8.7.13

Massimo A. Alberizzi ( corriere della sera ) «L'Ordine dei giornalisti? È un carrozzone da buttar via»

unione sarda 7\7\2013
In Italia c'è una potentissima lobby di cui si dice poco, anzi niente: è l'Ordine nazionale dei giornalisti, una casta che per misteriose ragioni trova poco spazio su quotidiani e televisioni. Rispetto a quella dei magistrati (ma anche dei notai o degli avvocati) appare piuttosto timida a parlare di sé. E a parlare comunque: basti dire che da anni si discute di riformare l'accesso alla professione ma la questione resta sospesa, surgelata a perdere.
Nel nostro Paese i giornalisti si dividono in due categorie: pubblicisti e professionisti. I professionisti sono quelli che esercitano il mestiere a tempo pieno, alle dipendenze di una testata. Per essere definiti professionisti debbono affrontare un esame di Stato che prevede uno scritto e, se si riesce a superarlo, l'orale. Una leggendaria bocciatura porta il nome di uno dei più importanti scrittori italiani del '900: Alberto Moravia.I pubblicisti svolgono altri mestieri e si occupano di giornalismo come secondo lavoro, non scrivono con la frequenza dei loro cugini professionisti e, soprattutto, non fanno parte di una redazione. Qualcuno dice che è sbagliato chiamarli giornalisti, bisognerebbe trovare un altro termine per non creare confusione. Altri, in genere talebani della Casta, li definiscono addirittura giornalisti di serie B. Piaccia o non piaccia, sono però la spina dorsale dell'Ordine.Massimo (Arturo) Alberizzi, storico corrispondente dall'Africa per il Corriere della Sera, è leader di un gruppo ( Senza bavaglio ) che si batte per l'abrogazione dell'Ordine, considerato «costoso, inutile, corporativo, fuori dalla Storia, poco trasparente». Sessantacinque anni, due figli (uno ingegnere informatico in Kenya; l'altra - bocconiana - lavora per una Ong in Namibia), Alberizzi aveva programmato tutt'altro destino. Sognava di fare il chimico e intanto collaborava col Corriere. Quand'è scoppiato il caso Seveso, il giornale l'ha assunto in via definitiva. Prima ha lavorato alla Cronaca delle province, poi è passato agli Esteri e da lì ha spiccato il volo.Nel 2003 il Consiglio di sicurezza dell'Onu lo ha reclutato in un team di esperti incaricato di investigare sul traffico d'armi in Somalia, tre anni più tardi - sempre in Somalia - è stato sequestrato dagli islamici su commissione di signori eritrei della guerra. Deve il ritorno in libertà allo sceicco Hassan Dawer Aweis, che gli americani considerano («sbagliando») un terrorista.A sentir parlare di Ordine dei giornalisti, Alberizzi si carica di ironia e indignazione. Lo considera molto peggio d'un qualsiasi ente inutile e ritiene sia arrivato il momento di celebrargli il funerale. «Così smetteremo di essere una corporazione e diventeremo una categoria moderna e pulita».

Perché ce l'ha con l'Ordine dei giornalisti?
«Prima di tutto perché l'Ordine dei giornalisti non è fatto da giornalisti. Attualmente gli iscritti sono centodiecimila, sessantamila negli Stati Uniti, quarantamila in Francia. A dilatare le fila sono i pubblicisti».
Cioè?
«Gente che nella vita fa altro: commercialisti, avvocati, farmacisti ma anche panettieri, venditori di vernici, pr e così via, mestieri diversi, dignitosi e legittimi per carità ma che niente hanno a che vedere col giornalismo».
Com'è strutturato l'Ordine?
«Tenetevi forte: ha un Consiglio nazionale composto da 150 membri (75 professionisti e 75 pubblicisti). Ogni seduta costa più o meno 150mila euro. Le trasferte nella sede nazionale, a Roma, prevedono un rimborso di 250 euro al giorno tra alberghi e pranzi e una diaria quotidiana di 150 euro».
Cosa fa l'Ordine?
«Diciamo prima quello che non fa. Conta al suo interno commissioni e gruppi di lavoro a cui partecipa gente che non ha mai scritto un articolo o fatto un titolo. Gente che arriva a Roma spesata di tutto e con l'aggiunta della diaria. Evidente l'obiettivo: incassare le prebende dell'Ordine».
E lei è furiosamente contrario.
«Quattro colleghe del mio gruppo, Senza bavaglio , sono state elette di recente. Hanno il compito di verificare quello che succede e denunciare questo scandalo che è sotto gli occhi di tutti senza però che nessuno alzi un dito e magari protesti».
Ce l'avete con l'elefantiaco Consiglio nazionale?
«Come si fa a parlare di Casta e fingere di non averla in casa propria? In Campania e Calabria c'è un numero di pubblicisti che raggiunge quello di Milano e Roma, come se la capitale dell'editoria fosse laggiù».
Tra poco arriverà la selezione: laurea obbligatoria per iscriversi all'Ordine.
«Abbiamo un'opinione decisamente opposta. Siamo contro l'imposizione della laurea per esercitare il giornalismo e contro l'obbligo di frequentare (prima dell'esame) un corso a pagamento organizzato dall'Ordine dei giornalisti, vera e propria gabella che favorisce mafie e consorterie, balzello inutile e costoso a carico dei più deboli, i praticanti, ossia gli aspiranti professionisti».
Sospetta inciuci?
«Peggio. Tant'è che renderemo pubblico l'elenco di coloro che siedono nei Consigli regionali o in quello nazionale dell'Ordine e contemporaneamente hanno incarichi retribuiti nelle scuole di giornalismo. Chiederemo a costoro che si dimettano, in nome dell'etica e del buonsenso».
Cosa rimprovera alle scuole dell'Ordine?
«Sono troppe. Non rispondono ad alcuna esigenza se non quella di foraggiare consorterie e lobby. La maggior parte va chiusa e non se ne devono aprire di nuove».
E la formazione professionale?
«A garantirla bastano e avanzano le facoltà universitarie, già di per sé esorbitanti rispetto alla domanda di nuovi giornalisti e al numero di disoccupati».
Niente da ridire almeno sull'esame di abilitazione.
«Lasciamo stare. Cercheremo di imporre criteri trasparenti per la nomina dei commissari. Nel futuro dell'Ordine ci sarà battaglia: siamo stufi di marchette e di chi se ne avvantaggia. Vogliamo che sia resa pubblica la condizione giuridica delle varie sedi: di proprietà o in affitto?, chi c'è dietro un eventuale acquisto e a quanto ammonta il conto?»
Non salvate niente.
«Abbiamo fatto nostra una riflessione di Joseph Pulitzer: non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sé non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri. Questo chiediamo a chi fa giornalismo, questo pretendiamo dall'Ordine».
Ma l'Ordine...
«L'Ordine non esiste in nessun Paese occidentale avanzato. Qualcosa di simile c'è in Polonia e Portogallo, che non rappresentano grandi esempi sul fronte della libertà di stampa».
Dunque abrogazione?
«Nel 1945 Luigi Einaudi si espresse con queste parole contro l'istituzione dell'Ordine: giornalisti sono tutti coloro che hanno qualcosa da dire o si sentono di esprimere la stessa idea che gli altri dicono o presentano male. L'albo, poi, è un comico nonsenso. Non esiste un albo dei poeti, non può esistere un albo di giornalisti. È chiaro cosa voleva dire Einaudi?»
Provi a spiegarlo.
«In un Paese democratico nessuno deve avere il diritto di decidere chi può fare il giornalista e chi no. È pensabile che occorra una sorta di patente per poter esercitare questo mestiere? All'estero, è stato ripetuto fino alla nausea, l'Ordine non esiste e spesso non esiste neppure il valore legale del titolo di studio».
Da noi invece?
«Da noi per fare il giornalista vogliono rafforzare i controlli, alzare le barriere. Tutti laureati dunque, come se la laurea garantisse a priori qualità che un diploma universitario non sarà mai in grado di dare, per esempio la faccia tosta necessaria a costringere i familiari di un morto ammazzato a consegnarti la sua fotografia o la forza per tenere a bada un direttore che ti chiede di violare la deontologia professionale».
Quindi?
«L'obbligo della laurea è un alibi per chi sostiene di aver risolto in questo modo l'accesso alla professione. Basterebbe invece che non venissero assunti gli amici, gli amici degli amici, i raccomandati o i fedeli anziché i bravi, i preparati, i volenterosi. Non è un caso che nel mondo anglosassone si parli di condizione professionale anziché di professione e basta».
Con quali regole?
«Semplice. Quando stai esercitando il mestiere a tempo pieno per una qualunque testata (e senza obbligo di laurea o di esami) sei nel pieno di una condizione professionale, titolo che perdi non appena smetti di lavorare o cambi mestiere. E soprattutto lo perde chi passa dal giornalismo alla politica».
Intanto stanno emergendo nuove figure professionali.
«Si tratta dei citizen journalist, cittadini qualunque che, all'occasione, diventano reporter. Hanno invaso il web, i blog, i dibattiti on line. Non a caso la Bbc o Sky lanciano appelli per ricevere informazioni dal basso: inviateci le vostre foto, i vostri video, le vostre testimonianze...»
Sono i giornalisti del futuro?
«Non lo so ma ai colleghi che si preoccupano dei controlli sull'attendibilità del Citizen journalism vorrei far presente che sui nostri giornali e sulle tv assistiamo a un boom della cattiva informazione e disinformazione, servilismo, scopiazzature, subordinazione al marketing, cronache trash».
Ma l'Ordine, se ravvisa (ammesso che ravvisi), può intervenire?
«Cane non mangia cane. Guardate com'è andata a finire la storia del giornalista Renato Farina che lavorava per i Servizi segreti col nome di agente Betulla. L'onestà, la correttezza di un giornalista non può essere affidata ad altri giornalisti».
E a chi, sennò?
«Un redattore che siede nel Consiglio dell'Ordine può davvero giudicare il suo direttore?, può giudicare il collega che al giornale gli siede nella scrivania a fianco? Per non parlare di pressioni e spinte indebite».
In conclusione, l'Ordine è da buttare?
«L'Ordine è una roccaforte di potere, un carrozzone, nonché una catena di montaggio che sforna a ripetizione nuovi giornalisti senza arte né parte. Nelle scuole ci sono evidenti commistioni d'interesse tra consiglieri dell'Ordine che fanno gli insegnanti negli istituti che loro stessi hanno contribuito ad avviare. È un vero scandalo che non riguarda i singoli ma l'istituzione in quanto tale».
Seppellito l'Ordine, che fare?
«Il controllo sui mass media dovrebbe essere affidato a un organismo nuovo, una sorta di Gran Giurì dell'Informazione, nel quale sia rappresentata la società intera, i giornalisti devono essere in minoranza e la politica tenuta fuori dalla porta».
Che farebbe il Gran Giurì?
«Avrà compiti di tutela della deontologia e onestà dell'informazione, terrà un elenco di giornalisti e avrà il potere di infliggere sanzioni a giornalisti, direttori, editori».
E se invece non succede niente?
«La nostra professione continuerà a sprofondare sempre più nella burocratizzazione, nel fiscalismo e soprattutto nella soggezione al potere politico ed economico».




Ieri chiusura della kermesse del festival di Gavoi 2013 con Simonetta Agnello Hornby La letteratura insorge Stop al femminicidio

per  approfondire
da  la  nuova sardegna estate del  8\7\2013

di Fabio Canessa INVIATO A GAVOI 
Femminicidio. La parola ricorrente dell'ultima giornata del festival letterario di Gavoi è un termine brutto, nel suono e nel significato. Uno strano neologismo, brutale ma efficace che dà risalto a un problema che troppo spesso si è tentato e si tenta di dimenticare: la violenza domestica, quella subita dalle donne da padri, mariti, fidanzati, conoscenti. Spesso tra le mure di casa, luogo immaginato o che fa comodo immaginare sempre perfetto, felice. Ne parlano anche al festival Michela Murgia, che con Loredana Lipperini è autrice di "L'ho uccisa perché l'amavo. Falso!", e Simonetta Agnello Hornby (protagonista ieri sera dell'incontro che ha chiuso la decima edizione del festival organizzato dall'associazione l'Isola delle Storie) che quel male quasi tenuto nascosto o comunque sottovalutato l'ha voluto raccontare. Proprio "Il male che si deve raccontare" si intitola l'ultimo libro che l'autrice, siciliana di nascita e inglese d'adozione, ha scritto con il contributo di Marina Calloni. Libro dunque di denuncia, ma che si concentra anche sulle possibilità di cosa fare per diminuire i casi femminicidio, spesso preceduti da casi di violenza domestica, da molestie. L'esempio da seguire arriva dall'Inghilterra. Da una donna di colore entrata in Parlamento, Patricia Scotland, capace poi da ministro della Giustizia di lanciare un efficace piano d'azione contro la violenza domestica. Con i dati in diminuzione delle vittime che dimostrano il ruolo che possono avere le istituzioni.


 La domanda è ovviamente se anche in Italia sarà possibile. Al pessimismo di tanti Simonetta Agnello Hornby risponde con la speranza, necessaria, da alimentare con una politica di piccoli passi: «Partendo dal basso, da noi, dai piccoli paesi dove è più facile iniziare a muoversi- dice l'autrice-avvocato che racconta di come la sua professione e la sua voglia di raccontare storie scrivendo siano legate: «Parlo di ingiustizie, di quello che vedo, che conosco. Sui bambini o sulle donne. Ho sulla coscienza due clienti donne maltrattate che sono state uccise. Forse in quel momento potevo fare di più. Si dice spesso che sono problemi causati da un rapporto d'amore malsano, ma non è la parola giusta amore. Si dovrebbe dire potere, è quello che distrugge». Un impegno sia letterario sia più pratico per Simonetta Agnello Hornby
che scansa però la parola femminista: «Non mi piace, però noi donne siamo di più, viviamo di più, e credo che dobbiamo unirci per raggiungere degli obiettivi». Argomento doloroso, ma necessario da affrontare. La scrittrice siciliana però regala al pubblico di Gavoi non soltanto la sua conoscenza del fenomeno, anche la sua simpatia. Nessun moderatore, si rivolge direttamente alla gente, come sempre tanta presente a Sant'Antiocru. Elogia i sardi, la cultura dell'isola, Michela Murgia e il suo amico e conterraneo Andrea Camilleri che proprio la Sardegna ha voluto recentemente omaggiare con l'attribuzione della laurea honoris causa all'università di Cagliari.



7.7.13

andare a dormire e prendere sonno con la fantasia anzichè con i sonniferi e robaccia simile

"Anche noi ci fermiamo a sentire la notte/ nell'istante che il vento è più nudo: le vie/ sono fredde di vento, ogni odore è caduto;/ le narici si levano verso le luci oscillanti./ Abbiam tutti una casa che attende nel buio/ che torniamo: una donna ci attende nel buio/ stesa al sonno: la camera è calda di odori./ Non sa nulla del vento la donna che dorme/ e respira; il tepore del corpo di lei/ è lo stesso del sangue che mormora in noi."
Cesare Pavese

Il post d'oggi era stato abbozzato   (  e solo ora è definitivo  )  la  scorsa  settimana dopo  la mostra  a cui  ho partecipato di  fotografia   . Esso è stato  (  le  cose  migliori   sono cosi' secondo  il mio amico  analista   )   lasciato decantare   per   mancanza di tempo e d'ispirazione poi trovata
grazie alla poesia   citata  all'inizio e  presa  dalla  pagina di facebook  :  Poesia, di Luigia Sorrentino (sito ufficiale) . Il ritardo è  dovuto al fatto   che era    un periodo   di tensioni emozionali  per la  mia ( ma non solo ) mostra  \  saggio finale  del corso di  fotografia  tenuta  a  Calangianus    il  28-29  giugno   a destra  una mia  foto  (  qui sul mio flickr e  qui sul mio yoube    le foto  in mostra   dove potevo sceglierne solo 10 + quelle    scartate  per motivi  di spazio .
Ma  ora   veniamo  al post  vero e proprio  .  
Di solito   quando  sono agitato \ teso  non riesco a prendere  sonno. E  non avendo  voglia   di ricorre nè  a sonniferi (  I II )  nè    alle soluzioni  classiche  del tipo   : 1)   camomilla  e  tisane in particolare  valerianamelissa passiflora sono sedative, mentre il biancospino aiuta a cedere alla stanchezza e allevia la tachicardia.., 2)  "  libri valium"  per  gli insonni  i  cosiddetti  mattoni   ., 3)  programmi tv  o radio  noiosi ....  pallosi ... piombo   . 4) ascoltare musica  calma  come mi è successo  nei giorni scorsi che dopo aver visto la trasmissione tv Atlantide su la7 a 23 e qualcosa mi sono coricato ma mi rigiravo nel letto e mi sono detto proviamo con la musica . Ed ho ascoltato il primo volume dei notturni di Chopin ( nella magistrale e superba interpretazione di Maria Joao Pires ) dalla raccolta complete edition,addormentandomi (  mi  accade  anche  per  il  punto precedente  )  con lo stereo acceso che suonava anche il secondo 2 cd .
Ecco quindi che ho deciso di usare  un altro metodo quello  della fantasia e di viaggiare con la mente cioè inventarmi storie o modificarne altre eventualmente da   riutilizzare   qui  sul  blog  in modo  da riprendere  il mio racconto  interrotto  fermo alla  6  puntata   viaggio attraverso la frontiera o  storie  da poter  raccontare ( anche  se  adesso  ormai il  nipotame  , ovviamente  quelli indiretti o  d'intrattura è cresciuto   e non hanno più voglia   di fiabe  e  racconti  , visto che  ne  io ne  mio fratello  abbiamo figli  )  ai bambini . E  leggendo  non ricordo  se  una toglia  o una maglietta  l'incipit   di questo  opera  letteraria  ( perchè  secondo  molti studiosi fra  cui   Nicola  Tanda  il mio vecchio prof  di letteratura italiana  e  secondo i miei studi  è  letture   anche il fumetto ,i cartoni animati ,  il teatro , il cinema  hanno  dignità  o posso essere  considerati  letteratura  )  di Hugo  Pratt  e  il  suo Curzio maltese (  sotto   da  dove  è tratto ) 

Nell’aria c’era una calma assoluta, si sentiva soltanto il rumore dello scorrere regolare dell’acqua lungo gli scafi e quello delle sporadiche raffiche di vento che distendevano la vela con secche e sonore frustate. All’improvviso, il grido del marinario di vedetta spezzò quella tranquillità." E inizia l’avventura…



  che  voglio   ricordare  con questa  canzone  ( sotto  i video   e il testo  )  dei Mau  Mau   intitolata  proprio   Corto Maltese  , di cui  si stanno diffondendo  le note  ,  nel  cd  in canna  nel  lettore  in questo momento




sulla vela che scivola

Spingo fin laggiù

il respiro e lo sguardo

su questo mare spinato e fermo come un petrolio
Corto, se sei tu
cancella il sospetto
tra le rughe salate
e accetta il mio cuore
E’ un rasoio il brivido
che ti allunga la vita
nei temporali
quando volano con te solo angeli neri
Forse brucerai sotto i colpi del sole
come flora e parassiti
macerati al calore
sulla vela che scivola
Sto ancora inseguendo un mareorizzonte
sul parallelo centrale
tra sirene e atlantidi atomiche
ed immondizie affondate
Regalami un sogno di ventreviolenza
come eroe di carta sai
che gli spari di inchiostro
non piangono morti ma portano guai
trascini così con te un’amaramalìa

con questo  è tutto  . buonanotte     cari lettori  e buon inizio  di settimana sia  che  lavoriate  o  che siate  in ferie  o in cerca  di lavoro  

Sassari Studentessa scrive nel tema “Gli ebrei sono una razza inferiore”ed insulta su facebook la prof che gli fa capire gfli errori : bocciata

 Proprio questa news  mi riporta   alla mente   la strofa  finale   di



[....  qui  il testo  ]
che sempre l' ignoranza fa paura ed il silenzio è uguale a morte, (  rip  3  volte  ) .


da  www.articolotre.com -Redazione- 7 luglio 2013

Una vicenda verificatasi a giugno, ma resa pubblica soltanto pochi giorni fa. Durante il compito di fine anno, una ragazza ha scritto sul proprio tema che gli ebrei sono una razza inferiore. Punita con un'insufficienza, ha insultato pubblicamente l'insegnante, fino a che non è stata bocciata.




I semi dell'antisemitismo, purtroppo, sembrano non voler morire mai. E così ecco l'ennesima dimostrazione di ignoranza e odio razziale, avvenuta quando ancora lascuola era aperta ma resa pubblica soltanto recentemente.
A Sassari, una docente ha assegnato come esercitazione quella di svolgere un tema sul razzismo. Un compito che, in fondo, è un must in tutte le scuole: a chiunque sarà capitato di dover scrivere qualcosa al riguardo, tra i banchi. Raramente, però, sia studenti che insegnanti, si son ritrovati a fare i conti con una frase che pesa come un macigno, che riporta in auge la folle ideologia hitleriana: "Gli ebrei sono una razza inferiore".
E' questo, infatti, ciò che ha scritto sul proprio tema una studentessa. Una dichiarazione d'odio puro, che si basa su assiomi e ideali che la ragazza ha accolto, rielaborando, però, la storia. L'insegnate, di fronte a ciò, ha sottolineato gli errori storici del compito, le citazioni sbagliate trasposte nel testo. E infine ha deciso di assegnare un'insufficienza. Non contenta, la ragazza ha deciso di dar battaglia e si è presentata successivamente a scuola con una serie di opuscoli dai quali avrebbe estratto le idee di base del suo tema, ma per la professoressa si trattavano di fondamenta del tutto inconsistenti e inadeguate.
Tornata a casa, la ragazza, ha dunque fotografato il proprio compito e lo ha pubblicato sul suo profilo Facebook, corredando il tutto con una serie di insulti nei confronti dell'insegnate, definita "comunista del c… che difende gli ebrei". Un'immagine che è stata in fretta scoperta dalla docente. E così ecco che sono scattati i provvedimenti: la scuola ha deciso all'unanimità di dare il 5in condotta alla ragazza. Un voto che si traduce semplicemente in bocciatura.

Non è completamente  vero  che  la cosa    non era  trapelata   , perchè purtroppo abbiamo un informazione  mediatica  che fa  schifo   e  relega le news  importanti  a livello locale  , o  in pochissime righe in cronaca  .Infatti   La  nuova  sardegna    del 14  \6\2013    riportava  già le prime avvisaglie  del fatto

ALLE MAGISTRALI Scontro con la prof, studentessa nei guai dopo una denuncia

SASSARI. Lo scontro tra l’insegnante e la studentessa è cominciato dopo un tema sulla persecuzione degli ebrei. Posizioni differenti, valutazioni diverse, come succede molte volte a scuola.
SASSARI. Lo scontro tra l’insegnante e la studentessa è cominciato dopo un tema sulla persecuzione degli ebrei. Posizioni differenti, valutazioni diverse, come succede molte volte a scuola. La storia, ambientata all’istituto Magistrale “Castelvì”, però ha avuto un seguito con la denuncia della studentessa - da parte della dirigenza dell’istituto - per ingiurie.Nel frattempo, infatti, secondo la ricostruzione che è all'esame dei carabinieri (ai quali è stata formalizzata la denuncia), ci sarebbe stato un passaggio sulla prateria sterminata di Facebook, dove studentessa (una ragazza del 1994) avrebbe commentato in maniera non proprio elegante il comportamento della professoressa. Frasi ritenute altamente offensive, tanto da spingere l’insegnante a chiedere la convocazione del consiglio di classe per un chiarimento con la ragazza e per valutare l’eventuale adozione di provvedimenti disciplinari.Secondo quanto risulta dalla denuncia presentata dalla scuola, però, il chiarimento si sarebbe trasformato in qualcosa di più grave - rispetto all’episodio precedente - con offese e insulti anche agli altri insegnanti, al punto che è stata presa la decisione di presentare una denuncia alla stazione dei carabinieri per il reato di ingiurie.(....) 

L'aereo Usa e quel nome di donna dal lago di Bolsena riemerge una storia del 1944



Da Bolsena recuperato un velivolo dei tempi della seconda guerra mondiale. La storia ricostruita grazie al nome della moglie del mitragliere sulla carlingadi MARCO PATUCCHIImmaginiROMA - Dalle acque fredde e torbide non è riemerso solo quel frammento di aereo. Dopo un oblio lungo quasi settant'anni, il lago di Bolsena ha restituito la storia di una missione di guerra e le vicende umane che hanno segnato l'esistenza degli uomini a bordo del bombardiere americano B-17 n°41-24364. E tutto grazie ad un nome di donna dipinto sulla torretta del mitragliere: Ileen Lois.
Il relitto è stato scoperto a 90 metri di profondità dalla Scuola Sub di Bolsena, guidata da Egidio Severi e Massimiliano Bellacima, che poi ha effettuato il recupero della torretta ventrale (sperry ball turret) insieme al Nucleo Sommozzatori dei Vigili del Fuoco di Viterbo e con l'assistenza del perito balistico Martino Farneti.
Una volta riportato in superficie il dispositivo della Fortezza Volante (poteva roteare a 360 gradi ed era armato da due mitragliatrici Browning 50), il ricercatore Mario Di Sorte ha avviato l'indagine che, prendendo le mosse appunto dal nome di donna dipinto sulla torretta, ha consentito di ricostruire la vicenda attraverso testimonianze e documenti recuperati negli Archivi Storici Americani, in quelli della US Air Force, in quelli delle Royal Air Forces e nell'Archivio Centrale Militare Tedesco.



Ileen Lois era la moglie (  foto  sotto   a destra  )
il nome della donna dipinto sulla torretta ha consentito di

 ricostruire  la vicenda dell'aereo e del suo equipaggio 
del mitragliere Ralph W. Truesdale che componeva, insieme ad altri nove uomini, l'equipaggio del bombardiere. Il B-17, al comando del tenente W. I. Pedersen, faceva parte della 429ma Squadriglia di base ad Amendola (Foggia): la mattina del 15 gennaio 1944 dall'aeroporto pugliese decollarono 38 aerei divisi in due ondate; l'obiettivo era Certaldo, a sud di Firenze, dove le Fortezze Volanti dovevano bombardare il ponte della ferrovia e un'area di smistamento di armi e mezzi tedeschi. 
Una turbolenza in aria chiara incontrata sul basso Adriatico costringe la formazione ad una correzione di rotta verso la terraferma. Sopra Perugia i B-17 incontrano la barriera di fuoco della contraerea e il velivolo di Pedersen, che faceva parte della seconda ondata, alle 12,45 viene colpito al motore numero quattro e al numero tre. Il motore numero uno viene spento per equilibrare la spinta e, sorvolando il Lago Trasimeno, l'equipaggio decide di sganciare sei bombe GP da mille libbre per alleggerire l'aereo. Il tentativo è quello di virare e rientrare alla base, ma più o meno sopra Siena la perdita di quota sembra ormai inarrestabile: il comandante Pedersen ordina all'equipaggio di lanciarsi con il paracadute e inserisce il pilota automatico che porterà l'enorme quadrimotore ad inabissarsi nel Lago di Bolsena. 
Dopo un oblio lungo quasi settant'anni, il lago di Bolsena ha restituito la storia di una missione di guerra e le vicende umane che hanno segnato l'esistenza degli uomini a bordo del bombardiere americano B-17 n°41-24364. E tutto grazie ad un nome di donna dipinto sulla torretta del mitragliere: Ileen Lois. In questa galleria le operazioni di recupero del relitto 


Dei dieci uomini dell'equipaggio, una volta a terra cinque vengono fatti prigionieri dai tedeschi (lo stesso Pedersen; il navigatore, tenente K. J. Buol; il bombardiere, tenente K. D. Shawaker; il mitragliere centrale, sergente A. P. Brodniak e il mitragliere di coda, sergente Horace M. Mahabirsing) e torneranno in patria solo a guerra conclusa. Gli altri cinque (oltre al mitragliere Truesdale, il copilota, tenente J. B. Townsend; il tecnico di bordo, sergente Bernard L. Scalisi; il mitragliere centrale, sergente C. Ringler; l'operatore radio, sergente John Sergakis) riescono ad evitare la cattura e separatamente, dopo essere stati aiutati dalla gente italiana, raggiungono nei mesi successivi la base di Amendola.

Il mitragliere Truesdale tornerà in Florida il 23 giugno 1944 e potrà abbracciare, oltre alla moglie Ileen Lois, il piccolo Ralph nato mentre lui era in guerra. Più rocambolesca la fuga del sergente Scalisi che, grazie alle origini italiane e alla minima conoscenza della lingua locale, fuggirà attraverso casolari abbandonati, boschi e piccoli paesi, raggiungerà Roma dove si nasconderà nel Vaticano fino alla liberazione della città.

Storie di ordinaria quotidianità negli anni tumultuosi della guerra. Storie di uomini comuni che hanno combattuto per la libertà di tutti noi.

6.7.13

perchè continuo a scrivere e a tenere in vita questo spazio

anche  se  i  miei  post , a differenza  del precedente  blog  (  cdv.splinder.com  )  non vengono commentati  e   nessuno  scrive  nonostante  gli inviti  e la relativa  accettazione  e  mi  apprezzano solo  su plus google  e su facebook   continuo   lo stesso . Il perchè è semplice   lo spiega  questo film




e  questa  canzone





chi vuole mi segua  e\o scriva   chi no pazienza  . io semino  prima  o poi qualcuno\a  raccoglierà

Il medico-eroe di Nassiriya dona la medaglia al valore


Premiato dal presidente della Repubblica per avere salvato tanti militari «Voglio condividere la decorazione con la Brigata Sassari, nel ricordo dei caduti»

la  nuova sardegna online del  6\7\2013

Sassari Il peso di quella decorazione era diventato insostenibile. Ogni volta che lo sguardo si posava su quel cofanetto di velluto blu, ritornava con il pensiero all’inferno di Nassiriya. Ci ha pensato a lungo prima di prendere una decisione e ha concluso che la cosa più bella fosse conservare quella medaglia nel posto giusto. Perché spesso accade che i riconoscimenti, pur se meritati, diventino troppo ingombranti, rubando spazio al desiderio di un quotidiano più ordinario. Così, ancora una volta, ha pensato a un gesto di generosità: donare al proprio reparto la medaglia d’argento con cui il Capo dello Stato premiò il suo gesto eroico. Quel dono sarà il suo tributo alla Brigata Sassari, alla quale resta profondamente legato. Oggi l’ex tenente medico di complemento Gianuario Carboni ha 38 anni e l’emergenza continua a far parte della sua vita perché, da medico chirurgo, lavora al pronto soccorso del Santissima Annunziata. Dieci anni fa, in Iraq, ha visto cose che non augura neanche al peggior nemico. All’epoca, Gianuario ebbe la ventura di trovarsi nel devastante inferno di fuoco di uno dei più gravi attacchi che la storia dell’esercito ricordi.Il 12 novembre 2003, a Nassiriya, nella terribile esplosione che distrusse la base Maestrale, persero la vita 19 italiani e 9 iracheni, ma sul campo restarono anche decine di feriti. Antica Babilonia, l’avevano chiamata, ma quella che doveva essere una missione di pace si era trasformata in una sanguinosa tragedia. Nei momenti più drammatici, Gianuario Carboni non perse mai il sangue freddo, ma contribuì a salvare vite umane, in particolare quella del maresciallo dei carabinieri Vittorio de Rasis, oggi luogotenente, strappato alla morte dall’intervento tempestivo del medico “sassarino” dopo essere stato colpito a una spalla da una scheggia che gli aveva provocato una gravissima emorragia. La motivazione con cui il presidente della Repubblica assegnò all’ufficiale la prestigiosa decorazione al valore militare, non lascia adito al dubbio. Dal decreto presidenziale del 13 aprile 2006, filtra chiaramente la portata del gesto eroico. Alla fine di quella giornata terribile, il generale Bruno Stano, allora comandante della Brigata Sassari, lo aveva chiamato nel suo ufficio e gli aveva annunciato che avrebbe fatto il suo nome per una medaglia al valore. A caldo, il giovane tenente medico non comprese a pieno il senso di quelle parole, troppo grande e intensa era stata la sollecitazione per l’ufficiale, ancora emotivamente coinvolto in quella vicenda che ha segnato la sua vita e quella dei suoi compagni. «Oggi ho una vita normale _ racconta sereno Gianuario _ una moglie splendida, due bambini meravigliosi. Non è stato inutile avere fatto quell’esperienza, mi rendo conto, però, del peso di quella decorazione, un fardello troppo pesante per me e allora, la cosa più giusta è condividerlo con i miei fratelli della Brigata Sassari. Per questo ho pensato, nel ricordo dei caduti di Nassiriya, che la medaglia torni nel posto più consono, dove possa essere vista dai bambini e dagli adulti a ulteriore riprova di cosa possono fare, l'amore per la patria e il senso del dovere». L’appellativo di eroe non gli piace e neanche la ribalta, lui ritiene di avere fatto solo ciò che un ufficiale medico dovrebbe fare in quelle situazioni e a chi gli chiede se fosse disposto a tornare in missione, risponde con garbo che preferirebbe, se fosse possibile, continuare a essere utile alla Brigata in altro modo.Sul piano burocratico, dare una veste ufficiale al suo gesto non sarà semplice perché è quantomeno insolito che un decorato, in vita, doni la medaglia al reparto di assegnazione. Ma è certo che, vista la delicatezza del gesto, l’amministrazione militare trovi comunque una soluzione. Si parla di una sorta di comodato d’uso, una soluzione che può rendere possibile l’accettazione della medaglia da parte della Brigata. Al riguardo, tra il reduce e il comandante c’è già stato un incontro preliminare, nei giorni scorsi Gianuario Carboni ha avuto un abboccamento con il generale Manlio Scopigno che ha preso molto a cuore la vicenda e sta studiando la formula più consona per accogliere la sua richiesta. Di certo c’è che con questo gesto, l’ex tenente Carboni svuoterà una volta per tutte il pesante fardello riportato da Nassiriya, dove insieme alla medaglia custodisce ancora ricordi e sensazioni che porterà dentro per sempre.

a volte l'amicizia è per sempre [ Stand by Me ]





da http://www.lerika.net/

Ci siamo conosciute il primo giorno di terza elementare.
Tu avevi una pettinatura fottutamente sovietica, con due enormi fiocchi sulle trecce attorcigliate tipo moglie di fantozzi, ma in bello. Avevi sta testolina bionda tipica delle belle bambine del paese da cui arrivavi. Io ero molto più bassa di te, avevo le trecce più lunghe dell’universo, ma marrone scuro. E le basette. Non ero un fiore. Inutile dire che è stata sintonia a prima vista.
Come quando la crema incontra il cioccolato.
O quando i pinoli incontrano il basilico. Forse è meglio.
Passano gli anni. Le discussioni. I fidanzati. Le improvvise sparizioni. Gli impegni.
Non passa tutto il resto.
Oggi è il tuo giorno, non potevi scegliere marito migliore. La mia fotocopia al maschile. Che se ne avessi scelto un altro non lo avrei mai approvato. E lo sai.
Perché la (tua) testimone ha sempre ragione.
Ti voglio bene.

5.7.13

Cameri: un paese "aggrappato" agli F35

Cameri è un comune di 11 mila abitanti in provincia di Novara. E' qui che dovrebbero essere assemblati gli F35. E' già stata individuata un'area molto estesa, a ridosso dell'aeroporto e sono già stati realizzati i capannoni. Come a livello nazionale, anche in paese, i caccia fanno discutere. Il sindaco, Rosa Maria Monfrinoli, non ha dubbi. Gli F35 sono la salvezza di un comune dove hanno chiuso tutte le fabbriche. Il parroco, don Tarcisio Vicario, invece si oppone. E gli abitanti discutono e si dividono


mandela ha avrebbe già deciso nel 1998 di fare testamento biologico ?



sia che sia vera o falsa la notizia che Mandela non risponda più agli stimoli. ( La presidenza sudafricana nega che Dietro la notizia, poi smentita. i cattivi rapporti fra i familiari ) in questo video inedito del 1998 trasmesso dalla Cbs, Nelson Mandela, parlando con un quindicenne malato di tumore al cervello, rivela la propria serenità rispetto all'idea della morte. "Comprendendo il fatto di essere vicino alla fine, resto ottimista e con il morale molto alto perché dico che ho vissuto la mia vita", dichiarava l'allora presidente sudafricano

4.7.13

OFF O ON ? Cresce il bisogno di staccare le mani da tutte le tastiere, il silenzio merce rara Oggi mi sento disconnesso Le ricette per essere off

sulle  note  di




Chi non ricorda il sempreverde “The sound of silence”, il celebre suono del silenzio cantato da Simon & Garfunkel ? Erano i primi anni Sessanta e il silenzio non era una merce rara, preziosa, desiderabile come lo è diventata oggi. In un mondo “always on”, sempre connesso come si usa dire, paradossalmente cresce la voglia di staccare la spina. Di fermarsi. Fare una pausa. Fioriscono così le iniziative e i segreti che promettono ristoratrici ore dove non trillano i telefonini, gli ipad dormono sonni tranquilli e le connessioni Internet sono rigorosamente disconnesse. Momentaneamente. Perché non si tratta di un'abiura a uno stile di vita, piuttosto una terapeutica disintossicazione, un digiuno dalla bulimia di dati visivi e sonori che scandisce le nostre esistenze.

Credo  che   piacerebbe per esempio cenare in un ristorante dove sentire solo il sussurro dei commensali vicini a voi e non anche il trillo del loro cellulare? Sarebbe un modo per riapprezzare il momento conviviale che prevede uno scambio di idee tra le persone sedute intorno a un tavolo. Chi si sottomette a questa moderna penitenza alla fine pagherà un conto più leggero. L'esperimento è già in uso,sempre  secondo  l'unione sarda del 4\7\2013  ,  da tempo negli Stati Uniti, nazione dove le mode nascono e diventano patologie, e dove si studiano gli antidoti. Mark Gold, proprietario e chef di “Eva Restaurant”, uno dei locali più alla moda di Los Angeles, ha proposto ai suoi clienti di lasciare il cellulare all'entrata, in cambio di uno sconto del 5 per cento. Un pasto medio costa 60 dollari e il risparmio quindi non è un granché, ma l'idea di un pranzo con i soli suoni delle posate o del vino versato nel bicchiere ha incontrato il favore dei clienti.
Ora però  Nella Grande Mela, dove tutto è più cool, ed  subito a  diventare passivamente   moda, è in gran voga un gioco che mette a dura prova capacità di resistenza e il controllo della curiosità. Si chiama il “Phone Stack” : ciascun commensale mette al centro del tavolo il proprio smartphone a faccia in giù. La prima persona che non resiste al richiamo del bip e acchiappa il telefono per rispondere a una chiamata o a un sms paga pegno, e si fa carico della cena di tutti. Sembra che questa prova abbia guarito i più gravi dall'assuefazione.  Quindi chiedetevi  Qual è l'ultima volta che avete lasciato il cellulare a casa? Che non avete controllato quotidianamente gli account della vostra posta elettronica? E non avete aspettato, paralizzati dall'ansia, che gli amici di Facebook leggessero il vostro ultimo post? Probabilmente per voi è arrivato il momento di togliere le mani da tutte le tastiere e concedervi una “Digital Detox Week”.
 A lanciare la settimana disintossicante è un'associazione canadese che raccoglie molti sostenitori nel pianeta. Se non riusciamo a frenare il nostro compulsivo bisogno di connessione è stata studiata per noi una App che disconnette il nostro Mac o pc o smartphone. È una sorta di timer che dopo un certo numero di minuti stacca la spina alle nostre connessioni, riportandoci a una dimensione dimenticata, o quasi. Non a caso la App si chiama “Freedom”, libertà. Non mancano i paradossi come le “silent disco”, le discoteche dove la musica arriva in cuffia alle orecchie dei ballerini e ciascuno balla seguendo il suo ritmo. Ottima ricetta contro il rumore, ma ostacolo sicuro e quindi  contro senso   a qualsiasi forma di comunicazione tra individui.C'è chi teme che la ricerca di silenzio sia sinonimo di non consumo, ma si sbaglia.Infatti  Il silenzio è una merce sempre  più rara  , quindi molto desiderabile. Soprattutto quando si affronta il tema vacanza: una veloce ricerca su Internet vi offrirà un ventaglio di silenziose proposte, dal weekend nella campagna toscana o umbra al rifugio in un monastero. A questo proposito c'è una meta in Sardegna che val la pena di esplorare: è il monastero di San Pietro di Sorres a Borutta dove i monaci offrono al pellegrino la possibilità di trovare ristoro in un clima di meditativa pace. C'è infine un monastero laico, a Carloforte, dove tutto è un omaggio alla filosofia del “meno è più”. In mancanza di tv, wifi, connessione internet, il resort Poecylia offre il più raro silenzio.

bibliografia 

LA STORIA Ringo Starr e George Harrison ispirati dal sole gallureseQuando Porto Cervo fece da Musa ai Beatles


unione  sarda  del  4\7\2013
Dal nostro inviato
Augusto Ditel
PORTO CERVO «Agghjiu bìtu Coca Cola, l'agghjiu bìta calda calda; prima era Monti di Mola, abàli è Costa Smeralda (ho bevuto Coca Cola, l'ho bevuta calda calda, prima era Monti di Mola, adesso è Costa Smeralda).
Il giro armonico della Corsicana , un delicato canto popolare gallurese, accompagnano la strofa dedicata a Porto Cervo, la ex Monti di Mola. Siamo negli anni '60, quelli mitici. Attorno al 1968, quando ormai la creatura del principe Aga Khan aveva già… compiuto cinque anni. Nel novembre di quell'anno, un novembraccio, Ringo Starr aveva deciso: «Basta, mollo tutto. Lascio i Beatles». Il batterista del quartetto di Liverpool che avrebbe rivoluzionato il mondo della musica moderna era molto stanco, depresso, demotivato. Di soldini, ne aveva già fatti un po', e la proliferazione dei diritti d'autore avrebbe fatto il resto negli anni a venire. Non importava se il disco White Album andava completato. Solo una vacanza, un'overdose di relax, in un luogo incantato e isolato avrebbe potuto compiere il miracolo.
RELAX Raccontano che Ringo girellasse per Porto Cervo senza una mèta precisa. Ogni tanto faceva qualche puntatina ad Arzachena, un salto a Cannigione. Qui, l'incontro con un pescatore sui sessanta, volto abbronzato e solcato da rughe profonde così. Il lupo di mare non sapeva l'inglese, ma sapeva farsi capire. Gli parlò dei polpi. Della loro vita. Della spiccata abilità nel nascondersi tra gli scogli. Dell'inchiostro neropece che spargono contro il nemico per sfuggire alla cattura. Della doppia fila di tentacoli che, per esempio, li distingue dai moscardini (che ne hanno solo una). Rapito da questi racconti, Ringo Starr non solo si riprese dalla depressione, ma trovò facilmente l'ispirazione per comporreOctopus's Garden (Il Giardino del Polpo), uno dei brani di Abbey Road , tra i più celebri album dei Beatles.
HARRISON Altro anno, altra ispirazione. Siamo nel giugno del 1969, e questa volta il protagonista è George Harrison, il chitarrista del gruppo, il genio che ha firmato insieme con Paul Mac Cartney la maggior parte dei successi degli "Scarafaggi". Accompagnato dalla moglie Pattie Boyd, Harrison s'imbarcò su un Fokker dell'Alisarda (l'attuale Meridiana) e atterrò all'aeroporto Venafiorita di Olbia. Era il primo giugno, e la coppia rimase in Gallura fino al 23 per una vacanza - come dichiarò lo stesso baronetto in un'intervista alla Bbc - «indimenticabile, soprattutto per il colore del sole». Non a caso proprio il sole della Costa Smeralda gli diede la possibilità di comporre la splendida Here comes the sun , un'altra perla di Abbey Road.
LA PRINCIPESSA Di aneddoti come questi ce ne sarebbero molti altri, e per esempio un giovane giornalista gallurese, Guido Piga, nel suo libro La Principessa (cioè la Costa Smeralda), giunto alla seconda edizione, ne racconta a iosa grazie a una ricerca rigorosa che gli ha consentito di pubblicare gli atti di vendita dell'attuale Costa Smeralda. Erano i tempi in cui la famiglia Ghilardi (successivamente vittima dell'Anonima Sequestri) vendette 300 ettari (una parte della loro immensa proprietà) a quel giovane arabo capo di 15 milioni di ismailiti, e passò alla storia per una fase della trattativa con gli uomini del principe, pronti ad acquistare quella fetta di Gallura per un miliardo di lire. «Un miliardo? - protestò il vecchio Ghilardi - Non voglio miliardi, ma milioni. E un posto di custode per mio figlio». Molti pensano sia una leggenda, e invece anche questo episodio fa parte della piccola grande storia di un paradiso che oggi fa fatica a riconoscersi in questi ricordi.
IL PARADISO Di questo paradiso della Sardegna nord orientale, Karim Aga Khan è stato l'inventore, ma chi ha vissuto quegli anni fa fatica a riconoscersi nella Costa Smeralda di oggi, dopo i passaggi di proprietà che ne hanno accompagnato la storia in mezzo secolo di vita. Oggi comanda l'Emiro, quello del Qatar che solo pochi giorni fa ha abdicato a uno dei suoi figli, poco più che trentenne. Oggi, al Molo Vecchio, ci sono 24 boutique extralusso che espongono gioielli e benirifugio sotto l'insegna di Harrods, magazzino di casa. Nel 1983, l'amministrazione comunale guidata da Tino Demuro (giovane Dc progressista) disse no a un maxi programma di investimento (12 milioni di metri cubi, poi scesi a sei) chiamato Master Plan, che negli anni portò il principe ad abbandonare il campo per tenere per sé il prestigioso Yacht Club, villa Cerbiatta (la sua residenza di Porto Cervo) e Meridiana, la compagnia aerea messa su per consentire ai frequentatori della Costa Smeralda di raggiungere l'isola. Oggi, i metri cubi in ballo sono 500mila o giù di lì, ma le intenzioni edificatorie del Qatar debbono fare i conti con la programmazione urbanistica della Sardegna che esclude la costruzione anche di una sola cuccia per cani.
E oggi Ringo Starr e George Harrison non vengono più qui a fare le vacanze.

Aglientu lancia i seminari estivi. Tema centrale sarà il linguaggio della politica La filosofia sotto l’ombrellone.



AGLIENTU Filosofare sotto l’ombrellone o all’interno di un bel chiostro è ormai una delle trovate più accattivanti per un’estate da vivere all’insegna della cultura. Un’idea che si sta facendo strada anche nell’isola e, da qualche anno, anche in Gallura, grazie all'Associazione Inshibboleth e alle amministrazioni comunali e alle agenzie culturali del territorio che hanno deciso di sostenerla. Così, tra il 10 e il 12 luglio, ad Aglientu, si terrà la prima tranche della summer school di filosofia che culminerà, pochi giorni dopo, nei seminari finali di Castelsardo. Ospiti della summer school di Aglientu saranno i filosofi Miguel Abensour, dell’Université Paris-Diderot, e Gianfranco Dalmasso, dell’Università di Bergamo. In tutto questo c’è lo zampino creativo dell’Istituto Cossu e del suo presidente Luigi Agus. «A due anni dalla fondazione dell'Istituto – dichiara Agus – e a un anno esatto dall'apertura della struttura museale di Aglientu, grazie alla fattiva collaborazione con l'amministrazione comunale passata e al contributo della presente, abbiamo potuto organizzare un evento culturale di grande portata, coinvolgendo l'Università di Sassari e la Diderot di Parigi, oltre all'Associazione Inshibboleth, che sta curando la parte della segreteria dei corsi e la logistica. È quindi giusto ringraziare l'ex sindaco dottoressa Battino e l'attuale sindaco, geometra Tirotto, per l'interesse e la fattiva collaborazione in questo e in altri progetti che vedranno il Mud'à protagonista dell'estate aglientese». Incontri e lezioni con i due filosofi si terranno, infatti, nella struttura del Mud'à. Tema della scuola di alta filosofia sarà il rapporto tra metapolitica e politica, vale a dire una riflessione sul linguaggio e le categorie che aiutano a comprendere le forme e le teorie della politica. L’11 luglio è in programma la lezione di Dalmasso, mentre il 10 e il 12 toccherà ad Abensour, specialista della scuola francofortese, in particolare di Walter Benjamin, Hannah Arendt e Levinas. Dal ’74 dirige la collana “Critique de la Politique” per l’editore Payot. (g.pu.)

2.7.13

La tenera storia di un'amicizia nella Olbia degli Anni CinquantaMario e il vecchio Ugo: un furto per la sua bara.

fra le tante   ovviettà e  fesserie   degli approffondimenti  estivi dei giornali   capità   di leggere  anche  storie interessanti  eccone  una  tratta  dall'inserto estivodell'unione sarda del  2\7\2013
di Piera Serusi
Olbia. Dietro il feretro c'era lui soltanto. I quattro uomini che portavano la bara, il frate di San Simplicio, un chierichetto con la croce. E Mario, che arrancava col capo chino e le preghiere in punta di labbra.«Chi est su mortu, Marie'?», gridò un giovane seduto sulla soglia di casa al passaggio del corteo funebre più corto del mondo. «Est unu amigu meu», rispose il ragazzino.«Tando benzo eo puru». Vengo anche io, annunciò quello alzandosi e mettendosi in coda con le mani giunte. Qualche centinaio di metri, il tanto di un eterno riposo, e sulla processione si abbatteva un'altra voce: «Chi est su mortu, Marie'?». Un amico mio, ripeteva il ragazzo. E allora vengo anche io. Fu così che, lungo il tragitto verso il cimitero di Olbia, la fila dei dolenti si rimpolpò e Mario Pischedda riuscì a fare un funerale degno di questo nome per il suo amico Ugo, l'uomo senza un passato.
«Di lui non sapevo niente, a parte il nome. Gli facevo molte domande, mi rispondeva: “Io sono la nullità che sta in questo mondo”. Però mi raccontava tante storie: della guerra, di grandi personaggi, di terre lontane. La nostra è stata un'amicizia durata solo un anno e mezzo, ma quanto mi ha dato...». Mario ha 68 anni, due figli e decine di canzoni registrate alla Siae. Scrive i testi per Pino d'Olbia, il Luciano Tajoli della Gallura, e suona nella band “Isola” con serate in Costa Smeralda e nei circoli dei sardi di mezzo mondo. La vita che sognava quel ragazzino con le scarpe rotte e un amico da accompagnare all'ultima stazione.Questa è una storia che sembra uscita da un racconto di Mark Twain. Una storia d'amicizia e di formazione, cuore e poesia, polvere e fame. Olbia, 1957. Mario Pischedda aveva 12 anni, tre fratelli, la quinta elementare e due lavori coi quali riusciva a portare a casa un po' di soldi per tirare avanti. Era diventato il capofamiglia dopo la morte del padre Francesco, agricoltore che curava i campi di grano. Il lutto portò via il babbo, il pane e il denaro, e così c'era da rimboccarsi le maniche per aiutare mamma Michelina a non lasciarsi piegare dalla disperazione. «Guadagnavo anche 70 lire raccogliendo sacchi di scarti di carbone da consegnare ai fabbri - racconta -. E in più, ogni santo giorno pulivo i gabinetti della nave “Lazio”: mi davano 50 lire più venti brioche».Erano i tempi della fame più nera, quelli. Non sarà mica a caso se la storia di una grande amicizia è cominciata con il profumo di un panino alla mortadella. «Io quell'uomo non l'avevo mai visto. Un giorno arrivò e occupò una stamberga in fondo alla via, poco distante dalla mia casa. Lo incontrai la prima volta mentre stava seduto su un gradino davanti all'uscio, tra le mani una grande pagnotta. Che fame. “Tieni appetito, eh?”, mi chiese. Aveva il viso di un vecchio, o perlomeno così sembrava a me che ero un bambino. Non era sardo; anni dopo ho ricondotto il suo accento alla parlata abruzzese. Non risposi né sì né no, feci spallucce. “Fame tieni tu, e fame tengo io”, disse lui mentre spezzava il panino in due. Aveva condiviso con me l'unico pasto di quella giornata. “Mi chiamo Mario e tu?”. Ugo, rispose. Non ho mai saputo nulla di più sul suo conto. Ma quel giorno ho conosciuto l'amico che mi ha spiegato il senso della vita e della morte. L'amico che, senza saperlo, mi ha aiutato a diventare un uomo».Ugo viveva nella casupola senza tetto, arredata con un letto di cartone e un focolare al centro della stanza. «Ogni mattina, prima di andare al porto per pulire i gabinetti del traghetto, passavo a trovarlo e lui mi preparava un caffè di cicoria e liquirizia, come quello dei tempi della guerra». E raccontava le storie, l'epopea dei grandi condottieri e le imprese dei campioni dello sport.Poi, un giorno, poco più di un anno dopo. «Un'alba di aprile. Lo trovai disteso sul suo letto di cartone. Era morto per il freddo. Cosa potevo fare, adesso, per lui? Un funerale, pensai, un bel funerale. Ugo aveva soltanto me al mondo. Andai da tziu Pippinu, il falegname. Me la fate una bara?, gli domandai. “Una bara? E dinare ne hai?”, mi chiese».Dinare? Accadde così che Mario Pischedda rubò per la prima e ultima volta in vita sua. «Presi 500 lire che stavano sul comò di mia mamma e tornai dal falegname. Vi bastano? chiesi. “Devo misurare il morto per vedere se è corto o lungo”, disse tziu Pippinu». Andarono alla baracca, presero le misure di Ugo e alla fine il baule di tavole venne fatto.E chi lo porta il morto?, gli domandò il vecchio vicino di casa zoppo che si era affacciato dentro la casupola mentre Mario, aiutato da tziu Pippinu, ricomponeva il defunto nella bara. Già, adesso bisognava organizzare il funerale. Il ragazzo corse in strada, bussò a un paio di porte e chiese aiuto a due giovani passanti. Quattro uomini. Se soltanto avessero accettato. «La portate una bara in spalla fino al cimitero?». Come no, fu la risposta, dacci solo l'orario. Mario volò in parrocchia, suonò al campanello della canonica e spiegò al frate affacciato sull'uscio che l'anima dell'amico era volata in cielo e che occorreva il viatico di una benedizione.Il funerale venne fissato per l'indomani, nel primo pomeriggio. Sotto un pallido sole di primavera, la bara di ruvido legno coi chiodi a vista sfilò - portata in spalla da quattro uomini - nelle vie quasi deserte. Davanti al feretro, il frate e il chierichetto. Dietro, Mario soltanto. «Chi est su mortu, Marie'?». Era un amico mio.

Targa abusiva ad Acca Larentia. Il Pd insorge e il Campidoglio la rimuove . fara una cosa simile per la manifestazione del 7 gennaio ?

È stata già rimossa la targa firmata "i camerati" che era stata affissa abusivamente a Roma vicino alla vecchia sede del Msi di Ac...