17.2.16

Terra dei Fuochi, «quello che non ho potuto dire da Vespa» di Anna Spena vita il 16 febbraio 2016 e ECCO CHI ERA ROBERTO MANCINI, IL POLIZIOTTO EROE CHE SCOPRÌ LA TERRA DEI FUOCHI

da http://www.vita.it/it/article 16\2\2016



Ieri [ in realtà era avantieri ] a Porta a Porta








ospiti in studio due mamme che vivono in Campania e hanno perso i loro figli per colpa di un tumore. Eppure il conduttore durante la trasmissione non ha mai usato la parola cancro. Marzia Caccioppoli: «In trasmissione per esempio non sono riuscita a parlare del problema dell'evasione fiscale o del fatto che in Campania non esiste la terapia del dolore. In queste terre la camorra esegue quello che lo Stato colluso le comanda». L'intervista


Marzia Caccioppoli con suo figlio Antonio morto a nove anni e mezzo


Ieri in seconda serata è andata in onda una puntata di Porta a Porta dove si è parlato di Terra dei fuochi. Tra gli ospiti in studio Beppe Fiorello, protagonista della prima puntata della fiction andata in onda in prima serata, sempre su Rai1, “Io non mi arrendo” che nella mini-serie interpreta il ruolo di Roberto Mancini, il poliziotto che per primo indagò sulla questione dei rifiuti tossici in Campania, Loredana Musmeci dell’Istituto Superiore della Sanità e la moglie di Roberto Mancini Monika Dobrowolska. Poi due “mamme delle terra dei fuochi” che fanno parte dell’associazione “Noi genitori di Tutti”, Anna Magri e Marzia Caccioppoli; i loro figli sono morti a 22 mesi e nove anni e mezzo per colpa di un tumore.
Ma alle due mamme è stata davvero data la possibilità di denunciare tutto?
Vita.it intervista Marzia Caccioppoli che racconta quello che avrebbe voluto aggiungere…



Dopo la puntata di Porta a Porta si sono sollevate alcune polemiche. Prima tra tutte, il conduttore Bruno Vespa non ha mai utilizzato, neanche una volta, la parola cancro o tumore. Ha sempre parlato di malattia grave e ha sottolineato più volte che la percentuale della terra inquinata “è solo una piccolissima parte della Campania”…
Quando io e Anna Magri abbiamo accettato l’invito eravamo consapevoli che non avremmo avuto modo di ribattere molto o di raccontare la gravità dei fatti. Queste sono le regole di quel format televisivo.

Allora perché avete accettato lo stesso l’invito?
Per due ragioni. La prima è che se non fossimo andate noi avrebbero potuto invitare qualcuno dei medici negazionisti che non fa altro che peggiorare la nostra situazione. La seconda è che il nostro obiettivo è mantenere alta l’attenzione mediatica sulla tragedia che si consuma ogni giorno nella nostra terra. Saremmo volute andare in trasmissione con qualcuno dei dottori che collabora con l’associazione. Ma questo non è stato possibile.

Cosa avrebbe voluto aggiungere ieri sera?
Che quel 3% di cui tanto si parla e che si tende a banalizzare come una percentuale piccolissima non è poi così insignificante se si considera che è tutta concentrata tra i comuni a Nord tra Napoli e Caserta.
Che quello per cui ci stiamo battendo non è solo il numero di morti per tumore ma soprattutto il numero dei bambini morti per tumore. Sono due cose differenti. Ieri è stato ripetuto da Loredana Musmeci, dirigente di ricerca all’Istituto Superiore di Sanità, che ci sono altre zone d’Italia come Brescia, Gela, Taranto, nella stessa situazione della terra dei fuochi…Il problema è anche questo: la Campania non è una regione industrializzata. Qui si vive ancora di agricoltura. Com’è possibile che ci si ammali allo stesso modo? I rifiuti tossici sono stati sversati per 30 anni tutti i giorni in queste terre. La camorra ha eseguito ed esegue quello che lo Stato colluso le comanda.

Quale altra questione doveva essere approfondita?
Quella dei roghi. Che invece di diminuire aumentano. Avevano parlato di 800 militari da mandare nelle Terra dei Fuochi. Io non ne ho visto nemmeno uno. Però quello che penso io è che le forze dell’ordine devono essere rafforzate sul posto. E che quei soldi invece potrebbero essere investiti nella prevenzione della salute dei bambini.




Anche ieri sera, durate la trasmissione, si è sottolineato più volte che non è scientificamente provato un nesso di causalità tra l’inquinamento ambientale e le morti per tumore…
Tutti continuano a ripeterlo. Invece di parlare venissero a vedere questo nesso al dipartimento di oncologia del Pausilipon o del Santo Bono di Napoli. Negano l’evidenza. Se non c’è questo nesso allora perché nel corpo della maggior parte dei campani che abitano quei comuni c’è piombo, arsenico, diossina. Dicono che la Campania è la regione più giovane d’Italia. Ma se i vecchi muoiono perché sono vecchi e i giovani ce li continuano ad ammazzare, che saremo una regione deserta? Faranno quello che vogliono con questo territorio.

Che vuol dire?
Che hanno deciso di condannarci a morte. A questo punto almeno ci dessero un giorno stabilito. È peggio svegliarsi ogni mattina con la paura di avere un cancro. Qua è diventata una roulette russa.

Qual è la verità che si tiene sempre nascosta?
Il problema principale è l’evasione fiscale. Se tu prendi e arresti uno che sta sversando rifiuti tossici, non fai altro che toccare l’ultima ruota del carro. Magari un rom o un poveretto senza lavoro che si sta guadagnando la mazzetta. Ma a chi appartengo quelle gomme? E quei pellami? Ecco noi mettiamo i microchip ai cani e non riusciamo a tracciare un camion di rifiuto tossici?

Di cosa ha bisogno questa terra?
Di fondi per tutelare i bambini che la abitano. Di controlli più seri. Di qualcuno che ci venga incontro e capisca la necessità di proteggerli. Se a mio figlio Antonio avessi fatto un esame tossicologico forse avrei potuto prevenire la sua morte. Ma l’hanno ammazzato silenziosamente e omertosamente il mio bambino. Questa è una guerra silenziosa.

Tra chi?
Tra lo Stato e noi poverini che subiamo. Lo Stato li avrebbe dovuti proteggere questi bambini. Invece ha ammazzato i figli delle madri di queste terre. Qua se vai a prenotare una visita per un nodulo sospetto c’è una lista d’attesa di cinque mesi. In cinque mesi il cancro ti uccide. Se sei povero nella Terra dei fuochi muori due volte. Quando mio figlio si è ammalato, l’ho preso e l’ho portato fuori dalla Campania. Qui non fanno neanche una terapia del dolore adeguata.

Anche questo avrebbe voluto dire…
Li fanno morire nel dolore. Un’altra delle nostre bambine l’hanno fatta morire con gli arresti cardiaci. L’altro giorno è arrivata all’ospedale Pausilipon una ragazzina di 12 anni con forti dolori alla pancia. La mamma credeva fossero i dolori mestruali. Invece era un cancro metastatico in una delle tube. Abbiamo delle bombe in corpo.

da http://www.famigliacristiana.it  mercoledì 17 febbraio 2016


ECCO CHI ERA ROBERTO MANCINI, IL POLIZIOTTO EROE CHE SCOPRÌ LA TERRA DEI FUOCHI
15/02/2016 La Rai gli dedica una fiction con Beppe Fiorello, ma Roberto Mancini ha fatto fatica a veder riconosciuto il lavoro che gli è costato la vita.
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Elisa Chiari


Aveva un nome famosissimo Roberto Mancini, ma era la fama di un altro, colpa di un’omonimia che portava altrove alla zazzera al vento dell’allenatore dell’Inter e poi del Manchester City e poi di nuovo dell’Inter. La beffa di un destino sgarbato.
Il Roberto Mancini, di cui parliamo, invece, non lo conosceva nessuno e capelli non ne aveva più, portati via dalle cure per il linfoma non Hodgkin con cui aveva combattuto per anni, dopo averne combattuto la causa: i rifiuti tossici, che oggi tutti ricollegano alla Terra dei fuochi, e che Roberto Mancini, da poliziotto, aveva scoperto prima degli altri, rendendone conto in una informativa che risale al 1996.
Quelle carte però restarono in un limbo (che fece dire a un Mancini demoralizzato: “Se fosse stata presa in considerazione forse non avremmo avuto Gomorra”), finché il Pm Alessandro Milita della Dda di Napoli, anni dopo, non la trovò. Chiamò Roberto Mancini e chiese la trascrizione delle registrazioni contenute in quell’informativa vecchia di parecchi anni, servivano per portare a giudizio una trentina di imputati per reati che vanno dall’associazione mafiosa al disastro ambientale, processo tuttora in corso davanti alla Corte d’Assise di Napoli.
Roberto Mancini a quell’epoca è poliziotto da un pezzo, entrato all’inizio degli anni Ottanta, passando per vari uffici, tra cui la Criminalpol e la Catturandi, con indagini su camorra infiltrazioni dei clan nel Basso Lazio, tra il 1997 e il 2001 Mancini collabora con la Commissione rifiuti della Camera, fa tra missioni e sopralluoghi in Italia e all’estero, si espone ai rifiuti tossici e alle loro esalazioni, e nel 2002 si ammala di linfoma. Nel 2010 Comitato di verifica del Ministero delle Finanze mette nero su bianco che la sua malattia viene da una “causa di servizio”, l’indennizzo, 5.000 euro, è poca cosa.
La richiesta di risarcimento danni che Mancini avanza alla Camera per “malattia professionale” si scontra con la burocrazia: l'attività svolta non ha determinato un rapporto di lavoro con la Camera. La risposta che arriva nel luglio del 2013 non è quella sperata, gli si dice che nel periodo della Commissione Mancini, pur collaborando con la Camera, ha continuato a fare il poliziotto, inquadrato nell’Ispettorato di Polizia presso la Camera, e che sarebbe toccato alla Polizia informare Mancini dei rischi diversi da quelli “tipici e propri delle sue mansioni professionali” e cioè dalla pallottola o dall’esito nefasto di una colluttazione più prevedibili nella vita quotidiana di un agente di Polizia.
Mancini non si arrende e non si arrendono neppure i suoi amici: nel novembre 2013 Fiore Santimone, amico di lunga data di Roberto Mancini, lancia una petizione su Change.org, la raccolta di firme schizza, il 6 marzo del 2014 Roberta Lombardi, con un’interrogazione parlamentare, porta il caso all’attenzione del Ministero dell’Interno. E in aprile il caso diventa una manifestazione pubblica in piazza Montecitorio. Roberto Mancini muore il 30 aprile 2014, le firme raccolte intanto sono 75.000, i promotori della petizione le consegnano alla Camera, che poco dopo invia al Ministero dell'Interno tutta la documentazione relativa alle indagini di Roberto Mancini sui rifiuti tossici.
La Presidente della Camera dà mandato perché parta l’istruttoria sulla vicenda. Nel settembre 2014 a Roberto Mancini viene riconosciuto lo status di “vittima del dovere” che non solo certifica la connessione tra la malattia e il servizio prestato ma riconosce alla sua famiglia il diritto al sostegno previsto dalla legge. Roberto ha infatti lasciato una moglie Monika e una figlia, Alessia, che oggi ha 15 anni. Come ha scritto Monika nel messaggio di ringraziamento alle persone che hanno messo quelle 75.000 firme non ci sono medaglia d’oro al valor civile né risarcimento che possano restituire l’affetto perduto ma: “Il suo importantissimo lavoro sul traffico di rifiuti tossici è servito a molte cose e adesso questo è ufficialmente riconosciuto. E’ giusto che chi ha dato la propria vita per il bene di tutti, venga almeno omaggiato dalle Istituzioni”.

Una lampada portatile per illuminare la notte in Mali

http://www.studiomatteoferroni.com/2016/01/matteo-ferroni-it.html



da  http://www.repubblica.it/topics/news/matteo_ferroni-94855388/



Matteo Ferroni

Architetto, nato a Perugia nel 1973 e laureato all'Università della Svizzera Italiana, premiato dalla Città di Barcellona con una menzione d'onore al City to City Award. Nel 2004 viene chiamato da Luca Ronconi per trasformare un'azienda agricola abbandonata nel Centro Teatrale Santacristina e parallelamente entra nel mondo della video arte con un opera esposta al Museo di Valls (Catalogna) e con performance live con Ludovico Einaudi. Due progetti recenti in cui esplora gli aspetti antropologici della luce nel Mali rurale e Città del Messico gli valgono l'attenzione internazionale per il modo nuovo di concepire tecnologia e cultura.




Prima uno studio sulle comunità rurali del Mali e sull'importanza della notte nella loro vita quotidiana. Poi la prototipazione di una lampada a basso costo e facile da produrre. E così la luce collettiva torna a dare speranza (e posti di lavoro) ai villaggi. Al 'Next' l'architetto perugino Matteo Ferroni, papà del progetto 'Foroba Yelen'


di GIAMPAOLO COLLETTI
@gpcolletti
17 settembre 2014
C'è una comunità in Mali che è tornata a vedere di notte grazie anche all'intuizione di un brillante architetto italiano. Così Matteo Ferroni, nato a Perugia e premiato dalla Città di Barcellona con una menzione d'onore al 'City to City Award', ha ridato la luce agli abitanti rispettando il contesto geografico, risparmiando energia e mantenendo inalterato il senso del tempo e dello spazio.
'Foroba Yelen' significa 'luce collettivà ed è la soluzione che sta migliorando la vita degli abitanti dei villaggi rurali del Mali. Si tratta di una lampada da strada portatile che illumina le attività piuttosto che gli spazi. Perché in Mali a causa del caldo che raggiunge livelli molto alti la vita scorre soprattutto di sera e per terra.
Produzione in loco, grazie alla fusione di parti di vecchie biciclette e lattine che vengono plasmate per diventare la testa della lampada. La lampada utilizza l'energia solare e dispone di batterie che possono essere ricaricate nelle stazioni distribuite lungo il territorio. E poi è mobile, trasportabile con facilità anche dalle donne, in modo da dare a chiunque la possibilità di usufruire della luce artificiale.
Per Ferroni, papà del progetto 'Foroba Yelen', è possibile conciliare tecnologia e presenza umana. "Occorre però privilegiare i valori culturali. In questo progetto ho considerato la luce come un fenomeno culturale invece che una sfida tecnologica. Cioè il mio obiettivo non era di portare la tecnologia LED nei villaggi, ma di trasformare l'ombra dell'albero in luce. Le conseguenze sono potenzialmente enormi: invece di installare 40 lampioni in ognuno dei 20.000 villaggi del Mali, basterebbero 4 lampioncini mobili in ogni villaggio", racconta Ferroni, che da questa esperienza ha avviato una ricerca appassionante su etnografia e design.

Energia elettrica fai-da-te, ma non solo. Quali modelli emergenti sta vedendo prevalere nel mondo dell'architettura?

"Mi pare che i giovani architetti stiano cercando nuovi modi di interagire con la città. Riconoscono l'importanza della cittadinanza attiva ed intraprendono esperienze in cui l'architettura è frutto di un processo controllato invece che di un disegno libero. In un certo senso sta emergendo un nuovo modello di architetto più che un nuovo modello di architettura".
E lei personalmente a quali stili guarda con maggiore attenzione?

"Io credo che l'architetto debba cercare di elevare il proprio spirito e chiedersi a cosa serva l'architettura. Per questo guardo con ammirazione l'opera dei maestri del '900 che conoscevano il mestiere e la vita. Nell'Expo del 1937 Josep Luis Sert realizzò il padiglione della Repubblica Spagnola in piena guerra civile presentando la Guernica di Picasso proprio in faccia al padiglione nazista. Ecco, quell'architettura esprimeva degli ideali ed un pensiero sull'essere umano".
Formazione o genialità. Un buon architetto su cosa dovrebbe puntare?
"Decisamente sulla formazione, perché anche la creatività ha bisogno di essere coltivata".

Su invito di Luca Ronconi ha trasformato un'azienda agricola abbandonata nel Centro Teatrale Santa Cristina a Gubbio. Ci racconta l'esperienza?

"In Luca Ronconi ho trovato un maestro, un riferimento come artista e come persona. Avevo solo trent'anni e lavoravo a Berlino quando mi ha chiamato per chiedermi se potevo aiutarlo a trasformare un'azienda agricola delle campagne Umbre nel suo centro teatrale. All'inizio voleva una cosa molto semplice per ospitare attori e poter lavorare entro pochi mesi. Il cantiere è diventato un laboratorio di architettura, con una mia piccola raccolta di libri, modelli di studio e prototipi di mobili. Un progetto a quattro mani nato sul posto senza disegni, o meglio, tracciando linee sui muri, sulle assi di legno e sul cemento".
Dal Mali e dal resto del mondo alla sua Umbria. Che cosa rappresenta la sua terra d'origine?
"L'Umbria ha la dimensione di provincia ideale e non è un caso che venga scelta da tanti artisti internazionali proprio come luogo di lavoro e non come luogo di riposo. Qui il tempo e la prossimità alle persone permettono di sviluppare progetti meglio che altrove. Concentrarmi qui, nelle campagne umbre, è una formazione continua".
Lei ha girato il mondo. Un messaggio ai giovane 'nexter'?

"Direi di guardare l'Europa come la nostra casa e quindi di non considerarsi mai dei fuggiti all'estero".


http://milan.impacthub.net/2013/04/05/matteo-ferrone-pioniere-della-luce-in-mali/






STORIES
Matteo Ferroni, pioniere della luce in Mali
05 APRIL 2013 |



“In Africa ci sono finito per caso. Non ho mai lavorato per la cooperazione internazionale. Però ho lavorato nel teatro. Ogni tanto aiutavo la scenografa di Luca Ronconi. È stato proprio lui, il regista, il committente del mio primo lavoro”. Matteo Ferroni comincia così a raccontare la lunga strada che l’ha portato in Mali, nel cuore dell’Africa subsahariana, dove è stato pioniere di un’invenzione del tutto innovativa nella sua concezione e realizzazione: un lampione portatile a energia solare per far luce (solo quando serve) nei villaggi rurali dove non c’è elettricità.
Tra il teatro e le vie di un villaggio nato al limitare del deserto il collegamento sembra arduo. Eppure c’è, e c’entra anche la luce.
“Lavoravo all’allestimento dello spettacolo di Ronconi‘ Il bosco degli spiriti’, tratto da un racconto africano che corrisponde più o meno al mito di Orfeo. Sul set ho incontrato la cantante maliana Rokya Traoré. È stata lei a chiamarmi per andare a lavorare in Mali. Voleva costruire un teatro all’aperto a Bamako. Abbiamo cominciato, ma ora purtroppo il progetto è fermo a causa del conflitto che ha investito il Paese”.
Ferrone, architetto originario di Perugia, laureato in Svizzera, ha lavorato già in Germania e per tre anni a Barcellona. In Mali viene folgorato dai villaggi, dalla vita rurale: “Contrariamente a quello che mi aspettavo, più che povertà ho visto armonia. La vita è fragile, certo. È facile morire per una malattia. Ma non ho visto la fame. Come architetto mi interessava capire cosa rendeva possibile questo tenore di vita in una comunità con pochi mezzi in un ambiente naturale così difficile, dove il termometro arriva spesso a sfiorare i 50 gradi. Un altro aspetto che mi affascinato era la loro concezione di bene collettivo. I villaggi non sono isolati ma formano delle comunità. Un villaggio, da solo, non potrebbe mai permettersi un mulino per macinare la farina. Allora ci si mette insieme, in cinque, otto villaggi. Così avviene per la scuola e per i centri sanitari, ognuno dà il suo contributo”.
Il lavoro sulla luce è venuto dopo. Matteo comincia a frequentare sempre di più i villaggi e a viverci per periodi sempre più lunghi. Si accorge che i ritmi di sonno e veglia sono diversi da quelli occidentali: la vita sociale si svolge soprattutto di notte, quando il clima è più sopportabile. Per illuminare si usano torce elettriche, nel caso di cerimonie si affittano generatori, che però sono costosi. “Quando ho cominciato a ragionare sulla lucenon ero convinto che fosse indispensabile per la loro vita, mi chiedevo che diritto avessi di cambiare un modo di vivere che fino ad allora aveva funzionato”.
“Intanto continuavo a osservare le persone: mi accorgevo che quando parlavano fra di loro mantenevano sempre una certa distanza. Avevo già vissuto con persone africane a Barcellona e anche loro si parlavano nell’ambito del medesimo spazio relazionale. Vivendo con loro mi sono fatto l’idea che questo spazio relazionale corrisponde all’ombra dell’albero. Durante il giorno sono abituati a condividere questo spazio. Allora ha cominciato a farsi spazio in me l’idea di una luce che corrispondesse all’ombra dell’albero, per illuminare una scena, come avviene sul palcoscenico. Per illuminare la notte dei villaggi ho inziato a immaginare uno strumento che fosse però funzionale alle azioni e alla vita”. I lampioni fissi esistono in qualche piazza di villaggio del Mali, dono di qualche progetto di cooperazione internazionale. Ma Ferrone si accorge che la gente non li usa. Le cerimonie e le azioni sono itineranti e si svolgono in altri spazi. “Mi è venuta così l’idea di creare un utensile per illuminare le attività piuttosto che gli spazi. Concetti come piazza o strada nei villaggi africani non esistono, o perlomeno non hanno lo stesso significato”.
L’utensile deve essere facilmente trasportabile, alimentabile con poca spesa, costruito con materiale reperito in loco. Nasce il prototipo: un lampione posto su un’asta saldato a una ruota e a una batteria caricata a energia solare. “Come architetto e designer ho prestato attenzione all’estetica” afferma Ferrone. “Ho pensato a un utensile portatile, quindi con una ruota, e la bicicletta mi sembrava un oggetto che esprime bellezza ed equilibrio. Infatti mi ha permesso di realizzare un oggetto che arriva a 3 metri e 60 di altezza, porta una batteria ed è trasportabile da un bambino di otto anni”. Tutta la struttura è realizzata da artigiani locali con materiali che si trovano facilmente nei villaggi, fatta eccezione per il led importato dalla Cina.
“Ho cominciato a produrre un prototipo e il giorno dopo il villaggio vicino ne ha richiesto un altro esemplare. In meno di un mese 60 villaggi avevano chiesto al sindaco del villaggio in cui vivevo di poter avere altri lampioni portatili. Il sindaco mi ha fatto chiamare e mi ha chiesto se la mia invenzione si poteva trasformare in un progetto”.
Un aspetto interessante è la gestione collettiva della luce. Ogni villaggio che ne fa richiesta riceve quattro lampioni. A gestirli è un comitatocomposto di rappresentanti di diversi gruppi: ci sono sempre una donna, un anziano, un giovane e un tecnico. Il comitato dà la luce a noleggio eil ricavato alimenta una cassa comune, che poi viene utilizzata per finanziare altre microattività imprenditoriali. La luce unisce le persone, attorno ad attività o a una cerimonia. Facilita lavori che vengono compiuti di notte, dalla vaccinazione degli animali alla pesca sul fiume con le piroghe, alla ristrutturazione di una moschea. “I villaggi non pagano, ma hanno un anno di tempo per ridarci dieci telai di bicicletta che serviranno per costruire altri lampioni”, spiega Matteo. “Per loro è tanto. Un telaio potrebbero venderlo a 8 euro, dieci telai quindi valgono 80 euro”.
La luce portatile, “foroba yelen” in lingua locale, ha vinto il premio innovazione urbana della città di Barcellona. Per sostenere il progetto in Mali Matteo ha aperto la fondazione eLand, con il supporto di Haus der Kulturen der Welt, e ha iniziato un progetto analogo a Città del Messico in collaborazione con l’Università di Barcellona. Di recente è arrivata una richiesta singolare da Marsiglia: la comunità senegalese che vive nei sobborghi della città francese è interessata ai lampioni portatili. Matteo non sa ancora come finirà, ma ormai si è arreso all’evidenza: la luce nei villaggi del Mali serviva, e ha già facilitato la vita di migliaia di persone.

Di Emanuela Citterio – HUB Milano

“Aspettando i pionieri” è una serie di interviste che HUB Milano sta preparando in vista del 3 maggio, data in cui verranno premiati i vincitori del concorso “A caccia di pionieri” promosso da Progetto RENA in collaborazione con HUB Milano, ActionAid Italia, CNA Giovani Imprenditori e La Stampa. Ogni settimana racconteremo il caso di un “pioniere” italiano, una persona, un’associazione o un’impresa che hanno tracciato la via producendo qualcosa di innovativo ed eccellente. La prima puntata è dedicata a Matteo Ferroni, pioniere della luce in Mal

16.2.16

IL sale della terra [ the salt of the earth ] di Wim WEenders è ispirato dall'enciclica Laudato si di Papa Francesco o viceversa ?

  musica  consigliata


per  approfondire
il  sale  della terra   film  
testo integrale  di Laudatio si  di  Papa Francesco
critiche dai  cattolici intransigenti    I II

Dopo aver visto il bellissimo film che : <<< In mezzo a quella inutile e dannosa macchina da propaganda che è diventato il #cinema , è uno dei pochi #film che meritano di essere visti... >> ( commento al trailer ufficiale il sale della terra  di Mario Circello   ) il sale  della terra   . Un film di Wim Wenders, Juliano Ribeiro Salgado. Titolo originale The Salt of the Earth. Documentario, durata 100 min. - Brasile, Italia, Francia 2014. 




Mi   sono  deciso  a  parlare  adesso  ( anche  se  in maniera   parziale  e non completa    )    della Laudato si'  la seconda enciclica di papa Francesco scritta nel suo terzo anno di pontificato. Benché porti la data del 24 maggio 2015, solennità di Pentecoste, il testo è stato reso pubblico solo il 18 giugno successivo.
  da  https://www.bookrepublic.it/book/
Di solito  quando sono argomenti molto contrastanti e dibattuti  , aspetto  che    cali il silenzio  e  poi onde evitare  di farmi influenzare  scelgo  di leggere o di vedere   quella determinata  opera  e  poi   ne parlo  in maniera  completa  e non parziale  . Ma il fil  di wenders , mi ha  fatto  cambiare  condotta  .
Dopo   aver    visto  il  film  ho iniziato a   leggere l'enciclica  in questione.  D'essa  mi   sembra  che  il Pontefice  francesco  abbia  visto il film  in questione  o  conosca  la biografia ed  i lavori di   di Sebastião Salgado . In  essa  non c'è  l'ambiente  ma anche  l'umanità  .
 Infatti : << L’enciclica vanta già un primato: è la prima a essere attaccata prima ancora dell’uscita.Gli ambienti della destra mondiale sono già in fermento, pronti a rinnovargli l’accusa di comunismo: dai conservatori ai lefebvriani, ai latifondisti. L'ex senatore repubblicano Usa Rick Santorum - cattolico di origine italiana e con sogni sulla Casa Bianca 2016 – è perentorio: «Bergoglio, lascia la scienza agli scienziati». È fin troppo facile rispondergli che il Papa non si camuffa da scienziato; è stato, è e resta un teologo e un pastore. I critici gli rimproverano le condanne contro il capitalismo assoluto e la dittatura del mercato. Ma sul «Washington Post» il commentatore Chris Mooney esulta perché «Francesco offre al movimento ecologista quello di cui ha bisogno: la fede» e un’anima. >> .  Inoltre  sempre    secondo http://www.lavocedeltempo.it << In sostanza il Papa pone alla base della discussione scientifico-politica un taglio  morale-religioso e le conseguenze della sua scelta saranno profondissime. La Pontificia Accademia delle Scienze afferma: «I cambiamenti climatici indotti dall'uomo sono una realtà scientifica e il loro controllo rapido è un imperativo morale e religioso per l'umanità». L’enciclica arriva cinque mesi prima della cruciale «Conferenza sul clima» di Parigi di fine novembre, che deve stabilire le misure per contenere il surriscaldamento sotto 2 gradi centigradi. Al contrario dei «Protocolli di Kyoto» - mai condivisi dall’America, dalla Cina e dall’India - Parigi 2015 persegue un accordo internazionale verso economie compatibili, a basso tasso di carbone, gas serra, sostanze inquinanti. Inoltre si spera di coinvolgere India e Cina per temperare gli effetti nefasti su oceani, atmosfera, condizioni meteo e limitare disastri, alluvioni, piogge torrenziali, siccità, migrazioni. >> Per la prima volta un’enciclica papale   è stata  presentata da una coralità di voci a significare l’impegno delle Chiese sul fronte ecologico. Interverranno il cardinale africano Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio giustizia e pace; il metropolita di Pergamo John Zizioulas in rappresentanza del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e della Chiesa ortodossa .
Una  lettura  facile  e scorrevole   a  tuttie non soltanto " agli adetti   ai lavori  "  e  ai  soli  fedeli  . Una  enciclica  che dovrà essere letta   non solo  privatamente  ma  anche  nelle scuole  e  nelle  università  visto la sua  importanza . Infatti  Giulietto  Chiesa   : << (....)  Ma questa enciclica farà il giro del mondo comunque. E’ un’arma potente. Nelle mani 
dei poveri e dei deboli. Sarà dunque bene studiarla ed usarla nei prossimi anni perché è nei prossimi anni che si deciderà il destino del mondo.>> ( da http://www.storiavicentina.it/ più precisamente qui )  Un enciclica che ha trovato d'accordo Gad Lerner giornalista \ opinionista opposto a Giulietto Chiesa Infatti dice : << ( ... ) La portata dirompente dell'enciclica è tale da avere indotto i più autorevoli teorici del nostro modello di sviluppo a relegarla nella categoria, dal loro punto di vista irrilevante, delle utopie. Non mi spiego altrimenti il fatto che - a parte qualche eccezione negli Stati Uniti - nessuno fra i pur loquaci cantori del neoliberismo si sia preso la briga di contestarla puntualmente ( ... ) da http://www.fondoambiente.it/ più precisamente qui
Concludo invitando i detrattori di andare  a rileggersela   se l'hanno letta  o d'andare  a leggerla   se  ancora non l'hanno fatto  . Da i primi capitoli   tale enciclica  è  una estensione \ ampliamento  del concilio vaticano  II . Da  laico credente   penso che Papa Francesco  con essa voglia innovare  e svecchiare  la  chiesa   ma  ancora  non riesce  (  paura  che innovando troppo  si distruggas  metta  in  discussione  milleni  di storia dell'istituzione   della  chiesa cattolica   ed  ha paura  dei  gruppi conservatori presenti all'internodele sue stesse istituzioni  ecclesiastiche  ) . Erano anni ,   dalla  rerum novarum   di leone Leone XIII  1891  che  non si faceva un enciclica  di tale portata  . 
Questa ovviamente  è  la prima impressione , cioè un giudizio   approssimativo e parziale  .  Adesso vado a leggermi l'enciclica  e  ne scriverò  un pensiero globale .  Per  i momento  rinvio all'ascolto della colonna  sonora  del post, ovvero la canzone omonima IL sale della terra  di Luciano  Ligabue    che  è un  sintesi dell'enciclica  laudato si  e  del film di Wim Wenders

15.2.16

Come festeggio San Valentino se sono innamorata ma single? di Sabrynex


Per saperne di più


Chi è Sabrynex
Guarda l'intervista a Sabrynex


da
 http://www.smemoranda.it/post/2023/Come-festeggio-San-Valentino-se-sono-innamorata-ma-single

Come festeggio San Valentino se sono innamorata ma single? di Sabrynex
sabato 13 febbraio 2016 | #pensierini | #CaroDiario | 0 commenti

Riflessioni e pensieri dal diario segreto di Sabrynex, 16 anni, studentessa e già scrittrice





                           Sabrynex

Voglio parlare di San Valentino, una delle celebrazioni più criticate dell’anno. In molti credono sia solo una buona occasione per far spendere al proprio partner qualche soldo in più. Ci si sofferma molto sui regali: cuscini a forma di cuore, scatole di cioccolatini, smartphone (siamo nell’era in cui ogni occasione è buona per regalarne uno!), peluche enormi, mazzi di rose acquistate dall’indiano alla stazione, e chi più ne ha più ne metta.
Cos’è realmente San Valentino? A parer mio è una festa che, col passare degli anni, è diventata più di uso commerciale che sentimentale. I peluche, i cioccolatini, i fiori.. Sono diventati dei cliché. È ormai di routine aspettarsi il solito regalo, la solita sciocchezza comprata il giorno prima che abbia un significato più o meno reale.
Probabilmente il miglior regalo di San Valentino è quello che non ti aspetti, quello che arriva il giorno prima o dopo la festività. Quello che non è un regalo ma una necessità, una dimostrazione vera e profonda.
Un regalo sentito è troppo grande per essere incartato e troppo piccolo per essere visto.
Noi ragazzi abbiamo bisogno di esprimerci con i gesti, le parole, i sorrisi e di scartare quella paura di non essere abbastanza che si gela dietro i propri volti.
C’è bisogno di un contatto fisico, di una dichiarazione sincera che un “ti amo” su WhatsApp non potrà mai sostituire (che spesso non viene nemmeno visualizzato).
C’è una particolarità che però tutti danno per scontata: San Valentino è la festa degli innamorati, non delle coppie.
Il problema è: come fai a festeggiarlo quando sei innamorato, ma single? Gli innamorati single sono ultimi nella catena alimentare dell’amore. Non sono ricambiati, soffrono in silenzio e quando questa festa si avvicina sono quelli che si ritrovano la sera con quintali di gelato e film strappalacrime.
Ci siamo passati tutti, bene o male.
Il vero amore va dimostrato con la presenza, con i gesti improvvisi ma mai scontati. I cliché sono la tomba dell’amore. Anche se la tua ragazza ti dirà «È un pensiero bellissimo!» mentre afferra il tuo regalo, molto probabilmente non sa come dirti che avrebbe preferito qualcosa di meno commerciale ma più sincero.
Per noi ragazzi toccarsi è fondamentale: baciarsi è il miglior modo per esprimere ogni singola emozione, ogni singola paura e ogni singolo istante vissuto in un semplice gesto.
Sfiorarsi le mani, ridere, sentirsi vivi, vivi davvero.
Come quando ti lanci dal ventesimo piano e fino all’ultimo speri di non ferirti. Si dovrebbe vivere con la convinzione che l’amore funzioni in questo modo, che fidarsi è alla base di tutto, anche quando sai che il rischio di farsi male, tanto male, è alto.
Un amore, per essere vero, necessità di essere vissuto fino in fondo. Non bastano le carezze, quelle non bastano mai. Le carezze sono come l’aria, arrivano e poi vanno via. Non ti rimane nemmeno la sensazione di averle ricevute.
Gli abbracci, subito dopo i baci, sono i migliori sigilli mai esistiti. Quando abbracci una persona, non sei mai lontana da lei. Abbracciatevi, fate sentire quanto uniti siete e non abbiate paura di dimostrarlo. Perché la paura, l’imbarazzo, ci ha resi prigionieri di noi stessi.
Abbracciate il vostro migliore amico, perché se San Valentino è la festa degli innamorati, innamoratevi. Non lasciate che questa festa vi rinchiuda in casa a deprimervi perché vi sentite soli, uscite ed innamoratevi di un paio d’occhi, di una risata, di un sorriso e di un abbraccio.

Un programma radiofonico può riaprire un caso d’omicidio?

da http://www.internazionale.it/notizie/ del 14 FEB 2016 11.23 Un programma radiofonico può riaprire un caso d’omicidio? The Economist, Regno Unito
  Adnan Syed a Baltimora, Stati Uniti, il 3 febbraio 2016. (Karl Merton Ferron, Zuma/Ansa)



Di solito i giornalisti raccontano le notizie, non le fanno. All’inizio di febbraio, però, il pluripremiato podcast Serial, un programma radiofonico condotto da Sarah Koenig, ha svolto un ruolo decisivo nel convocare una nuova udienza che potrebbe offrire a una persona condannata per omicidio l’opportunità di provare la sua innocenza.
Nel 2014 Koenig si era interessata al caso di Adnan Syed, un uomo di 35 anni condannato all’ergastolo per aver strangolato la sua ex fidanzata nel 1999. Alcuni dettagli del processo, celebrato nel 2000, avevano attirato l’attenzione della giornalista, che ha passato più di un anno a rintracciare testimoni, gironzolare per Baltimora, rileggere le trascrizioni del processo e parlare con lo stesso Syed per cercare di capire cosa fosse accaduto ad Hae Min Lee, una studentessa di 18 anni scomparsa e ritrovata morta un mese dopo in un parco alla periferia di Baltimora.
Serial è stato un enorme successo, ha avuto più di 70 milioni di download. Questo grazie al tenace lavoro d’inchiesta di Koenig che si è sviluppato in tempo reale, con il pubblico che ogni giovedì mattina aspettava di avere nuove rivelazioni e nuovi indizi. Nel corso dei 12 episodi, il podcast ha indagato sull’uomo dall’aria sospetta che ha scoperto il cadavere di Lee e ha messo in discussione il racconto del testimone dell’accusa che sosteneva di aver aiutato Syed a seppellire la sua ex ragazza.
Koenig ha cercato di verificare la ricostruzione temporale dell’accusa percorrendo in automobile la strada che Syed avrebbe fatto il giorno del delitto. Si è chiesta che ruolo abbiano potuto svolgere nel processo i pregiudizi contro i musulmani. Si è procurata le analisi del direttore di The innocence project, un’organizzazione che usa la prova del dna per scagionare persone condannate per errore. È entrata in contatto con Asia McClain, una compagna di classe di Syed alla Woodlawn high school, che ha raccontato di aver parlato con lui nella biblioteca della scuola proprio nel momento in cui, secondo l’accusa, stava uccidendo Lee.
Serial è in bilico sul confine scomodo tra notizie serie e intrattenimento
Nel novembre del 2014, il giudice Martin Welch di Baltimora ha annunciato la convocazione di un’udienza per decidere se concedere a Syed un nuovo processo. È “nell’interesse della giustizia per tutte le parti coinvolte”, ha dichiarato, che Syed, che continua a proclamarsi innocente, abbia l’opportunità di dimostrarlo in un altro processo. L’udienza si è aperta il 4 febbraio 2016 con due domande all’esame. Primo: i dati del cellulare su cui si è basata la causa contro Syed erano affidabili? L’esperto dell’accusa che ha testimoniato nel 2000 aveva basato la propria testimonianza sulla ricostruzione delle celle che avevano agganciato il cellulare dell’accusato, che però non sarebbe del tutto affidabile. Secondo: il giudice Welch ha ascoltato una nuova testimonianza di Asia McClain, la ragazza in grado di fornire un alibi che l’avvocato di Syed non aveva mai contattato.
Serial è in bilico sul confine scomodo tra notizie molto serie e intrattenimento. Concentrandosi soprattutto sulla ricerca della verità da parte di Koenig, pone quest’ultima un po’ troppo al centro della storia. Ma senza gli sforzi della giornalista e la diffusione della sua approfondita indagine sul caso, di certo Syed starebbe in carcere senza alcuna speranza di tornare in un tribunale. Quest’ultima udienza non gli garantisce un nuovo processo, il giudice potrebbe impiegarci giorni o settimane per decidere se concederlo e, anche se così fosse, non si può prevedere se una giuria valuterà che le nuove prove lo scagionano dal delitto. A differenza di innumerevoli detenuti che negli Stati Uniti vengono difesi in modo inadeguato ai processi o vengono condannati per errore, Syed ha però il privilegio di poter perorare di nuovo la sua causa.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

14.2.16

Sogna il principe azzurro ma sposa un delinquente Massa, solo dopo il sì la ragazza ha scoperto che il marito aveva una lunga fedina penale

in sottofondo una  canzone    d'amore    che  non è  solo   pucci   pucci   e  altre menate  stucchevoli degli innamorati

 

essa e qui in due versioni


http://www.antenna3.tv/  del 2\2\2016

Sogna il principe azzurro ma sposa un delinquente Massa, solo dopo il sì la ragazza ha scoperto che il marito aveva una lunga fedina penale

di  Redazione web
matrimonio
Si sono incontrati in Marocco, lei era in vacanza con alcune amiche e lui bazzicava i luoghi frequentati dalle turiste. È stato amore a prima vista, almeno per la ragazza. Del resto l’uomo è davvero affascinante: trentenne, capelli scuri, occhi castani e colore olivastro. Un colpo di fulmine che si è concluso con un matrimonio celebrato a Marrakesh, come da tradizione con una festa che è stata spalmata lungo tutta una settimana. La donna non ha detto nulla ai suoi familiari, forse perché voleva fare una sorpresa. Ma alla fine la sorpresa l’ha avuta lei perché da una telefonata che il trentenne stava facendo a un amico rimasto in Marocco ha scoperto che dietro quel principe azzurro in realtà si nascondeva un delinquente. E piuttosto rinomato dalle sue parti.
Così dopo aver superato la paura di affrontarlo gli ha chiesto conto di quello che aveva sentito. E lui ha confermato i sospetti: aveva passato parecchio tempo anche in carcere e siccome dalle sue parti ormai si era fatto terra bruciata aveva approfittato di quell’amore vacanziero per cambiare aria. La giovane – non ha ancora trent’anni – è scoppiata a piangere. Quella che credeva essere la realizzazione di un sogno era diventata un incubo. E la situazione con il passare dei giorni è andata peggiorando perché il marito ha iniziato a essere esigente, quando tornava a casa voleva trovare pronto da mangiare. E soltanto piatti della sua terra. Se lei non eseguiva gli ordini la prendeva a sberle.Dopo aver sopportato qualche mese la sposa ha deciso di dire basta. Anche se si è guardata bene dal rivelare a mamma e papà che quello che gli aveva presentato come il suo compagno in realtà era suo marito, si è fatta coraggio e ha chiesto aiuto alle forze dell’ordine. Si è presentata in questura e ha parlato con un agente che ha ascoltato tutta la storia. In pratica la donna vuole trovare il modo per potersi separare da quell’uomo, ma senza che lui sappia niente almeno fino al momento in cui dovrà per forza di cose presentarsi a firmare per mettere fine alla loro unione.
 Impossibile però per la polizia fare questo e lei di firmare una denuncia non ne vuole sapere perché vorrebbe tenere tutto nascosto ai genitori. Dalle verifiche fatte dalle forze dell’ordine la fedina penale del marocchino è risultata anche peggio di quello che pensava la sua dolce metà.

Cara ministra, la prego di non vantarsi dei miei risultati

Come al solito  In  nostri politicanti  hanno  <<  Il vizietto del governo Renzi (in questo caso della ministra Giannini)  di rivendicare risultati anche quando non riconducibili direttamente a loro. Ma stavolta sono capitati male e la ricercatrice italiana Roberta D’Alessandro scrive alla ministra. >>




“Ministra, la prego di non vantarsi dei miei risultati. La mia ERC (European Research Council) e quella del collega Francesco Berto sono olandesi, non italiane. L’Italia non ci ha voluto, preferendoci, nei vari concorsi, persone che nella lista degli assegnatari dei fondi ERC non compaiono, né compariranno mai.
E così, io, Francesco e l’altra collega, Arianna Betti (che ha appena ottenuto 2 milioni di euro anche lei, da un altro ente), in 2 mesi abbiamo ottenuto 6 milioni di euro di fondi, che useremo in Olanda. L’Italia ne può evidentemente fare a meno.
Prima del colloquio per le selezioni finali dell’ERC, ero in sala d’aspetto con altri 3 italiani. Nessuno di noi lavorava in Italia. Immagino che qualcuno di loro ce l’abbia fatta, e sia compreso nella sua “lettura personale” della statistica.
Abbia almeno il garbo di non unire, al danno, la beffa, e di non appropriarsi di risultati che italiani non sono. Proprio come noi.
Vada a chiedere alla vincitrice del concorso per linguistica informatica al Politecnico di Milano (con dottorato in estetica, mentre io lavoravo in Microsoft), quante grant ha ottenuto. Vada a chiedere alle due vincitrici del concorso in linguistica inglese, senza dottorato, alla Statale di Milano, quanti fondi hanno ottenuto. Vada a chiedere alla vincitrice del concorso di linguistica inglese, specializzata in tedesco, che vinceva il concorso all’Aquila (mentre io lo vincevo a Cambridge, la settimana dopo) quanti fondi ha ottenuto. 

Sono i fondi di queste persone che le permetto di contare, non i miei.”

mini


poi come al solito all'interno di questo post  reso da http://violapost.it/2016/02/13/cara-ministra-la-prego-di-non-vantarsi-dei-miei-risultati/ci  sono i  soliti cretini  populisti    che dimostrano    come  l'italia no  cambierà mai 

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Luttwak choc: “Regeni? Magari l’ha ucciso un’amante. Se uno fa cose pericolose, se ne assuma i rischi”

  Lo  so che  dovrei  stare  zitto  ,  come lo sono stato  fin ora  , per rispetto   alla  famiglia   , non basta quanto ne   parlano  i  giornali  specie  quelli di una determinata  fazione politica  . Ma  certe    cose   non poso passare  sotto  silenzio  . Strano     che   i familiari    non si siano  incazzati  non abbiano preso posizione  contro simili  affermazioni   di Luttwak

12 febbraio 2016 | di Gisella Ruccia
Luttwak choc: “Regeni? Magari l’ha ucciso un’amante. Se uno fa cose pericolose, se ne assuma i rischi”




“Giulio Regeni ammazzato dai servizi segreti egiziani ? Questa è mera speculazione, non sappiamo assolutamente niente su questi servizi segreti, che sono un’entità su cui non c’è nessuna informazione. Magari Regeni è stato ucciso da un’amante, da un poeta o da chissà chi”. Sono le parole choc pronunciate dal politologo americano Edward Luttwak ai microfoni de La Zanzara (Radio24), sulla tragica morte di Giulio Regeni, il giovane ricercatore universitario ucciso in Egitto. “E’ vietato assolutamente picconare il governo egiziano” – ammonisce Luttwak – “perché è quello che ha salvato l’Egitto e anche l’Europa dal regime dei Fratelli Musulmani, la più grossa minaccia esistente. Il governo egiziano ci sta proteggendo. E’ più che un alleato per l’Italia, una barriera protettiva, una diga. Un disappunto, una critica o qualsiasi dichiarazione italiana che eroda l’Egitto sono irresponsabili. Il governo italiano non deve dire niente”. E aggiunge: “Gli italiani sono liberi di viaggiare dove vogliono, sono liberi di esprimersi come vogliono, sono anche liberi di scrivere per Il Foglio o per Il Manifesto, però quando loro fanno queste cose ci sono conseguenze. Il governo italiano deve solo intervenire solo quando c’è una violazione dei diritti umani dalle autorità e non cominciare ad accusare un regime sulla base di nessun fatto”. Luttwak rincara: “Tutti facciamo cose pericolose e irresponsabili e prendiamo rischi. Quando però io prendo un rischio, ad esempio quando faccio SCUBA (immersione subacquea, ndr), non chiedo certo a un governo di compromettere i suoi interessi per quello che succede a me qualora io muoia. Le indagini sulla morte di Regeni? Il governo italiano può agire in maniera amministrativa, senza nessuna pubblicità o dichiarazioni ufficiali di ministri che possano suonare come critiche al governo egiziano”
 Ora  capisco  che la politica  Usa   è quella  di difendere  i propri interessi    cioè i nemico del mio nemico  è mio amico  e  poi  subito  dopo diventa  mio nemico  .  Ma   voi  direte   un opinionista  non fa  conto   è un vecchio rincoglionito  Obama non è più cosi  , ecc.  .  Invece  io  , datemi pure  dell'anti americano   sai  cosa  me ne  frega  ormai ci sono abituato  ,  ma Edward Nicolae Luttwak  non è  un semplice  opinionista  ma consulente strategico del Governo americano.Quindi uno che  nega  per  giunta  in  malafede le  prove  ormai sempre  più schiaccianti  e  butta  merda   su chi non può più difendersi   perchè morto  è    , per essere gentile   con   rispetto per  i coglioni  un Coglione della peggiore  specie  . Mi fermo qui   onde  evitare   di abbassarmi  al   suo livello  ed  evitare    da parte  di amici e   familiari (  mi  era  successo in passato  con la  famiglia   di  Carlo  Giuliani   ma questa  è un altra storia  )  accuse  di strumentalizzazioni e speculazioni   sul loro figlio .  E  ritorno al mio silenzio  


sulla vicenda   . os a che dopvrebbero fare  anche i media  evitando   di chiamare   ed  intervistare  simili stronzi  cretini   per avere  qualche pagina    e ascolto in più  

13.2.16

Il parroco: nei venerdì di quaresima digiuno da sms e chat Il singolare invito, rivolto in particolare ai più giovani, è stato lanciata da don Francesco Monetti, a Saonara

Leggendo  l'articolo che mi   viene in mente   mi   sono messo a  canticchiare



Lo so che essa è riferita al lavoro ma la sostanza non cambia se si analizza alcune strofe : 
<< (...) la salute non ha prezzo \ quindi rallentare il ritmo \ pausa pausa ritmo lento \ pausa pausa ritmo lento \sempre fuori dal motore, vivere a rallentatore . (...) Infatti aggiungiamoci nuove tecnologie è il gioco è fatto 



Il parroco: nei venerdì di quaresima digiuno da sms e chat

Il singolare invito, rivolto in particolare ai più giovani, è stato lanciata da don Francesco Monetti, a Saonara


                  

SAONARA. Rinunciare all’uso degli sms ogni venerdì, per tutta la durata della Quaresima. La singolare sollecitazione penitenziale arriva dalla parrocchia di Saonara, ed è rivolta in particolar modo ai giovani, assidui molto più degli adulti nell’uso di questo pratico ed economico metodo di comunicazione. Denominato “No sms day”, il “digiuno dagli sms” viene spiegato ai fedeli nel numero speciale del bollettino parrocchiale dedicato alle celebrazioni e iniziative quaresimali, e compare accanto ad altre forme di astinenza più consuete come cibarsi sobriamente, evitare le spese superflue, ridurre le ore passate davanti alla tv o a navigare in internet.

Don Francesco Monetti
Don Francesco Monetti

«Nei venerdì di Quaresima tutti siamo invitati a rinunciare all’uso degli sms», si legge nel foglio parrocchiale. «Un piccolo modo per sottolineare che le nostre dita sul telefonino contribuiscono a scrivere la storia di milioni di vite in Congo e per ricordare l’importanza di relazioni concrete e non virtuali con gli altri». Il riferimento al Congo ricorda che proprio da quella terra remota e poverissima adulti e anche bambini lavorano duramente per estrarre i minerali usati per la componentistica di smartphone e pc. Ma perché rinunciare proprio ai messaggini, e non del tutto all’uso del cellulare? «Vedo i ragazzi, e spesso anche i bambini, continuamente chini su quello schermo, a digitare messaggi sms e whatsapp sulla tastiera», risponde il parroco don Francesco Monetti. «Quindi ho pensato di proporre questo particolare tipo di “digiuno”, mutuandolo dall’esperienza di un’altra diocesi. Si tratta di un invito a un dialogo con le persone più diretto, e non soltanto mediato attraverso l’uso di strumenti tecnologici. Inoltre limitando l’uso di questi apparecchi si riduce anche lo sfruttamento delle persone, spesso bambini, che ne estraggono le materie prime».
Sinora questa inedita forma penitenziale è stata giudicata dai fedeli ben difficile da mettere in pratica. «Mi hanno detto che ci vuole molta attenzione per non inviare neppure un messaggio durante tutta la giornata», conclude don Francesco. Sembra insomma più facile digiunare che rinunciare a sms e WhatsApp.




alcuni ridono  ,  altri miei utenti  di facebook  :

  • si deve rinunciare proprio a ciò che ci piace di più....non a quello che non ci serve.
  •  😊 Giusè sei sempri fora di lu stegliu 😊 Infatti si deve rinunciare proprio a ciò che ci piace di più....non a quello che non ci serve 

 Secondo me , bisogna anche rinunciare ciò da cui siamo dipendenti Infatti  siamo  , parlo anche per me  ,  nel bene  e nel male     troppo  connessi   dale  nuove  tecnologie  Ogni tanto  un periodo  , chiamalo  pure  rinuncia  ,  di lontananza  dalle tecnologie  , quando è possibile  ,  non può che fare bene alo spirito  e  al corpo  . E può aiutare  a  riscoprire  le  vecchie  cose   della vita   pre  -internet    e  pre  sociale   e  cellulari .  Infatti   l'altra sera   ho visto   in tv   su la7 , il film   Django  ( quello  originale  non il remake  ottimo   tra  l'altro di Tarantino ) . Ma   questa  è un altra storia 

12.2.16

«Porti iella»: ragazzina di 12 anni perseguitata da centinaia di bulli a Nuoro




un miracolo di solito sucede il contrario i genitori   sono inervenuti subito .Infatti  ecco un intressante  discussione  sullla  pagina  facebook   dell  'unione  sarda   con
Cheeba MorCheeba Piccoli "insultatori" violenti crescono! Non so di che vi meravigliate. I ragazzini sono lo specchio della società, copiano tutto quello che "fa figo" e insultare chi è in minoranza, diverso o per i cavoli suoi è all'ordine del giorno nella nostra realtà. Quando ero piccola io il bullismo si affrontava a parole o a calci, non mettendo in mezzo le forze dell'ordine... magari a quest'ora molte facce di bronzo che ora hanno figli che fanno i bulli, avrebbero avuto una diversa fedina penale! Ma sarebbe veramente tanta gente e tra le più lodate dalla società pure!
e Cristina Floris E i genitori dei bulli? Scommettiamo che per loro sono bravate? Ragazzate. .....poverini! Questi genitori dovrebbero pagare migliaia di euro per danni alla ragazzina. Sono sicura che allora insegneranno il rispetto ai loro orrendi figli
Giuseppe Scano logico che succedano ancora e continueranni  a succedere , manca la prevenzione  e  dei corsi   obbligatori per genitori . Ma purtroppo il solo parlarne pubblicamente ( vedi la puntata  andata in onda     recentemente di presa diretta  di iacona  costretta a trattare il tema delbullismo specie quello omofobico \ sessuale e cyberneticvo in seconda serata ) è tabù .
Giuseppe Scano magari sono quei genitori che sminiscono quando sono i loro figli a farlo ed invece s'incazzano quando sono loro figli a subirlo . Ommagari quelli che si lamentano del bullismo specie sessuale e poi si lamentano se la scuola fa educazione sessuale tirando in ballo la bloiata del gender


se  non  vi  dovesse bastare  il video  sintetico  dell'unione sarda   e la discussione     eccovi l'èarticolo della  nuova sardegna  d'oggi 12\2\2016

«Porti iella»: ragazzina di 12 anni perseguitata da centinaia di bulli a Nuoro

I genitori della vittima consegnano la lista di nomi alla polizia e ai dirigenti degli Istituti. Il racconto choc: «Quando vedono passare nostra figlia i maschi si toccano nelle parti intime»

NUORO. È la lista nera di bulli più numerosa d'Italia. Al suo interno ci sono i nomi e i cognomi di centinaia di studenti nuoresi, provenienti dalle quattro scuole medie cittadine e di età compresa tra gli 11 e i 15 anni, protagonisti della più calda vicenda di bullismo isolano degli ultimi tempi. Sulla loro testa pesa l'ingombrante accusa di essere i carnefici di una ragazzina di appena dodici anni: sono stati proprio i genitori della vittima a consegnare la lista in Questura. E una copia dell’elenco di nomi è stata inviata anche ai dirigenti scolastici.
L’inizio dell’incubo. «Tutto è iniziato circa nove mesi fa – raccontano i genitori della ragazzina – . A metà anno scolastico, frequentava la prima media, alcune compagne di classe, forse ingelosite dalla bellezza di nostra figlia e dal taglio di capelli all’ultima moda, hanno commentato di fronte a tutta la classe la sua pettinatura, definendola "da poco di buono". La cosa si risolse qualche settimana dopo con le scuse, accolte senza esitazione da nostra figlia». Poi la fine della scuola e le tante serate estive in compagnia delle fidate amiche del cuore passate con la spensieratezza e la gioia tipica di quell'età. Mai avrebbe immaginato di ritrovarsi di lì a poco perseguitata da centinaia di ragazzini e ragazzine, spesso sconosciuti, pronti a seppellirla di insulti e maldicenze in ogni angolo della città.
La persecuzione. «A settembre con l'inizio della scuola è cominciato il suo e il nostro calvario – raccontano i genitori con voce flebile – Ci eravamo accorti che qualcosa non andava, da bambina allegra e gioiosa era diventata apatica e taciturna, i suoi occhi erano sempre tristi e accampava scuse di ogni tipo pur di non andare a scuola o semplicemente uscire di casa. Abbiamo pensato che il problema fosse circoscritto nelle quattro mura scolastiche e così le abbiamo fatto cambiare scuola. Ma c’era ancora qualcosa che non quadrava».
«Porti iella». Dopo cinque mesi di silenzi la dodicenne finalmente trova il coraggio e racconta tutto ai genitori. Ogni giorno era una fotocopia del precedente: varcata la soglia di casa era un continuo incassare, tra urla ingiuriose, gesti scaramantici e maldicenze. «Un fiume di lacrime disperate ha accompagnato il racconto di nostra figlia, l'abbiamo ascoltata con il cuore in frantumi e dentro la nostra testa ci chiedevamo "perché tutto questo, perché proprio a lei". Purtroppo le hanno attribuito la nomea di porta iella e il tam tam in città è stato così veloce e impietoso che tutti i ragazzini anche se non la conoscevano si toccavano i genitali quando passava, cantandole canzoncine che fanno rima con la parola sfiga». Uno choc per la personalità ancora troppo fragile di una adolescente. «E d'altronde dove poter colpire una ragazza bella, con un fisico da modella e una dolcezza infinita se non additandola della maldicenza più temuta, che ha portato al suicidio tantissime persone».
La lista dei bulli. I genitori a quel punto hanno detto basta. «Mossi da una grande preoccupazione abbiamo deciso di raccontare tutto in Questura, e portare una lista con un centinaio nomi, quelli a cui nostra figlia con l'aiuto di un'amichetta è riuscita a risalire». Ma in realtà sono numerosissimi i bulli di cui ancora non si conosce il nome e che per adesso dormono sogni tranquilli. I genitori della vittima per il momento hanno deciso di non sporgere denuncia, ma la lista, sotto richiesta della Questura, è stata inoltrata ai dirigenti scolastici delle scuole frequentate dai ragazzini incolpati.
Bufera a scuola. Il fatto ha scatenato l'inferno tra i genitori, in particolare modo in una delle scuole più coinvolte, dove si è persino paventata una sospensione di massa. «In questa vicenda siamo noi genitori colpevoli, dobbiamo fare capire ai nostri figli che toccarsi le parte intime per scaramanzia, non e' un atto di bullismo ma può fare molto male. Così come è colpevole l'adulto che spara a zero – la critica è rivolta alla dirigente scolastica – e vuole sospendere i presunti responsabili, squalificandoli più che accompagnandoli nel difficile percorso della crescita. Vogliamo dire alla mamma di questa ragazzina che ora i nostri figli sono entrambi vittime: di bullismo e di facile condanna».
Ma la preside non ci sta: «Nella scuola da tempo sono attivi progetti che sensibilizzano al tema del bullismo. La situazione per
me è molto dolorosa sia per la vicenda in sè che per il comportamento dei genitori – aggiunge la preside –: in coro hanno dichiarato la purezza dei loro figli e messo me alla berlina, senza pensare neanche per un momento all'anello debole di questa storia, cioè la povera ragazzina dodicenne».

11.2.16

Prospero, l'allenatore cieco, esiste davvero

fra le tante  storie  e fatti curiosi  che trovo  in  rete  e  sui social   facebook  in particolare   e che spesso condivido sulla mia  bacheca  e  a  volte  qui sul  blog questa  mi  ha sorpreso  e  spaizzato . Beh  è logico  quando sei  abituato a  considerare  un film   comico  frutto di fantasia   e poi  scopri  che il personaggio del film  esiste  realmente

da http://sini-sassari.blogautore.repubblica.it/ del  8\2\2016 

Prospero, l'allenatore cieco, esiste davvero

 
L'omologo in carne e ossa di Prospero abita in Brasile e ha una storia che meriterebbe un libro, più che un film, ma solo perché un film l'hanno già fatto.prospero
L'allenatore cieco, inserito da Paolo Zucca nel suo lungometraggio “L'arbitro” e interpretato da Benito Urgu, esiste davvero e si chiama Flavio Aurelio Silva. Dalle parti di Bon Jardim, periferia su occidentale di Fortaleza, questo incredibile personaggio insegna calcio e dispensa pillole di saggezza. 
Niente del grottesco che si respira nelle atmosfere dipinte da Zucca intorno all'Atletico Pabarile, anzi.“Ceguim”, vezzeggiativo di cieco, è una vera leggenda dell'Esporte Clube Juventude. Di cui è stato fondatore, giocatore e ora allenatore. Lui, qui, non è semplicemente un grande allenatore: è una leggenda. 
È stato proprio vestendo la casacca biancoverde della sua amata Juventude che Aurelio Silva ha perso la vista, quando aveva vent'anni. Dopo un duro colpo alla testa subito da un avversario, durante una partita, nel 1989, un occhio smise di funzionare. Alcuni mesi dopo anche l'altro occhio si spense e lui diventò completamente cieco. 
Non ha un assistente, dice, perché tutti lo aiutano. E segue le partite in un modo tutto suo: si posiziona a bordo campo, sul lato della difesa. Ogni voce, ogni passo, ogni rumore servono a “raccontargli” la partita. Flavio tende le orecchie anche a quello che dice il pubblico, che considera importantissimo nella comprensione della gara.
 CeguimBR
Agli allenamenti va solo, con il suo bastone bianco. Per arrivare al campo, deve uscire di casa un'ora e mezzo prima e cambiare tre autobus, ma non rinuncerebbe per niente al mondo alla sua passione più grande.
I miei ragazzi sono i miei occhi, ama dire, e i suoi ragazzi raccontano divertiti anche che il suo rapporto con i direttori di gara non è sempre dei più tranquilli: già, all'allenatore che tutto vede, qualche volta tra il serio e il faceto è scappato un “arbitro, cosa fischi? Ma sei cieco?”. Persino Benito Urgu, alias Prospero, ne resterebbe impressionato.
 
Fonti: http://www.verminososporfutebol.com.br/tag/flavio-aurelio-silva/
Il film di Paolo Zucca: https://it.wikipedia.org/wiki/L'arbitro_(film_2013)

Sanremo, Gasparri: cantanti espongano il tricolore



Dubitate di chi vuole vendervi la sua "Verità".
Il rispetto per le diversità e la pluralità di opinioni ed idee è la base della democrazia.


Capisco(    oltre a condannare )  il revisionismo storico  ed il  sminuire  , almeno da certa destra , le proprie responsabilità  e  ingigantire  quelle  dell'altro  partecipante  a  tale tragedia ed  aberrazione   ( ne  ho parlato  nei  giorni scorsi  )  . Ma   qui si esagera  e  si strumentalizza   facendo della becera  politica  .




Gasparri sfida Sanremo: "Dopo quei nastri arcobaleno esporre il Tricolore per le foibe"


Gasparri sfida i cantanti e la direzione artistica del Festival: "Dopo i nastri arcobaleno a Sanremo, si mostri il tricolore per il giorno del ricordo"
Sergio Rame - Mer, 10/02/2016 - 17:15

L'Italia ricorda l'orrore delle foibe. Un orrore a lungo messo a tacere dalla sinistra ma che oggi può essere condannato con una voce sole.


"Ricordiamo sempre le vittime delle foibe - ha esortato il premier Matteo Renzi - e i nostri fratelli e sorelle che furono costretti a lasciare la loro terra". In questo giorno di doloreMaurizio Gasparri sfida gli organizzatori e i cantanti di Sanremo a esporre il Tricolore per dare un segnale pubblico. "Dopo i nastri arcobaleno a Sanremo - ha twittato il senatore di Forza Italia - si mostri il tricolore per il giorno del ricordo".


se  non lo  vedeste  lo trovate  qui  Sanremo, Gasparri: cantanti espongano il tricolore o  qui Sanremo, Gasparri: cantanti...


Su Twitter Gasparri ha lanciato l'hashtag #tricoloreasanremo. All'indomani di una serata, che con nastri arcobaleno e appelli in diretta tivù è stata trasformata in un vero e proprio spot a favore delle unioni civili e dei matrimoni omosessuali, il senatore di Forza Italia invita ai cantanti e la direzione artistica del Festival a esporre il Tricolore in onore dei martiri delle foibe. Un gesto di unità nazionale nel Giorno del Ricordo che servirebbe ba lanciare un messaggio positivo a tutto il Paese. "Dopo i nastri arcobaleno a Sanremo - ha twittato Gasparri - si mostri il tricolore per il giorno del ricordo".