4.6.19

Il cammino di Barbara per Mediterranea: da Bologna a Lampedusa facendo l'autostop e Cagliari a sorpresa, i mercati diventano biblioteche

Risultati immagini per barbara CASSIOLIC'è chi macina chilometri in pellegrinaggio verso Santiago de Compostela, confine Ovest d'Europa e chi, invece, s'inventa un cammino tutto suo, puntando all'altro confine, quello più a Sud, Lampedusa, per ricordare i migranti morti nel mar Mediterraneo. Barbara Cassioli, 32 anni, assistente sociale bolognese, è partita il 21 marzo, "giorno simbolo della Primavera" come sottolinea lei stessa, da Livergnano (Bo) e ha raggiunto l'isola il 2 giugno. 
Un viaggio rigorosamente in autostop e senza soldi perché lo scopo è ben preciso: tutto ciò che non spende e quello che le offrono durante il tragitto lo destina mensilmente alla ong Mediterranea, tramite bonifici sulla piattaforma di crowdfunding 
Produzioni dal Basso e raccontando il viaggio sul suo blog. "Grazie a tutte le persone che mi hanno ospitato, pagato cene, autobus o traghetti - racconta - finora ho donato circa 850 euro e conto di arrivare intorno a 1200 euro entro la fine di questa bellissima avventura". L'abbiamo incontrata in Calabria dove abbiamo viaggiato con lei da Gioiosa Jonica a Rosarno.
                  Video di Gianluca Palma



Il blog e   la  pagina facebook  di Barbara Cassioli
https://viaggiareapiediscalzi.com/
https://www.facebook.com/viaggiareapiediscalzi/


  e sempre  dal suo blog  uno dei testi più belli 


                            La cosa più difficile di questo viaggio.
FB_IMG_1558548470335.jpg“-Ne*ri di me*da, per me possono affondare tutti” (Grosseto, circolo arci)


-“Sono dei traditori della loro patria se se ne vanno” (Grosseto, circolo arci)
-“Gli stranieri sono avvantaggiati rispetto agli italiani perché un giorno a settimana hanno diritto a non lavorare” (Porrettana)
-“Beh, ma anche agli irregolari Conviene vivere in Italia perché lo Stato gli dà qualcosina ogni giorno” (Pistoia)
-“Chissà poi perché non prendono l’aereo!?” (Piombino)
-“Con tutti questi ne*ri, la città è pericolosa” (Grosseto)

La cosa più difficile di questo viaggio non è fare l’autostop e non sapere chi mi carica.Non è non sapere dove dormirò tra 3 giorni.Non è nemmeno salire a piedi al Vomero, sotto al sole, con questo zaino e neanche chiedere una pizzetta senza poterla pagare quando ho una gran fame La cosa più difficile di questo viaggio é il toccare con mano l’ignoranza nel suo significato etimologico, creata ad arte da una classe dirigente, per essere pilotata e lanciata, come una bomba, nella rabbia.Nella guerra innaturale contro l’essere umano più fragile.Sentire queste frasi con le mie orecchie é atroce, sconfortante, mi fa paura perché sono menti sdradicate dai corpi, dalla realtà e dunque facilmente pilotabili in qualsiasi direzione.Perché sono menti che non pensavo ma bevono come lavandini.Occhi che non vanno oltre. Corpi che non vivono, orecchie sorde che hanno paura. Vivono nella paura e nella convinzione di essere vittime di ingiustizia.É la cosa più faticosa di tutto il viaggio,Ma è lì che devo stare.Sono loro le persone che io cercavo.Per respirare un attimo e poi domandare, raccontare. Aprire la porta e così uno spiraglio. A volte sono riuscita.“Non lo sapevo che i marocchini avessero bisogno del visto per venire in vacanza qui”. “Non lo sapevo che gli eritrei non hanno il passaporto”A volte, invece, non c’è nemmeno stato modo di arrivare alla maniglia, solo urla, solo violenza. Nessuna intenzione di ascoltare chi ha più conoscenze e competenze in materia. È troppo bello avere un nemico chiaro da combattere che viene da fuori. Dà troppo gusto per stare a sentire cosa c’entra Dublino con l’obbligo di consegnare le impronte in frontiera.Sono loro le persone con cui io devo stare. É lì che c’è bisogno di ascoltare le paure, di accogliere e di mettere un po’ di luce.Cosa ti spaventa? Perché sei così arrabbiato? Cosa ti manca?É che lì che posso raccontare di me, di quanto è cresciuto Mustapha in questi anni e di quanto è bello vederlo sereno, dei deliri e delle contraddizioni del sistema d’accoglienza e della complessità mondiale che non si può ridurre ad un dibattito politico. É lì che voglio portare domande, più che risposte.È lì che tutta la bellezza che io osservo in questo Paese va travasata. É lì che la finestra va aperta per far entrare la luce. É la cosa più difficile di questo viaggio, ma é la sola che è urgente fare.





Cagliari a sorpresa, i mercati diventano biblioteche

Per lo scrittore David Herbert Lawrence era una città "sorprendente". Pochi sanno della sua vivace attività culturale. A Cagliari i mercati vengono riconvertiti in spazi per la condivisione e la contaminazione artistica e intellettuale. Come l'ex mercato civico oggi pieno di teatri, sale per dibattiti e biblioteche o l'ex mattatoio, oggi centro culturale per mostre


2.6.19

l'amicizia fra l'uomo e il gabbiano nel nome del pecorino sardo




  da    www.olbia.it 
Golfo Aranci, 2 giugno 2019



Con quella dei delfini di  Cala Moresca, l’amicizia tra Paolo Porcelli e Jonathan, gabbiano buongustaio, è diventata un’attrazione che incuriosisce i turistiala Moresca, l’amicizia tra Paolo Porcelli e Jonathan, gabbiano buongustaio, è diventata un’attrazione che incuriosisce i turisti

Sono occhi placidi, in cui sembra riprodursi il tersissimo fondale tra Cala Moresca e Figarolo. Più che un dono genetico avuto dal padre immigrato dalla Campania e dintorni – come accade per buona parte dei nonni dei golfarancini attuali – da ieri sono più propenso a credere che quel rasserenante riflesso azzurro-mare sia sopraggiunto in un secondo momento, in età adulta, per un rarissimo miracolo di Poseidone – pagana divinità del mare – che solo in Sardegna, e per alcuni, anzi pochissimi fra i sardi, si degna eccezionalmente di manifestarsi in tal modo. Poseidon lo protegge e lo tutela in tutto ciò che tocca e fa, sul mare e sotto il mare.  E dal mare l’uomo dagli occhi cerulei trae le sue benedizioni, i suoi prodigi, per poi offrirli all'altrui stupore.



Mi capita ancora – e ho dovuto chiedergli scusa più di una volta – di chiamarlo per errore  Marco. Lui è sembrato rimanerci un po’ male. Ma il fatto è che qui, se qualcuno domanda dov'è ormeggiato il suo grosso cabinato vintage varato quarantadue anni fa, quello che accoglie dieci curiosi per volta, di ogni dove del mondo, per ammirare i delfini in libertà di Cala Moresca che si avvitano su se stessi, sinuosi, intorno e sotto la chiglia meglio che in un acquario californiano, tutti  questi curiosi chiedono di “Marco del Mare”. Finendo così per scambiare nome di natante con nome di nocchiero.  E Paolo, Paolo Porcelli, se dobbiamo proprio dire anche il suo cognome, si dovrà rassegnare, prima o poi, a sentirsi appellare con questo nuovo gentilizio, conquistato in anni ed anni di lavoro di sommozzatore e di guida delle meraviglie del feudo golfarancino di Poseidon.


Un fotogramma tratto dal cortometraggio “Marco del mare” girato da Piero Livi nel 1957.

“Marco del mare” (forse non tutti lo sanno) , non è un nome di barca inventato lì per lì. Fu una delle prime realizzazioni cinematografiche a regia del compianto Piero Livi. Un corto in bianco e nero pluripremiato (anche a Cannes) e girato nel 1957 con lo sfondo perenne  di Figarolo e Capo Figari.  Oggi “Marco del mare” naviga lento al suono delle canzoni di Adriano Celentano e dei Boney M, e ripercorre le stesse rotte litoranee della barchetta del giovane pescatore di Golfo Aranci protagonista del film, interpretato dal bellissimo Matteo Maciocco. Il Marco di Piero Livi si aggirava penoso dopo la tragica e prematura morte in mare, senza poter più comunicare con la giovanissima vedova ed il piccolissimo figlio che portava il suo stesso nome. Forse il suo spirito si aggirava ancora e ci spiava, ieri, celato tra gli scogli dei “Baracconi”, mentre mamma delfina Dafne, che ogni tanto allatta Gioia, delfino giocherellone di un paio d’anni, si faceva depositare in bocca un’orata freschissima da trecento grammi, e con la delicatezza di una farfalla la estraeva dalla mano di Paolo e se la portava giù verso il fondale cristallino.


Paolo Porcelli offre dalla sua barca una gustosa orata alla delfina Dafne (foto dello scrivente)

“ Quando allattano mangiano esclusivamente pescato di giornata – mi spiega Paolo –  mentre normalmente accettano il pesce anche di due tre giorni”. Attenzioni estreme di una madre per il suo cucciolo già adolescente, ma che ancora poppa il latte davanti a noi.  “Ci ho messo due anni almeno per conquistare la loro fiducia. All’inizio il maschio dominante, che abbiamo battezzato Saddam, mi strappava il pesce dalla mano con brutale violenza, provocandomi anche ferite alla mano. Forse non accettava l’intruso, o forse tale mi considerava”.  Paolo è però tutt'altro che intruso in questa nicchia di paradiso tra Cala Moresca e l’isolotto di Figarolo, dove ogni giorno si compie il miracolo del suo incontro con i regni della natura.


Figarolo. Muflone femmina che allatta il suo piccolo a pochi metri dalla riva (avvistamento del 1 giugno 2019, fatto dalla barca “Marco del Mare” di Paolo Porcelli (foto dello scrivente)

“Eccoli, li vedete, laggiù, in basso? È una madre che sta allattando il suo piccolo!”. Stavolta la scena si è spostata sui calcari impervi di Figarolo, nel versante di libeccio. Un muflone femmina ci vede, siamo lì a pochi metri, tutti scattiamo foto e filmiamo, ma lei non scappa. “Come, non scappa? – mi chiedo fra me e me -. Un muflone selvatico scappa sempre a gambe levate quando vede l’uomo a pochi metri. È una legge di natura. Questa invece continua beata a brucare beata gli ultimi ciuffetti verdi di erba, regalo tardivo del maggio più piovoso e freddo del secolo, e ad allattare il piccolino che ci guarda pure e sembra addirittura salutarci”. Resto sorpreso, perplesso.Finito il periplo di Figarolo ci riappare Cala Moresca nello splendore fatato del primo giugno. “Io lo vedo già, l’ho riconosciuto, è l’unico che volteggia planando sulle nostre teste”, avverte Paolo. Guardo in alto e vedo un piccolo stormo di gabbiani che sembra disturbato dal nostro arrivo. Uno di questi in effetti non batte le ali bianche e grigie, come se si preparasse all'atterraggio.  Mai avrei immaginato che lo facesse inaspettatamente fra le mie gambe, mentre distrattamente mi godevo la vista dell’insenatura. Una giovane coppia inglese, discreta e garbatamente riservata come solo quel popolo sa essere, ha un sobbalzo. La loro meravigliosa bimba, che pare comprata in un negozio di bambole degli anni Sessanta, batte le mani squittendo. È il rumore più percepibile che la piccola famiglia riesce a esprimere per l’intera durata dell’escursione.


Primo piano del gabbiano Jonathan (foto dello scrivente)

Jonathan.  Quale altro nome poteva essere dato a un gabbiano? Nella fiaba di Richard Bach, libro cult degli anni Settanta, il gabbiano Jonathan Livingston si allontana dal suo stormo, i cui membri pensavano solo a procacciarsi il cibo e alle cose materiali, e preferisce volare, volare alto, sempre più in alto, dove gli altri non arrivano, non sanno arrivare e nemmeno ci provano. Invece il nostro Jonathan, il Jonathan di Golfo Aranci, fa esattamente il contrario.  Lui lascia gli altri a volteggiare sopra di noi, in alto, e piomba a capofitto sulla barca di Paolo perché, da buon gabbiano sardo, ama il pecorino, e sa che lui gliene ha messo da parte una bella porzione. Jonathan oltre che intenditore di formaggi nostrani (guai però a rifilargli la buccia)  è scaltro e, come ogni gabbiano che si rispetti, intraprendente. Anche troppo. Nel video che pubblichiamo è lì che in pieno inverno bussa alla finestra di Paolo per chiedere cibo. Lo fa la mattina prima dell’alba, lui non ha bisogno di regolarsi la sveglia. “In questo periodo non viene, perché è il periodo della cova, ma lui sa bene dove e quando cercarmi, e sa anche aspettarmi quando faccio le escursioni. Ha scoperto da solo la mia casa davanti al porto, dopo avere studiato i miei movimenti. Una volta che tardavo a rispondere e ad aprire la finestra ha preso con il becco un piattino dove avevo messo il rosmarino a seccare, e lo ha buttato per terra con violenza.” Dispettoso e permaloso come una scimmia, anzi, come un gabbiano sardo.



Dopo essersi rimpinzato di formaggio dalle mani di noi tutti Jonathan si alza improvvisamente in volo se ne vola verso sud, piantando in asso tutti senza nemmeno salutare. I delfini sono più educati: danzano ammiccanti nel loro lento congedo, e danno l’arrivederci al giorno dopo con un sbuffo delicato, piuttosto un soffio vitale che rilascia mille bolle d’aria a salire in superficie. Jonathan tuttavia è l’altro prodigio che Poseidon esiliato in questi luoghi ha concesso al suo prediletto Paolo, alias “Marco del Mare”.


Paolo Porcelli e la sua assistente ed interprete Irene Varchetta

Il sole affonda inesorabile dietro il colle di Saccuri. Ormeggiamo e salutiamo gli educatissimi  turisti stranieri, i primi della stagione iniziata così tardi. “La prossima volta non venire solo, porta anche Patrizia”, mi raccomanda mentre sbarco. Sta seduto a poppa a godersi l’ultimo raggio di sole insieme ad Irene,  sua giovanissima assistente ed interprete. “Sarà fatto, garantito” rispondo con un sorriso di conferma. E per un attimo, lì a prua, quasi come in un riflesso soprannaturale, mi sembra di intravedere Poseidon che solenne mi saluta, circondato da cortei festosi di Tritoni e Nereidi, e dagli immancabili delfini.


Ideologia oggi parte II




Di  cosa stiamo parlando  

   Riprendiamo l'argomento    trattato nel precedente post : <<   cosa  è  oggi l'ideologia   e  se  essa  sia  o meno una  sovrastruttura mentale >>


Chiacchierando  , sulla domanda    che mi  sono  fatto   nel  post  precedente  ,  con amici   filosofi  non accademici   e  filosofi  ufficiali (  insegnanti  di filosofia )  è nata    questa  interessante  discussione  Essa  vede   protagonista  Alessandro Fontana (studente del liceo G. M .Dettori di tempio pausania ) uno dei relatori alla manifestazione GIORNATA DELLA FILOSOFIA 2019 - “COME FILOSOFARE CON IL MARTELLO, PREMIO ANDREA BIANCO II edizione
una manifestazione culturale che vuole valorizzare l’approccio dei giovani alla filosofia, organizzata dagli studenti del Liceo stesso, dedicata ad un ex studente di Luras prematuramente scomparso, Andrea Bianco [ foto a sinistra ] scomparso prematuramente negli anni dell’Università. Studente estremamente serio e scrupoloso, Andrea Bianco è stato una delle migliori eccellenze del Liceo Dettori. Infatti amava la filosofia e, in generale, lo studio e la cultura. È stato il primo studente del liceo  cittadino  a vincere la selezione d’Istituto per l’ammissione alla finale regionale delle Olimpiadi di filosofia. Anche per questa ragione la scuola che ha frequentato per cinque anni ha deciso di intitolare alla sua memoria un concorso che si può considerare unico per le sue modalità organizzative.

IO
che ne pensi  del quesito   posto nel mio  precedente  post  ?
LUI
Io penso che al giorno d'oggi per ideologia si debbano intendere tutte quelle pseudo idee non supportate da un pensiero critico o analitico, ma solo da stralci di questo, per cui si prende un ideale a metà, lo si universalizza e lo si rende un dogma innegabile sulla base di strumenti e concetti banalizzati come "libertà" e "democrazia". Parliamone, io sono in disaccordo con quella canzone 
N.a



           perché è fondata su un qualcosa di assolutamente astruso, prima di parlare di ideologia è bene              conoscere cosa veramente sia la libertà.

Poi  è  incominciata la lezione   in palestra  e  ci siamo promessi che avremo  il  discorso   . Ma non riuscendo  a  far  collimare   i nostri  impegni  :  maturità lui ,  lavoro  io   per il momento la   discussione    rimane in sospeso. 
Dico  solo   che   siamo arrivati alla   stessa conclusione    ma da strade diverse  . infatti   se  si ascolta  in ritornello della  canzone citata     oltre  a non  sapere   cosa  sia oggi l'ideologia ( intendendo per   essa      un  qualcosa  di critico   o  analitico  )   essa  finisce   , anzi  è  diventata  al  90  %   una  sovrastruttura  mentale    \   qualcosa  di banalizzante  




chi lo dice che i vecchi siano solo rottami ? la storia di " zio " Cusseddu 97 anni ancora in attività nel suo negozio di stoffe e tessuti

 Tziu * Cusseddu 97 anni e non sentirli: immerso in un mare di colori, continua   a lavorare  nel suo negozio di stoffe, a Tempio Pausania.
Secondo  alcuni   non li  dimostra  . infatti  

Valeria Clouds Che emozione per noi nipoti leggere questi commenti stupendi e pieni di affetto. Glieli leggeremo presto uno per uno. GRAZIE ❤️
La modalità selezionata è Più pertinenti, pertanto alcune risposte potrebbero essere state filtrate.

L'immagine può contenere: una o più persone
foto do  Mario Saragatto 

A tempio è una istituzione Lavora da quando aveva 16 anni. Ha versato 81 anni di contributi. Se non lo merita lui di diventare cavaliere del lavoro, chi lo dovrebbe meritare ? Infatti è talmente esperto che tu le dici cosa devi confezionare e lui automaticamente ti dice la stoffa giusta e anche quanta ne devi acquistare. Non hai bisogno di nessuna misura ci pensa lui😊. Ed ha ancora una mano ferma nel tagliarla e si ricorda di ogni stoffa e dove si trova. Un  uomo  di un garbo e  di una gentilezza    in un mondo ormai sempre  più  incattivito  e  selvaggio.   concordo  con  Mariuccia Confalonieri <<  Basta ciò che si vede per capire che bella persona è questo signore, tantissimi complimenti. >>.  

*  da   noi  in Sardegna   e credo  anche al sud      si definiscono zii\zie  o  se  si  è molto intimi  anche  nonni\e    persone   anziane con cui  non  sia   un parentela  









1.6.19

presentazione del nuovo cd di roberto Diana . La chitarra di Roberto Diana e il violino di Giulia Cartasegna , ispirati dalla voce di Marco Muntoni coro Gabriel tempio pausania

Oggi   dal vivo, all'interno della  sala  della  stazione    di tempio  pausania    cosiddetta  sala Biasi,in quando  contiene  delle  opere  di  giuseppe  Biasi  uno dei pittori  più  importanti  del  1900  sardo 
(  sotto  un dipinto  gli altroi  li  trovate  o visitando  la stazione    o  all'urlò della didascalia  )


dipinto grande
da  http://www.unsardoingiro.it/2019/01/alla-stazione-di-tempio-pausania-non-perdere-i-dipinti-di-giuseppe-biasi/

si è svolta la presentazione del cd, frutto della collaborazione di tre grandi artisti dell'arte musicale. La chitarra di Roberto Diana e il violino di Giulia Cartasegna , ispirati dalla voce di Marco Muntoni coro Gabriel di tempio Pausania . Essi si sono fatti interpreti delle sonorità della nostra tradizione, adattandone modernamente ( insomma mantenendola viva e ripetendola passivamente in modo folkloristico ) la loro essenza. Un percorso segnato dal repertorio portato avanti e continuamente tenuto attivo dal Coro Gabriel, che di sicuro ha contribuito , in questa forma a far germogliare questa produzione. Infatti << Spieriedi significa osservare con attenzione , guardare lontano ed esplorare con lo sguardo . Ispirendi come vagabondaggio ed esplorazione profonda , come percorrere le strade più antiche della Sardegna con un tappeto volante cogliendo tutte le sfumature del percorso . Dall'allegria dei balli al dolore dei drammi alla dolcezza dell'amore >> ( dall'introduzione del cd ). Infatti come ha detto bene Galluraoggi  : << “Ispiriendi” è il nome dell’album – scelto da una chiacchierata con il poeta tempiese Gianfranco Garrucciu – che ci invita a seguire l’attitudine del viaggio sonoro. “Quest’avventura nasce dalla voglia di cercare, di guardare oltre, rinnovando le nostre radici: ecco il senso di Ispiriendi”, racconta Roberto
Il percorso si snoda attraverso una selezione di brani della musica tradizionale sarda e gallurese, con testi sacri come il Miserere, i classici No potho reposare e Nanna Corsa, mescolata tra le atmosfere evocative di Roberto e Giulia.
“Noi raccontiamo la vita nei suoi vari momenti e da lì ripartiamo, il viaggio è solo un pretesto per ripartire ancora”, spiega Marco. Nel disco trova spazio la Gallura antica dei banditi con Balistreri,quella dei canti d’amore e della vita grazie a poeti come Petru Alluttu, Don Baignu Pes, Gianfranco Garrucciu. Dalla chitarra acustica al violino passando per la weissenborn e la voce di Marco, l’itinerario ha il pregio di procedere con una struttura sonora sempre ben equilibrata. [.. continua  qui   https://www.galluraoggi.it/tempio-pausania/ispiriendi-disco-marco-muntoni-roberto-diana-31-maggio-2019/ >>

Nessuna descrizione della foto disponibile.


  e  della  vitas  Come sta facendo Sebastiano Dessanay, compositore, contrabbassista e professore di musica nato in sardegna ma residente a Birmingham (Regno Unito) con il suo http://377project.com/il-progetto/ ne ho parlato  in alcuni post  .  O come  fanno Mario Bianchi fotografo    e   sua  moglie  pittrice  Cristina Maddalena



Un ottimo concerto  .  ecco alcune  delle mie  foto .







le  altre  le  trovate  qui  fra  le mie foto  di  facebook


  concludo  sempre  con l'introduzione  al cd
Nessuna descrizione della foto disponibile.



30.5.19

storie che ti prendono quella di Erica Alfaro , delle tre sorelle di mezzojuso che lottano contro la mafia dei pascoli ,

in sottofondo Laura Pausini - Ascolta Il Tuo Cuore

Ci sono notizie chele ragioni più diverse smettono d'essere soltanto l'oggetto di un semplice racconto e finiscono per coinvolgere chi la racconta(o nel Mio caso la diffonde riprendendola o intervistandone i protagonisti) al punto da farlo diventare protagonista della storia

  da  repubblica.it

Erica Alfaro, la foto di laurea nel campo di fragole con i genitori immigrati diventa virale: "Credete nel futuro"

California: la donna, 29 anni e un figlio di 13 avuto da una relazione con un uomo violento, si è iscritta a una scuola serale e ha ottenuto una borsa di studio



Strawberry Fields Forever. Non saranno quelli cantati dai Beatles, ma Erica Alfaro, 29 anni e già un figlio di 13, ne è certa: non dimenticherà mai i campi di fragole infiniti della bassa California, dove i suoi genitori si sono spaccati la schiena per decenni a raccogliere frutta, pur di garantirle un futuro. E per questo ha chiesto a papà Claudio e mamma Teresa — 51 e 50 anni, emigrati da Oaxaca, Messico, nel 1990 — di posare per la sua foto di laurea proprio in uno di quegli orti dove hanno lavorato a lungo.
Eccoli dunque gli Alfaro, fra le fila ordinate di piante verdi punteggiate di frutti maturi, in quella foto che prima ancora di finire esposta sulla parete di una casa modesta, è diventata virale sui social, facendo il giro del mondo. Al centro c’è Erica, radiosa nella sua toga, il tocco in testa e la sciarpa, manco a dirlo, color fragola. A stringerla Claudio e Teresa, i genitori analfabeti e dalle mani callose, dritti e fieri nei loro abiti da lavoro. Sullo sfondo gli orti di Carlsbad, sobborgo di quella San Diego dove la giovane si è laureata in psicologia il 19 maggio. «Dedico la mia laurea ai sacrifici fatti dai miei genitori, venuti in questo paese per darci un futuro migliore» scrive Erica, sotto quell’immagine diffusa su Facebook e Instagram. E prosegue: «Se condivido questa foto è perché voglio incoraggiare gli studenti che non hanno i documenti in regola, le ragazze diventate madri troppo presto, le vittime di violenze domestiche a credere nel futuro e a battersi per finire gli studi. Come me, ce la potete fare».
Poche righe: il riassunto della sua giovane vita. Nata a Fresno, California, in una casa di due stanze condivisa con un’altra famiglia, dove alla notte dormivano 11 persone, Erica passa le giornate a raccogliere frutta nei campi fin da bambina: «Andavo dopo la scuola con i miei due fratelli. A seconda delle stagioni coglievamo fragole, ribes, lamponi, pomodori. Più raccoglievamo, più c’erano soldi per mangiare». A 15 anni prova a sottrarsi a quel presente odoroso di frutta e sudore fuggendo, già incinta, con un uomo di dieci anni più grande. Che prima la picchia, poi la mette alla porta col bambino. Costringendola a tornarsene dai suoi e alla raccolta frutta nei campi. «Mi lamentavo continuamente» racconta alla Cnn. «Il bambino non mi faceva dormire ed ero sempre molto stanca. Finché un giorno mia madre mi ha detto: “L’unico modo per sottrarti a questa vita è studiare. Solo facendoti una posizione uscirai da questo inferno”».
A Erica scatta qualcosa. A 17 anni e il bimbo da mantenere, s’iscrive a una scuola serale, si diploma. Riesce a prendere una borsa di studio all’Università della California. È molto determinata. Ma la vita non smette di ostacolarla. Nel 2012 il bambino è colpito da paralisi cerebrale. Esigenze e spese aumentano: i voti peggiorano. Non molla. «Ci ho messo sette anni. Ma ne è valsa la pena». E oggi, ritorna in quei campi di fragole: per dire che no, non sono per sempre.


 non siccede  solo   negli Usa    ma  anche in italia  infattti
http://www.ansa.it/canale_lifestyle/notizie/societa_diritti/2019/02/04/

Migranti: Mattarella ad inaugurazione struttura per rifugiati © ANSA

Avvocato, ingegnere meccanico o una giovane donna laureata in Economia. L'onda del Mediterraneo infranta sulle coste italiane lascia tra i detriti dei barconi anche una parte del futuro del nostro Paese, che viene dall'Africa o dal deserto asiatico. E tra i rifugiati che scappano dalla guerra ci sono delle eccellenze di cui l'Italia è orgogliosa. "Il progetto che sto portando avanti grazie a tante persone mi fa credere che potrò essere utile", dice commosso Sohrab, afghano di 25 anni mentre si rivolge al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il quale ha partecipato all'inaugurazione a Roma del nuovo 'Centro Matteo Ricci' per l'accoglienza e l'integrazione dei richiedenti asilo e rifugiati. Sohrab ha lasciato la madre quando aveva 14 anni, attraversando molti paesi da solo, con i trafficanti e con altri bambini conosciuti in cammino. E' arrivato in Europa con un gommone carico di persone partito dalla Turchia e arrivato in Grecia, dove è finito per la prima volta in carcere. Lui, che sognava l'Europa, ha provato a scappare tante volte: dentro o sotto un camion, sopra la cabina del guidatore. "Venivo sempre fermato e rimandato indietro - racconta -. E dopo tanti tentativi falliti ho deciso di provare a uscire dalla Grecia via terra: Macedonia, Serbia, Ungheria e tante prigioni diverse. E poi ancora dall'Ungheria all'Austria, la Germania e infine l'Italia. Sempre a piedi. "Ho imparato ad orientarmi con il sole e una mappa di carta, poiché allora non era facile avere un gps. Durante il mio viaggio avevo imparato a comunicare in inglese - dice sorridendo - . In Italia ho chiesto asilo politico, mi hanno accolto in un centro per i rifugiati e in sei mesi ho imparato l'italiano". In tre anni Sohrab ha studiato per riuscire a frequentare l'università e ora, da poco più di un mese, è un ingegnere meccanico, laureato a La Sapienza.Storie simili sono quelle di Charity, una giovane camerunense di 25 anni, rifugiata in Italia da due anni, che dopo essersi laureata in Economia nel suo Paese ha lasciato la famiglia per cominciare la sua nuova vita, impegnandosi per il riconoscimento dei suoi studi anche qui in Italia. "E' l'unico modo che ho per ringraziare i miei genitori di avermi insegnato che lo studio e la cultura possono cambiare il mondo", spiega. Soumaila, invece, in Italia ha cominciato a lavorando nei campi, dopo essere partito dal Mali, passando per l'Algeria, fino a sbarcare in Sicilia quattro anni fa con un barcone dalla Libia. Oggi, a 31 anni, quando dice che presto diventerà avvocato, i suoi amici lo prendono sul serio. "Mi sono laureato nel mio Paese e mi sto specializzando in diritto dell'immigrazione all'ateneo di Roma Uno - racconta - . Ma è stata dura, ricordo che un giorno mentre ero in metro volevo cedere il posto a qualcuno che poi mi disse: 'non mi metto al posto di un negro'". Ora Soumaila gira nelle scuole per insegnare ai ragazzi il nonsense di quelle frasi. "Ma prima ho lavorato nei campi, poi all'Ikea come operaio". E presto diventerà avvocato. "Voglio restare in Italia - dice - dove continuerò a credere che, in metro così come nella vita, c'è sempre posto".
  

Mezzojuso: tre sorelle contro la mafia dei pascoli


Esistono luoghi dove la mentalità mafiosa è dura da scardinare, luoghi in cui si segue il “gregge di pecore” piuttosto che sostenere chi subisce intimidazioni e danni da parte della mafia. Uno di questi luoghi è Mezzojuso, rievoca giocoforza, il perenne condizionamento mafioso perpetrato per anni da parte di Bernardo Provenzano e dai Corleonesi. Proprio a Mezzojuso tre sorelle, titolari di una azienda agricola, si sono messe di traverso contro la mafia dei pascoli che, per anni, ha distrutto i loro macchinari e i loro raccolti facendo pascolare le mucche con la conseguente distruzione dei loro raccolti.Mucche selvatiche, secondo il sindaco di Mezzojuso intervenuto poche settimane fa nella trasmissione Non è l’Arena su La7 condotta da Giletti. Peccato che, le tre sorelle Napoli, abbiano dimostrato che le mucche erano marcate e quindi sono risalite ai proprietari degli animali. Tre donne, tre fimmine sole e quindi facile bersaglio della criminalità. Ma loro non ci stanno, si sono ribellate recandosi dai carabinieri, ottenendo in cambio dai loro concittadini oltre l’indifferenza e l’omerta’ anche il disprezzo per essersi rivolte agli sbirri per risolvere la questione. Già perché in certi paesi ancora funziona così: se si vogliono risolvere i problemi non si va dalle forze dell’ordine ma dal boss locale.Irene, Ina e Anna Napoli hanno deciso di sfidare i boss; la loro vita è un ostacolo continuo da 12 anni, da quando il padre è deceduto e loro hanno deciso di proseguire l’attività di famiglia. Una attività produttiva fino al 2006, con 9 mila balle di fieno prodotte e il raccolto del grano. Purtroppo, con l’intrusione della mafia, la produzione è inevitabilmente calata fino ad arrivare a 330 balle di fieno che non riesco nemmeno a vendere poiché nessuno vuole comprarle.Tutti sottostanno agli ordini della mafia che, quando vuole ottenere qualcosa, può contare sull’appoggio omertoso al fine di portare sul lastrico una azienda per acquistarla ad un prezzo stracciato. Non vedo, non sento, non parlo, persino il Sindaco intervento a ‘Non è l’Arena’ affermando che non era a conoscenza di ciò che succedeva alle sorelle Napoli, in paese nessuno sapeva, come sempre… Visti i continui rifiuti delle sorelle Napoli di vendere i loro terreni che comprendono anche una cava, una sorgente e parte di una riserva naturale, la mafia ha iniziato a prenderle di mira con continui danneggiamenti, incursioni degli animali, distruzione delle attrezzature agricole e persino l’uccisione dei due cani.Le sorelle Napoli non cedono, anzi riescono a filmare e fotografare le mucche che devastano i loro terreni e non sono certo mucche selvatiche. Appartengno ai confinanti delle sorelle Napoli: Simone e Giuseppe La Barbera, rispettivamente figlio e nipote di Nicola il “porta-pizzini” di Bernardo Provenzano. Nonostante le denunce, i due sono stati assolti dal Giudice di Pace di Corleone. Una beffa ulteriore per le tre sorelle Napoli.E le istituzioni? il Sindaco si è mosso dopo che Giletti gli ha dato una bella “sveglia” davanti a tanti spettatori rimasti sconcertati dalle parole di assoluta omertà da parte del primo cittadino di Mezzojuso, caduto dalle nuvole davanti ad una vicenda che dura da 12 anni. Intanto, quelle tre fimmine che la mafia pensava di poter facilmente spaventare, vanno avanti nella loro battaglia quotidiana dichiarando che: “la loro famiglia sono i carabinieri”.

Lia Pipitone figlia ribelle di un boss uccisa da Cosa nostra non è per lo stato italiano vittima della mafia.

La storia di Lia Pipitone è davvero tragica e complessa. Lia Pipitone fu uccisa nel 1983, e nonostante le circostanze del suo omicidio, lo S...