25.4.07

Senza titolo 1781

Dopo  un bel po' di tempo  d'assenza  ritornano  le  rubriche  riprese dal lunedi della  nuova sardegna persone & paesi ed   il silenzio e la parola . Assenza  dovuta  :1) sia  a problemi  con il nik e la password  del sito ., 2) sia perchè, mi  sono fatto  condizionare  con  un allocco  sdai miei ed altre persone  via email  mi aveva detto  che ero troppo provinciale e dalla  assenza di commenti  a tali  post  . Ma poi  osservando la  referti list  m'ero accorto che    molta gewnte arrivava al nostro blog   proprio cercando  cose sulla sardegna  e  tali articoli 


Una “ guida” sarda tra statue e dipinti dei musei capitolini Anna Mura Sommella ( foto a  sonistra ) dirige con orgoglio la struttura romana visitata da 500 mila turisti provenienti da tutto il mondo
E se la Lupa Capitolina fosse davvero sarda, fusa cioè con piombo e rame dell’Iglesiente o di Funtana Raminosa sotto il Gennargentu o - sostiene con più precisione l’archeologo Claudio Giardino - delle miniere di Calabona, a sud di Alghero in base alle analisi degli isotopi del piombo? E se - come più d’uno studioso ipotizza - l’avesse realizzata un artigiano con dna nuragico trasferitosi OltreTevere?
 Certo che l’emblema per eccellenza di Roma può essere un prodotto del made in Sardinia, opera in grande sullo stile dei nostri piccoli bronzetti o navicelle votive. Gli esperti non si sbilanciano, barcamenandosi tra le fucine della nostra isola, le botteghe etrusche o quelle della Magna Grecia. Fatto sta che, rientrando dal recente viaggio in Cina (Pechino-Tianjiin-Xian), il sindaco di Roma Walter Veltroni - mentre sorvolava l’Asia - ha voluto scherzare con la direttrice dei Musei Capitolini, Anna Mura Sommella, ribadendo che «c’è tanta Sardegna in Campidoglio» e aggiungendo, con un sorriso, «sta per profilarsi un conflitto di interessi artistici».
 C’è un antefatto. Intanto un’iscrizione sepolcrale per Caius Claudius Sardus Praefectus classis, cioè un maggiordomo del Campidoglio. E poi qualche mese prima della trasferta orientale, Veltroni e Mura avevano discusso di una placchetta (una “tessera hospitalis”) dove compariva l’iscrizione etrusca “Silketenas” il che riportava dritto dritto a qualche “ospite” della Sardegna giunto dal Sulcis.
 Vada quindi per un passante approdato da Monte Sirai e dintorni, ma adesso anche la “lupa sarda” fa salire le quotazioni isolane e dà comunque un senso diverso, se non alla storia politica delle colonizzazioni, certamente alla storia dell’arte.
 Nei Musei Capitolini, parte integrante del Campidoglio, l’arte si manifesta a cinquecentomila visitatori di tutto il mondo con le competenze e la grazia di una donna sarda, Anna Mura, attorno alla quale si muovono turisti ed esperti che ammirano la grande statua equestre di Marco Aurelio e si incantano fra la Sala degli Orazi e Curiazi, la Sala del Fauno e quella degli Imperatori, e quella Pinacoteca che vi fa godere della vista del San Giovanni Battista del Caravaggio, la Presentazione al Tempio di Bartolomeo Passerotti, il Ratto d’Europa del Veronese per non parlare del Palazzo detto “Nuovo” solo perché edificato dopo il Palazzo Senatorio e quello dei Conservatori, ma progettato da Michelangelo anche se costruito dopo la sua morte.
 Orgogliosa del suo incarico, Anna Mura è “felice” della splendida vista sulle cupole e sui tetti romani: «Roma è l’unica città d’Italia ad avere una sua Sovrintendenza, attorno a queste sale c’è la storia dell’Occidente, la grandiosità della Roma imperiale. Qui si respira la storia dell’umanità intera. È un Museo unico perché vissuto, i visitatori osservano e si entusiasmano, passano qui intere giornate».
 Sarda, eccome. Lei nasce in piena Barbagia, «in una casa di granito» a Orotelli, il paese di Salvatore Cambosu e dei “thurpos”. Il padre, Luigi, era un «bellissimo ferroviere» giunto da Ussassai, cuore dell’Ogliastra dei tacchi calcarei, delle sue vallate profonde e dei suoi sterminati silenzi. La casa di una zia, Gina Mulas, è ancora utilizzata per il rito di “Sa coia antiga”, l’antico matrimonio riportato all’attualità dalla voglia di fare della presidente della Pro Loco Maria Serrau, anima moderna di un paese antico e isolato. La mamma, Antonina Angioi, era di Orotelli. Genitori e antenati dinamici. Il nonno gestiva un bazar, la nonna - Giovanna Giagu, di Pattada - era non solo una provetta amazzone ma così emancipata da guidare lei il calesse tra Orotelli, Nuoro e Macomer. «E Nonna Giovanna Giagu, visto il mestiere maschile, viaggiava ovviamente con la pistola».
 Le statue della sala del Gladiatore fanno da cornice al racconto della carriera scolastica della direttrice dei Musei Capitolini. Ecco il Satiro in riposo, statua donata da papa Benedetto XIV nel 1753, ceduta ai francesi in seguito al trattato di Tolentino e poi restituita col Congresso di Vienna. Ecco l’Amazzone, scolpita negli anni di Fidia, ha gli stessi fregi delle statue del Partenone. Le scuole elementari a Sassari, e così medie ginnasio e liceo, maturità classica all’Azuni dei Segni, dei Togliatti e dei Berlinguer, in una «sezione rigidamente femminile», docente di Italiano un giovanissimo Manlio Brigaglia («era un piccolo grande genio, il più vivace, il più comunicatore fra i docenti, tra i quali Margherita Sechi Manconi, una allieva di Ettore Paratore»). Ricorda le compagne di classe, Angela Maria Falchi, Vanna Cao, Caterina Virdis, Veronica Arru («affiatate, un bel gruppo, felici di studiare Platone e Alceo»). L’università alla Sapienza di Roma, facoltà di Lettere, si appassiona alla filologia classica «poi mi converto alla Etruscologia, effettuo uno scavo vicino a Santa Severa, al Porto Pirgy di Cerveteri, con un tempio con terracotte, iscrizioni etrusche e bilingue, anche nella variante fenicio punica». La tesi è su una città enclave latina in ambito etrusco - Capena. Centodieci e lode concessa - anno 1965 - da uno dei numi della storia dell’arte, Massimo Pallottino. Sposa Paolo Sommella, docente di Topografia antica. D’estate «regolarmente in Sardegna, tra Orotelli e Ussassai, alla Cavalcata Sarda di Sassari, a ritrovare e rinsaldare le radici, a studiare quel grande patrimonio che è la nostra archeologia». Ma non solo. A Orotelli, «invitata dal sindaco entro a far parte della Fondazione Salvatore Cambosu», uno dei grandi letterati della Sardegna. Sulla scrivania di Anna Mura c’è ben in vista “Il giorno del giudizio” di Salvatore Satta: E poi, ovviamente, Miele Amaro del 1954, Lo zufolo del 1932, Una stagione a Orolai. Legge il brano di un articolo pubblicato da Cambosu su Rinascita Sarda nel 1957. Il tema è quello degli incendi. Ecco un brano di alta letteratura: “Oggi, domenica, gran funerale. Le bare le hanno volute trasportare uomini dell’uno e dell’altro villaggio con una lettiga preparata con rami e intessuta con frasche d’elce del bosco di Talavà. C’era tutto Irille, c’era tutto Marganai, con i testa i loro sindaci. I più hanno dovuto attendere fuori dal cancello il loro turno prima di gettare un po’ di terra sul tumulo... Seppelliti insieme, vittime dell’incendio che Irille e Marganai spensero come una sola famiglia. Avvertimento di Dio a spegnere i rancori, restituendo averi e animi alla concordia antica”. Ripete: «Cambosu va rivalutato, proposto e direi imposto nelle scuole».
 E così - conversando tra statue e dipinti, tra centinaia di turisti soprattutto cinesi e giapponesi - si parla della Sardegna di oggi. Verso la quale Anna Mura manifesta ottimismo. «Quasi per miracolo la Sardegna ha capito quale grande patrimonio sia la sua storia, la sua archeologia, il suo ambiente. È una tendenza destinata a rafforzarsi, da queste radici d’arte che può essere costruito il futuro prossimo venturo. La scorsa estate ho visitato l’Iglesiente, che non conoscevo. È un museo a cielo aperto, con le sue testimonianze minerarie, con i reperti punici, il grande patrimonio di Carbonia e di Sant’Antioco. Certo, ancora oggi non si è innescato un meccanisno virtuoso di sviluppo, ma la crescita è nelle cose, in alcune cooperative culturali, l’associazione delle Domus amigas che sanno proporre un modo alternativo di residenze estive. È la Sardegna delle diversità a imporsi. La proposta del presidente della Regione Renato Soru di creare il museo della Cultura nuragica e quello dell’Arte contemporanea intercetta un vasto segmento di interessi culturali che nel mondo si vanno diffondendo e consolidando. Immaginare Cagliari o le altre città sarde come epicentro dell’Arte Mediterranea è straordinario. Vedo, con questi progetti, una Sardegna proiettata in avanti, fuori da clichè logori. Anche il voler portare architetti noti nel mondo è geniale, si cresce col confronto, con fughe in avanti, non con su connottu, è necessaria l’acqua che scorre, non quella che stagna».
 Così parlando si arriva alla Pinacoteca Capitolina. La pittura barocca di Pietro da Cortona e i cortoneschi, un olio parlante di Pier Francesco Mola, rappresenta Diana ed Endemione, realizzato per Bonaventura Argenti, musico della Cappella Pontificia. Davanti al pastore che dorme un cane bianco-marron accucciato con stella bianca sulla fronte. Ed ecco il Palazzo Senatorio, il Tabularium, l’Archivio dell’antica Roma.
 Con la Roma di ieri si ritorna alla Sardegna di oggi, a quella di domani, a quella di ieri. Anna Mura è al centro della sala dello Spinaio, con bronzo del bambino che si toglie una spina dal piede. È facile parlare adesso della Sardegna di ier l’altro ed andare, davanti a questo marmo originale greco della fine del sesto secolo avanti Cristo, alla cronaca e parlare di Costantino Nivola, il grande artista di Orani-Manhattan, eccellenza sarda. La Mura è davanti alla statua originale di Marco Aurelio. Dice: «Nivola era morto da qualche anno. Ai Mercati di Traiano avevano organizzato una mostra. Le sculture di Costantino contrastavano con i mattoni rosso pompeiano, era sta un successo. Ora faccio parte anche della Fondazione Nivola e, a breve, dobbiamo valutare i progetti per l’ampliamento del Museo di Orani. È un Museo che può richiamare molti gruppi di turisti in Barbagia, occorre solo organizzarsi e organizzare, le potenzialità di crescita col turismo culturale sono tante».
Un po’ di ottimismo non guasta in una Sardegna dipinta spesso a tinte fosche, con terremoti sociali ed economici prossimi venturi. Ottimismo - potremmo davvero dire - della ragione. Perché Anna Mura le sue competenze le ha. Direttrice dei Musei Capitolini, ma non basta. È il ministro dell’Arte romana, la responsabile del Medagliere, del Museo della civiltà romana, dell’Antiquarium comunale, della Centrale Montemartini e del Museo Barracco. È membro corrispondente del Deutsches Archaeologisches Institut di Berlino, ufficiale dell’Ordine Alouita con nomina di Hassan II re del Marocco e, ovviamente, componente del Consiglio direttivo dell’Associazione romana dei sardi “Il Gremio”. Importante l’attività scientifica, editoriale e di ricerca: l’area sacra di Sant’Omobono, l’introduzione di Eracle all’Olimpo, il monumento di Marco Aurelio in Campidoglio e la trasformazione del Palazzo Senatorio alla metà del Cinquecento. E vanno citati gli scritti in onore di Massimo Pallottino in “Etrusca Italica” dal titolo “Inter duos lucos: problematiche relative alla localizzazione dell’Asylum”.
 Ed eccoci, ancora, davanti alla statua originale della Lupa Capitolina, quella che potrebbe avere il marchio Sardegna non solo per i materiali usati per la fusione ma anche per il progetto e la realizzazione artistica del suo autore. Anna Mura: «In questa sala si assiste spesso a un silenzio quasi religioso. Era una loggia che si apriva con tre archi sulla città, ornata dagli affreschi appartenenti alla prima decorazione pittorica dell’appartamento dei Conservatori». Sul soffitto uno splendente cassettone ligneo rimesso in luce da un recente restauro. Tutti ammirano, flash e telecamere, piacciono molto i due gemelli attribuiti al Pollaiolo. E se tutto ciò fosse davvero sotto il segno della Sardegna? «Gli studi continuano, certo che se i bronzetti sono nuragici anche la Lupa Capitolina...».
 E qui la direttrice di Orotelli-Ussassai si ferma. Anche perché al telefono la chiamano proprio dalla Sardegna. «Prossime riunioni a Orani e Orotelli, per Costantino Nivola e Salvatore Cambosu». Due grandi di un altro Pantheon. Quello sardo .







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Isili, dalle trame dei tappeti un ponte di luce sulla storia  Parla Piero Zedde, l’artista che ha creato il museo della tessitura

ISILI. Lana, cotone, argento, oro, rame. Già in nuce, l’innovazione è evidente quanto la tradizione. Fili di rame nella creazione degli arazzi? «Certo. L’idea mi è venuta una ventina d’anni fa durante una tosatura a Gavoi, dove ho visto un pastore legare con fili di rame i sacchi pieni di lana appena tosata. Qualche tempo dopo sono stato a Isili al museo del rame e d’istinto mi è tornata in mente quella scena di fine tosatura a Gavoi: allora ho pensato di mettere insieme questi due saperi profondi della comunità isilese, legati a due materie diverse ma comunque presenti da secoli nella manualità artigiana del Sarcidano».
 Piero Zedde è l’artista che ha dato vita al museo della tessitura di Isili - unico nel suo genere in Italia - nei locali del convento degli Scolopi, un edificio che risale al Seicento. Un’apprezzata studiosa di arte contemporanea come Simona Campus l’ha definito «un luogo unico al mondo, una costellazione di trame e di orditi gettati come un ponte di luce sulla storia». Più precisamente, siamo in quello che si chiama «Museo per l’arte del tessuto, memoria e innovazione» di Isili. Premette Zedde: «Iniziamo da qui. I motivi che caratterizzano questo arazzo nascono da una mia ricerca fatta negli anni Ottanta per l’Isola, l’istituto per l’organizzazione del lavoro artigiano in cui ho operato per trentacinque anni. Il progetto era preciso: individuare nei paesi una serie di manufatti che avessero corrispondenza reale con la tradizione del territorio. Nella ricerca su Isili mi sono trovato a fare un lavoro specifico proprio su questa zona».
I motivi ornamentali all’interno degli arazzi sono tipici del territorio. Come mai, allora, queste gallinelle senza testa?
Non mi interessava tanto completare la figura della gallinella quanto dare interesse progettuale a un particolare grafico: anche questa è un’innovazione all’interno della tradizione. Tutti gli altri motivi verticali che si vedono sono gli elementi basilari della gonna plissettata
Da dove viene questa visione di ruggine?
È il colore della quercia da sughero appena decorticata, il colore chiaro è quello della lana. La policromia viene esclusivamente dalle erbe del territorio».
In che cosa consiste la peculiarità del museo di Isili?
L’idea è il risultato di una lunga stagione di impegno nel mondo della tessitura in Sardegna, dopo molte verifiche in diversi musei della tessitura in Europa. Quasi tutti i siti museali europei sono etnografici. Non esistono musei legati a una progettualità che parta dalla memoria storica del territorio. La singolarità di Isili è proprio questa
Una strada spinosa?
Innanzi tutto occorreva aggirare l’ostacolo di un vizio di fondo: la progettualità artigiana legata ai capricci della clientela, commercianti in testa, soprattutto in tema di colori. Molti clienti facevano discorsi di questo tipo alle artigiane: tu gli arazzi me li fai con i colori che stanno meglio sulle pareti di casa mia. Grave errore: ha portato alla folclorizzazione dei manufatti e li ha allontanati dalla realtà del territorio in cui venivano prodotti».
Come ha proceduto ?
La mia idea-guida, fortificata dall’esperienza di aver progettato manufatti per Giba, Sant’Antioco, Mogoro, Nule, Sarule e Aggius, è stata questa: rimettere ordine all’interno dei motivi tipici sarcidanesi. Progettualità e manualità strettamente legate alla memoria storica del luogo
Sì, ma le spine?
Capisco che agli accademici l’innovazione possa causare delle perplessità. Ma sono certo che fra mezzo secolo anche questo sarà un museo etnografico e documenterà l’evoluzione di un sapere artigianale raffinato
Può spiegarlo con un esempio?
Prendiamo i manufatti che Tavolara ha creato cinquant’anni fa, ci rendiamo conto che per quel periodo erano fortemente innovativi. Oggi sono manufatti storici a pieno titolo proprio perché seguono la strada della piena corrispondenza con il luogo: nei materiali usati, nella tecnica e nel ricorso alle erbe per i colori. I trenta arazzi oggi esposti nel museo sono il risultato di ben 150 progetti».
Si è imposta una scelta?
Sì. C’era un problema di risorse: bisognava realizzare i manufatti, le strutture del museo, la scenografia e l’uscita di un volume che raccontasse l’esperienza. Nel realizzare i manufatti sono state coinvolte diverse artigiane di Isili. Si doveva capire esattamente quali erano le operatrici migliori.
Selezione obbligata?
Certo. La tecnica è difficile, tessitura al rovescio detta gergalmente ’a tenturaì. Oggi purtroppo anche a Isili diverse artigiane usano un procedimento più semplice, detto ’a pibiones’: tessitura in rilievo. Ma chi lavora con la tecnica antica ha capacità manuali superiori
Vuol dire che il malumore può nascere anche da qualche esclusione?
Sì. Avrei accettato una critica costruttiva sulla ricerca e l’esecuzione dei manufatti. Invece nulla: significa che non hanno elementi né culturali né tecnici, critica fine a sé stessa, perciò meschina. Non ho niente contro la riproduzione fedele del manufatto antico, per salvaguardare la continuità storica. Ma da operatore culturale del Duemila non posso continuare a proporre manufatti del Settecento. Che senso avrebbe, oggi»?
 Di più Piero Zedde non dice. Ma in queste storie di ordinaria miseria lo conforta il parere di molti studiosi. Ha scritto Bachisio Bandinu: «I colori sono quelli della terra, delle stagioni, delle pietre, testimoni di una fedeltà antropologica al territorio. Il museo dell’arazzo è memoria storica e creazione innovativa insieme, custodisce molti segreti antichi e lancia prospettive moderne». E più avanti: «Questi arazzi, nella loro esposizione verticale, sembrano rinnovare una tradizione rituale e festiva quasi recitassero una formula di augurio e di preghiera

Secondo Simona Campus, «la lettura che Zedde fa dell’artigianato tradizionale è totalmente inedita, originale. Non solo, ma è l’unica lettura possibile, se è vero che l’arte contemporanea ha senso soltanto se la si storicizza. Chi non lo capisce si limita all’etichettatura, senza alcuna capacità di distinguere il folclore dal recupero dei valori tradizionali». Per Giorgio Pellegrini, Piero Zedde «ha aggiunto alla tradizione del passato remoto lo scatto di idee nuovissime, la sintesi di forme moderne, la sorpresa elettrizzante di materiali inconsueti».
Il curriculum di Piero Zedde artista, del resto, è fra i più ricchi. In un articolo sulla rivista «Nae» - il cui ultimo numero dedicato a Gramsci, da pochissimi giorni in edicola, è illustrato proprio da venti opere di Zedde - Alessandra Menesini ne traccia un profilo lusinghiero, con l’aiuto di belle immagini poetiche. Ma i mormoratori, avvezzi al buio, forse non hanno modo (tempo, voglia ?) di leggere alcunché .

Tale progetto  ha  trovato d'accordo Il sindaco e il suo predecessore .



ISILI. Il livido color della petraia con cui Dante nel canto XIII del Purgatorio colorò lo scenario della penitenza di chi si macchia di uno fra i vizi capitali più devastanti - l’invidia - resiste ai secoli e non ha confini di luogo. Avviene dunque che raffinati studiosi del livello di Bachisio Bandinu, Simona Campus, Alessandra Menesini e Giorgio Pellegrini, da un lato, spendano parole di chiarezza solare a favore del Museo per l’arte del tessuto di Isili e dall’altro ci sia chi - lanciando la pietra e nascondendo la mano - remi ostinatamente contro, senza avere il coraggio di uscire allo scoperto, con le armi subdole del risentimento.
 Vizio antichissimo («S’imbìdia a s’òmine est che-i su ruinzu a su ferru», per l’uomo l’invidia è come la ruggine per il ferro, recita un proverbio dei nostri antenati), nello specifico diventa un ostacolo obiettivo alla valorizzazione in chiave contemporanea dei saperi locali consacrati.
 Orlando Carcangiu, il sindaco di Isili che otto anni fa realizzò l’opera, l’aveva addirittura previsto. «Tutto nasce da nomi grossi, o presunti tali, dell’università che spesso fa rima con blablablà. Il padre di questo casino è un noto accademico, al quale abbiamo revocato un incarico per accertata inconcludenza e che si è poi servito di un giovane forestiero suo allievo per seminare zizzania. Ma c’è anche un figlioccio locale del padrino, una sorta di grigio bronzetto nuragico che trama nell’ombra». Non fa nomi, Orlando Carcangiu, ma precisa: «A Isili questi personaggi sono conociuti da tanti: nominarli sarebbe una pubblicità gratuita».
 Il sindaco in carica, Tore Pala (vice di Carcangiu nel 1999) è sulla stessa linea sostanziale del suo predecessore. «Ancora prima di fare un appello alla pacificazione, voglio essere molto chiaro: per me l’operazione museale non solo è un’iniziativa validissima ma è anche così innovativa che ha precorso i tempi», dice. «Tanto più se consideriamo che oggi ormai non esiste il tessere per le sole esigenze della famiglia. Non c’è più chi fa bisacce, il tessuto è diventato un momento di arredo di case importanti. Il nostro museo ne dà un’idea molto eloquente. La prova? Le nostre artigiane, che fiutano anticipatamente il vento in maniera istintiva, stanno già operando in questa direzione».
 Uomo di pace, Pala auspica «una riflessione seria» da parte di chi ancora si ostina a fare opera di boicottaggio silente, di modo che «si possa camminare tutti insieme nella stessa direzione, una volta per tutte». E se il suo invito cadesse nel vuoto? «È una eventualità cui non voglio neppure pensare», risponde il sindaco. «Ma se la situazione dovesse perdurare, mi vedrei costretto a prendere provvedimenti adeguati alle necessità obiettive».




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