I sogni di uomini e donne di Barbagia Due film di Columbu: “Visos” e “Storie brevi” su CagliariI sogni di uomini e donne di Barbagia Due film di Columbu: “Visos” e “Storie brevi” su CagliariI sogni di uomini e donne di Barbagia Due film di Columbu: “Visos” e “Storie brevi” su Cagliari

dal'unione sarda  d'oggi 3\12\2010


Se Arcipelaghi è, finora, l'unico lungometraggio di Giovanni Columbu, è anche vero che il suo curriculum è lungo e variegato, diviso fra documentari, docufiction, inchieste, corti, quasi tutti legati da un comune denominatore: la ricerca di uno sguardo originale, il tentativo di sperimentare, l'interesse a occuparsi di cose sarde. Fondamentate è stata la lunga militanza come regista programmista alla Rai, negli anni in cui (Ottanta, primi Novanta) la sede regionale per la Sardegna godeva di una autonomia di movimento, periodo indimenticabile di investimento culturale (idee, progetti, uomini e mezzi) che molto ha dato alla Sardegna. Quando poi Columbu ha lasciato la Rai per proseguire la sua avventura di autore in solitario, non è venuto meno ai suoi principi e alla sua poetica, realizzando con la casa di produzione da lui fondata, la Luches, altri corti, documentari, inchieste.
TALENTO E VERSATILITÀ Al primo periodo appartiene Visos , al secondo Storie brevi : entrambi saranno proposti in un unico dvd da domani in edicola con L'Unione Sarda (8,80 euro più il prezzo del quotidiano) nella collana “Registi di Sardegna”. Un'occasione per conoscere e apprezzare il talento e la versatilità di Columbu. Soprattutto con Visos , docufiction molto premiata, datata 1984, 42 minuti (ma esiste anche una versione più lunga) di straordinario interesse, poco vista e molto attesa non solo dai cinefili. Che cosa ha di così singolare? L'argomento innanzitutto: si parla dei sogni degli uomini e delle donne di Barbagia, si scava nell'inconscio dei pastori, della società rurale sarda. Rovesciando dunque il punto di vista che finora ha sempre caratterizzato l'immaginario sardo: ovvero la società pastorale è stata documentata nei suoi riti visibili, maschili e femminili, governare le pecore, arare la terra, preparare il pane, tessere la tela ma nessuno aveva provato a sfondare il muro dell'antropologico, dell'etnografico, del folclore per andare a frugare nei sogni della gente dell'interno, cioè di una comunità legata a una precisa condizione sociale e culturale.
SETTE SOGNI Visos raccoglie sette sogni (di cinque donne e di due uomini) e li ricostruisce sfruttando al meglio la vocazione onirica e psicanalitica del cinema: non ci sono pretese di spiegazioni, non c'è il classico lettino su cui far distendere il paziente ma una visualizzazione dei fantasmi dettati dalla fantasia e dall'inconscio. Sono gli stessi sognatori a raccontare e a mimare il loro sogno, con il regista che s'incarica di realizzarne la messa in scena.
FANTASMI Cosa sognano allora i protagonisti, reclutati fra i paesi di Ovodda, Ollolai, Gavoi, Orune? Nel primo una donna ricorda di essere tornata bambina, e di assistere alla preparazione del pane mentre alcune donne confezionano una piccola bambola di pasta, che sembra richiamare un oggetto da pratiche voodoo o legate ad una spiritualità superstiziosa. La piccola ad un certo punto si perde nel bosco, incontra due vecchi vestiti in costume, fugge pensando siano pantumos , ma subito viene sgridata dal nonno che, riportandola sul luogo dove ha visto i fantasmi pronuncia delle parole per farla guarire dalla paura.
SPECCHI Secondo sogno: una donna racconta di essersi guardata allo specchio ma di non aver visto nulla; lo specchio si è poi frantumato e neppure in uno dei piccoli pezzi la donna riesce a vedersi. Terzo sogno: un uomo ara la terra col suo giogo di buoi. Ma dalla terra escono rospi, un uccello pronuncia la parola “Candelè” e le teste dei buoi vengono inghiottite dall'acqua. Nel quarto sogno una donna si accorge di essere scalza in chiesa, lei cerca di nascondersi ma tutti i fedeli in chiesa bisbigliano e ghignano indicando la vergogna dei piedi nudi. Quinto sogno: una anziana donna su un ponte di legno traballante e sconnesso mentre sotto scorre un fiume vorticoso. Procede piano, si mette in ginocchio, chiede aiuto ma non c'è nessuno. Sesto sogno: un pastore trova un enorme serpente nel suo ovile, prima ne ha paura poi si avvicina e lo accarezza. Quando l'uomo si allontana, il serpente piange. Infine, il settimo sigillo onirico: ancora una anziana donna sogna il marito che le chiede di volare insieme. Lui la prende per mano e miracolosamente si librano nell'aria dominando il paesaggio verde sottostante.
SURREALISMO Sarebbero piaciuti a Luis Buñuel, questi sogni e anche il film, carico com'è di segni surrealisti, di provocazioni e sperimentalismi da avanguardie degli anni Venti. Muovendosi in un campo minato, Columbu riesce a miscelare varie tendenze, non solo dunque la matrice di una visionarietà dettata dall'inconscio ma anche il racconto orale, tipico della cultura sarda, con l'artificio della macchina cinema, a sua volta produttrice di sogni. Elemento, quest'ultimo, prontamente sconfessato dal regista stesso che non esita più volte a svelare la presenza della macchina da presa, inquadrando la troupe, o svelando il meccanismo dei trucchi, come accade nell'ultimo sogno in cui i due vecchietti volano. Anzi la prima immagine, dopo i titoli di testa è proprio quella della macchina da presa, con il regista che indica alla donna sognatrice di guardare verso la luce.
PICCOLO FANTASY Visos è certo un'opera sperimentale ma così affascinante che si guarda come un piccolo fantasy, dove la ricchezza visiva e la semplicità degli effetti speciali danno un risultato finale di assoluta originalità: una delle rarissime incursioni (con Ybris di Gavino Ledda, girato guarda caso proprio in quello stesso periodo) nella foresta di segni, segnali, avvisi, poco praticati dal cinema codificato e invece qui liberati da qualsiasi rappresentazione tradizionale.
IDENTITÀ Alcuni di questi sogni sono strettamente connessi con l'identità isolana, due appaiono più omologati a un immaginario comune. Ma quel che conta è come si possa affrontare un argomento così popolare e allo stesso tempo privato ma indecifrabile con leggerezza. È curioso notare, comunque, un particolare che colpì molto il regista durante la lavorazione: quando i sognatori raccontavano il loro sogno, gli altri intervenivano, correggendo il testo, come se fossero stati presenti al fatto, come se conoscessero quelle scene, in definitiva come se avessero fatto lo stesso sogno. Nessuna telepatia, in fondo questa coralità onirica era (è) possibile in luoghi dove il sentire della vita è condiviso sotto un'identica radice e identità.
PSICOANALISI Del fatto se ne occupò anche Cesare Musatti, grande studioso e divulgatore freudiano, nonché padre della psicoanalisi in Italia. Musatti riportò questa esperienza nel libro Chi ha paura del lupo cattivo (Editori Riuniti, 1987) e firmò anche la prefazione (“Le fonti comuni del pensiero fantastico”) al bel libro Visos (Ilisso, 1991) che raccoglie immagini, story board e riflessioni sul film fatte da Columbu. Scrive Musatti: «Ma si possono fare queste cose? Certo si può. Purché nel personaggio del sogno e nell'attore ci sia una concordante realtà interiore. In questo gruppo di persone, appartenenti ad una comunità particolare, con una mentalità molto schietta, non adulterata da modelli estranei, persiste un fondo comune».
ANTROPOLOGIA Parole importanti, che danno il giusto peso al lavoro di Columbu, che in una seconda versione, più lunga, presentava i sogni commentati dall'antropologo Bachisio Bandinu, il quale ne parla poi con acute osservazioni nel libro La maschera la donna lo specchio (Spirali, 2004), soffermandosi proprio sul sogno della donna e dello specchio in frantumi: occasione per parlare della metafora dell'accettazione di sé, dell'altro, della riconoscibilità della propria immagine, della frontalità dello sguardo che incute timore, della superficie liquida capace di metterci davanti alla percezione dei nostri dettagli corporei. Ecco, tutto questo non appaia come un appendice di elucubrazioni psicanalitiche: semplicemente Visos , stimolando riflessioni profonde, ha la forza con le armi del cinema di dialogare con ogni tipo di spettatore; e, pur nella sua atipicità, riesce a proporre un affascinante dialogo fantastico tra chi racconta e chi guarda.
MICROSTORIE Di segno completamente opposto è invece Storie brevi , datato 2005 ma costruito nell'arco di un paio di anni. Un lavoro che nasce su commissione - la richiesta del Comune di Cagliari di avere un documentario turistico sulla città - ma che si è trasformato in un curioso ibrido: anche questa è una docufiction ma è slegata dalla impostazione classica, ovvero immagini patinate, voce fuori campo, eccetera. Columbu ha proceduto per schegge; ha pensato che unendo le tessere più disparate alla fine si sarebbe potuto avere il mosaico di Cagliari. Così si è inventato delle microstorie, alcune quasi come una storiella, altre come documentazione, e ha inanellato con la telecamera luoghi, eventi e personaggi dela città, passando da avvenimenti famosi ad altri sconosciuti, mostrando il volto celebre e “cartolinesco” dei panorami, monumenti, chiese e quello misterioso e segreto di vicoli e cortili, mischiando gente conosciuta alla gente comune. In tutto 33 minuti (ma con altri 40 di extra) che non solo hanno un valore di promozione turistica ma raccontano anche l'anima antica e moderna del capoluogo della Sardegna. Evitando il già conosciuto, le informazioni storiche-geografiche ma lasciando che a parlare sia la suggestione delle immagini e dei luoghi. Come dire: un percorso inverso alle guide turistiche, in Storie brevi guardi e poi vai a scoprire la città. Per esempio il Bastione si “visita” attraverso un testimone d'eccezione, Paolo Fresu che prima al tavolino scribacchia su un pentagramma poi si alza, impugna la tromba e lascia evaporare alcune note dalla terrazza panoramica.
PAGANO E RELIGIOSO Si parte con una festa di popolo, un capodanno in piazza, (Largo Carlo Felice e via Roma piene come un uovo di gente che urla e brinda) e si chiude con un'altra festa di popolo, Sant'Efisio, stessi luoghi ma vestiti di partecipazione collettiva spirituale. Due estremi dello spirito cagliaritano, pagano e religioso; in mezzo il carnevale, il rito del Venerdì Santo, un concerto di campane, la posa dei quadri nella sacrestia, un festival degli aquiloni, la spiaggia e la Sella del Diavolo, le botteghe popolari e di antiquariato dei rioni di Marina e Castello, il birdwatching nello stagno di Molentargius. Tutti raccontati andando a cercare particolari rivelatori, usando in alcuni casi dei testimoni (dei bambini, una fotografa). Ma è soprattutto dalle clip dei frammenti di vita quotidiana (il postino, il ragazzo che consegna la spesa per le viuzze della Marina) e dalle stradine della vecchia Cagliari che emerge il ritratto privato di Cagliari, luoghi nei quali transitiamo senza renderci conto della bellezza e della storia che ci circonda.

SERGIO NAITZA

Dentro un mondo ricco di fantasia

Venerdì 03 dicembre 2010
Q uando la prima volta Columbu mi parlò dei sogni che aveva raccolto fra i pastori del Nuorese, per poco non mi venne un colpo. Ma come? Il sogno di una singola persona viene corretto da altri individui, i quali ne parlano come se anch'essi, contemporaneamente a quel primitivo narratore, avessero assistito - per proprio conto - alle stesse scene? Così da correggerne il testo, al modo come più testimoni presenti a un fatto, possono discuterne i particolari?
(…) Il fattore comune che consente appunto alle varie persone di disputare, non va ricercato nel singolo sogno, ma piuttosto nello stesso mondo onirico: riproducente una identica maniera, come a tutti, di pensare e di sentire le vicende della vita. Cosicché una volta inoltratesi in questo mondo onirico, era come se le persone, provenendo dal solido continente della realtà diurna, fossero sbarcate in un'isola primordiale: e là giunte si fossero incontrate, essendo in condizioni di discutere insieme sopra questa realtà notturna, sopra il mondo dei sogni.
(…) Ma si possono fare queste cose? Certo si può. Purché nel personaggio del sogno e nell'attore ci sia una concordante realtà interiore. In questo gruppo di persone, appartenenti ad una comunità particolare, con una mentalità molto schietta, non adulterata da modelli estranei, persiste un fondo comune. (…) Così, se pure non esiste un vero sognare collettivo, un sogno cioè che si presenti a più persone contemporaneamente, emerge però qualche cosa di corale.
(…) Columbu ha dunque fatto recitare i suoi personaggi. Egli stesso è un individuo poliedrico: psicologo e poeta, ma esperto anche in certe sue tecniche. Quelle della regia, del momtaggio fotografico, cinematogrefico e televisivo.
Sogno ancora: sogno dei sogni. Farsi raccontare i sogni, e poi farli recitare, ed anche riprenderli; e atrasmetterli quindi a un pubblico; fissando le tappe in fotografie che risultano molto belle, tanto da apparire quadri di un pittore finissimo. E far ancora circolare queste foto, così da riaprire altri cicli.
Sì, Columbu è proprio un abile giocoliere, con questo materiale da lui raccolto e costruito. E non si sa dove miri, e dove si debba fermare. Ti lascia in bilico. Ma in questo non fermarsi è ancora il sogno e la fantasia e la partecipazione al mondo dei pastori sardi. Quel mondo che egli stesso ha dentro. Giacché - pur con la sua tecnica e la sua bravura artistica - è nelle proprie radici uno di loro.
CESARE MUSATTI

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