Sia che devid sia morto perché i genitori vivevano in strada sia perché vivevano in stato d'indigenza o quasi devid è morto per mancanza di cordinamento , per la cattiva disorganizzazione di quello che dovrebbero essere servizi sociali e la burocrazia , ma soprattutto per l'indifferenza .
Infatti ad averlo ucciso non è solo il freddo è la mancanza di soidarietà , l'indifferenza ( infatti al funerale non c'era quasi nessuno ) o scaricabarile perchè tutti vedevano o facevano finta di non vedere o non se ne preoccupavano prchè << è già stata segnalata , ci pensano i servizi sociali , ecc >> . Ma la storia della sua vicenda dei suoi ventitre giorni nella città degli invisibili è talmente triste che preferisco far parlare l'articolo e i link in esso riportato da repubblica
LA STORIA
I ventitré giorni di Devid
nella città degli invisibili
Il caso del neonato morto di freddo e stenti: nella cappella dell'ospedale meno di dieci persone a salutarlo. A fine novembre l'assistente sociale non si era neanche accorto che la donna era incinta. Oggi il padre dice: avevamo paura che i servizi sociali ci portassero via i bambinidi MICHELE SMARGIASSI
Due suore, due volontari, pochi senzatetto, il padre, la nonna, il prete. Meno di dieci persone ieri mattina nella gelida cappella dell'ospedale per dire addio a Devid, che ha vissuto solo ventitré giorni ed è morto di freddo nel centro più centro di Bologna alla vigilia della Befana, giorno dei bambini.
Poche ore più tardi la città ufficiale si "vergogna", ormai troppo tardi. Si vergogna di che? Dell'"indifferenza". Indifferenza di chi? "Non la mia, non degli altri che erano lì per caso come me": Viviana Melchiorre, impiegata, è ancora sconvolta. Quattro gennaio, quattro del pomeriggio, portici del municipio davanti alla farmacia comunale. "Lei, un pianto disumano, incapace di dire nulla; il padre, con quel fagotto in braccio vaga in piazza Maggiore, il bimbo ha un colorito terribile". "È morto!", rabbrividisce il gruppetto che si è raccolto, qualcuno (forse il padre) ha già chiamato il 118. L'uomo si scuote, entra in farmacia, poggia il bimbo sul bancone come fosse una scatola (ricorda scosso il farmacista): "Sta male, non respira, non so cos'ha, stamattina ha preso il latte...". Fuori, una passante nota un passeggino incustodito, gonfio di coperte. Le solleva. "Ma qui ce n'è un altro!". Vivo. In salute. Per fortuna. È il gemellino.
Nella Bologna esausta di shopping natalizio l'ambulanza corre via. Devid muore la mattina dopo (il direttore di Pediatria Mario Lima coglie la situazione al volo e mette al sicuro il gemello e una sorellina ricoverandoli). L'autopsia dirà com'è successo, ma già si sa che è crisi respiratoria. È una storia di ghiaccio, la storia di un bambino nato prematuro, passato in poche ore dal tepore dell'incubatrice al sottozero della piazza. Non ce l'hanno una casa, Claudia e Sergio? Lui, toscano che vive di lavoretti, giura di sì, s'infuria col cronista, "non siamo barboni", dà l'indirizzo, il capocondominio conferma ma i vicini dicono: "Non si vedono da mesi", e in quella casa vive un maghrebino: risulta marito di Claudia, forse sposato per avere il permesso di soggiorno. Di fatto lei non abita lì. Allora dove? "Dalla madre", suggerisce il tam-tam dei senzatetto, "no, in roulotte". I volontari di Piazza Grande li incontrano distribuendo viveri in stazione, e il padre che ha già abitato per un po' in un dormitorio chiede la residenza in "via Tuccella", la strada di fantasia inventata per dare un documento di identità ai clochard di Bologna.
Comunque è vero, nessuno li vede di notte in strada. Ma di giorno sì, per ore sotto il portico del Podestà e nel bell'atrio caldo della biblioteca Salaborsa. Claudia che cambia i pannolini ai gemelli neonati, stretti nel passeggino regalato da una barista della piazza, a fianco la sorellina di venti mesi. Impossibili da ignorare. E i bolognesi non li ignorano, "chi passava le diceva qualcosa, "non può tenere dei bimbi così piccoli al freddo"", racconta un clochard. Ma poi passano oltre, perché a Bologna, pensano i bolognesi, qualcuno provvede sempre, perché a Bologna certe cose non succedono. Perché "nel centro di Bologna / non si perde neanche un bambino", canta Lucio Dalla.
Invece ne abbiamo perso uno. Il welfare più famoso d'Italia non l'ha salvato. Eppure sapeva tutto di sua madre. Trentasei anni, cinque figli avuti da almeno tre padri, i primi due finiti in affidamento alla nascita, nel 2001 e 2003, per "incapacità genitoriale". Nessuno sa che è di nuovo incinta? L'assistente sociale che la incontra a fine novembre non se ne accorge. Il 13 dicembre partorisce al Sant'Orsola, il giorno stesso la segnalano ai servizi sociali di quartiere, che prendono atto. Dimessa regolarmente il 29, è già in strada coi gemellini. Il giorno dopo la notano in Salaborsa gli impiegati, "non siamo ciechi", e chiamano gli assistenti sociali. Rapporto dei medesimi: "Sembra una famiglia felice". La notte di San Silvestro eccoli al cenone di solidarietà per i senzatetto, "un uccellino caduto dal nido" ricordano i volontari, "le abbiamo chiesto se voleva un posto per la notte, ha risposto che tornava a casa sua". Insomma, in quei cinque giorni tra l'ospedale e la tragedia, la rete della tutela sociale la intercetta più volte. Ma nessuno s'allarma, forse proprio per l'eccessiva sicurezza che "qualcuno ci sta già pensando", che la cosa sia "già segnalata". Infatti lo è, più volte. I pezzi del mosaico di una potenziale tragedia ci sono tutti. Ma nessuno li mette assieme. Disattenzione? Disorganizzazione? È già il momento delle domande scomode. "A questa città manca un padre di famiglia", lamenta Paolo Mengoli direttore della Caritas. Punta il dito sul decentramento dei servizi nei quartieri, riforma che deve qualcosa ai tagli di bilancio: "senza un centro le cose sfuggono".
"Lavoriamo per pezzetti e non c'è comunicazione", ammette Monica Brandoli del settore affari sociali del Comune.
Adesso tutti si "vergognano" nei comunicati, ma molti hanno una giustificazione. Ed è quella giustificazione lì: è la madre che non ha chiesto, che ha rifiutato, che si è sottratta. "Una povera donna, le è stato offerto un tetto, ha detto no, in questi casi ci vuole un po' di partecipazione", dice a caldo la commissaria Annamaria Cancellieri (perché Bologna da un anno è senza sindaco, e chissà che anche questo non conti). "Ci avrebbero tolto anche questi bambini", risponde il padre Sergio, che anche lui aveva una figlia che non è più sua. Chi ha bisogno e figli, non "partecipa" mai spontaneamente al rischio di restare col bisogno e senza figli. Rimane il fatto bruto e duro: le maglie della rete di protezione di una delle città più protettive d'Italia non sono riuscite a trattenere l'esistenza sottile di un bambino di tre settimane.
L'unica cosa che mi sento dire è questa . Cazzarola va bene che , specie in tempi di crisi non possiamo aiutare tutti , ma i casi più gravi almeno un aiuto lo possiamo dare . Ce fine hano fatto per parafrasare la sigla di questo famoso cartoon scusandomi per l'aaudio , ma non ho trovato di emglio in italiano
i valori della solidarietà , dell'aaiuto reciproco ? Soprattutto da noi che cantiamo ( anche se secondo molti sondaggi non ne conosciamo le parole se non l'ultima strofa ) il nostro inno nazionale : << >> e poi non siamo neppure in grado ne in silenzio lontano da rifletori ne esibendoa d'aiutare il nstro vicino e dargli aiuto concreto una casa o un ocale , nonostante ne abbiamo molti sfitti o un lavoro anche il più piccolo per garantire sia aglimItalaini e agli stranieri di priam e di seconda generazione presenti nel nostro paese la sopravvivenza o una vita dignitosa .ed evitare che succedonos torie come questa
Alghero, il dramma di una madre costretta a vivere in auto con due figli
Sotto la patina a uso turistico della città delle vacanze si nascondono terribili situazioni di ordine sociale. È il caso di una giovane madre algherese con due bambini, uno di 9 anni e l’altro di soli 7 mesi, costretti a passare la notte dentro un'auto, in un garage, a due passi dalla celebrata passeggiata del Lungomare Barcellona. È stata abbandonata dal compagno ed è rimasta senza casa
di Gianni Olandi
La giovane mamma con i figli davanti al garage
ALGHERO.È la storia di Giovanna e dei suoi piccoli. Abbandonata dal compagno, senza parenti, i genitori sono entrambi deceduti, riesce a malapena a sbarcare il lunario stando al servizio di qualche famiglia. Quando è rimasta completamente sola una casa l'aveva ma 500 euro di affitto, con due bambini da mandare avanti, non sono sopportabili se non si hanno altre entrate. Dall'assistenza sociale riceve 300 euro al mese, neanche sufficienti per la pigione, e così ha dovuto lasciare la casa. Come soluzione di fortuna ha trovato un amico che per la notte le consente di utilizzare l'auto parcheggiata in garage. La mattina riesce a portare i due bambini a casa di una signora che le mette a disposizione i servizi igienici.
Una vicenda terribile, drammatica, che comunque non scoraggia Giovanna. «Vorrei soltanto poter lavorare di più di quanto non riesco a fare oggi per far crescere i bambini - sostiene - se avessi una occupazione potrei lasciare il piccolo all'asilo e dedicarmi con maggiore impegno a trovare opportunità di lavoro. Oggi per fare le pulizie nelle case, nei condomini, qualcosa si trova, è una questione di buona volontà e a me non manca».
Le domanda da fare a questa giovane madre sono tante ed è lei stessa che toglie da ogni difficoltà. «Ci arrangiamo - dice - da una nonna, da qualche amica, ci arrangiamo e comunque non possiamo fare diversamente. Il bambino di nove anni fa il tempo pieno, quindi pranza a scuola ed esce nel pomeriggio, per il piccolo, come ho già detto, ci arrangiamo».
Difficile non chiedere come risolve il problema nel garage-cantina se al piccolo viene fame durante la notte e ha bisogno di qualcosa di caldo. «Porto sempre con me un thermos con la sua pappa - risponde subito - tiene il calore quasi fino al mattino». Viene in mente il mercato dell'abbigliamento per bambini, abitini ormai firmati, le griffe sono arrivate da tempo anche nella primissima infanzia e se non c'è la marca alla moda sullo zaino c'è il rischio perfino che il piccolo si vergogni di andare a scuola.
A Giovanna basta un thermos che tenga la pappa in caldo. «Comunque con il lavoro che riesco a trovare - aggiunge - ai miei bambini non manca niente, soltanto una casa, non voglio più che trascorrano la notte nel buio di un garage».
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