Lorenzo Pianazza non è certamente un eroe, ha fatto quel che doveva in pochi e dinoccolati gesti, immortalati dalla telecamera a circuito chiuso della metropolitana milanese.
È avvenuto tutto in pochi secondi. Un bambino senegalese si divincola dall'abbraccio della madre e rotola sui binari del treno. Seguono il panico, la confusione e l'apparire di quel ragazzone ciondolante, che anche di spalle immagini svagato, perso nella sua imprecisione adolescenziale. E che invece ha già visto e registrato tutto, e va dritto, chirurgico, elementare come un passero in volo, si cala nella buca, recupera il piccolo e lo ridona alla madre. Poi balza di nuovo su, con la svelta grazia della giovinezza. Non è eroismo perché tutto si risolve così, nel pudore di cui è capace solo un ragazzo. Qualcosa d'incontaminato, sfuggito chi sa come alle incrostazioni della storia. Ogni tanto riaffiora, per poi inabissarsi e spuntare di nuovo. Giunge senza pensarci, o senza pensar troppo, o avendo ragionato al millimetro, poliedricamente. È la nostra umanità ordinaria, non l'eccezione. E non poteva che svelarla un uomo del domani, semplice e grande nei suoi sogni segreti. Solo, magari, ma non inerme. Lorenzo lo ignorava ma, mentre rischiava la vita, qualcun altro gliela salvava. Claudia, agente di stazione dell'Atm, s'è accorta di quanto accadeva e, con altrettanta prontezza, ha bloccato l'arrivo del treno. Un angelo terreno per quel giovanotto che, dopo il diploma, vorrebbe entrare nelle forze dell'ordine. Pure Claudia è giovane, già una donna, nel suo culmine e al suo inizio. E poi c'è Milano, il mondo dentro tutto. Voragine di vita, sotterraneo che inghiotte e azzera le esistenze, ma sa recuperarle inopinatamente, riscattandole dall'anonimato. Il buio è morte ma anche grembo, scintillio, refolo. E basta poco, per riappropriarci di noi stessi. "Ho fatto una cosa che avrebbe fatto chiunque", ha concluso Lorenzo. Grazie a te Lorenzo, grazie Claudia, grazie per essere chiunque, per averci rammentato la forza della normalità. Grazie per non essere eroi, ma un uomo e una donna che, nelle Ninivi attuali, sanno rifulgere, e trionfare.
Celeste, 21 anni, di Montebelluna, aveva sedici anni quando è finita vittima di violenza fisica e psicologica da parte di un uomo più grande. Ne è uscita grazie a un percorso medico e all’amore di chi le sta vicino. E ora, con la sua canzone "Lover to lover", ha deciso di aiutare chi è finito nello stesso abisso. "Spero che serva ad altre ragazze e donne vittime di violenza - dice - a ciascuna di loro voglio dire: non sei sola, e saperlo ti aiuterà a uscirne" (via la tribuna di Treviso)
Celeste, la forza dopo il dramma: da vittima di violenze, ora canta per le donne
La giovane cantante in un video che squarcia il silenzio: «Ero minorenne, quell’uomo mi ha distrutta»
di Fabio Poloni
Celeste, 21 anni, di Montebelluna, aveva sedici anni quando è finita vittima di violenza fisica e psicologica da parte di un uomo più grande. Ne è uscita grazie a un percorso medico e all’amore di chi le sta vicino. E ora, con la sua canzone "Lover to lover", ha deciso di aiutare chi è finito nello stesso abisso. "Spero che serva ad altre ragazze e donne vittime di violenza -dice - a ciascuna di loro voglio dire: non sei sola, e saperlo ti aiuterà a uscirne Cantare via la violenza, torcerla fuori dai polmoni, dalla testa, dall’anima. Celeste ha subìto sulla propria pelle. Aveva sedici anni. Violenza fisica, psicologica, un giogo fatto di manipolazioni e promesse da parte di un uomo di undici anni più grande di lei. Ora Celeste, dopo cinque anni in questo pozzo dell’anima che l’ha portata a toccare il fondo autodistruttivo, ne sta uscendo grazie a un percorso medico e all’amore di chi le sta vicino. E, per trovare la forza per staccarsi definitivamente dalla forza di gravità di questo abisso, fa la cosa che ama di più: canta.
Una canzone che è diventata un video bellissimo, uno squarcio di luce nel buio di questa cornice, un inno contro la violenza sulle donne. «Un messaggio per me e per tutte - racconta - Ho vissuto un dramma fatto di sensi di colpa, inferiorità, inadeguatezza. Omertà personale, come se la violenza subìta fosse colpa mia. Spero che serva ad altre ragazze e donne vittime di violenza, a ciascuna di loro voglio dire: non sei sola, e saperlo ti aiuterà a uscirne».
Celeste oggi ha ventun anni. Montebellunese, talento vocale raro, già allieva della “Art voice academy”, è stata finalista all’Arena di Verona del Festivalshow. La musica è il suo sogno, la sua vita, ma proprio in quell’ambiente ha trovato l’uomo che l’ha fatta sprofondare. Ci racconta l’orrore della sua storia personale - è raccapricciante, le tremano ancora mani e voce - ma chiede di lasciarla in secondo piano. «Mi ha plagiata, distrutta. Infine insultata, minacciata. Ha giocato con i miei sogni di ragazzina, ha distrutto la mia adolescenza e ancora oggi ne pago le conseguenze. Ora voglio solo che la mia storia possa servire a chi ne ha bisogno».Su Facebook nei giorni scorsi ha postato il video
della sua cover di “Lover to lover” di Florence & The Machine.
Sono mesi e mesi che non scrivo, non canto, non suono, non esprimo nulla di tutto ciò che vorrei urlare al mondo. La violenza, che sia psicologica o fisica, è un atto degno di condanna, spesso difficile da accettare, comprendere, impossibile da superare per chi ne è vittima, poiché si trasforma spesso in una tortura psicologica incontrollabile, con ripercussioni che non hanno mai scadenza. Il 25 novembre è stata per me una data significativa, dedita alla campagna di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne. Ho registrato la mia voce nel gennaio di tre anni fa, uno degli inverni più freddi e bui della mia vita, quando la rabbia ed il dolore scorrevano ininterrottamente nel mio sangue e nella mia anima. Scelsi di reinterpretare e arrangiare piano e voce questo brano per l’enorme intensità e significato del testo, una commistione di disperazione, rassegnazione, smarrimento, pura forza distruttiva. Condividetela se vi sentite parte di questo progetto, del messaggio che esso contiene o se sostenete le mie stesse parole: possono essere quelle di molte altre donne.
Un urlo che si pianta tra la patina d’oro del giorno di San Valentino e le cronache macchiate di femminicidi e violenze continui. A convincere Celeste a trasformare quell’incubo personale in un video terapeutico è stato un suo amico videomaker, che ha realizzato le immagini. «Sono mesi e mesi che non scrivo, non canto, non suono, non esprimo nulla di tutto ciò che vorrei urlare al mondo», scrive Celeste sul suo profilo social, «La violenza, che sia psicologica o fisica, è da condannare, spesso difficile da accettare e comprendere, impossibile da superare per chi ne è vittima, si trasforma in una tortura psicologica incontrollabile, con ripercussioni che non hanno mai scadenza.
Ho registrato la mia voce nel gennaio di tre anni fa, uno degli inverni più freddi e bui della mia vita, quando la rabbia e il dolore scorrevano ininterrottamente nel mio sangue e nella mia anima. Scelsi di reinterpretare e arrangiare piano e voce questo brano per l’enorme intensità e significato del testo, una commistione di disperazione, rassegnazione, smarrimento, pura forza distruttiva. Condividetela se vi sentite parte di questo progetto, del messaggio che esso contiene o se sostenete le mie stesse parole: possono essere quelle di molte altre donne».
«Ho perso il sonno, ho vagato per le strade giorni, giorni e giorni. Ho tenuto segreti al mio cuore e alla mia anima – è il testo della canzone – non c’è salvezza per me». Ma urlarlo, per Celeste, è già negarlo.
stranezze dell'italia si permette di candidarsi ed essere votato all'estero a figli o nipoti ed pronipoti a chi non ha più rapporti o ne ha mai avuto ed non parlano neppure l'italiano o non conosco bene ( se non la stampa internazionale ) il nostro paese ma non permette la cittadinanza a chi è rientrato in italia dall'estero ritornando nel paese dei nonni .
La stroria che strovare sotto è un classico esempio ,in culo ai salvini e ai diffusori dela pura razza italiana , di come in certe zone d'italia ci sia una forte contaminazione etnica . Infatti Intorno al 1870 immigrazione avorita” dall’impero asburgico , molti emigrarono dal Friuli Venezia Giulia in Romania molte persone specializzate; era questa un’emigrazione stagionale, temporanea o pendolare formando i cosidetti italo-romeni che hanno creato una comunità d’origine italiana presenti in Romania sin dalla prima metà dell’Ottocento da http://messaggeroveneto.gelocal.it/pordenone/cronaca/2018/02/15/
Nata in Romania e vive a Sacile, suo nonno era di Caneva "ma l'Italia non mi vuole"
Dal 1995 vive a Sacile, ma la cittadinanza non arriva: Carina Cesa Sava, presidente della comunità di 400 romeni ha radici familiari a Caneva, ma per lo Stato è un’immigrata. Una “straniera” con i nonni paterni italiani. Ora vuole scrivere al Presidente Mattarella
di Chiara Benotti
Carina Cesa Sava
SACILE. Dal 1995 vive a Sacile, ma la cittadinanza non arriva: Carina Cesa Sava, presidente della comunità di 400 romeni ha radici familiari a Caneva, ma per lo Stato è un’immigrata. Una “straniera” con i nonni paterni italiani.
«Non ho la cittadinanza italiana nonostante viva e lavori da 23 anni a Sacile – racconta Carina –. Mio nonno paterno si chiamava Cesa: è nato a Caneva nel 1891 e dopo la prima Guerra mondiale si trasferì in Romania. La nonna paterna era una Moro di Bannia di Fiume Veneto». Non basta.
La storia. «Nel 1998 ho inoltrato la prima domanda ci cittadinanza, presentando la documentazione – continua Sava –. Niente da fare: mi hanno risposto che non ho un reddito continuativo e questo avrebbe potuto gravare sul bilancio dello Stato». La presidente dell’associazione romena “George Enescu” a Sacile è docente a contratto: dall’università alle superiori. «I nonni sono partiti per la Romania in cerca di lavoro: il nonno lavorava nel settore dell’edilizia – ricorda la docente –. La nonna si chiamava Italia Margherita e nel 1927 è nato mio padre vicino a Iasi, una città romena».
La storia della famiglia cambia dopo il secondo conflitto mondiale. «Nel 1952 i comunisti emanarono una legge contro gli stranieri – riassume Carina –. L’aut aut era chiaro: rinunciate alla vostra cittadinanza d’origine per naturalizzarvi romeni, oppure andatevene. Mio padre Ferruccio non aveva altra possibilità: da laureando in medicina ha rinunciato alla cittadinanza italiana». Gli stranieri in Romania erano definiti di “non sana origine”: in odor di capitalismo. «Nel 1976 mi è stato negato un viaggio in Italia con borsa di studio.
Da insegnante a Galati, sul Danubio, ho chiesto di raggiungere l’Italia per motivi di aggiornamento professionale: permesso bloccato». Il crollo del Muro di Berlino ha rimescolato politica, economia e destini. «Abbiamo deciso di venire in Italia negli anni Novanta perché eravamo stanti di rivoluzioni e abbiamo tanti parenti – ricorda Carina –. Ma per lo Stato italiano non ho diritti che attestino il rilascio del certificato di cittadinanza. Ho scritto al presidente della Repubblica per raccontare la mia storia».
A Sacile. Al voto tanti romeni il 4 marzo e il 29 aprile per le elezioni politiche nazionali, regionali e amministrative a Sacile. «Mi corteggiano per aderire a una lista che si presenterà alle elezioni comunali il 29 aprile – ha detto Sava –. Non ho preso decisioni e credo nella cittadinanza europea, a questo punto». Il centrodestra nelle elezioni comunali 2014 aveva schierato Silviu Voineagu nella lista “Ceraolo sindaco-civica per Sacile». I romeni sono circa 400 in città, ma al voto era andata una percentuale minima di “comunitari”, come li chiamano all’anagrafe e non tutti romeni: 28 per le europee e 23 nelle comunali nel 2014. Dopo quattro anni i numeri sono in aumento.
«È importante creare una rappresentanza in Comune – ha valutato Sava – della nostra comunità romena». A livello nazionale per allargare il più possibile la base di consenso, nel 2014 era stato formalizzato un accordo tra la forza politica di Silvio Berlusconi e il Partito dei romeni d’Italia.
A Sacile i romeni sono invisibili fra gli italiani: danno il loro contributo, pagano le tasse e gli affitti, fanno dei lavori spesso umili e tanti sforzi per integrarsi. Sono quasi 400 tra 2. 144 stranieri in città. Nel 2014 non hanno ottenuto un rappresentante in consiglio comunale: sarà l’occasione decisiva il 29 aprile ?
certo lacosa fa rabbia come ho già detto all'inizio del post , ma è di quelle effimere che poi scompaiono o si spengono subito . Ifatti io se fossi in lei me ne fregherei ed eviterei di peredere tempo ( e come lavare la testa all'asino con il sapone ) con politicanti che se fregano del paese ormai sempre più multi etnico o con casi come quello dela signora , e farei come fece lo scultore e non solo Costantino Nivola(Orani,5 luglio1911–Long Island,6 maggio1988) le cui la collezione più importante si trova al Museo Nivoladi Orani
Inizialmente , ed è questo uno dei motivi per cui avevo snobbato la visione cinematografica e stavo per fare la stessa cosa con le due puntate televisive, avevo l'intenzione di non guardarlo in quanto il solito film agiografico commissionato dala famiglia
Ma poi come i naviganti vengono attrati dal richiamo delle sirene ( III) ho ceduto complice 1) il batage pubblicitario e mediatico ., 2) queste interviste di https://movieplayer.it/ al regista e poi alle attrici .,, 2) consiglio e critiche entusiaste d'amici fans , fra cui anche gente che lo ha conosciuto direttamente , ho ceduto alla visione del film , anzi della fiction in quanto l'ottimo regista Luca Facchini è specializzato in tale genere avendo girato La nuova squadra e La Nuova Squadra - Spaccanapoli .
Ora a livello al livello cinematografico, secondo alcuni comenti trovati in rete non ha reso molto perche' e' stato girato con tempi e inquadrature adatte alla tv, Infatti è una fiction con tutto quel che ne consegue. Quindi deve essere "potabile" per un pubblico generalista, che di Fabrizio De André magari conosce "La canzone di Marinella" e poco altro. Infatti concordo con questo intervento qui sotto
Un film senza infamia e senza lode , bambu come diciamo noi sardi . Certo è Ottima l'ambientazione e la fotogrfia ,dei luoghi , eccetto in cui c'è solo un brevissimo accennno alla campagna astigiana a Revignano d'Asti dove i de andrè sfollarono durane la guerra . Ottima l'interpretazione degli attori su una sceneggiatura scialba e agiografica con punte di stuchevolezza . Brravissimi gli attori principali ma anche queli secondari in particolare : 1) MATTEO MARTARI è Luigi Tenco 2) GIANLUCA GOBBI è Paolo Villaggio . Infatti Nnessun riferimento a sua madre , figura importantissima , nessun cenno , salvo qualche semplice batturta la semplice battuta a Fernanda Pivano , Don gallo , i creatori della rivista A figure di spicco insieme a nella vita di Faber Nessun approfondimento delle figure di "contorno " ( fratello , figli ) . Mancanza di dettermnanti e dolorosi fatti della biografia di de andrè come il periodo della tossicodipendenza di cristiano e le reazioni del padre . qui altre mancanze e stranezze .
Alcune persone sono quasi ridicolizzati in particolare la figura di Puny ( ma perche' offenderla cosi' ? ) e alcuni come don Gallo e Gianni Tassio ( ma forse verso quest'ultimo c'è una sorta di damnatio memoriae visto che , per un piccolo screzio , cose che succedono fra amici intimi com'erano lui e faber , gli eredi di Fabrizo trasferiscono la sede dell'associazione fabbrizio de Andre da Genova sarebbe stato giusto che fosse rimansta li in via del campo visto che Faber si faceva inviare li tutta la corrispondenza anche la più privata nel suo negozio , a Milano ) , altri come Grilo di cui de andrè è stato testimone di nozze ma ncano o fanno solo delle invisibili comparsatre come il caso do don Gallo . Le mie critiche \ stroncatuire possomo trovare conferma \ supporto e posso fr capire del perchè lo reputo unopera senza infamia e senza lode sono questi due arrticoli . Il primo di https://www.rockol.it/ che riporta l'interventgo di Walter Pistarini, quello che consideriamo il massimo esperto italiano sull’argomento De André, webmaster di http://www.viadelcampo.com/ e autore di svariati volumi dedicati al cantautore genovese (il più recente è questo, ma ce ne sono anche altri ) << [...] Il film fiction sicuramente per scelta narrativa, si focalizza sul Fabrizio De André uomo, e molto poco sull’artista. Viene dato molto spazio ai rapporti famigliari, al rapimento, e poco al cantautore. Viene raccontato che ha avuto successo, ma non si capisce perché: sembra quasi che gli sia piovuto dal cielo. C’è qualche risicato accenno al suo amore per la poesia, ma manca, ad esempio, la sua ricerca spasmodica per la parola giusta nei testi, che fosse una parola corretta, non banale e per di più facilmente comprensibile. De André era anche molto meticoloso in studio di registrazione, per essere certo che il prodotto finito fosse come lui lo voleva. Questa volontà di ricerca della perfezione (sempre irraggiungibile, d’accordo, ma ricercata continuamente) nel film manca completamente.E poi, sempre sotto il profilo artistico, si è stati un po’ troppo leggeri: la Karim sembra che sia l’unica casa discografica di Fabrizio, perdipiù gestita da furboni (che c’erano, indubbiamente, ma era nata con gente preparata). Un accenno almeno a Tony Casetta ci sarebbe dovuto essere: è stato il secondo discografico di De André, e aveva una fede incrollabile sulle sue capacità che lo portò da “Volume 1” a “Rimini”. E’ vero che il testo di “La città vecchia” venne modificato (“specie di troia” divenne “pubblica moglie”) ma esistono anche 45 giri con la prima versione, quindi ci fu una prima produzione... insomma, quell’episodio andò in modo leggermente diverso.
“La canzone di Marinella”, secondo quello che raccontò più volte lo stesso De André, era stata ispirata da un fatto accaduto nell’astigiano: che bisogno c’era di farlo accadere ad Arenzano, in Liguria ? L’amicizia con Luigi Tenco è ben rappresentata, ma “Preghiera in gennaio” nasce anche dall’emozione che Fabrizio provò quando si precipitò a Sanremo durante la notte della morte di Tenco e vide il suo amico morto con la testa fasciata. Avrei speso anche un’immagine per il funerale di Luigi, a cui Fabrizio partecipò con pochissimi “colleghi”.
E le collaborazioni? Capisco che mettere in scena tutti i collaboratori di De André era tecnicamente impossibile, ma così si è perso un altro aspetto fondamentale del suo essere artista: lui ricercava e selezionava le collaborazioni sia sui suoi dischi ma anche su dischi altrui (“Questi posti davanti al mare” con Ivano Fossati e Francesco De Gregori, “La fiera della Maddalena” con Max Manfredi, “Davvero davvero” con Mauro Pagani, “Cose che dimentico” con Cristiano e Carlo Facchini eccetera). Si vedono solo, e per pochissimo, un giovane Massimo Bubola, e per un po’ di più Riccardo Mannerini (presenza che abbiamo molto apprezzato), ma che dire di Piovani, Reverberi, De Gregori, Pagani, Fossati? Il film non riesce a far capire l’importanza di questo tipo di rapporti.
Non si parla dei Tempi duri (l’unico gruppo prodotto da Fabrizio De André, che coinvolgeva il figlio Cristiano), né della casa discografica che crearono lui e Dori, la FaDo, che produsse anche Bubola e la stessa Dori.. E' vero che “Principe libero” racconta molto dell’uomo Fabrizio, quasi certamente grazie anche al contributo di Dori Ghezzi, ma dice poco della genialità che ha reso Fabrizio De André una figura fondamentale nella storia della musica d’autore italiana. >> qui l'intero articolo.
IL secondo è di Francesca Camponero per http://www.artslife.com : <<< [.... ] la grossa pecca delPrincipe libero(questo il titolo del film) è che nelle tre ore della sua durata non tiene il tempo, e soprattutto non mette a fuoco quello che andava messo a fuoco di questo personaggio-chiave per la storia della musica italiana, quello che Fernanda Pivano definiva come “la voce di Dio”.Poca la poesia e ancor meno la sacralità, che erano in Fabrizio, malgrado tutti i conflitti e le contraddizioni dentro di lui.
>> Gli sceneggiatori Giordano Meacci e Francesca Serafini si sono dati più da fare nell’esplorare le vicende personali del cantautore senza raccontare la parte crativa dell’artista inserita in un contesto storico ben preciso.
Eppure le canzoni di Faber procedono di pari passo con le sue idee politiche, con l’abilità di non far avvertire mai questo al pubblico. Anche Genova si vede, certo, ma poco e quel poco non è attinente alla realtà: vicoli deserti, come vuota la spiaggia di Boccadasse. Luoghi che sia negli anni’60 che oggi pullulano di gente che li vive a pieno. Così anche se Marinelli e Fantastichini cadono più volte in un leggero accento romano è sicuramente il problema minore. La scelta registica di incentrarsi sui rapporti con la prima moglie Puni e poi sulla storia con Dori Ghezzi non eleva il racconto su un piano più ampio, come quello dell’amore, risolutivo e fondamentale in tutta la poetica di De André. Un vero peccato.Il film ci presenta un artista irrequieto alla perenne ricerca della libertà privata e professionale, non tenendo però conto della complessità intellettuale che era in Fabrizio. Nessuna attinenza alla realtà nei suoi rapporti con la famiglia e con il figlio Cristiano. Tra i due esisteva un rapporto difficile, conflittuale, assolutamente travagliato. “Lui era un uomo fragile, saliva sul palco con la bottiglia di Glen Grant e ti coinvolgeva nel suo dolore fino a farti piangere – raccontò il figlio in un’intervista. “Se mi vuoi bene piangi” dicono le parole di una sua canzone, questo era il suo modo di sentire che era corrisposto. Tutti quelli che lo hanno amato sanno che vuol dire.Questo era Fabrizio De Andrè, quello che evidentemente non è stato raccontato, o non si è voluto raccontare. Il figlio era contrario a quest’operazione, una scelta complessa, veicolata purtroppo attraverso l’usuale canone televisivo italiano, che purtroppo ha finito per inserirsi immediatamente nelle dinamiche, formali del piccolo schermo. Forse Cristiano De Andrè aveva visto lontano. >> qui l'articolo completo Ora va bene che non è cosa facie fare un botopic quando una persona di notevole spessore artistico e culturale pari ad un Bob dylan e ad un Guccini morto da poco (quasi 20 anni fa ) non sia semplice e che i nomi vanno cambiati per evitare fiuguracce e problemi ( vedi il romanzo il giorno del giudizio di Salvatore Satta ) ma da li ad arrivare a stravolgere \ sminuire detterminati fatti e persone ce ne vuole ma da li a sttravolgere per farne la solita pappa agiografico ce ne passa Un Luca Facchini con coraggio , avrebbe dovuto osare ed insistere per una sceneggiatura migliore , a differenza delle due fiction precedenti ( vedere url citati sopra ) in cui era stato coraggioso ad affrontare temi tabu o strumetalizzati come la corruzione e le nefandezze ( ovviamente senza generalizzare ) delle forze dell'ordine . Peccato un occasione persa per far conoscere de andrè alle nuove generazioni oltre la mitizzazione e l'agiografia .
da amazzon
A confermare quello che dicevo prima e che esso non è un film ma una cattiva fiction spacciata per film c'è il fatto che il dvd del film è già disponibile in rete da fine mese ma già prenotabile
Ecco quindi che con questo stragemma " legale " che ha permesso d'accorciare i tempi di passaggio dal cinema alla tv e poi in dvd . Ma soprattutto farà da traino all'ennesima uscita in edicola di tutte le sue opere stavolta in vinile , sia l'ennessimo cofanetto Tu che m'ascolti insegnami, il cofanetto che contiene i brani rimasterizzati di Fabrizio De Andrè.esce Tu che m'ascolti insegnami, che contiene i brani rimasterizzati di Fabrizio De Andrè. Iniziative secondo me sono da raschiamento del fondo del barile il che mi conferma che 1) Anche la famiglia de Andrè soffre della difficoltà , comune a tutte le famiglie di personaggi celebri e popolari a smarcarsi anche se in questo film c'è un tentativo anche se pur vago , da quella caraterristisca agiografica e mitologica del personaggio , 2) la mancanza di coraggio , cosa che invece lui ebbe din mandare a .... chi lo ha truffato con contratti capestro . 3) la mancanza d'uscire dagli schemi e da rituali iconoclasti ed agiografici pubblicare cose poco note . e inedite visto che hanno la fondazione che si trovano negli archivi familiari e note ai poch come esempio la famosa lettera di cutolo a de andrè che o ringraziava per esersinispirato a lui per la canzone di don raffaè . 3) canzoni anche se grezze scartate , il famoso disco semi pronto dopoanime salve . Un film che non è piaciuto a molti appassionati e cultori de andreiani , soprattutto quelli non fanatici e non agiografici . Ecco una delle tante discussioni presenti sui social e in particolare su facebook https://www.facebook.com/ilFattoQuotidiano/posts/2218254218188812
Anna NapodanoNon emerge per nulla della drammaticità e dell’intensità di un poeta così assoluto. Sembra miele colato. Nessuna traccia di una mente geniale e combattuta, di una sofferenza universale, di un anelito culturale vasto e immaginifico. L’hanno ridotto ad un poveraccio che si barcamenava tra la bottiglia e le pantofole. Per carità!
Thomas CordaPer me è lei che non ne coglie il reale senso e le sfumature .. a me arriva! E non credo affatto che i suoi cari avrebbero approvato la messa in onda, se la sua descrizione del personaggio arrivasse ai più in quel modo.
Elena CutronaAnche io lo immaginavo diverso...ma come ogni artista magari quello che trasmette nn rappresenta la sua vita di tutti i giorni e per quanto lo abbiano edulcorato comunque la moglie è stata coautrice e sicuramente ne saprà piu di noi
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Gabriella MolinaroloAl di là della bravura di Marinelli ,non mi ha lasciato nessuna emozione...è una cronaca di eventi che rimane in superficie ,non entra nella magia del grande Faber, dov'è la sua forza anarchica? il suo amore per gli ultimi? il suo gridare contro le ingiustizie del mondo e della vita? L sua ricerca verso la verità ? E la sua poesia? Preferisco di gran lunga ascoltare le sue canzoni che sono il suo immenso testamento e grande patrimonio dell'umanità ,e guardare le sue interviste...
Gabriella Molinaroloper la delicatezza con cui, mi sembra, si sia calato nel personaggio...sicuramente l'ho apprezzato di più nel film"il padre d'Italia"
Manolo Dc WrongoneSi vabbè... Tutti critici.. Se vogliamo discutere pure Marinelli.. Per descrivere al meglio la persona e la vita di Fabrizio ho calcolato che sarebbe occorso almeno altre 5 ore e mezza di film... Il regista ha colto l'immagine più generalizzata a grandi linee..
Claudia GioveDe André esprimeva attraverso le sue canzoni la sua anarchia, il suo amore per gli ultimi e il desiderio di giustizia. Nella vita di tutti i giorni era una persona con la sua vita normale, i suoi affetti, i suoi pregi e difetti, i suoi vizi e le sue debolezze. E perché non dovrebbe essere stato così?
Gabriella MolinaroloSono d'accordo....ma che bisogno c'era di farci un film....bastano le sue opere a creare emozioni a farci pensare ,la vita privata riguarda la sfera più intima di una persona e ,secondo me,deve rimanere tale
Davide Mazzeiche domande stupide quelle che iniziano con "che bisogno c'era". i bisogni sono mangiare, bere e dormire, tutto ciò che ha a che fare con l'arte e l'intrattenimento si fa perché a qualcuno va di farlo. non per bisogno.