22.9.05

THE ROAD


Ci sono dei momenti in cui la voce del vento si fa più forte, e lo si sente soffiare fin dentro l’anima. Quando il vento chiama, l’unico modo per acquietarlo è prendere uno zaino e mettersi sulla strada, per vedere fin dove si può arrivare in sua compagnia. Come disse Bilbo, è pericoloso aprire la porta e prendere la strada, perché non sai mai dove può portarti. A volte ti riaccompagna subito a casa, altre ti porta in un paese lontano, altre ancora non ti libera più. Per la maggior parte di noi vale la prima possibilità, o al massimo la seconda, e al termine del viaggio casa ci aspetta impaziente. Ma ci sono persone che la strada non liberà più, per cui il vento soffia troppo forte. Frodo non può più stare a Hobbiville, Vianne deve abbandonare la sua chocolaterie, Roland continua a correre verso la Torre Nera, e molti altri ancora. Per loro non c’è un posto da chiamare casa. Questa è per loro. Musica: Loreena McKennit, Dante’s Prayer. Il testo alla fine è un adattamento dei Modena City Ramblers, Ninna nanna.


 


THE ROAD


I’m sitting here on this cold stone


A lonely road beside me


I’ve walked ten thousand miles


To see this raging sea.


A woman ’s singing her song


A warm light has caught my eye


And while I knock at the inn’s door


I remember our goodbye.


Pray for me when I’m lonely


When I’m lost far from here


When the rain sings my name


Will you shed a tear?


A fire is warming the room


The night has fallen outside


And thinking of my friends home


I’m alone in this red light.


Nobody here knows my name


And the road travels with me


All through the wind and the rain


‘s this where I wanna stay?


Pray for me when I’m lonely


When I’m lost far from here


When the rain sings my name


Will you shed a tear?


The wind is calling me again


His voice I can not ignore


I shall put on my old shoes


I’ve heard his calling before.


And when the road is too muddy


And this wind blows in the trees


I’ll sit and play my guitar


And pray the gods to be with me.


Pray for me when I’m lonely


When I’m lost far from here


When the rain sings my name


Will you shed a tear?


Pray for me when the night comes


Tell the gods I’m alone


Someday the wind will stop and


I’ll finally find my home.


 


"And someday safe stars will lead us in a far corner of the world to meet again. We’ll meet in slums, among musicians and drifters, or in the secret paths where fairies still run. And tonight I pray the god of traveler, so that you may have some money to spend tonight, and someone in your bed to chase away this cold winter, and a white angel sittin’ near your window."


 


Senza titolo 815


TORRI GEMELLE: CROLLI PASSIVI, O DEMOLIZIONI CONTROLLATE?

Di
Massimo Mazzucco



E' noto come le Torri Gemelle fossero state progettate per reggere all'impatto di mutlipli aerei commerciali, grazie alla poderosa serie di piloni centrali di acciaio di supporto, ed alla particolarissima struttura esterna, a maglie in acciaio incrociate, che permetteva di redistribuire il carico su quelle restanti, in caso che una parte di esse fosse venuta a mancare. Ed infatti, ambedue gli edifici avevano retto egregiamente agli impatti, oscillando, scricchiolando e vibrando per qualche minuto, prima di ritornare stabili e immobili, con il carico redistributo ben sotto i margini di tolleranza.

E gli incendi stessi, sviluppatisi a causa della fuoriuscita di kerosene, erano durati molto poco, senza mai raggiungere, nemmeno al momento delle esplosioni, le temperature necessarie ad indebolire l'acciaio delle strutture portanti. Svariati studi di architettura hanno respinto con decisione l'ipotesi dell'indebolimento progressivo dell'acciaio, ricordando che prima dei crolli il fumo di ambedue gli incendi era addirittura diventato nero, segno evidente...

... che le fiamme avevano ormai finito di consumare il materiale disponibile. Nel frattempo, si era vista gente affacciarsi dalle voragini stesse provocate dagli aerei, a conferma che in quella zona non ci potessero essere i 1500 gradi necessari a fondere l'acciaio. Inoltre, molte persone che stavano ai piani superiori, sono riuscite a scendere fino a terra, attraversando quindi i piani incendiati. Hanno tutte raccontato di aver incontrato moltissimo fumo, ma un calore minimo. La seconda Torre, poi, ha visto all'interno un incendio ancora minore, poichè la maggior parte del carburante è fuoriscita in diagonale, esplodendo nella terribile palla di fuoco che tutti abbiamo visto in TV.

Eppure, inspiegabilmente, misteriosamente, improvvisamente, dopo aver retto per circa un'ora ciascuna, le Torri sono ambedue crollate, accartocciandosi su se stesse, in maniera praticamente identica, tanto rapida quanto simmetrica, e senza minimamente danneggiare gli edifici circostanti. Il solo fatto che due Torri di 400 metri cadano, nel centro di Manhattan, senza colpire uno solo degli edifici circostanti, è certo da Gunness dei primati.

Stessa sorte, ancora più inspiegabile, è toccata nel pomeriggio al WTC7, un grattacielo in cemento armato di 40 piani, che aveva subito solo un incendio limitato, e non era stato nemmeno sfiorato dagli aerei. Un grattacielo molto simile ha bruciato di recente, a Madrid, per oltre 48 ore, sviluppando temperature decisamente superiori, senza che la struttura di acciaio cedesse minimamente in alcun punto.

Dall'inizio della storia dell'ingegneria civile, nessun grattacielo in cemento armato era mai crollato per effetto del fuoco. L'11 Settembre 2001, nello stesso luogo, e nell'arco di poche ore, ne sono caduti addirittura tre fra i più moderni e robusti del mondo.

Il fatto che vi siano molte testimonianze che parlano di "multiple esplosioni", avvenute prima e durante i crolli stessi; il fatto che i detriti siano stati lanciati con forza in orizzontale, a grande distanza, e addirittura verso l'alto; il fatto che tutto si sia ridotto in polvere finissima, senza che sia rimasto un solo blocco di cemento intatto; il fatto che tutto l'acciao dei piloni rimasto sia stato svenduto o riciclato in gran fretta, senza che nessuno potesse prima analizzarlo; il fatto che la proprietà - a sua volta fresca di poche settimane - avesse appena stipulato un vantaggiosissimo contratto assicurativo contro attacchi terroristici (ha di recente incassato 7 miliardi di dollari), e tanti altri particolari che qui non c'è spazio per illustrare, hanno fatto pensare a molti che si fosse trattato di demolizioni controllate.

Questo filmato offre dei semplici elementi visivi, senza commento di alcun tipo. A voi il giudizio finale.



Per vedere il filmato vai QUI


Per alcune foto esplicative cliccare QUI e QUI


Per la testimonianza dei pompieri superstiti clicca QUI



FONTE: www.luogocomune.net


Senza titolo 814

A quei tempi non c'era il Berluska



Altro che "difesa della famiglia dai gay". Nessun governo come questo ha mai fatto di peggio per le famiglie italiane. La mancata politica dei prezzi, la perdita del potere d'acquisto, l'impossibilità di sopravvivenza con un solo reddito, il taglio dei servizi locali (come gli asili nido) e la legge Biagi che impedisce qualsiasi certezza lavorativa per i giovani: questi e non i Pacs sono i veri problemi di una famiglia. Ma Ruini non può saperlo e il Berluska non può dirlo.

Senza titolo 813

21.9.05

incontro con Carlos Montemayor a Quartu S.E. (CA)

"Dai popoli Maya del Chiapas si alza una voce che non intende  togliere spazio a nessuno nel mondo, ma esige che nessuno sia privato di uno suo spazio nel mondo . 
 La discriminazione (sotto qualsiasi forma, sia essa politica, razziale, economica o giuridica) è una forma di negazione dell'essere umano, un modo per mettere un uomo contro l'altro, contro se stesso.
 Per questo, la lotta dell'EZLN e il coraggio degli indios zapatisti del Chiapas non sono un fenomeno che riguarda solo il Messico.
 Questa lotta comunque vada a finire in Messico è un frammento nella lotta eterna per l'affermazione della dignità dell'uomo"

 Incontro con:



 Carlos Montemayor
 22 settembre 2005   
 ore 18:00
 Sala Convento Cappuccini Sant'Agata 
 Via Brigata Sassari 
 Quartu S.Elena
      




    Carlos Montemayor è un esperto di storia dei movimenti guerriglieri, si è occupato di letteratura orale, coordinando seminari di giovani scrittori indigeni. Studioso di lingue indiane, narratore innamorato delle rivolte contadine, poeta delle stagioni, scrittore, giornalista, professore universitario. Sono stati  pubblicati in Italia tre suoi libri: La danza del serpente, La guerra in paradiso, Chiapas: la rivoluzione indigena. 

 "(.) I muri di confine tra Stati Uniti e Messico rappresentano un altro caso di separazione impenetrabile, così come il muro creato dal governo israeliano in Palestina è sinonimo non solo di distanza ma di repressione e appropriazione violenta del territorio. Quando le frontiere non sono sufficientemente funzionali come concetti politici e territoriali, normalmente si convertono in muri di pietra, acciaio o bombardamenti. E non si tratta di un cattivo funzionamento delle frontiere, quanto della tensione insolita e brutale di governi o gruppi di potere concreti. Cancùn, Washington o Genova che si chiudono per impedire le manifestazioni "altermundistas", rappresentano altri crimini di frontiera, che non marcano solo territori ma anche poteri politici ed economici." (c.m.)


     

sembra quasi...
Sembra quasi, in sere come questa,
che la terra sia un modo di essere,
una dimenticata sensazione. E che si cerchi
come un desiderio nel nostro corpo,
come se nel nostro corpo lo sentisse
l’erba che l’ha coperto,
le piogge che su di esso per tante notti sono cadute.
In sere come questa capisco,
senza fretta, chiaro,
che ogni corpo ricorda la terra che è stato.


traduzione di giovanni gentile marchetti (http://www.el-ghibli.provincia.bologna.it/id_1-issue_01_04-section_2-index_pos_1.html)



http://www.seix-barral.es/fichaautor.asp?autor=48
http://switzerland.indymedia.org/it/2005/06/33443.shtml
http://www.tmcrew.org/chiapas/chiapas2/montem.htm
http://www.el-ghibli.provincia.bologna.it/id_1-issue_01_04-section_2-index_pos_1-author_130.html

Tra le mie canzoni preferite..





FOTORICORDO
E allora eccomi qui adesso resto per un po' da solo meglio così io per il mondo oggi non ci sono e voglio restare con me stesso a pensare se solo adesso mi fermo ancora mi sembra di sognare una foto coi miei attrae il mio sguardo in quello scatolone ricordo sai era la mia prima comunione un caldo infernale un pranzo con poche persone quel vestito nuovo rotto poi giocando a pallone e ancora eccole qui tra mille foto impolverate vedo così le mie emozioni immortalate troppi ricordi momenti incancellabili mentre una lacrima disegna un solco tra i miei brividi guarda mio padre coi baffi siamo nei settanta quel pancione mia madre lo porta assai contenta le foto alle elementari in bianco e nero e a colori guarda questa non ci credo a me lo sai sembra ieri... Cerco su ogni volto un ricordo e sembra che il tempo non sia mai trascorso e un brivido chiude lo stomaco rimango incredulo e so che le emozioni non muoiono mai... Vedo gente con noi persa lungo questo mio cammino giuro che mai avrei riconosciuto quel bambino e che cambiamenti tra gli amici e parenti con le mie pettinature quando stavo sui venti mi fermo un attimo qui o meglio mi si ferma il cuore quando a un tratto così ritrovo il primo grande amore resto senza parole sai che eri bellissima guardando dietro c'è un cuore due frecce ed una dedica \"Staremo insieme per sempre tu sei la mia vita \" e un sorriso innocente per poi com'è andata troppo distanti ma troppo simili sono i tuoi occhi a suggerirmelo qui non hai alibi ritrovo serenità quando rivivo quei momenti in tutta sincerità anni rivisti in pochi istanti guarda questa è l'arena ero a vedere Vasco la metto sul comodino accompagnerà questo mio testo... Cerco su ogni volto un ricordo e sembra che il tempo non sia mai trascorso e un brivido chiude lo stomaco rimango incredulo e so che le emozioni non muoiono mai... E non so se sorridere io non so cosa può succedere so che voglio vivere fermando il tempo e guardarlo in un foto ricordo ... E in sottofondo mettere buona musica questa la voglio me la stacco dalla pagina è la più vecchia c'è tutta la comitiva sembra persino che anche il sole sorrida quanto sembriamo diversi sempre gli stessi alcuni si sono persi ma noi ci siamo ancora e allora scatta subito così per sempre avremo accanto il nostro pubblico... Cerco su ogni volto un ricordo e sembra che il tempo non sia mai trascorso e un brivido chiude lo stomaco rimango incredulo e so che le emozioni non muoiono mai





 




 




PICCOLA STELLA SENZA CIELO
(L. Ligabue)




Cosa ci fai

In mezzo a tutta

Questa gente

Sei tu che vuoi

O in fin dei conti non ti frega niente

Tanti ti cercano

Spiazzati da una luce senza futuro.

Altri si allungano

Vorrebbero tenerti nel loro buio

Ti brucerai

Piccola stella senza cielo.

Ti mostrerai

Ci incanteremo mentre scoppi in volo

Ti scioglierai

Dietro a una scia un soffio, un velo

Ti staccherai

Perche' ti tiene su soltanto un filo, sai

Tieniti su le altre stelle son disposte

Solo che tu a volte credi non ti basti

Forse capitera' che ti si chiuderanno gli occhi ancora

O soltanto sara' una parentesi di una mezz'ora
Ti brucerai

Piccola stella senza cielo.

Ti mostrerai

Ci incanteremo mentre scoppi in volo

Ti scioglierai

Dietro a una scia un soffio, un velo

Ti staccherai

Perche' ti tiene su soltanto un filo, sai..





Shally

19.9.05

Senza titolo 812

Ero al bar  con degli amici e non si parlava  d'altro (  credo che  ciò dipenda   dal potere  mediatico  dei media in particolare della  tv  ) che per  coprire  , nascondere    news  scomode    usano oltre  il gfgossip  e il calcio   ,  il sesso \ l'erotismo   secondo la politicca  degli imperatori   romani    ovvero panem  et circenses  )   che di Miss italia  e  delle  troie  (  scusate ma  mi sono lasciato trascinare , mea  culpa  ,  dalla  canzone la mia patria    colonna  sonora di quello che fu raiot  di sabrina  guzzanti    in esecuzione  mentre scrivo  questo post     chi volesse  il testo dela canzone lo trova  qui ) ehm  ,  veline  e star della  tv   vecchie  e nuove   che non fanno  altro  che  fare calendari erotici .  Poii dovpo unn'ora   e quialcosa   , essendomi  stufato ( metaforicamente parlando  ) tento  di cambiare  discorso , ma  non ci riesco .. Ma  ecco che    Antonio (  none di  fantasia  ) :  mi dice   : << ma sei passato all'altra sponda o  è misogino >>,  e  gli altri  no  è diventato femminista  ; le ragazze   fin'ora poco attente  al   discorso parlavano di argomenti    femminili  si  girano ad ascoltare la nostra diatriba    . Infatti io avevo risposto  ad  Antonio  : <<  nessuna delle due  >>  , mi dà fastidio , il fatto  che   le  donne vengano trttate come ogetto    e  come  "  tappa buchi  "  in tv  per   soddisfare i nostri istinti  erotici     e  darci i contentino  e  nopn dfarci  pensare   ha  ragione   l'articolo dela nuova ( che  qui riporto )     .
Allora ce  lo facciamo  portare     , lo leggiamo  e le ragazze  sempre  pià interessate  si schierano dalja mia parte   e  anche  alcuni  amici  fra  cui   Michele ( altro nome di fantasia  )  i dice  : <<  non  ti baisimo  non hai tutti i torti >>  altri stanno zitti  , e  Antonio  : <<   è diventato femmiunista  >>  .       Poi il proprietario del locale  vine  e ci dice  che stà chiudendo  .Alcuni vanno a  ballare ad  Olbia   , io   rientro a casa  , pechè  devo rincominciare a  studiare  vistom     che  devoi preparare un esame   . 
 ecco  l'articolo   a  voi  decidere   che cosa sono 


 
                        Pagina 54 - Cultura e Spettacoli 
  
 IL «flagello» dell’appuntamento annuale con il concorso di bellezza di Salsomaggiore  Le scenografie del XXI    secolo  Miss Italia, le «bikinate» e il mercato degli schiavi  Le ragazze in costume da bagno: solo icone della televisione di oggi   
 ROMA. Micidiale come un messo comunale con l’avviso di pignoramento, a ogni settembre «Miss Italia» si infila nel televisore, e a quel punto con Vespa che è tornato, chi se ne accorge che è arrivata la gramigna? Sembra l’intervallo di una partita di pallanuoto con Carlo Conti. Ignari, precipitiamo dentro «Miss Italia», viene la depressione e pensiamo alla gran vita che invece fanno le sogliole.
 Nei giorni prima non percepiamo gli spot del flagello. Eppure non può essere materiale televisivo fantasma solo perché lo presenta Carlo Conti col fantasma di Frizzi. Ma sono spot mimetici, intercambiabili con quelli dei quiz, dei reality e delle trasmissioni di calcio. «Promo» col bikini. Perciò è difficile fare caso che c’è Miss Italia in arrivo: in televisione le ragazze in bikini sono la televisione. Se uno a un tratto vede Carlo Conti che fa ballare il valzer a delle ragazze in bikini, sembra un fuoriprogramma perchè delle ragazze sono state derubate dei vestiti. Invece in tivvù le «bikinate» le puoi trovare da decenni di schiavitù femminile. Sono le ragazze in bikini, le scenografie viventi del XX e XXI secolo. Stanno all’aperto e al chiuso. Sono comodissime, e se serve, hanno anche la maniglia in testa. Se per esempio fa venti sotto zero, ma si trasmette da Cortina, a nessuno viene in mente che le ragazze sentano freddo. Loro stanno lì e sorridono. Sono dappertutto, a parte nel tiggì che ce ne ha sempre privati a causa di una discriminazione, nella televisione di oggi, tra spettacolo e informazione. Perciò, con tutti quei bikini, di «Miss Italia» te ne accorgi solo quando ti arriva addosso la sciagura. Le ragazze sono lì, a migliaia, come cavallette in due pezzi, pronte a gettarsi sulla messe dei microfoni. Per recitare, cantare, anche solo per fare bau. Ma dopo la prima ora e mezzo che quelle creature stanno in piedi con le mani dietro la schiena, in frugali mutandine e reggipetto, quello che viene in mente è il mercato degli schiavi. E infatti, uomini e donne, vestiti e seduti dietro un tavolo, danno i voti, valutano i corpi, le capacità, il sorriso. Ci manca solo che il presentatore metta loro le mani in bocca e guardi se hanno i denti buoni. La cosa curiosa, ben travestita da cosa normale, è quando le ragazze stanno lì in bikini e parlano del più e del meno col presentatore. Cosa ci può essere di normale quando una persona deve vivere per una settimana in costume da bagno? Ma la cosa migliore è successa venerdì. Magari abbiamo aspettato sessantanni, ma ne è valsa la pena. Una ragazza si è seduta in costume da bagno al pianoforte e ha suonato Beethoven. Le prime note di «Per Elisa». Quelli della giuria hanno cominciato a fare su e giù con la testa, in modo che si capisse che conoscevano quel pezzo di Storia. Cultura? Erotismo con la polenta? No, un bel niente.


meditate  gente  mediatate  .

Senza titolo 811

 sempre dala nuova  sardegna  di oggi  dall’inviato Agostino Murgia Il sangue che scatenò la stagione dell’odio Una messa e canti strazianti per ricordare i cinquant’anni della strage di San Cosimo Gli assassini sbagliarono auto e nell’agguato morirono tre amici che tornavano dalla festa



MAMOIADA. Una cerimonia funebre accompagnata dai canti del coro di Nuoro. Strazianti, per ricordare il cinquantesimo anniversario della “Strage di San Cosimo”. Un capitolo che ancora oggi tutti ricordano, un tragico sbaglio. I rapporti di allora parlano di “tre ignari viaggiatori” che si trovarono a transitare in quei posti. Avevano un “Fiat Giardinetta”, vecchio modello. Mentre tornavano dalla festa vennero investiti da una tempesta di piombo. Morirono Ettore Tola, ex segretario comunale. Pietro Porcheri, veterinario. Ernesto Spinelli, direttore dell’allora “Sita”, società di trasporti automobilistici. Nicolino Caria, all’epoca vicedirettore dell’Ept, sopravvisse. Pare che prima di svenire avesse sentito gli assassini dire: «Accidenti, ci siamo sbagliati». In realtà, al posto degli uccisi, nel luogo sarebbe dovuto transitare un certo personaggio di Mamoiada che aveva una vettura perfettamente uguale a quella delle vittime. La cerimonia funebre di ieri non ha voluto ricordare i tragici fatti di sangue che seguirono a quell’errore. Sono stati pianti i morti, che niente avevano a che vedere con quanto andava maturando in quegli anni a Mamoiada. Tola, Spinelli e Porcheri sono morti per il semplice fatto di essere stati a bordo di una vettura simile a quella della potenziale vittima. Ci fu anche un processo che vide come imputati alcune delle persone di maggior rilievo, all’epoca, a Mamoiada. La corte d’assise prese atto dell’esistenza di alcuni “clan”, cercando di catalogare l’evolversi degli avvenimenti. Nel dibattimento nei confronti dei sospettati - dei quali non facciamo i nomi - si arrivò a una condanna in primo grado, seguita da un’assoluzione in appello. Indipendendemente dal processo, però, questo fatto avrebbe innescato una delle più sanguinose faide mai viste in Sardegna. I “vecchi” venivano lasciati vivi, per farli assistere alla morte dei loro congiunti giovani. Solo in seguito sono stati regolati i conti anche con loro. Pochi dei protagonisti di questa vicenda sono morti a letto, di malattia. Anzi: si dice che un anziano sia stato ucciso quando si era saputo che aveva una malattia che non gli avrebbe lasciato scampo. Ucciso, anche lui. L’uomo che doveva essere ucciso al posto di Tola, Spinelli e Porcheri, pare che non sia rimasto a guardare. Formò una sorta di “clan”: ancora prima che la corte d’assise d’appello di Cagliari riformasse la sentenza, cadde la prima testa. Nel 1958 avvenne il secondo delitto di “risposta”, seguto da ulteriori repliche. Si viaggiò con una certa media di omicidi, sino al 1965. A partire da quella data, si instaurò un apparente clima di distensione, tale da far ritenere alle autorità che fosse stato raggiunto un accordo tra le parti: ma così non era. Le ostilità ripresero in tutta la loro irruenza, dopo lo sgarrettamento e l’uccisione di alcuni capi di bestiame appartenenti alla persona che doveva essere la vittima predestinata di San Cosimo. Costui, dopo alterne vicende, venne assassinato nel 1973, a colpi di scure. Nel frattempo, però, i “clan” erano andati via via consolidandosi, portando a diramazioni della “rete” che in ogni caso ritornavano a quella che ormai poteva essere definta la “faida storica”. Ci furono rami estemporanei, altri essenziali, ma sempre all’interno di una logica che non lasciava scampo. Bisogna naturalmente precisare che mentre tutto ciò accadeva, la popolazione di Mamoiada assisteva impotente all’evolversi dei fatti. Grandi lavoratari, gente che teneva curva la schiena dalla mattina alla sera nelle vigne e nei campi, o dietro il bestiame: vedeva i propri compaesani cadere uno dietro l’altro, in una logica defficilmente decifrabile. Eppure, tra tante faide, quella di Mamoiada è la più “leggibile”: i “clan” - formatisi al principio - hanno delle caratterisitiche proprie. Al loro interno si sono costituiti dei sottoinsiemi, formati da aggregazioni non appartenti al gruppo iniziale come “sangue”, ma in ogni caso affini. L’inferno scoppiò quando gli appartenenti al sottogruppo - per motivi momentaneamente indecifrabili - si rivoltarono innescarono una guerra senza quartiere nei confronti dei loro ex alleati. È in quel momento che la faida perse i suoi connotati storici e si trasformò in guerra tra gruppi. Senza quartiere, con un susseguirsi di morti che sarebbe molto difficile elencare. Ma ora tutto è passato. Da anni sembra regnare la pace, ed è per qusto che sono stati ricordati i morti di cinquant’anni fa.




Senza titolo 810


dalla nuova del 19\8\2005


Barisardo. L’intuizione di un capraro La riscoperta dell’antico cas’agedu E la colazione del pastore compete con cracker e yogurt E’ un formaggio molle e leggermente acido indicato nelle diete che sta conquistando ampie fette di mercato


Il Nobel della creatività nell’ovile va assegnato a un capraro di Barisardo, paese dell’Ogliastra votato al turismo balneare. Ma Luciano Chiai, 56 anni ben portati, continua imperterrito a fare il pastore nell’altipiano vulcanico di Teccu, mille pecore, duecento capre. Come suo padre, come usava suo nonno, Luciano fa colazione col “Cas’agedu” (scritto - a seconda dei paesi - anche nella forma di “Cas’axedu” o “Cas’ageru”), un formaggio molle, bianco come la neve, leggermente acidulo, confezionato in fette come il burro, tra i migliori regolatori naturali intestinali, indicato per le diete, per iniziare una giornata di lavoro. Ottimo se accompagnato dal “pistoccu” o “pane carasau”, naturale o integrale poco importa. Questo prodotto - che è da secoli l’unico formaggio fresco dell’ovile sardo - non è lo yogurt preparato con microrganismi definiti tutti per legge e chiamati termofili, cioè con temperature elevate, fra i 42 e i 45 gradi. No, qui regna la genuinità. Il “cas’agedu”, cioè formaggio acido, è latte fresco e caglio, quello contenuto nello stomachino del capretto e utilizzato per confezionare i medicinali che devono combattere le malattie dello stomaco e dell’apparato digerente. Il “cas’agedu” è un rimedio naturale proprio per la presenza del caglio. Prima esisteva solo sotto forma di pasta, o di crema. Ora c’è anche liquido. Occorre mettere alcune gocce in un litro o più di latte che dopo alcune ore si compatta. La temperatura non è da laboratorio, no, è quella naturale, ambientale, generalmente sui 37 gradi costanti, sia in estate che in inverno con una “biodiversità accentuata”. Il segreto sta in questi semplici accorgimenti, a partire dalla temperatura ambientale.
La versione moderna di un prodotto che arriva dalla notte dei tempi scatta nell’aprile del 1992, periodo di crisi nera per il prezzo del latte con un ragionamento semplice firmato Chiai perché non commercializzare il “cas’agedu”, farlo uscire dall’ovile e immetterlo nei negozi in camion refrigerati, venderlo rispettando tutti i crismi della legge? Detto fatto. Calvario burocratico con pratiche amministrative, autorizzazioni della Usl,controlli dei vigili sanitari, creazione di un laboratorio a regola d’arte,ed ecco il “cas’ageru” di Luciano il capraro di Barisardo sbarcare a Cagliari,Sassari,Nuoro,Olbia,Quartu,Selargius e a Capoterra.Con numeri diventati ormai importanti: quest’anno la produzione Chiai è stata la più abbondante in Sardegna, pari a cento quintali:”Il prodotto piace, è preferito con il latte di capra oppure nella forma mista caprino-ovino. L’importante è la qualità del latte con standard costanti 365 giorni all’anno”. Chiai ha creato lavoro. Con la moglie Rosa Casu allo spaccio e in laboratorio, lavorano i figli trentenni Davide ed Emanuele, tutti col diploma dell’Istituto agrario e corsi di specializzazione in tecnologie dell’alimentazione.“Tra poco il caseificio potrà essere ampliato, miglioreremo il confezionamento perché una delle difficoltà è proprio questa, essendo un prodotto molle. Ma la tecnologia è della nostra parte”, dice soddisfatto Chiai. C’è un altro fatto importante. Luciano Chiai è stato l’imprenditore-pioniere che da un’idea semplice, perfino banale, ha attivato - per stare al linguaggio degli economisti - quel sano meccanismo che dopo il “processo di innovazione” (il salto del cas’agedu dalla capanna clandestina dell’ovile allo scaffale legalizzato del supermaket) ha generato il “processo di imitazione”. Perché oggi sono oltre venti i caseifici che commercializzano legalmente “Su cas’agedu”. In Ogliastra lo fanno la cooperativa “Sant’Antonio” di Tertenia, Cesare Sirigu a Jerzu, Silvio Boi a Cardedu. Boi è pastore di lungo corso, ha 86 anni, nato a Gairo, conosciuto come “Freguledda”, è stato uno dei primi a capire l’importanza della produzione su scala industriale del formaggio. “Adesso - dice Boi - in vecchiaia riscopro un prodotto che conosco da quando sono nato. Lo propongo in confezioni da 400 grammi, quest’anno ho debuttato con duemila quintali”. Dall’Ogliastra il “processo di imitazione” si è spostato un po’ in tutta la Sardegna. Viene confezionato in piccole aziende agroalimentari del Sulcis (a Santadi e Villaspeciosa), al caseificio di Guspini, in alcuni centri del Logudoro, adesso anche nel Nuorese (dove viene chiamato “Vrue”). A Oliena è prodotto dalla latteria “Rinascita” (100 soci, quasi due milioni di litri di latte lavorato). È proposto in due confezioni in vaschette da 900 e da 230 grammi con l’azzeccatissima etichetta Nive, cioè neve. Presidente è Gesuino Maricosu, 45 anni. Dice: “Da due anni non produciamo un solo chilo di pecorino romano, abbiamo iniziato a puntare sui molli e con Nive siamo più che soddisfatti. Il turismo di Oliena ci dà un’ottima mano d’aiuto perché Nive viene servito a Su Gologone, al ristorantino Masiloghi, da CiKappa, alla cooperativa Enis di Monte Maccione. Ovviamente produciamo sempre i nostri formaggi pecorini, dal Rocca Bianca al Crema Corrasi, la ricotta Gentile, un pecorino biologico e il formaggio da tavola Tuònes e un Dop di nome Sole di Oliena, pecorino a denominazione protetta. Ma quest’anno il vero boom è stato con la Vrue. Nei nostri ristoranti è utilizzato anche come antipasto, è un piatto che fa tendenza, la versione salata è usata come condimento delle fette di pomodoro”. Stesse cose dice l’altro produttore, Pietrino Boe.
Non solo. Il processo “imitazione” ha contagiato la star indiscussa della produzione casearia isolana. Ha scoperto il “Cas’agedu” anche il caseificio leader in Sardegna, quello dei Fratelli Pinna di Thiesi (40 milioni di litri di latte lavorato, 50 milioni di euro di fatturato, 192 unità lavorative annuali). I Pinna lo vendono in una confezione tonda da 220 grammi e l’hanno chiamata proprio “La colazione del pastore”. Che ha fatto la sua comparsa in alcuni hotel della Costa Smeralda, di Alghero e del lungomare di Pula. “Ormai - annuncia Paolo Pinna, responsabile del marketing - siamo presenti negli scaffali dei gruppi IperPan, Conad, Pellicano. E stiamo per chiudere i contratti con Sigma, Carrefour e i due Auchan di Cagliari”. Il progetto - dei Pinna e dei Chiai, dei Boe e dei Maricosu - è una rivoluzione nella gastronomia: fare in modo che la prima colazione dei turisti sia finalmente e veramente sarda. Non self-service imbanditi solo con miele australiano, marmellate svizzere, yogurt bavaresi, crackers e cereali soffiati made in Usa ma “la colazione sarda” col cas’agedu-vrue semmai in confezioni monodose, proprio come si fa col miele e le marmellate. E tanto buon pistoccu che gareggi con le fette biscottate d’Oltretirreno. Così avremo un effetto “imitazione” di ritorno, con tecniche di commercializzazione nate negli Usa e in Germana e apprese anche fra i nuraghi. La cronaca incoraggia questo processo. Ieri sua bontà il “Cas’agedu” ha spopolato fra gli stand dei 250 espositori di Bra, nel Cuneese dove si svolge la più importante fiera dei formaggi chiamata “Cheese, le forme del latte”. I turisti e gli assaggiatori hanno potuto apprezzare la versione barbaricina detta “Vrue” nelle confezioni “Neve” del caseificio di Oliena e “Lepia”, che vuol dire leggera, soffice, del produttore Pietrino Boe. Ottimo successo per i caprini di Donori di Giorgio Aresu che propone anche il “quagliatello”. Ma è stato il “Cas’agedu-Vrue” la vera novità. Fragola Besana, milanese, consulente di una società di comunicazione, ha stazionato a lungo davanti allo stand della “Rinascita” di Oliena. Con commenti entusiasti: “È un formaggio morbido, rinfrescante, lievemente acidulo, vorrei trovarlo nei supermercati, farei colazione ogni giorno con questa leccornia”. E così passiamo alle leggi dell’economia: perché è inutile produrre, anche prodotti eccellenti, se poi non si sanno commercializzare e mancano negli scaffali dei punti-vendita, là dove si crea reddito. Nelle città e nei paesi. A Bra, questa volta, c’è stata una prima risposta incoraggiata dai tecnici dell’Ersat con una Sardegna che si è saputa presentare in un unico stand. Soprattutto dal Nuorese c’è stata una partecipazione massiccia e compatta con caseifici cooperativi e privati di Ollolai, Sarule, Orgosolo, Gavoi, Macomer, Orune, il consorzio Gennargentu e i produttori della Barbagia-Mandrolisai. Con loro i dirigenti del caseificio della Nurra, di Sassari, Borore, Sedilo, Villaspeciosa, Donori e tanti altri. E tra pochi mesi, in concomitanza con le Olimpiadi invernali di Torino, la Sardegna interverrà alle “Olimpiadi del formaggio” di Verona: “È una vetrina importante nella quale dovremo bissare il successo di Bra coinvolgendo tutti i produttori sardi”, afferma il commissario dell’Ersat Benedetto Meloni. Ci sono tutte le condizioni per imporre il nuovo prodotto. Il “cas’agedu” è studiato nelle Università, non solo in quelle sarde. Alla statale di Milano, ha discusso la tesi di laurea in Agraria una ragazza di Urzulei, Giovanna Mereu. Nell’introduzione cita il canonico Giovanni Spanu che “nel suo vocabolario scrive: Frue, latte rappigliato, companatico del pastore nel salto. Dal latino fruor, godere, fruire”. Gli studi più seri vengono fatti a Bonassai dai tecnici dell’Istituto zootecnico e caseario che ha prodotto oltre cento pubblicazioni scientifiche di livello internazionale. In tanto i nomi. Tanti, secondo le zone. In Ogliastra, si è detto, è “cas’agedu” con le varianti di “ageru” o “axedu” ma anche “cas’e fittas” con la particolarità di Seulo e Perdasdefogu “casu in filigi”, formaggio nella felce. Nel Nuorese è “Vrue” ma anche “Frue” o “Frughe”. Altrove Merca, Vìscidu, Préta, Pièta, Casàdu, Cagiadda, Latte cazàdu, Latti callau. Francesca Scintu, direttore del servizio di Microbiologia e Tecnologia casearia di Bonassai, impegnata anche nel progetto made in Urzulei per la valorizzazione del caglio di capretto, dice che “in letteratura non sono reperibili molti studi sul cas’agedu che ora è stato però inserito nell’elenco dei prodotti tradizionali della Regione Sardegna secondo un decreto ministeriale del 1999. Ma - dice la Scintu - è auspicabile un’azione di valorizzazione a tutela che permetta, anche col riconoscimento Dop o Igp, la protezione giuridica del prodotto”. Questa la strada prossima ventura del formaggio-neve messo in bottega da Chiai e degnamente imitato. È la diversificazione del latte che va avanti. De Gaulle si lamentava perché doveva “governare la Francia con 325 varietà di formaggio”. In Sardegna - terra di pecore e di capre - siamo all’opposto: pecorino, pecorino romano e poche forme di Fiore sardo a Gavoi. Poi il nulla. Chiai e soci hanno iniziato la battaglia competendo con yogurt e simili. Sono nati i molli e i semistagionati. C’è il “casizzolu”. Oggi la Thiesilat produce il Caciotartufo e gli erborinati Ovinfort che competono col Roquefort e il Gorgonzola. Il varco aperto dalla “colazione del pastore” è ampio quanto il mondo. Va percorso fino in fondo. I capiscuola non mancano.


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 a chi dice  che  noi  sardi siamo chiusin  alle  altre culture  si sbaglia di grosso    e questo articolo qua   è una dele tante dimostrazioni  di come  questo antico pregiudizio   sia   errato



Un canto d’amore dopo le evoluzioni  Il grande successo di una manifestazione da ripetere  I silenzi degli «indiani» così simili a quelli dei sardi: un invito a non parlare a sproposito  pellerossa alla rassegna Sardegna Cavalli di Oristano  La cavalcata di Aquila bambina  «Avete una terra bellissima, non fatevi dire come viverci»  


 
  ORISTANO. La notte avanza chiara, a luna quasi piena, quando Boricheddu Trogu - celebratissimo solista e leader del coro di Seneghe - intona “Una tràila rubia famosa”, pezzo forte della formazione, composto da un altro Trogu, Giuannicu, negli anni Trenta. Il testo è sottilmente allusivo: nella metafora la vitella raffigura una bellissima donna forestiera. È un ballo cantato - ballu’e càntidu - dei più famosi, splendidamente eseguito dal solista (su pesadore) e dal coro (Guido Lotta mesaoghe, Piero Laconi contra, Enzo Lotta basso). E’ stata la degnissima chiusura di un evento di profonda suggestione complessiva. In mezzo alla folla due tra i volti più noti dei cavalieri dell’Ardia di Sedilo - Michele Carboni (l’attore protagonista di “Ballo a tre passi” di Salvatore Mereu) e Sebastiano Coccu (seconda bandiera dell’Ardia 2001, quando il capocorsa era Salvatorangelo Chessa, e rinomato domatore di cavalli) - silenziosi e attenti seguono il canto della vitella rossa e le danze indiane. Molto interessata all’evento la traduttrice Elisabeth Jacchelli, segretaria generale della Camera di commercio italo-canadese. Nello stand dell’Istituto professionale per l’agricoltura e l’ambiente, il professor Piergiorgio Etzo di Atzara fa ascoltare da un cd alcuni brani cantati a tenore da quattro studenti sedicenni della scuola: Giovanni Marceddu, Simone Sanna, Silvano e Stefano Demontis. Il giornalista Marco Enna fa da cicerone a molti distratti. Nello spazio riservato all’Ente Foreste campeggiano un cervo e un cinghiale, con altri selvatici impagliati. Un turista calcola l’età del muflone esposto sull’inanellarsi delle corna: ogni tacca un anno. Particolarmente osservati gli uccelli, rapaci e non: l’aquila reale, il falchetto, il barbagianni, il picchio, il cuculo. Si possono ammirare pietre di grande interesse come l’ossidiana rossa e il diaspro. C’è perfino il corallo fossile, oltre alle sezioni dei tronchi delle specie forestali sarde più importanti. Un discorso a parte merita la monta sarda da lavoro, splendidamente orchestrata dai un cavaliere fonnese che vive a Palmas Arborea - Boele Mattu - e dal figlio Giovanni, quindicenne, campione europeo juniores di monta da lavoro. Un folto gruppo, chiaro esempio di affiatamento uomo-cavallo: uno spettacolo a sé, evoluzioni incredibili. Il commissario della Camera di Commercio, l’avvocato Piero Franceschi, commenta: «Un successo, non tanto per noi che organizzavamo quanto per la passione che gli oristanesi riversano sui cavalli. Oristano si è ritrovata in questa bellissima edizione, città e provincia hanno risposto. In noi è forte la consapevolezza dell’arricchimento che ci viene dall’acquisizione di nuovi territori come Laconi e dei cavalli del Sarcidano. Rifarei senz’altro la manifestazione ma il mio mandato scade. Auguro al mio successore di non lasciar cadere questa bella opportunità». Vigilano intorno gli uomini-ombra della Camera: l’indiano di Sardegna Giorgio Pala e l’insonne Saverio Loi di Ghilarza. A Piero Arca - ex-sindaco di Oristano e funzionario della stessa Camera - gli indiani hanno dato il nome di “Voli nella notte”. Sul prato verde di Sa Rodia la festa si chiude con un maxiballo tondo che unisce tutti: il gruppo folk di Busachi e quello di Oristano di Enrico Fiori, reduce dalla Francia con un importante riconoscimento internazionale, gli indiani, i bambini. Canta ancora Boricheddu Trogu: “Una tràila rùbia famosa/ est bènnida a su monte seneghesu” (una famosa vitella rossa è arrivata sul monte di Seneghe). Per fare strage di cuori.  Aquila bambina è tra i grandi cavalieri e danzatori indiani protagonisti dello sfavillio notturno di commiato a “Sardegna Cavalli” nell’ampio spazio di Sa Rodia a Oristano insieme con Piccolo bisonte che corre, Capo delle stelle, Piccolo uomo e gli altri. Lui, il Figlio dell’aquila, ha due grandi tatuaggi, uno per braccio. Come mai? Spiega: «Mi hanno creato qualche problema perché nella nostra educazione è basilare non fare del male ai nostri corpi, poi hanno capito che li avevo fatti in onore di mio figlio».
 È l’ora dei saluti e gli indiani mettono la mano destra sul cuore per infondere sacralità alle parole, loro che vedono il Grande Spirito nelle nubi e lo ascoltano nella pioggia e nel vento. Il gesto significa che accettano di cuore e benedicono quanto di meglio hanno ricevuto in questi giorni in Sardegna, l’affetto soprattutto. Sono un modo di rendere grazie anche le straordinarie danze dell’erba e della vittoria. E la musica, antica e triste, di un popolo oppresso e depredato della sua terra d’origine. Vengono dal sud Alberta e appartengono a nazioni native differenti: Tsuutina (poco conosciuta in Europa) e Sioux-Piedi Neri: questi ultimi sono quelli che iniziarono a trattare con l’esercito regolare degli Stati Uniti al tempo della battaglia del Little Big Horn in cui i capi Sioux Cavallo Pazzo e Toro Seduto sconfissero e uccisero il generale Custer. Ma in Canada ci sono circa seicento tribù indiane.
Parla Aquila bambina, capo riconosciuto della delegazione nonostante la giovane età, trentasei anni: «Qui ci siamo trovati benissimo. La cosa che più ci ha colpito è la presenza dei bambini, nuvole di bimbi che vanno a cavallo. Io penso a mio figlio, che mi manca, e la vista di questi bambini sardi mi riempie di gioia. Voi vivete in una terra bellissima: non fatevi mai dire da nessuno come dovete vivere». Qualche ora prima, in un albergo cittadino, il giovane aveva accettato cordialmente di rispondere a qualche domanda.
 - Aquilotto, in Sardegna quando vogliamo definire in sintesi l’abilità di un cavaliere diciamo: sembra un indiano. Da piccolo, come sei stato avvicinato al cavallo?
 (La prima risposta è una risata piena, lunga: si riferisce a una raccomandazione degli adulti, ribadita ogni volta, sempre uguale).
 «Non cadere, non cadere. Mi dicevano sempre così: non cadere. Io sono cresciuto in mezzo ai cavalli, come tutti i bambini indiani, fin da piccolino. Avevamo le vacche e dunque i cavalli erano indispensabili per radunarle».
 - Con i cavalli di Oristano come ti sei trovato?
 «A prima vista i cavalli sardi sono molto nervosi e delicati. Ma una volta che li hai conosciuti sono ottimi animali. Un cavallo e un uomo per andare d’accordo debbono prendere confidenza. Ci vuole tempo».
 - Ma non per questo ti sei spaventato.
 «Noooo» (ride compiaciuto).
 - In Sardegna si parla tanto della religione degli indiani.
 «Un tempo i preti e il governo canadese non volevano che noi praticassimo la nostra religione, allora la fede dei nostri antenati si è come nascosta sotto la terra. Ora che il popolo canadese capisce l’importanza delle convinzioni religiose ce ne permette la pratica. Il governo britannico ce la voleva togliere. Ha ottenuto l’effetto contrario».
 - Lo
diceva già un autore del secondo secolo dopo Cristo, Tertulliano: il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani.
 «Credo che questo sia ancora e sarà sempre vero. Nel nostro popolo è successo un altro fatto: chi ha combattuto per conservare la nostra religione ora è molto severo nella pratica, perfino nell’esecuzione dei riti: tutto deve essere fatto come una volta».
 - Il silenzio degli indiani è proverbiale. Anche da noi, nella Sardegna interna, è una virtù molto apprezzata. Tu come sei stato educato a parlare poco?
 «Sentivo dire: quando uno parla non gli funzionano le orecchie. Da piccolo mi veniva sempre raccomandato: stai zitto e ascolta».
 - E tu che cosa dici a tuo figlio?
 «Esattamente la stessa cosa».
 - I nostri vecchi insegnano: se siamo nati con due orecchie e una sola lingua, questa è un’indicazione precisa.
 «E noi facciamo lo stesso esempio».
 -
Si discute molto sul ruolo della donna tra i nativi americani. La nazione Mohawk del Quebec riconosce alle donne anche il potere di nominare il capo. Da voi come funziona?
 «Fin da bambino ho imparato che le donne dànno la vita e di conseguenza sono il punto fermo della famiglia. La donna è anche il nodo centrale della società. Ma da noi non hanno il potere di nominare il capo. Quella del capo è una carica ereditaria».
 - Proprio in questi giorni in Sardegna l’argomento della caccia ridiventa spinoso. Per voi nativi del sud Alberta com’è regolata?
 «Nel 1800 in Canada vennero firmati otto trattati tra le diverse tribù indiane e la regina d’Inghilterra. La caccia è una parte fondamentale di quei trattati. Oggi noi abbiamo diritto di cacciare in qualsiasi stagione e in qualunque giorno, ventiquattro ore su ventiquattro».
 - Esattamente come nel Quebec.
 «Quelli del Quebec sono stati i primi a firmare i trattati. Ma allora c’erano pochissimi indiani, lo sterminio della nostra stirpe aveva riguardato una larghissima fetta della popolazione. Sulla base dei nativi in Quebec, abbiamo negoziato i diritti anche in sud Alberta».
 - Voi pregate ancora prima di sparare sull’animale?
 «Sì, tutte le volte. Offriamo qualcosa allo spirito dell’animale, prima di sparare. E diciamo una preghiera: che nasca sempre più selvaggina per evitare lo sterminio».
 - Domani ripartirai, Aquila bambina. Cosa porterai con te?
 «Domani ripartiremo, tutti, con molta nostalgia. Io spero di ritornare nella vostra terra splendida».
 Nella danza degli spiriti del 1889, il capo degli indiani Cherokee-Wovoka, figlio di Paiute Messiah- disse ai partecipanti delle altre nazioni indiane: «Voi avevate molti bisonti da mangiare ed erba alta per i vostri cavalli: voi potevate andare e venire, come il vento». Ora che i bisonti non ci sono più ma l’erba per i cavalli degli indiani è sempre alta, le virtù di riferimento delle nazioni dalla pelle rossa vivono un’altra stagione dello spirito, ugualmente forte, perfino più intensa. Per loro la terra è sempre una madre. E la luna conserva il grado di nonna.
 

18.9.05

Senza titolo 809

vistto cfhe nessuno \a  di   voi rispettata    quello che  io  ho chiesto   anche  nella tag  ovvero niente  spam   fatelo  pure  però   mettetelo nella  categoria  consigfli per   gli acquisti  oppure createne  una  chiamandola    spam \  pubblicità . cosi  chi   legge   o cerca la  categotria    arti o fumetti  nojn  si ritrova  spam  .  lo stessa regola  vale quando  pubblicizzate   o volete segnalare il vostro sito  o di un vostro amcio\a  o  che  vi  ha  colpito   c'è la  categoria internet 

Il passato davanti

Viaggiatori. Lo siamo tutti in fondo. In ogni momento. La vita è divenire, e ci lasciamo alle spalle un'infinità di cose, ogni giorno, ogni momento. Per questo mi sono appassionata alla fotografia. Per tentare di fermare gli istanti. Per tentare di bloccare un passato che il tempo, crudele, vorrebbe inghiottire. Ma ancora più che le immagini, a volte, possono le parole, come potenza e intensità.


Per questo ho deciso di scrivere due blog, nel corso di questa estate, perchè alcuni ricordi importanti non scomparissero inghiottiti dal tempo.


"Milleunastoria" è un blog dedicato ai miei nonni, ai loro ricordi di gioventù, al loro viaggio avventuroso nel corso del XX secolo, attraverso guerre, amori, gioie, famiglia, trasferimenti, lavoro, figli e un'infinità di storie.


"TiAmo" è un blog dedicato ad un mio ex ragazzo, col quale divisi una storia breve, intensa e ancora oggi commovente nei ricordi, un blog fatto di frammenti vissuti tra poesia, emozioni e sentimenti. Il blog, scritto ad un anno dalla fine di quella storia, mette la parola fine al mio tormento interiore trascrivendo proprio là, in quelle pagine, i momenti più belli di ciò che vivemmo.


Commenti e impressioni, in questo post o nei due blog di sopra, saranno i benvenuti. Grazie.

Senza titolo 808


www.photoforum.ru


Silenzio! Quale luce irrompe da quella finestra lassù?
È l'oriente, e Giulietta è il sole.
Sorgi, vivido sole, e uccidi l'invidiosa luna,
malata già e pallida di pena
perché tu, sua ancella, di tanto la superi in bellezza.
Non essere la sua ancella, poiché la luna è invidiosa.
Il suo manto di vestale è già di un verde smorto,
e soltanto i pazzi lo indossano. Gettalo via.
È la mia donna; oh, è il mio amore!
se soltanto sapesse di esserlo.
Parla, pure non dice nulla. Come accade?
Parlano i suoi occhi; le risponderò.
No, sono troppo audace; non parla a me;
ma due stelle tra le più lucenti del cielo,
dovendo assentarsi, implorano i suoi occhi
di scintillare nelle loro sfere fino a che non ritornino.
E se davvero i suoi occhi fossero in cielo, e le stelle nel suo viso?
Lo splendore del suo volto svilirebbe allora le stelle
come fa di una torcia la luce del giorno; i suoi occhi in cielo
fluirebbero per l'aereo spazio così luminosi
che gli uccelli canterebbero, credendo finita la notte.
Guarda come posa la guancia sulla mano!
Oh, fossi un guanto su quella mano
e potessi sfiorarle la guancia!

- William Shakespeare

 


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VENDO serie completa del manga TOUCH-PRENDI IL MONDO E VAI (26 numeri) di Mitsuro Adachi, condizioni ottime, a 75 euro (spese di spedizione incluse)

 

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Senza titolo 806

Ecco ascoltami
sospiri nel vento
giovani stelle cadenti
un cuore ferito da tante battaglie
e tu
come il ghiaccio in una fredda giornata d'inverno
io ti osservo
non ti gratterò con le mie unghie
aspetto
che finalmente assumi la forma che ho nel cuore

17.9.05

I valori della controcultura e risposta a chi mi chiede dcome concilio passato ( le mie radici ) e futuro

 Rispondendo  ad alcune  email   fra  quelle    poche  che  non  ho cancellato  come  stò iniziando a fare  come  promesso  per i motivi   di cui  ho  già parlato in precedenza  e perchè  non contegono  -- se   non in maniera lieve  e leggera  -- insulti o   che mi chiedono in maniera pacata   e  costruttiva   , anche  se  presenti  nelel faq  e  nei post  del blog  ( ma  si può fare un eccezione  )   :  come faccio a  conciliare   presente  con passato  ( ovvero con le mie radici  )  ; come  mai ami  la  contro cultura  ,, la contro informazione  ., ecc    Soprattutto   dopo i miei recenti post  e e  sulla  recensioneintervista   (  trovate  a destra  nel  blog )   alla  rivista  lovcale  Gemellae  replico   con  questa  Intervista  di   ANDREA MELIS   a  Stefano Tassinari in  cui  parla di letteratura e antagonismo politico   pubblicata  sulla   sulla nuova  del  17 c.m  in visita   del  suo tour     oggi 18- c.m sarà nel mio paese  ) per  presentare  il suo  ultimo libro  L'amore degli insorti  qui per la trama   ( sito da cui ho tratto la sua bibliografia che trovate alal fine del post   )


                                                                                                                                                                                                                                                    L’arrivo nell’isola dello scrittore Stefano Tassinari, uno degli scrittori nazionali di maggior interesse, autore di libri come «L’ora del ritorno» e adesso dell’opera «L’amore degli Insorti» (Marco Tropea Editore, 169 pagine, 12,50 euro), è l’occasione per uno scambio di battute.
 - La memoria è sempre presente nei suoi romanzi. Con «L’amore degli insorti» lei racconta gli anni Settanta. Per quelli che c’erano, o per svelare a chi ne sa poco o niente?
 «Entrambe le cose, perché ritengo che in questo momento la memoria sia fondamentale nel lavoro di uno scrittore. È importante rapportarsi alla memoria soprattutto quando la memoria non è condivisa. Questo è un romanzo che chiude una trilogia sulle generazioni del Novecento. E in tutti e tre i miei libri si raccontano contraddizioni».
 - Però Paolo Emilio, il protagonista, fa i conti proprio con la scelta della lotta armata. La difende e la distingue dal terrorismo. In tempi di propaganda grossolana è importante essere lucidi almeno nella memoria?
 «Sì, certe cose bisogna dirle ai giovani, altrimenti sembra che milioni di ragazzi folli scendessero in piazza al solo scopo di usare violenza. Il personaggio è volutamente lontano dalla mia storia personale, ma permette una riflessione tra chi ha scelto quella strada più dura, senza uscita, che già allora molti consideravamo un errore, e chi invece scelse strade diverse credendo nella rivoluzione culturale. Però il confine fra queste posizioni era allora più sottile di quanto s’immagini oggi. Qualunque scelta, bisogna ricordare, avveniva sotto il peso della repressione durissima di quegli anni, sotto le restrizioni delle leggi speciali, con intorno i golpe e le dittature che avvenivano intorno, dal Sud America fino in Grecia. A questo bisogna aggiungere le attività di Gladio, della P2, le stragi neofasciste e tentativi di golpe stesso qui in Italia. Situazioni estreme che non contribuivano ad alleggerire il clima».
 -Il suo libro è disseminato di riferimenti alla cultura anni Settanta, dalla musica alla letteratura. Appunti per chi volesse risalire la memoria o ricordi?
 «Non credo siano ricordi nostalgici, altrimenti non avrei scritto questo romanzo. Io non nego la nostalgia, sia chiaro. Ho nostalgia di quelli che erano anni straordinari, della mia formazione in primo luogo, ma in generale erano anni in cui circolavano idee e si metteva in discussione tutto. Ed è per questo che non accetto che di quell’enorme movimento durato oltre 10 anni resti solo il ricordo di ciò che chiamano terrorismo, cioè della lotta armata. Le battaglie su diritti civili e controcultura giovanile, movimento delle donne e tante altre hanno portato gli italiani da popolo arretratissimo a paese moderno, culturalmente e moralmente, ma ora questo non ce lo riconosce nessuno».
 - Lei affronta anche il tema importante della trasformazione del linguaggio. I vostri sogni parlavano con parole che 30 anni di tv hanno spazzato via. Un vostro volantino oggi farebbe venire l’orticaria a molti.
 «A volte l’orticaria viene anche a me che quelle cose le scrissi, a suo tempo. In effetti abbiamo utilizzato un linguaggio rigido per la parte della politica, e uno più aperto e fantasioso per quanto riguarda la dimensione della cultura. Questo contrasto forse è stato uno degli elementi che ci ha portato a perdere la battaglia. Se avessimo capito l’importanza di rifondare anche il linguaggio della politica non sarebbe più bastata una semplice repressione militare a spazzare via un movimento che comunque contava su milioni di giovani. Dall’altra era però un linguaggio di appartenenza, identità, e ci permetteva di riconoscerci al volo ovunque».
 - La storia ruota intorno a figure femminili molto belle. Rita, Alba e la misteriosa Sonia. Presente, passato e futuro?
 «Assolutamente. E senza voler fare omaggi a chi non ne ha bisogno, è giusto riconoscere che in quegli anni le donne sono state fondamentali, facendo compiere uno scatto formidabile a movimenti che partivano invece come rigidi e maschilisti. Perché hanno immesso una sensibilità molto forte, e una concezione del cambiamento più profonda. Quando gridavano lo slogan “Non c’è rivoluzione senza liberazione” dicevano una cosa tutt’altro che semplice. Ci hanno insegnato che oltre a rivoluzionare il sistema economico era necessario prima lavorare su noi stessi, sulla nostra cultura e sulle nostre menti. Infine, così come avviene nel mio romanzo, le donne sono importanti perché non vivono un senso di vendetta fine a se stessa, cercano sempre, a modo loro, una forma di dialogo e comprensione».
 - Come dicevamo non tutti hanno fatto al stessa scelta all’epoca. Così oggi alcuni sono ancora in carcere, altri siedono in parlamento. Quanti conti restano aperti nella vostra generazione?
 «Senza dubbio molti. Soprattutto nei confronti di chi ha fatto il salto dall’altra parte. Tra dirigenti nei giornali, nei partiti, nel mondo della televisione... ce ne sono tanti. Questo dà molto fastidio, soprattutto quando dai peggiori ti devi sorbire la paternale. È una riflessione molto amara, per fortuna su una parte neanche grande ma ben esposta mediaticamente. Dall’altra, c’è la ferita sempre aperta dei troppi anni di carcere e delle troppe persone che senza mai aver sparato un colpo hanno pagato uno sproposito. Io da questo punto di vista sono assolutamente convinto che sia necessaria un’amnistia per chiudere per sempre questa pagina».
 - «A guardare a ritroso si soffre, se non si ha più il gusto di guardare avanti»: è una frase detta dal protagonista del libro. Come conciliare la memoria col futuro?
 «Paradossalmente credo sia qualcosa di automatico. Difficilissimo ma allo stesso tempo inevitabile. Non riesco a pensare a un futuro che si costruisca senza la nostra memoria e la nostra storia, anche come popolo, e non solo come minoranze o generazioni. Noi negli anni Settanta fummo legatissimi alla memoria della Resistenza. E abbiamo vissuto e costruito nel segno dell’eredità dei partigiani. Senza di loro non avremo mai contribuito a cambiare il paese. Perché la rivoluzione l’abbiamo persa, questo è sicuro, ma tanti cambiamenti restano fondamentali. Non ho mai creduto che si possa spazzare tutto e ricominciare prescindendo dalla memoria. È una cosa che non può avvenire nell’arte e tanto meno nella politica. Bisogna leggere, e studiare, conoscere, anche questo significa fare memoria. Dall’improvvisazione non viene nulla di buono e, come diceva Galeano, non c’è futuro senza memoria».
 


   BIBLIOGRAFIA  DI TASSINARI


 
 
 L'amore degli insorti  ( 2005 )
 I segni sulla pelle  ( 2003 )
 L'ora del ritorno  ( 2001)
 Assalti al cielo. Romanzo per quadri  ( 2000 )
 Lettere dal fronte interno. Racconti in ... (1997 )


Senza titolo 805

colonna sonora  cambio  di mentalità  di Negrita  qui  per  il testo


Il post  d'oggi  sarebbe  dovuto essere una  riscrittura sintetica di uno dei miei primi post  la terra,la guerra,unaquestione privata  in risposta  ad alcune  email  di gente o che non legge  le  faq o che trova  il blog   sui motori di ricercz   per associazioni strampalate   e non .Ero quasi arivato alla  fine  , quando il  mio pc  (  che in qusesto periodo sta  facendo le  biffe )  si è  spento e  riavviato l, perdendo tutto quello  che  avevo scritto . Dopo la normale incavolatura  di rito ,  mi sono detto fra me  e me  ,  questo  è  segno "   di ribellione del mio pc   alle  troppe  e seghe mentali , e mi sono chiesto  :  perchè continuo a  farmele  anche quando non ce n'è  bisogno \  non  sono neccessarie  ?  perchè sto come  dice  guggini  nel'avvelenata   ad ascoltare  chiunque  ogni lamento ? Poi  mi sono messo  a letto   , e per  conciliare  il sonno   leggevo anzi rileggevo (  in quanto  certi fumetti  come  certi romanzi  insegnano e  formano la vita   come ho già detto  qui  nel blog   e  da  qualche  altra parte  in giro per la rete e poi   è  un fumetto che si  legge  d'un     fiato . Mi ricordo che acvevo iniziato a  inciato a leggerlo  con curiosità  per  poi  esserne trasfortato e  affacinato   come   quando lessi Maus  di Spiegelman . Entrambi gli autori regalano ad argomenti estremamente tragici il tocco lieve del lorotratto un po' naif Spiegelman con l'accorgimento di usare animali invece che persone, Satrapi con un disegno un po' infantile ma allo stesso tempo drammatico  ..  e per  altri motivi  che  è troppo lungo e  ffuori  luogo in questo post    ma  che  trovate  sintetizzati qui in un post dedicato ai fumetti  )  Persepolis di Marjane  Satrapi'   ad  uncerto punto prima che mi " calasse la palpebra  "   ho trovato questo frase  che  mi sembra  appropiata   e  funge da risaposta  ale mie domande  : << Nella  tua vita conoscerai  parecchi imbeccili . Se ti daranno dei dispiaceri  pensa  che  è la loro stupidità  che li induce   a farti soffrire  .Questo   ti eviterà di ripagarli con la stessa moneta  perchè non c'è nulla di peggio  a questo mondo che il rancore  e la vendetta  : cerca di amntenerti sempre onesta  e degna di te stessa . >>  Essa  inolre mi ha portato ( credo che farò riferimento --- infatti  l'ho messa  nel mio archivio privato  --  ad  essa ogni qual volta mi  viene  da  rispondere  ed  ascoltare  chiunque  ogni lamento  specialmente  degli idioti   e  dei pappagali   )  a  cancellare  da questo momento  senza  rimorsi   e senza  rimpianti inutili tutte quelle  email che  arrivano   e  che mi fanno domande  ed   obbiezioni  a cui  ho già risposto  nelle faq   e nel post  sparsi  nel blog perchè tanto sono al  95 %  insulti  ,  sfottò pesanti  al confine  tra  insulto ed  ironia  ,  o  in alcuni casi  tutt'uno con i primi  .


 

16.9.05

Senza titolo 804

 


Luca Dall'Olio



Compagni di viaggio di F.De Gregori


Avevano parlato a lungo di passione e spiritualità.
E avevano toccato il fondo della loro provvisorietà.
Lei disse sta arrivando il giorno,
chiudi la finestra o il mattino ci scoprirà.
E lui sentì crollare il mondo,
sentì che il tempo gli remava contro,
schiacciò la testa sul cuscino,
per non sentire il rumore di fondo della città.
Una tempesta d'estate lascia sabbia e calore.
E pezzi di conversazione nell'aria e ancora voglia d'amore.


Lei chiese la parola d'ordine, il codice d'ingresso al suo dolore.
Lui disse "Non adesso, ne abbiamo già discusso troppo spesso,
aiutami piuttosto a far presto,
il mio volo lo sai partirà tra poco più di due ore.
Sentì suonare il telefono nella stanza gelata
e si svegliò di colpo e capì di averla solo sognata.
Si domandò con chi fosse e pensò "E' acqua passata".
E smise di cercare risposte, sentì che arrivava la tosse,
si alzò per aprire le imposte,
ma fuori la notte sembrava appena iniziata.


Due buoni compagni di viaggio non dovrebbero lasciarsi mai.
Potranno scegliere imbarchi diversi, saranno sempre due marinai.
Lei disse misteriosamente "Sarà sempre tardi per me quando ritornerai".
E lui buttò un soldino nel mare, lei lo guardò galleggiare, si dissero "Ciao!"
per le scale e la luce dell'alba da fuori sembrò evaporare.



Senza titolo 803


Se Villa Certosa fa dimenticare Caprera


  SASSARI. Già visto. “Repubblica” lancia dalla settimana ventura un’altra delle sue belle collane di letteratura. Stavolta è dedicata agli Immortali. E infatti le copertine dicono cose così: «La Divina Commedia di Dante Alighieri» e poi tra parentesi le date estreme della vita (1265-vivente); così Shakespeare con le sue tragedie (1564-vivente): e così I Canti e le Operette morali di Giacomo Leopardi (1798-vivente). La pagina di pubblicità mi ha ricordato il mio primo giorno di scuola al Liceo: un ricordo che va bene di questi giorni, che i ragazzi tornano (di malavoglia) a scuola. Quel giorno il professor Giovanni Pittalis, una sorta di Zeus benevolo ma temutissimo dell’“Azuni”, fece la sua prima interrogazione: “Quando è morto Omero?”. C’era chi lo sapeva, c’era chi no. Ma Pittalis mandava subito a posto e proclamava: “Ci dò zero”. Diede zero a tutti, qualunque fosse la data che dicevamo. Si fece un silenzio di piombo. Lui camminava tra i banchi a grandi valchi. Poi si fermò, sollevò la sua imperturbata testa di Giove bittese e disse: “Omero non può morire!”. Quella lezione non ce la siamo mai dimenticata.   Garibaldi. Su “Repubblica” di ieri c’era la lettera di un lettore che lamentava il lamentevolissimo stato in cui è tenuta la casa-museo di Caprera. Quando l’ha vista, chiusa a metà per mancanza di custodi e abbandonata nelle altre stanze per mancanza di guide, c’erano anche due francesi, che - dice il lettore - facevano commenti «fra lo stupito e il divertito per il trattamento indegno riservato dallo Stato italiano all’eroe dei Due mondi». Se fossero stati due italiani sarebbero stati molto poco divertiti e, soprattutto, per niente stupiti: questo Stato, questo Governo forse non sa neanche dove sta Caprera. Al massimo, pensa che sia dalle parti di Villa Certosa.   Attenti al cane. Davanti all’edicola mi incontra una signora, elegante e gentile. Mi dice: «Professore, possiano scrivere al sindaco?». Risposta obbligata: «Perché no? La democrazia è proprio questa, che i cittadini scrivono e parlano al sindaco. E lui, se può, risponde. Che cosa dobbiamo scrivergli?». E la signora elegante e gentile, ma forte della virtù sassarese della chiarezza implacabile, dice: «Sassari è tutta cagata dai cani». «Va bene, signora - dico io, non il sindaco -. Chiameremo i vigili». «Quando arrivano i vigili, i cani hanno fatto tutto quello che dovevano fare. Perché i vigili escono alle otto - ribatte la signora - e i cani si sbizzarriscono alle sette. Stamane ho visto una signora che guardava divertita il suo cane che procedeva alla bisogna. Le ho detto: «Signora, non raccoglie?». E lei: «Non ho neanche un pezzo di carta. Se le dà fastidio, raccolga lei».   I vecchi. Dice: «Abbiamo bisogno di una nuova classe dirigente». Forse, quella che occorre è la vecchia, non la nuova. Quando chiuse il “Corriere dell’isola” (dicembre 1957) non si trovarono i soldi per le liquidazioni. Un po’ ne trovò, con grande fatica, il cavalier Celestino Serra, un notabile democristiano che quando c’era da sfaticare a gratis chiamavano lui. Era presidente dell’Eca, ma aveva accettato di occuparsi anche del “Corriere”, un quotidiano che aveva fatto acqua (di cassa e di lettori) fin dal primo giorno. Una liquidazione, forse, toccava anche a lui. E siccome il posto dove lavoravamo era lo stesso dove ora si stende il (quasi) avveniristico open space della nuova “Nuova”, sopra la tipografia dove Giuseppe Biasi stampava le xilografie a colori, trovarono un grande quadro di Biasi appena abbozzato e glielo regalarono. il cavalier Serra prese il quadro, affittò un carrettino e se lo fece portare a casa. Forse era la prima volta che qualcuno gli remunerava una fatica pubblica.
 

Senza titolo 802




Senza titolo 801

La Rai commissaria la Ventura  Il leghista Moncalvo responsabile di «Quelli che il calcio»Una decisione destinata a inasprire le polemiche dopo sole due puntate
 
 ROMA. La Rai «commissaria» Simona Ventura, nominando Gigi Moncalvo, ex direttore de La Padania, responsabile di «Quelli che il calcio». «Non sarò un controllore o un censore, piuttosto il capostruttura che farà da parafulmine per l’azienda, visto che Simona Ventura è una star esterna all’azienda», assicura però Moncalvo. Ma la sua nonima, avvenuta a solo due puntate dell’inizio della trasmissione e dopo clamorose polemiche, lascia i più perplessi. In Rai il partito degli ottimisti è pronto a rassicurare i fan del progranmma spiegando che è stato scelto un direttore responsabile giornalista per poter evocare il diritto di cronaca, aggirando le clausole del contratto Lega-Mediaset sul campionato. A scegliere Moncalvo è stato in ogni caso il direttore di Raidue, Massimo Ferrario, anche lui leghista. Domenica, alla fine di Quelli che il calcio, Ferrario ha convocato nel suo ufficio milanese tutta la squadra del programma, a cominciare da Gene Gnocchi e dalla stessa Ventura, per dargli comunicazione della promozione di Moncalvo a dirigente responsabile. Dalla ripresa del campionato molte sono state le polemiche scoppiate intorno alla trasmissione. Nel mirino, oltre alla querelle con Mediaset e la Lega calcio sulla legittimità di dare in tempo reale i goal, le imitazioni che già durante l’estate avevavo tenuto banco con Flavio Briatore intercettato al telefono con Stefano Ricucci, furioso per aver scoperto che Max Giusti lo avrebbe impersonato in tv. Ora a fare arrabbiare il vertice di Raidue, e non solo quello, sarebbero state, secondo il sito spazzutura  Dagospia, le imitazioni di Piersilvio Berlusconi e le ironie sull’intervento al meeting di Cl del presidente del Senato, Marcello Pera, immaginato tra i Pera boys con picciolo in testa. E' solo l'ennesimo  colpo di codda  duimun regime mediatico  ormai strisciante  oppure  un anticipazione di quello che  succederà  a chi farà satira o  difenderà  l'interesse pubblico a scapito di quello  privato  ,in vista delel elezioni   di settembre  , mala tempora currunt  prepariamoci gente   .

Ora  se  questo  è  l'italia   ,  negli altri paesi  atlantici   dove non esiste il conflitto d'interessi  e  dove in teoria  ma non  in prstivca   coi dovrebeb essere una situazione migliore che   in Italia     , la situazione    soprattutto dopo l'11 settembre  2001 , iìnon  p dele migliori  .  Leggete qua 

Al bando lo spot delle star Una versione è andata in onda anche sulle reti italiane  L’autorità inglese su Make Poverty History: «Troppo politico»
 
 ROMA. Star planetarie, da Brad Pitt a Emma Thompson, da Annie Lennox a George Clooney, che schioccano le dita ogni tre secondi, a simboleggiare la frequenza con la quale un bambino muore di fame da qualche parte nel mondo: lo spot di Make Poverty History, la campagna contro la povertà che aveva culminato a luglio con il concerto mondiale Live 8, è stato messo al bando. Il provvedimento è stato adottato dall’autorità britannica sulla pubblicità che ha ritenuto lo spot «troppo politico». Ofcom, questo il nome dell’authority, ha deciso il bando perchè la campagna pubblicitaria «mira a cambiamenti importanti nelle politiche del governo e in quelle di altri governi occidentali» e quindi viola le regole della pubblicità in tv, che dagli anni Cinquanta può essere solo partitica, come in caso di elezioni, ma non può veicolare messaggi politici. L’organismo ha riconosciuto gli intenti encomiabili della campagna, ma ha affermato di «non poter far eccezioni tra buona e cattiva politica» e di dover quindi proibire lo spot. «Make Poverty History» ha reagito con sdegno: «Siamo molto delusi da questa decisione. Abbiamo fatto di tutto per far sì che lo spot rispettasse le regole della pubblicità. La campagna semplicemente sottolineava che ogni tre secondi muore un bambino per cause curabili, a causa della povertà. I milioni di persone che portano al polso il braccialetto di Make Poverty History non lo vedono come una causa partitica. Lo vedono come un tema morale del nostro tempo». Versioni diverse dello spot sono state trasmesse in Spagna, Giappone, Francia, Irlanda, Usa, Canada, Germania, Italia, Australia, Belgio e Brasile.

Senza titolo 800







 

Nel suo interessante articolo su Repubblica di oggi Tim Garton Ash propone un sommario di sei diverse tesi sull’Islam e il suo rapporto scontro con l’Occidente, che si possono sintetizzare così:

1.   L’Islam è religione, la religione è superstizione e falsa conoscenza, c’è bisogno di una società laica nei paesi islamici.

2.   Il problema non è la religione in se ma la religione islamica in particolare.

3.   Il problema non è la religione islamica ma l’interpretazione distorta dell’Islam data dalle correnti integraliste.

4.   Il problema è politico: nessuno stato arabo è una democrazia autoctona.

5.   Il problema è l’Occidente, la sua immoralità, l’appoggio dato ad Israele.

6.   Il problema sta nel contatto tra l’immigrazione dei giovani musulmani e l’occidente che se per la maggior parte costituisce un enorme attrazione, dall’altra suscita disgusto e violenza in una minoranza.

Mi stupisce come manchi una tesi economica, piuttosto evidente.

Il fatto è che i 22 Paesi della Lega Araba costituiscono i maggiori detentori della ricchezza del petrolio, che è il bene mondiale attualmente più prezioso e la cui disponibilità va via via diminuendo.

La Lega araba non è mai stata unita, in realtà, sin dalla sua fondazione nel 1945. Divisa sin da allora tra paesi filo sovietici e filo occidentali.

Oggi divisa ancora tra stati filo occidentali e stati che rivendicano anche violentemente una propria indipendenza e autonomia, essi costituiscono in realtà il più grosso problema per l’economia liberista occidentale.

Che accadrebbe se la Lega Araba mettesse da parte odi e divergenze e si unisse in un mercato comune del tipo europeo e decidesse di porre un embargo petrolifero, o di escludere le compagnie occidentali dall’affare petrolifero?

Il nocciolo del problema è proprio questo e l’Iraq, uno dei paesi del petrolio, non a caso è al centro di questo conflitto già iniziato e di cui l’Islam e il Cristianesimo sono in realtà un banale pretesto.

Nel frattempo ieri in Iraq ci sono stati oltre 150 morti, oggi altri 20, e la democrazia irachena dal suo instaurarsi, ha comminato oltre alle torture subite nei vari carceri speciali, 41 condanne a morte e oltre 5000 condanne all’ergastolo.

 

 

 

14.9.05

chiama i 118 per un canen è viene denunciato per interruzione di pubblico servizio





OLBIA. Finirà in un’aula di tribunale, il caso del soccorso a un cane fatto dal 118. Perché se il padrone dell’animale ha annunciato una denuncia per omissione di soccorso, i vertici della Asl di Sassari stanno valutando la possibilità di chiamare in causa lui per interruzioni di pubblico servizio. In un caso o nell’altro, insomma, i giudici saranno chiamati a pronunciarsi su una storia che presenta alcuni lati oscuri. A cominciare, aspetto non trascurabile, dalla richiesta di intervento. Che, secondo una versione ufficiosa della Azienda sanitaria, sarebbe stato chiesto senza specificare che il ferito era in realtà un cane. Piccolo riepilogo. A Porto Cervo c’era una mostra di cani. Uno di questi si è sentito male, ha ricevuto le cure di un veterinario. Ma il padrone ha chiesto l’intervento del 118. «Al nostro centrale è arrivata la richiesta di soccorso - è la spiegazione che la Asl ha dato ieri ad alcune autorità -. Ma la persona che l’ha fatta non ha specificato che era per un cane. Urlava, aveva la voce concitata, sembrava che stesse per accadere una tragedia. In questi casi è necessario intervenire, e subito». E infatti: dalla centrale, erano le 18.50 di domenica, è stata inviata un’ambulanza. Da Olbia in direzione di Porto Cervo. Poi un’altra ambulanza, con il medico. «L’uomo ha richiamato, era ancora più agitato, diceva che stava morendo qualcuno, che non respirava più» è stata la spiegazione della Asl. Così è andata. Le due ambulanze hanno incontrato all’altezza del bivio di Porto Rotondo l’uomo che aveva chiesto i soccorsi. E lì, la sorpresa. Non di un paziente si trattava, ma di un cane. «Non gli abbiamo dato l’ossigeno perché non è possibile farlo, perché il 118 ha dei suoi strumenti, e non prevedono il soccorso per un cane. In molti casi, quando ci chiamano per animali sofferenti, indichiamo i veterinari più vicini. Ma in questo caso il problema è un altro». E il problema è che il 118, per un’ora, ha dovuto impegnare due mezzi per un intervento che non avrebbe dovuto fare. «Per fortuna, in quell’ora non sono successi eventi, altrimenti avremmo rischiato moltissimo» dicono a Sassari. Ed è per questa ragione che la dirigenza della Asl sta pensando di denunciare il richiedente per interruzione di pubblico servizio.