dalla nuova del 19\8\2005
Barisardo. L’intuizione di un capraro La riscoperta dell’antico cas’agedu E la colazione del pastore compete con cracker e yogurt E’ un formaggio molle e leggermente acido indicato nelle diete che sta conquistando ampie fette di mercato
Il Nobel della creatività nell’ovile va assegnato a un capraro di Barisardo, paese dell’Ogliastra votato al turismo balneare. Ma Luciano Chiai, 56 anni ben portati, continua imperterrito a fare il pastore nell’altipiano vulcanico di Teccu, mille pecore, duecento capre. Come suo padre, come usava suo nonno, Luciano fa colazione col “Cas’agedu” (scritto - a seconda dei paesi - anche nella forma di “Cas’axedu” o “Cas’ageru”), un formaggio molle, bianco come la neve, leggermente acidulo, confezionato in fette come il burro, tra i migliori regolatori naturali intestinali, indicato per le diete, per iniziare una giornata di lavoro. Ottimo se accompagnato dal “pistoccu” o “pane carasau”, naturale o integrale poco importa. Questo prodotto - che è da secoli l’unico formaggio fresco dell’ovile sardo - non è lo yogurt preparato con microrganismi definiti tutti per legge e chiamati termofili, cioè con temperature elevate, fra i 42 e i 45 gradi. No, qui regna la genuinità. Il “cas’agedu”, cioè formaggio acido, è latte fresco e caglio, quello contenuto nello stomachino del capretto e utilizzato per confezionare i medicinali che devono combattere le malattie dello stomaco e dell’apparato digerente. Il “cas’agedu” è un rimedio naturale proprio per la presenza del caglio. Prima esisteva solo sotto forma di pasta, o di crema. Ora c’è anche liquido. Occorre mettere alcune gocce in un litro o più di latte che dopo alcune ore si compatta. La temperatura non è da laboratorio, no, è quella naturale, ambientale, generalmente sui 37 gradi costanti, sia in estate che in inverno con una “biodiversità accentuata”. Il segreto sta in questi semplici accorgimenti, a partire dalla temperatura ambientale.
La versione moderna di un prodotto che arriva dalla notte dei tempi scatta nell’aprile del 1992, periodo di crisi nera per il prezzo del latte con un ragionamento semplice firmato Chiai perché non commercializzare il “cas’agedu”, farlo uscire dall’ovile e immetterlo nei negozi in camion refrigerati, venderlo rispettando tutti i crismi della legge? Detto fatto. Calvario burocratico con pratiche amministrative, autorizzazioni della Usl,controlli dei vigili sanitari, creazione di un laboratorio a regola d’arte,ed ecco il “cas’ageru” di Luciano il capraro di Barisardo sbarcare a Cagliari,Sassari,Nuoro,Olbia,Quartu,Selargius e a Capoterra.Con numeri diventati ormai importanti: quest’anno la produzione Chiai è stata la più abbondante in Sardegna, pari a cento quintali:”Il prodotto piace, è preferito con il latte di capra oppure nella forma mista caprino-ovino. L’importante è la qualità del latte con standard costanti 365 giorni all’anno”. Chiai ha creato lavoro. Con la moglie Rosa Casu allo spaccio e in laboratorio, lavorano i figli trentenni Davide ed Emanuele, tutti col diploma dell’Istituto agrario e corsi di specializzazione in tecnologie dell’alimentazione.“Tra poco il caseificio potrà essere ampliato, miglioreremo il confezionamento perché una delle difficoltà è proprio questa, essendo un prodotto molle. Ma la tecnologia è della nostra parte”, dice soddisfatto Chiai. C’è un altro fatto importante. Luciano Chiai è stato l’imprenditore-pioniere che da un’idea semplice, perfino banale, ha attivato - per stare al linguaggio degli economisti - quel sano meccanismo che dopo il “processo di innovazione” (il salto del cas’agedu dalla capanna clandestina dell’ovile allo scaffale legalizzato del supermaket) ha generato il “processo di imitazione”. Perché oggi sono oltre venti i caseifici che commercializzano legalmente “Su cas’agedu”. In Ogliastra lo fanno la cooperativa “Sant’Antonio” di Tertenia, Cesare Sirigu a Jerzu, Silvio Boi a Cardedu. Boi è pastore di lungo corso, ha 86 anni, nato a Gairo, conosciuto come “Freguledda”, è stato uno dei primi a capire l’importanza della produzione su scala industriale del formaggio. “Adesso - dice Boi - in vecchiaia riscopro un prodotto che conosco da quando sono nato. Lo propongo in confezioni da 400 grammi, quest’anno ho debuttato con duemila quintali”. Dall’Ogliastra il “processo di imitazione” si è spostato un po’ in tutta la Sardegna. Viene confezionato in piccole aziende agroalimentari del Sulcis (a Santadi e Villaspeciosa), al caseificio di Guspini, in alcuni centri del Logudoro, adesso anche nel Nuorese (dove viene chiamato “Vrue”). A Oliena è prodotto dalla latteria “Rinascita” (100 soci, quasi due milioni di litri di latte lavorato). È proposto in due confezioni in vaschette da 900 e da 230 grammi con l’azzeccatissima etichetta Nive, cioè neve. Presidente è Gesuino Maricosu, 45 anni. Dice: “Da due anni non produciamo un solo chilo di pecorino romano, abbiamo iniziato a puntare sui molli e con Nive siamo più che soddisfatti. Il turismo di Oliena ci dà un’ottima mano d’aiuto perché Nive viene servito a Su Gologone, al ristorantino Masiloghi, da CiKappa, alla cooperativa Enis di Monte Maccione. Ovviamente produciamo sempre i nostri formaggi pecorini, dal Rocca Bianca al Crema Corrasi, la ricotta Gentile, un pecorino biologico e il formaggio da tavola Tuònes e un Dop di nome Sole di Oliena, pecorino a denominazione protetta. Ma quest’anno il vero boom è stato con la Vrue. Nei nostri ristoranti è utilizzato anche come antipasto, è un piatto che fa tendenza, la versione salata è usata come condimento delle fette di pomodoro”. Stesse cose dice l’altro produttore, Pietrino Boe.
Non solo. Il processo “imitazione” ha contagiato la star indiscussa della produzione casearia isolana. Ha scoperto il “Cas’agedu” anche il caseificio leader in Sardegna, quello dei Fratelli Pinna di Thiesi (40 milioni di litri di latte lavorato, 50 milioni di euro di fatturato, 192 unità lavorative annuali). I Pinna lo vendono in una confezione tonda da 220 grammi e l’hanno chiamata proprio “La colazione del pastore”. Che ha fatto la sua comparsa in alcuni hotel della Costa Smeralda, di Alghero e del lungomare di Pula. “Ormai - annuncia Paolo Pinna, responsabile del marketing - siamo presenti negli scaffali dei gruppi IperPan, Conad, Pellicano. E stiamo per chiudere i contratti con Sigma, Carrefour e i due Auchan di Cagliari”. Il progetto - dei Pinna e dei Chiai, dei Boe e dei Maricosu - è una rivoluzione nella gastronomia: fare in modo che la prima colazione dei turisti sia finalmente e veramente sarda. Non self-service imbanditi solo con miele australiano, marmellate svizzere, yogurt bavaresi, crackers e cereali soffiati made in Usa ma “la colazione sarda” col cas’agedu-vrue semmai in confezioni monodose, proprio come si fa col miele e le marmellate. E tanto buon pistoccu che gareggi con le fette biscottate d’Oltretirreno. Così avremo un effetto “imitazione” di ritorno, con tecniche di commercializzazione nate negli Usa e in Germana e apprese anche fra i nuraghi. La cronaca incoraggia questo processo. Ieri sua bontà il “Cas’agedu” ha spopolato fra gli stand dei 250 espositori di Bra, nel Cuneese dove si svolge la più importante fiera dei formaggi chiamata “Cheese, le forme del latte”. I turisti e gli assaggiatori hanno potuto apprezzare la versione barbaricina detta “Vrue” nelle confezioni “Neve” del caseificio di Oliena e “Lepia”, che vuol dire leggera, soffice, del produttore Pietrino Boe. Ottimo successo per i caprini di Donori di Giorgio Aresu che propone anche il “quagliatello”. Ma è stato il “Cas’agedu-Vrue” la vera novità. Fragola Besana, milanese, consulente di una società di comunicazione, ha stazionato a lungo davanti allo stand della “Rinascita” di Oliena. Con commenti entusiasti: “È un formaggio morbido, rinfrescante, lievemente acidulo, vorrei trovarlo nei supermercati, farei colazione ogni giorno con questa leccornia”. E così passiamo alle leggi dell’economia: perché è inutile produrre, anche prodotti eccellenti, se poi non si sanno commercializzare e mancano negli scaffali dei punti-vendita, là dove si crea reddito. Nelle città e nei paesi. A Bra, questa volta, c’è stata una prima risposta incoraggiata dai tecnici dell’Ersat con una Sardegna che si è saputa presentare in un unico stand. Soprattutto dal Nuorese c’è stata una partecipazione massiccia e compatta con caseifici cooperativi e privati di Ollolai, Sarule, Orgosolo, Gavoi, Macomer, Orune, il consorzio Gennargentu e i produttori della Barbagia-Mandrolisai. Con loro i dirigenti del caseificio della Nurra, di Sassari, Borore, Sedilo, Villaspeciosa, Donori e tanti altri. E tra pochi mesi, in concomitanza con le Olimpiadi invernali di Torino, la Sardegna interverrà alle “Olimpiadi del formaggio” di Verona: “È una vetrina importante nella quale dovremo bissare il successo di Bra coinvolgendo tutti i produttori sardi”, afferma il commissario dell’Ersat Benedetto Meloni. Ci sono tutte le condizioni per imporre il nuovo prodotto. Il “cas’agedu” è studiato nelle Università, non solo in quelle sarde. Alla statale di Milano, ha discusso la tesi di laurea in Agraria una ragazza di Urzulei, Giovanna Mereu. Nell’introduzione cita il canonico Giovanni Spanu che “nel suo vocabolario scrive: Frue, latte rappigliato, companatico del pastore nel salto. Dal latino fruor, godere, fruire”. Gli studi più seri vengono fatti a Bonassai dai tecnici dell’Istituto zootecnico e caseario che ha prodotto oltre cento pubblicazioni scientifiche di livello internazionale. In tanto i nomi. Tanti, secondo le zone. In Ogliastra, si è detto, è “cas’agedu” con le varianti di “ageru” o “axedu” ma anche “cas’e fittas” con la particolarità di Seulo e Perdasdefogu “casu in filigi”, formaggio nella felce. Nel Nuorese è “Vrue” ma anche “Frue” o “Frughe”. Altrove Merca, Vìscidu, Préta, Pièta, Casàdu, Cagiadda, Latte cazàdu, Latti callau. Francesca Scintu, direttore del servizio di Microbiologia e Tecnologia casearia di Bonassai, impegnata anche nel progetto made in Urzulei per la valorizzazione del caglio di capretto, dice che “in letteratura non sono reperibili molti studi sul cas’agedu che ora è stato però inserito nell’elenco dei prodotti tradizionali della Regione Sardegna secondo un decreto ministeriale del 1999. Ma - dice la Scintu - è auspicabile un’azione di valorizzazione a tutela che permetta, anche col riconoscimento Dop o Igp, la protezione giuridica del prodotto”. Questa la strada prossima ventura del formaggio-neve messo in bottega da Chiai e degnamente imitato. È la diversificazione del latte che va avanti. De Gaulle si lamentava perché doveva “governare la Francia con 325 varietà di formaggio”. In Sardegna - terra di pecore e di capre - siamo all’opposto: pecorino, pecorino romano e poche forme di Fiore sardo a Gavoi. Poi il nulla. Chiai e soci hanno iniziato la battaglia competendo con yogurt e simili. Sono nati i molli e i semistagionati. C’è il “casizzolu”. Oggi la Thiesilat produce il Caciotartufo e gli erborinati Ovinfort che competono col Roquefort e il Gorgonzola. Il varco aperto dalla “colazione del pastore” è ampio quanto il mondo. Va percorso fino in fondo. I capiscuola non mancano.
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a chi dice che noi sardi siamo chiusin alle altre culture si sbaglia di grosso e questo articolo qua è una dele tante dimostrazioni di come questo antico pregiudizio sia errato
Un canto d’amore dopo le evoluzioni Il grande successo di una manifestazione da ripetere I silenzi degli «indiani» così simili a quelli dei sardi: un invito a non parlare a sproposito pellerossa alla rassegna Sardegna Cavalli di Oristano La cavalcata di Aquila bambina «Avete una terra bellissima, non fatevi dire come viverci»
ORISTANO. La notte avanza chiara, a luna quasi piena, quando Boricheddu Trogu - celebratissimo solista e leader del coro di Seneghe - intona “Una tràila rubia famosa”, pezzo forte della formazione, composto da un altro Trogu, Giuannicu, negli anni Trenta. Il testo è sottilmente allusivo: nella metafora la vitella raffigura una bellissima donna forestiera. È un ballo cantato - ballu’e càntidu - dei più famosi, splendidamente eseguito dal solista (su pesadore) e dal coro (Guido Lotta mesaoghe, Piero Laconi contra, Enzo Lotta basso). E’ stata la degnissima chiusura di un evento di profonda suggestione complessiva. In mezzo alla folla due tra i volti più noti dei cavalieri dell’Ardia di Sedilo - Michele Carboni (l’attore protagonista di “Ballo a tre passi” di Salvatore Mereu) e Sebastiano Coccu (seconda bandiera dell’Ardia 2001, quando il capocorsa era Salvatorangelo Chessa, e rinomato domatore di cavalli) - silenziosi e attenti seguono il canto della vitella rossa e le danze indiane. Molto interessata all’evento la traduttrice Elisabeth Jacchelli, segretaria generale della Camera di commercio italo-canadese. Nello stand dell’Istituto professionale per l’agricoltura e l’ambiente, il professor Piergiorgio Etzo di Atzara fa ascoltare da un cd alcuni brani cantati a tenore da quattro studenti sedicenni della scuola: Giovanni Marceddu, Simone Sanna, Silvano e Stefano Demontis. Il giornalista Marco Enna fa da cicerone a molti distratti. Nello spazio riservato all’Ente Foreste campeggiano un cervo e un cinghiale, con altri selvatici impagliati. Un turista calcola l’età del muflone esposto sull’inanellarsi delle corna: ogni tacca un anno. Particolarmente osservati gli uccelli, rapaci e non: l’aquila reale, il falchetto, il barbagianni, il picchio, il cuculo. Si possono ammirare pietre di grande interesse come l’ossidiana rossa e il diaspro. C’è perfino il corallo fossile, oltre alle sezioni dei tronchi delle specie forestali sarde più importanti. Un discorso a parte merita la monta sarda da lavoro, splendidamente orchestrata dai un cavaliere fonnese che vive a Palmas Arborea - Boele Mattu - e dal figlio Giovanni, quindicenne, campione europeo juniores di monta da lavoro. Un folto gruppo, chiaro esempio di affiatamento uomo-cavallo: uno spettacolo a sé, evoluzioni incredibili. Il commissario della Camera di Commercio, l’avvocato Piero Franceschi, commenta: «Un successo, non tanto per noi che organizzavamo quanto per la passione che gli oristanesi riversano sui cavalli. Oristano si è ritrovata in questa bellissima edizione, città e provincia hanno risposto. In noi è forte la consapevolezza dell’arricchimento che ci viene dall’acquisizione di nuovi territori come Laconi e dei cavalli del Sarcidano. Rifarei senz’altro la manifestazione ma il mio mandato scade. Auguro al mio successore di non lasciar cadere questa bella opportunità». Vigilano intorno gli uomini-ombra della Camera: l’indiano di Sardegna Giorgio Pala e l’insonne Saverio Loi di Ghilarza. A Piero Arca - ex-sindaco di Oristano e funzionario della stessa Camera - gli indiani hanno dato il nome di “Voli nella notte”. Sul prato verde di Sa Rodia la festa si chiude con un maxiballo tondo che unisce tutti: il gruppo folk di Busachi e quello di Oristano di Enrico Fiori, reduce dalla Francia con un importante riconoscimento internazionale, gli indiani, i bambini. Canta ancora Boricheddu Trogu: “Una tràila rùbia famosa/ est bènnida a su monte seneghesu” (una famosa vitella rossa è arrivata sul monte di Seneghe). Per fare strage di cuori. Aquila bambina è tra i grandi cavalieri e danzatori indiani protagonisti dello sfavillio notturno di commiato a “Sardegna Cavalli” nell’ampio spazio di Sa Rodia a Oristano insieme con Piccolo bisonte che corre, Capo delle stelle, Piccolo uomo e gli altri. Lui, il Figlio dell’aquila, ha due grandi tatuaggi, uno per braccio. Come mai? Spiega: «Mi hanno creato qualche problema perché nella nostra educazione è basilare non fare del male ai nostri corpi, poi hanno capito che li avevo fatti in onore di mio figlio».
È l’ora dei saluti e gli indiani mettono la mano destra sul cuore per infondere sacralità alle parole, loro che vedono il Grande Spirito nelle nubi e lo ascoltano nella pioggia e nel vento. Il gesto significa che accettano di cuore e benedicono quanto di meglio hanno ricevuto in questi giorni in Sardegna, l’affetto soprattutto. Sono un modo di rendere grazie anche le straordinarie danze dell’erba e della vittoria. E la musica, antica e triste, di un popolo oppresso e depredato della sua terra d’origine. Vengono dal sud Alberta e appartengono a nazioni native differenti: Tsuutina (poco conosciuta in Europa) e Sioux-Piedi Neri: questi ultimi sono quelli che iniziarono a trattare con l’esercito regolare degli Stati Uniti al tempo della battaglia del Little Big Horn in cui i capi Sioux Cavallo Pazzo e Toro Seduto sconfissero e uccisero il generale Custer. Ma in Canada ci sono circa seicento tribù indiane.
Parla Aquila bambina, capo riconosciuto della delegazione nonostante la giovane età, trentasei anni: «Qui ci siamo trovati benissimo. La cosa che più ci ha colpito è la presenza dei bambini, nuvole di bimbi che vanno a cavallo. Io penso a mio figlio, che mi manca, e la vista di questi bambini sardi mi riempie di gioia. Voi vivete in una terra bellissima: non fatevi mai dire da nessuno come dovete vivere». Qualche ora prima, in un albergo cittadino, il giovane aveva accettato cordialmente di rispondere a qualche domanda.
- Aquilotto, in Sardegna quando vogliamo definire in sintesi l’abilità di un cavaliere diciamo: sembra un indiano. Da piccolo, come sei stato avvicinato al cavallo?
(La prima risposta è una risata piena, lunga: si riferisce a una raccomandazione degli adulti, ribadita ogni volta, sempre uguale).
«Non cadere, non cadere. Mi dicevano sempre così: non cadere. Io sono cresciuto in mezzo ai cavalli, come tutti i bambini indiani, fin da piccolino. Avevamo le vacche e dunque i cavalli erano indispensabili per radunarle».
- Con i cavalli di Oristano come ti sei trovato?
«A prima vista i cavalli sardi sono molto nervosi e delicati. Ma una volta che li hai conosciuti sono ottimi animali. Un cavallo e un uomo per andare d’accordo debbono prendere confidenza. Ci vuole tempo».
- Ma non per questo ti sei spaventato.
«Noooo» (ride compiaciuto).
- In Sardegna si parla tanto della religione degli indiani.
«Un tempo i preti e il governo canadese non volevano che noi praticassimo la nostra religione, allora la fede dei nostri antenati si è come nascosta sotto la terra. Ora che il popolo canadese capisce l’importanza delle convinzioni religiose ce ne permette la pratica. Il governo britannico ce la voleva togliere. Ha ottenuto l’effetto contrario».
- Lo diceva già un autore del secondo secolo dopo Cristo, Tertulliano: il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani.
«Credo che questo sia ancora e sarà sempre vero. Nel nostro popolo è successo un altro fatto: chi ha combattuto per conservare la nostra religione ora è molto severo nella pratica, perfino nell’esecuzione dei riti: tutto deve essere fatto come una volta».
- Il silenzio degli indiani è proverbiale. Anche da noi, nella Sardegna interna, è una virtù molto apprezzata. Tu come sei stato educato a parlare poco?
«Sentivo dire: quando uno parla non gli funzionano le orecchie. Da piccolo mi veniva sempre raccomandato: stai zitto e ascolta».
- E tu che cosa dici a tuo figlio?
«Esattamente la stessa cosa».
- I nostri vecchi insegnano: se siamo nati con due orecchie e una sola lingua, questa è un’indicazione precisa.
«E noi facciamo lo stesso esempio».
- Si discute molto sul ruolo della donna tra i nativi americani. La nazione Mohawk del Quebec riconosce alle donne anche il potere di nominare il capo. Da voi come funziona?
«Fin da bambino ho imparato che le donne dànno la vita e di conseguenza sono il punto fermo della famiglia. La donna è anche il nodo centrale della società. Ma da noi non hanno il potere di nominare il capo. Quella del capo è una carica ereditaria».
- Proprio in questi giorni in Sardegna l’argomento della caccia ridiventa spinoso. Per voi nativi del sud Alberta com’è regolata?
«Nel 1800 in Canada vennero firmati otto trattati tra le diverse tribù indiane e la regina d’Inghilterra. La caccia è una parte fondamentale di quei trattati. Oggi noi abbiamo diritto di cacciare in qualsiasi stagione e in qualunque giorno, ventiquattro ore su ventiquattro».
- Esattamente come nel Quebec.
«Quelli del Quebec sono stati i primi a firmare i trattati. Ma allora c’erano pochissimi indiani, lo sterminio della nostra stirpe aveva riguardato una larghissima fetta della popolazione. Sulla base dei nativi in Quebec, abbiamo negoziato i diritti anche in sud Alberta».
- Voi pregate ancora prima di sparare sull’animale?
«Sì, tutte le volte. Offriamo qualcosa allo spirito dell’animale, prima di sparare. E diciamo una preghiera: che nasca sempre più selvaggina per evitare lo sterminio».
- Domani ripartirai, Aquila bambina. Cosa porterai con te?
«Domani ripartiremo, tutti, con molta nostalgia. Io spero di ritornare nella vostra terra splendida».
Nella danza degli spiriti del 1889, il capo degli indiani Cherokee-Wovoka, figlio di Paiute Messiah- disse ai partecipanti delle altre nazioni indiane: «Voi avevate molti bisonti da mangiare ed erba alta per i vostri cavalli: voi potevate andare e venire, come il vento». Ora che i bisonti non ci sono più ma l’erba per i cavalli degli indiani è sempre alta, le virtù di riferimento delle nazioni dalla pelle rossa vivono un’altra stagione dello spirito, ugualmente forte, perfino più intensa. Per loro la terra è sempre una madre. E la luna conserva il grado di nonna.