, Travaglio, Stefano Campagna...) e, in certo senso, inopinati sia per il grosso pubblico, sia per incauti e frettolosi detrattori - come evidenziato
in altra sede.
Un Renato "restituito a sé stesso", o in cammino per tornare sulla strada maestra: è questa l'impressione che permea l'ascoltatore di
Presente, per il quale il termine concept album è quanto mai azzeccato. Sotto alcuni aspetti sono diverse le analogie con un antico disco,
Quando non sei più di nessuno: stessa volontà di rimettersi in gioco fin dal primo brano, là
Il ritorno, in questo caso
L'incontro (più che il singolo di traino, il gradevole ma poco incisivo
Ancora qui).
Con qualche pecca in originalità ma con una ricerca piuttosto accurata sul piano stilistico-verbale, rinuncia all'enfasi e ai barocchismi, voce misurata e quasi "interiore", meno spazio agli archi e maggiormente a suoni elettrici e graffiati.
Il disco si dipana come un percorso a ritroso dall'adolescenza alla maturità, toccando temi più scopertamente autobiografici (
Professore,
Vivi tu,
Un'altra gioventù,
Da adesso) e altri di apparente, maggior respiro ma in realtà sempre permeati dalla personalissima ottica del loro autore: la ribellione alle regole imposte, la libertà e l'orgoglio - sempre del resto condito della giusta ironia, come dimostra il duetto funky con Mario Biondi - dell'artista, l'incitamento ai giovani a resistere ai pericoli della massificazione, la semplicità e l'ottimismo, pur venato da una socratica amarezza.
E poi l'amore: che mai come in questo disco viene sviscerato nei suoi aspetti più squisitamente erotici. Renato è, o vuol essere, meno profeta e non teme di sporcarsi col profano, anche a costo di rischiare di persona. Un cammino nel tempo, compiuto con uno sguardo asciutto ed essenziale, ragionato, pensoso, forse un po' destabilizzante per chi da Zero si attende lo slancio mistico e l'emozione urlata.
Un artista a sorpresa, che s'innerva negli strati più profondi e inattesi dell'intimo di tante persone, di un microcosmo sentimentale e umano. Lo dimostra pure, nella sua atrocità, un breve, scheggiante episodio del terremoto abruzzese che sembra tratto da un racconto di Pasolini, e che testimonia il dolore d'un brandello d'Italia: non per nulla l'articolista ha parlato di
"...cimeli nelle macerie che raccontano la vita" .
A giudicare dalla quantità di commenti e video realizzati (alcuni dei quali riprodotti qui), si può ben affermare che i fans abbiano davvero gradito questo nuovo lavoro. E volentieri, in questo post che non vuole essere una recensione ma una spontanea raccolta di impressioni e moti dell'animo, lascio la parola ad alcuni di loro.
"E' nudo questo Renato
Presente, onesto, vero, da innamorarsene ancora - commenta scrive
Nathan Nate - un album in punta di piedi, alcune ore per entrarvi dentro, che quasi mi veniva da dire 'così vero da non essere piaciuto'... e invece è solo sincero, epidermico, altalenante. Passa da una pomposa (solo testualmente) celebrazione di se' (che trovo divertentissima nonchè legittima, solo a piccoli tratti esagerata) a una nuda confessione come in
Vivi tu, timido, breve accenno, della vita che non ha potuto vivere, quell'altro tipo di vita, quella semplice, di uomo fra gli uomini.. vita compianta, vita che lascia vivere un amore passeggero... un saluto e via".
"Lo ringrazio perché a 58 anni ha saputo ricominciare tutto daccapo, trovando un linguaggio fruibile anche da un ragazzo di vent'anni come me", gli fa eco
Federico.
Stefano di Roma, invece, preferisce soffermarsi sui recenti passaggi televisivi di Zero: "Ho assistito alla registrazione di
Matrix [in onda stasera, n.d.r.]. Purtroppo il conduttore non si è dimostrato molto competente: ciò nonostante, Renato ha ricordato i suoi inizi (con Squarzina, Fellini e altri), la sua intensa amicizia con Mia Martini e Loredana Berté, con quell'atteggiamento un po' anarcoide da taluni scambiato - erroneamente - per qualunquismo e che invece è soltanto la manifestazione d'uno spirito libero e insofferente a etichette imposte. Renato è stato il primo ad affrontare temi considerati sconvenienti o tabù, non solo negli anni '70: l'emarginazione, la droga, l'ipocrisia dei rapporti di coppia, l'omosessualità che ha contribuito a sdoganare - ha usato proprio questa parola - ribandendo il diritto di ognuno a gioire della propria affettività".
Ci piace concludere questo post con una citazione dal libro
Ti vivrò accanto che Massimo Del Papa ha dedicato proprio a Renato Zero: "...Dicono di lui: è un finto trasgressivo, un santone, un uomo d'ordine. E non si accorgono di confermare la sua natura di ribelle. Renato Zero è un ribelle. Lo è stato diciottenne, quando si faceva strada, con disperata speranza e presunzione indomabile, contro tutto e contro tutti, fidando solo nel proprio talento mentre altri si consegnavano all'ideologia e ai suoi derivati. Lo è stato negli anni del successo, in quelli della crisi e in quelli del trionfo. Perchè il ribelle non è un rivoluzionario, che vuol sostituire un ordine a un altro. È uno che fa corsa a sé, che
'difende ciò che egli stesso è', come dice Albert Camus. È il marginale che, per quanti sforzi faccia, non potrà mai emendarsi. L'androgino che si spezza tra uomo e donna, lacerato fra autoconservazione e spreco di sé. Perchè il ribelle è anche uno che si butta via, che non la fa mai franca davvero e in fondo ne è felice. È Catilina che, al colmo del potere, prende su di sé
'la causa generale dei disgraziati'. Il Pinocchio che cerca solo chi lo metta in riga, ma anche quando l'ha trovato non rinuncia mai del tutto ad un'ultima bugia di legno. O almeno alla sua nostalgia. È il perdente che sfida l'autorità costituita di cui però avverte il bisogno, altrimenti non c'è gusto ad opporsi. È quello che, con Maurice Sachs, lotta
'prima contro l'ordine e poi contro il disordine', cioè per tutta la vita contro sé stesso. Il borderline irresistibilmente attratto dalla periferia. La scheggia impazzita che quando smina la società non è mai terrorista (perchè non cospira) e quando la difende non è mai affidabile (perchè l'ha già demolita). È il perenne spostato che però renderà i suoi simili meno spostati, azzerando le convenzioni che li avrebbero resi tali. Ed è uno che ci vive accanto."