16.9.05

Senza titolo 800







 

Nel suo interessante articolo su Repubblica di oggi Tim Garton Ash propone un sommario di sei diverse tesi sull’Islam e il suo rapporto scontro con l’Occidente, che si possono sintetizzare così:

1.   L’Islam è religione, la religione è superstizione e falsa conoscenza, c’è bisogno di una società laica nei paesi islamici.

2.   Il problema non è la religione in se ma la religione islamica in particolare.

3.   Il problema non è la religione islamica ma l’interpretazione distorta dell’Islam data dalle correnti integraliste.

4.   Il problema è politico: nessuno stato arabo è una democrazia autoctona.

5.   Il problema è l’Occidente, la sua immoralità, l’appoggio dato ad Israele.

6.   Il problema sta nel contatto tra l’immigrazione dei giovani musulmani e l’occidente che se per la maggior parte costituisce un enorme attrazione, dall’altra suscita disgusto e violenza in una minoranza.

Mi stupisce come manchi una tesi economica, piuttosto evidente.

Il fatto è che i 22 Paesi della Lega Araba costituiscono i maggiori detentori della ricchezza del petrolio, che è il bene mondiale attualmente più prezioso e la cui disponibilità va via via diminuendo.

La Lega araba non è mai stata unita, in realtà, sin dalla sua fondazione nel 1945. Divisa sin da allora tra paesi filo sovietici e filo occidentali.

Oggi divisa ancora tra stati filo occidentali e stati che rivendicano anche violentemente una propria indipendenza e autonomia, essi costituiscono in realtà il più grosso problema per l’economia liberista occidentale.

Che accadrebbe se la Lega Araba mettesse da parte odi e divergenze e si unisse in un mercato comune del tipo europeo e decidesse di porre un embargo petrolifero, o di escludere le compagnie occidentali dall’affare petrolifero?

Il nocciolo del problema è proprio questo e l’Iraq, uno dei paesi del petrolio, non a caso è al centro di questo conflitto già iniziato e di cui l’Islam e il Cristianesimo sono in realtà un banale pretesto.

Nel frattempo ieri in Iraq ci sono stati oltre 150 morti, oggi altri 20, e la democrazia irachena dal suo instaurarsi, ha comminato oltre alle torture subite nei vari carceri speciali, 41 condanne a morte e oltre 5000 condanne all’ergastolo.

 

 

 

14.9.05

chiama i 118 per un canen è viene denunciato per interruzione di pubblico servizio





OLBIA. Finirà in un’aula di tribunale, il caso del soccorso a un cane fatto dal 118. Perché se il padrone dell’animale ha annunciato una denuncia per omissione di soccorso, i vertici della Asl di Sassari stanno valutando la possibilità di chiamare in causa lui per interruzioni di pubblico servizio. In un caso o nell’altro, insomma, i giudici saranno chiamati a pronunciarsi su una storia che presenta alcuni lati oscuri. A cominciare, aspetto non trascurabile, dalla richiesta di intervento. Che, secondo una versione ufficiosa della Azienda sanitaria, sarebbe stato chiesto senza specificare che il ferito era in realtà un cane. Piccolo riepilogo. A Porto Cervo c’era una mostra di cani. Uno di questi si è sentito male, ha ricevuto le cure di un veterinario. Ma il padrone ha chiesto l’intervento del 118. «Al nostro centrale è arrivata la richiesta di soccorso - è la spiegazione che la Asl ha dato ieri ad alcune autorità -. Ma la persona che l’ha fatta non ha specificato che era per un cane. Urlava, aveva la voce concitata, sembrava che stesse per accadere una tragedia. In questi casi è necessario intervenire, e subito». E infatti: dalla centrale, erano le 18.50 di domenica, è stata inviata un’ambulanza. Da Olbia in direzione di Porto Cervo. Poi un’altra ambulanza, con il medico. «L’uomo ha richiamato, era ancora più agitato, diceva che stava morendo qualcuno, che non respirava più» è stata la spiegazione della Asl. Così è andata. Le due ambulanze hanno incontrato all’altezza del bivio di Porto Rotondo l’uomo che aveva chiesto i soccorsi. E lì, la sorpresa. Non di un paziente si trattava, ma di un cane. «Non gli abbiamo dato l’ossigeno perché non è possibile farlo, perché il 118 ha dei suoi strumenti, e non prevedono il soccorso per un cane. In molti casi, quando ci chiamano per animali sofferenti, indichiamo i veterinari più vicini. Ma in questo caso il problema è un altro». E il problema è che il 118, per un’ora, ha dovuto impegnare due mezzi per un intervento che non avrebbe dovuto fare. «Per fortuna, in quell’ora non sono successi eventi, altrimenti avremmo rischiato moltissimo» dicono a Sassari. Ed è per questa ragione che la dirigenza della Asl sta pensando di denunciare il richiedente per interruzione di pubblico servizio.

Senza titolo 799

vogliono fare entrare la Turchia in Europa.


per anni ci hanno rotto i coglioni a noi itagliani, con la storia che avevamo il PIL, il disavanzo, la disoccupazione e chi più ne ha più ne metta, in netta DISSONANZA con i parametri europei, il mercato, la concorrenza.


ancora facciamo i clown del teatrino europeo, con le corna del cavaliere, le sue goffe imprese da casanova con le filandesi, o con fazio che nulla riesce a smuovere dalla sua poltrona di pelle umana.


intanto tedeschi e francesi hanno cominciato a fare gli itagliani e nessuno gli ha detto nulla.


adesso voglio fare entrare in europa la Turchia, dove l'opposizione viene assassinata, gli studenti pestati e torturati se contestano il regime, i curdi sono ghettizzati e trattati come gli ebrei al tempo di zio adolfo...


ma che razza di europa è questa?


certo, le sinistre e le associazioni turche per i diritti umani dicono: fateci entrare in europa così tutto questo cambierà.


ma entrare in europa non doveva essere condizionato al raggiungimento da parte del governo turco di certi standard minimi, e dico MINIMI, di democrazia?


io credo che PRIMA DEVONO ESSERE RISPETTATI GLI IMPEGNI POLITICI, DEMOCRATICI ED ECONOMICI, E SOLO POI, SE I RISULTATI SONO CONSEGUITI, QUANDO LA TURCHIA ASSOMIGLIERA' NON DICO ALLA DANIMARCA O ALL'OLANDA, MA ALMENO ALLA ROMANIA, POTRA' ENTRARE NELLA NOSTRA COMUNITA'.


Nel frattempo ci vorrebbe qualche norma che consenta di perseguire tutte le infinite violazioni dei diritti umani perpetrate allegramente nella patria di Ataturk.


Utopie? Spero di no, sono regole che devono valere per tutti, non solo per questa itaglia terrona d'europa.


 


 


TORTURA: SORPRESA!
La Commissione Europea per la prevenzione ha tolto la Turchia dalla lista dei cattivi e, guarda caso, vi ha inserito due Paesi che l'avevano criticata: Germania e Grecia.
The European Committee for the Prevention of Torture (Cpt) has removed Turkey, who had remonstrated to the world twice, from the list of countries that will be investigated for torture and added countries who had criticized Turkey this year.
Turkey, which had been accused of violating human rights in its fight against terrorism, began using the slogan of "zero tolerance for torture" to help rid it of its past record. Positive results of from recent studies are being obtained. While the Cpt announced to the world in 1992 that torture was being implemented in Turkey, it has now removed Turkey from among the list of countries that will be under investigation in 2005. The Committee runs the European Covenant on the prevention of torture. Having criticized Turkey for many years about "torture", Belgium's inclusion to the list drew widespread attention. Germany and Greece were also added to the list with accusations that people whose freedoms were taken away would be examined. The Committee will also investigate human rights violations in Hungary, Norway, the Russian Federation, San Marino, Slovakia and Ukraine along with these three prominent European countries. A letter to all related units, parliaments and prime ministries announced this development. Turkish Prime Ministry Human Rights Council (Hrc) Chairman Associate Professor Vahit Bicak said yesterday the long ago implemented zero tolerance for torture policy, has begun to show its influence.
Human rights organizations have prepared many reports on human rights developments in Turkey. The Cpt reports on Turkey gain widespread attention. The Committee, coming to prominence during the1990s, began "uninformed" visits to countries in those days. Reports were written after investigations were conducted regardless of information givenby any authority; however, they were not announced to the public interest. Continuing with these implementations until 1992, Cpt made an exception for Turkey. In a public announcement taking into consideration the developments in human rights, the Committee signed a decision after many years in favor of Turkey. The Cpt determined the countries in which investigations have been implemented for 2005 into the suffering of people lacking freedoms and excluded Turkey from the list for the first time. The decision was communicated to the Turkish Foreign Ministry in a letter.
The following topics were investigated by the Cpt during its 14 visits to Turkey: Cpt investigated claims of physical and psychological torture and bad treatment implemented by the police officers during questioning; looking at whether or not people who were arrested were able to meet with their lawyers; the planning of more technical methods; the fight against terrorism being realized through the use of torture and bad treatment; arrested people's right to demand the doctor of their preference; determination of the inquiry methods; updating cell conditions at police stations and the gendarme; training of the police on human rights and the rehabilitation of physical arrest procedures. (Edip Ali Yavuz/Zaman)
23.02.2005


 


Izmir
May 29, 1998

Torture at Manisa

As a teenage high school student in December 1995, Sema was detained from her school in Manissa with a group of 15 other young people and accused of being a member of an illegal organization. Their treatment during police custody was to become a national and international scandal, highlighting the persistent problem of torture and the inadequacy of safeguards to protect detainees from abuse. This case was particularly shocking because the victims were so young and so ordinary. Parents all over Turkey realised that this could happen to their children. The "crimes" which formed the basis of their prosecutions were so minor -- writing slogans on a wall saying, "Down with Fascism," "Long Live Brotherhood Between Peoples," No to School Fees,"-- that the common belief that the harsh treatment of detainees by the police is justiefied was shaken.

During a ten day period, the Manisa students were systematically tortured and brutalised. They were beaten, tortured with electric shocks, sexually abused and raped with police trucncheons, sprayed with high pressure cold water and forced to stand naked under air conditioning units blowing frigid air. This treatment has left them with physical and psychological wounds, but they are putting their lives back together, even as the mountatin of litigation arising from the case grinds on. Human Rights First spoke to Sema Tasar at the Human Rights Center of the Izmir Bar Association.

Interview with Sema Tasar

Human Rights First: What difference has your experience in this case made to your plans for your future?

ST: We were the victims in this and at first it was a great blow to our self- confidence. We lost our trust in everything. However, I have come to understand that if it was not for the support we received from people in Turkey and from around the world we could have been sentenced to twelve and a half years in prison, as the prosecutor demanded. This support has given me strength and encouragement.

Human Rights First: Was what happened to you a factor in your decision to go to law school?

ST: Yes, the reason this happened to us was because of lawlessness in our country. As a lawyer, I hope to be able to do something to contribute to building the rule of law in my country. I can do something.

Human Rights First: Was the support of your lawyers important to you during your ordeal?

ST: Of course. Through our lawyers, I have learned that it is possible to struggle to defend our rights through legal means. I had lost faith in the law, but through them we have seen how the law can be used to help people who have suffered great injustices.

Human Rights First: Do you think that anything good came out of your experiences?

ST: Yes, people in Turkey are now more aware of the problem of torture and they are losing their fear of speaking out. Together, we can force the authorities to punish police officers involved in torture and bring an end to this problem in our country.

Human Rights First: Were you aware of the international concern about your case, and what was its impact on you?

ST: We received letters and messages of support from people all around the world. It encouraged us a lot, and I think it helped our case. Only public concern saved us from being left in prison and forgotten about.

Visit to Manisa

Later in the day, Human Rights First traveled to Manisa with Pelin Erda, one of the leading lawyers on behalf of the victims and thier families and the sister of one of the group. In a modest private apartment in Manisa, a town set in hills about 25 miles north of Izmir, Human Rights First met with a group of four of the young people and some of their parents.

Interview with Manisa Students

Human Rights First: What lasting effects have your experiences in this case had on you?

Manisa: We cannot live as we lived before, the case has left its scars. The police are still following us and harassing us. Now they keep their distance, but we see them. When we leave our houses, we always let our families know where we are going and when we will be back. We can't sleep properly and the sound of police radios makes us terrified. Some of us have permanent medical damage. For example, two of us are still having treatment on our ears that were injured when the police spryed high pressure water into them. For a long time we had problems with going to the toilet becuase of the electric shocks and other abuse. We all lost our self-confidence.

Manisa is a small town and most people know each other. Now, people tell their children not to spend time with us because they are frightened that thier children might get into trouble too. We and our families support each other, but it is difficult.

Human Rights First: Do you have any faith left in the Turkish legal system?

Manisa: No, we don't have any faith in our legal system. We are facing the full force of the state and its mechanisms and law could not protect us. The reason that we are now free has nothing to do with legal mechanisms. Popular support made us free.

Human Rights First: If the police officers accused of torturing you are finally convicted on appeal would that restore your faith that you could obtain justice through the legal system.

Manisa: Yes, to some extent, but we also need an explanation and an apology for why this happened to us. Why we spent two and a half years in priosn for nothing. Why we were abused and tortured.

Human Rights First: What are your hopes for the future?

Manisa We hope that because of our campaign and the public atention our case has received this will never happen again. There should be no more Manisas.

Where the case stands

At a hearing in March 1998 the Manisa Penal Court acquitted police officers accused of torturing the young people. Despite overwhleming medical and other evidence, the judge ruled that the torture of the young peple had not been established. The verdict has been appealed, and the victims' lawyers continue to press for the conviction and punishment of the police.

The young people are also still facing charges, although the prosecution is now calling for them to be sentenced only to time already served in detention. The young people continue to protest their inncoence and see this continuing prosecution as an effort by the state to protect itself from claims for compensation for wrongful impriosnment.

Senza titolo 798

Il Golpe elettorale di Berlusconi. Non resteremo a guardare
di  Antonio Padellaro




 È la legge truffa che una destra disperata vuole imporre con un golpe di maggioranza a sei mesi dal voto. È un colpo di mano che disattende la volontà popolare sancita in due referendum, quello sulla preferenza unica e quello che ha introdotto il maggioritario. È una situazione di emergenza democratica, di fronte alla quale l’opposizione tutta deve mobilitarsi, subito, nel Parlamento e nelle piazze.


È un imbroglio senza precedenti perché Berlusconi cambia, all’ultimo minuto e proditoriamente, quelle regole del gioco che in qualsiasi democrazia, appena decente, devono essere condivise dagli schieramenti in campo. Si abolisce con un tratto di penna il sistema maggioritario che secondo tutti i sondaggi tiene la Casa delle libertà dai cinque ai nove punti sotto l’Unione. E si torna a quel sistema proporzionale, mercato di voti comprati e venduti ai tempi della prima repubblica e quindi prediletto dalle consorterie eredi di quella gloriosa tradizione e oggi pascolanti a destra. La manovra diventa banditesca con lo sbarramento al 4 per cento: fino a oggi limitato alla quota proporzionale (25 per cento dei seggi); da domani esteso all’intero Parlamento, se il golpe verrà attuato. Significa, in concreto, che la Cdl conserva più o meno i suoi voti poichè tutti i partiti che ne fanno parte ( Forza Italia, An, Lega e Udc) superano lo sbarramento. Mentre nell’Unione, escluse le tre sigle maggiori (Ds, Margherita, Rifondazione comunista) ci sono almeno cinque formazioni sotto la tagliola del 4 per cento: Sdi, Verdi, Pdci, Udeur, Italia dei Valori. Insieme (sondaggio Mannheimer dell’altro ieri) sommano una percentuale che va dal 5,5 al 9.


Se passa la truffa tutti questi voti espressi liberamente dagli elettori non conteranno più niente: spariti, cancellati, annullati. Ma il peggio non è questo. La banda del buco ha escogitato un premio di maggioranza a favore della coalizione di partiti che prevale sull’altra. Mettiamo che l’Unione prenda il 43 per cento dei voti complessivi e la Cdl si fermi al 38 (che è il distacco misurato dai sondaggi più prudenti). Con la regola messa a punto dai maestri del furto con scasso la Cdl conserverebbe il suo 38 per cento mentre all’Unione verrebbe tolto quel 5-6-7 per cento di voti ricevuti dai partiti sotto lo sbarramento. Risultato: la Cdl non solo vincerebbe pur avendo perso ma stravincerebbe rapinando all’Unione anche il premio di maggioranza.


Quello che sta succedendo è talmente intollerabile che le forze dell’Unione si stanno già mobilitando per impedire con una valanga di emendamenti che a questo disgraziato paese, dopo i furti di verità e legalità, venga sottratta perfino la libertà di voto. Purtroppo, a causa dei regolamenti parlamentari che pongono precisi limiti temporali a una simile azione di contrasto, il golpe potrà essere ritardato ma non impedito.


Come spesso è accaduto l’ultima speranza è riposta in Ciampi. Già ci si chiede se il capo dello Stato non debba rifiutarsi di promulgare una legge così devastante sia della volontà popolare espressa nei referendum che della regola democratica secondo cui una maggioranza uscente (e non più maggioranza dopo le ultime ripetute, clamorose sconfitte elettorali) non debba poter stravolgere il sistema elettorale per sua convenienza alla vigilia delle elezioni.


La nostra è una pressione su Ciampi? Sì che lo è, rispettosa ma drammatica, convinti come siamo che anche lui sia consapevole dell’enormità di quanto sta per accadere.


Purtroppo avevamo ragione nel pronosticare che Berlusconi non si sarebbe arreso tanto facilmente. Adesso sappiamo che la sua sicumera nel pronosticare un prolungamento indefinito del regime, pur imputridito e cadente, aveva una ragione d’essere. Conosceva il piano della banda. Lui faceva da palo mentre i bravi ragazzi, Follini e Casini, si preparavano allo scasso. Che triste barzelletta quella dell’Udc, brava e buona. Perciò è necessario che alla pressione dell’opposizione si unisca quella, pacifica, democratica ma ferma dei cittadini. Questi signori devono sapere che non resteremo a guardare mentre loro fanno scempio dei nostri diritti.


Fonte www.unita.it



 

Senza titolo 797


Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario


George Orwell

13.9.05

Senza titolo 796

 


Chi sono i veri colpevoli? Una domanda che ultimamente si sono posti in molti. Difficile dare una risposta per alcuni, più facile per altri. Naturalmente stiamo parlando dell'uragano Katrina, che il 29 agosto scorso in poche ore ha raso al suolo l'intera città di New Orleans. Sul Manifesto di qualche giorno fa si ricordava, astutamente, l'uragano George, che nel 1998 registrò a Cuba quattro vittime e, in seguito, l'uragano Charley che, sempre a Cuba, ne registrò in tutto altre quattro. Mettendo da parte quello che è il confronto tra i numeri della popolazione cubana e quelli degli Usa, resta comunque il fatto che l'isola di Fidel Castro, pur trovandosi in una condizione economica tra le più arretrate, fu indicata dall'Onu come modello di prevenzione quando lo Sri Lanka si trovò ad avere a che fare con la situazione post tsunami tempo dopo. Nel caso del fenomeno Katrina, invece, alla Casa Bianca è apparso molto più semplice scaricare le colpe sui politici locali. Ma, ritornando al quesito iniziale, chi sono i veri criminali? Gli sciacalli. Già, avete sentito bene, sono proprio loro. Riportando le parole di Jordan Flaherty: "In una città disperata, che sta morendo di fame, nessuna persona sana di mente dovrebbe definire «sciacalli» delle persone che prendono viveri da negozi chiusi a tempo indeterminato, ma i media lo hanno fatto in continuazione. Gli sceriffi e i politici parlavano di far proteggere i negozi dalle truppe, invece di dedicarsi alle operazioni di salvataggio. Le immagini degli abitanti di New Orleans distrutti dall'uragano sono state trasformate nelle immagini di criminali neri fuori controllo. Come se prendere uno stereo da un negozio chiaramente assicurato contro la perdita fosse un crimine più grave della negligenza e dell'incompetenza dell'amministrazione, che hanno causato miliardi di dollari di danni distruggendo una città". Lascio a voi trarre le dovute conclusioni.


Senza titolo 795

Nel supramonte del sud, un tempo regno dei bracconieri, torrenti, vallate e cascate spettacolari Linas, il parco dei sogni   Tutelata l’area dove sorge la miniera di Perd’e Pibera Itinerario nella Sardegna più segreta, in uno dei siti ambientali più preziosi del Mediterraneo 



GIANNI OLLA 


 VILLACIDRO. «Sul Linas ci vanno i bracconieri, non i turisti...». Breve scambio di battute prima di un ennesimo viaggio in cerca dei parchi che ci sono e non ci sono. Il nostro interlocutore è un geometra dell’ente foreste, che conosce bene quei luoghi. I bracconieri li combatte da anni, e ne conosce le mosse, i sentieri che utilizzano, le trappole, anche micidiali, e non solo per gli animali. Chi scrive ha semplicemente chiesto notizie della strada sterrata che, da Gonnosfanadiga arriva alla base delle cime, ed in particolare a Perda’e Sa mesa, 1236 mt, facilmente raggiungibile, a piedi, dall’altipiano di Nuraxi Togoro. Infatti nella primavera scorsa la strada, comunale, è stata resa inagibile per qualche settimana dalle piogge torrenziali. In effetti, non sembra credibile - anche per esperienza personale - che quell’area che molti chiamano il Supramonte del sud, con i suoi spazi vastissimi dai quali si vede mezza Sardegna e tutta la costa marina occidentale, con i suoi torrenti e le sue cascate spettacolari, con le sue vallate boscose che affascinarono anche Lamarmora, preoccupato dell’assalto selvaggio al legno, sia solo il regno dei bracconieri. Non lo è neanche per l’ente foreste e per i due comuni interessati. Il comune di Gonnosfanadiga, ad esempio, divenuto proprietario dell’ampia area occupata dalla miniera di Perd’e Pibera, ne ha fatto un parco, affidandolo in gestione all’ente foreste che sta ristrutturando gli edifici minerari. Da Perd’e Pibera parte il percorso più bello, più lungo e spettacolare verso tutto l’arco del Linas, descritto in tutte le guide e segnato dal Club Alpino Italiano. Sul versante opposto, alla fine della strada comunale che parte dalla chiesetta bizantina di S. Severa, il punto di partenza per altre escursioni è la località che, nelle carte IGM, è chiamato Ovile Linas, a quota 732mt. Era il centro di una vasta proprietà ad uso prevalentemente pastorale, ma i padroni, cagliaritani, non disdegnavano qualche gita. Infatti, incongruamente, a due passi da quello che è oggi un cantiere dell’ente foreste e che dovrebbe diventare un rifugio per i visitatori, vi è una costruzione rossastra in legno, con grande tetto spiovente in stile alpino: la cosiddetta «casa formaggino», oggi sbarrata, che potrebbe anch’essa diventare un buon luogo di sosta. Da questo punto di arrivo le «ripartente» a piedi, in bici, a cavallo, sono innumerevoli. Attraverso vecchie carrarecce utilizzate dai carbonai e dai minatori, si arriva in poche ore fino a Fluminimaggiore. Oppure, proseguendo lungo altri sentieri, ugualmente ben segnati, ci si inoltra nella valle dei Rio Linas, Cannissoni, Leni, in vista della lunga sequenza di cascate spettacolari (Linas: quattro salti tra i trenta e i dieci metri; Muru Mannu, settanta metri; Piscin’Irgas, 40 metri) che hanno avuto l’onore di diverse ricognizioni da parte delle riviste specializzate di viaggi e turismo. E il titolo di uno dei servizi era significativo: la Sardegna che non ti aspetti. In alternativa, un altro sentiero lungo le pendici di quel Muru Mannu da cui scende il torrente che forma la cascata, si arriva alla valle di Oridda, cioè al confine tra i comuni di Villacidro e Domusnovas. Scortato dai responsabili dell’ente foreste (il dottor Mole e il responsabile del complesso, dottor Maxia), chi scrive è arrivato invece a Oridda da una strada sbarrata che parte dagli ex complessi minerari di Tinì-Arenas, in territorio di Fluminimaggiore. Giornata straordinaria d’inverno. Sole e neve, che imbiancava non solo le cime del Linas, ma tutto il bosco: paesaggio incantato da stampa giapponese o da film di Zhang Yimou, con le impronte degli animali del bosco ben visibili sul bianco della neve. Poi dal Rio Orrida, che dà origine alla cascata di Piscina Irgas, un’altra strada sbarrata - vecchio percorso dei lavoratori che da Villacidro raggiungevano le miniere dell’Iglesiente - ci ha portato direttamente alla sede dell’ente foreste di Villacidro, nella foresta di Monti Mannu, divisa da un altro torrente, il rio Leni, che dava l’acqua potabile al comune. La palazzina dell’ente foreste, circondata di maestosi cedri del Libano, assomiglia ad un alberghetto della campagna francese, elegante, squadrato e invitante. Un tempo era la direzione della miniera di Canale Serci, luogo, in qualche modo storico-letterario. Alle spalle delle costruzioni ristrutturate stanno in bell’evidenza i resti della laveria e della fonderia, descritte da Giuseppe Dessì in una delle sequenze western di «Paese d’ombre». Scrive Dessì che, alla fonderia della miniera arrivavano i carichi di legname dalla foresta di Mazzanni, in alto, sul monte, dove oggi si sta scavando un tempio punico. I vagoni ferroviari venivano portati a valle, in andata, dalla semplice forza d’inerzia e, al ritorno, erano trascinati dai muli. La descrizione del terrore dei muli, legati e bendati dentro i vagoni, durante la rumorosa discesa, è uno dei pezzi più belli del romanzo. Ed è altrettanto bella l’evocazione misteriosa della fucilata che uccide il rapace «disboscatore» toscano che scendeva anch’esso a valle dentro uno dei vagoni. La sinergia cultura/ambiente è una delle sfide che il parco - chiamiamolo finalmente così, perché esiste, almeno quello letterario intitolato allo scrittore di Villacidro - ha lanciato da qualche tempo. E non si può dire che non abbia prodotto risultati, nonostante le tipiche indecisioni isolane (politiche e mentali) e la ricerca di professionalità da formare. Comunque, per chiudere in bellezza e ottimisticamente questa puntata, non solo vanno segnalati gli sforzi della fondazione Dessì per porsi come ponte tra la geografia, la storia e la letteratura ma anche la volontà di rendere fruibili questi luoghi con sentieri ben tracciati, accessibili a tutti e con la possibilità di soggiornarvi. Mentre il comune sta costruendo, su vecchi ruderi di carbonai, una locanda in mezzo al bosco, l’ente foreste ha quasi finito di ristrutturare, nella stessa area di Monti Mannu, la vecchia caserma che diverrà un rifugio. L’area del Linas/Monti Mannu non è più misteriosa e la sua attrazione non è più solo la cascata di Sa Spendula (ai margini del paese) celebrata da D’Annunzio. Siti Internet molto belli (che l’ente foreste, colpevolmente, non ha) e molto curati mostrano gli accessi e i sentieri anche più difficili, nonché i luoghi ancora poco battuti (come la misteriosa serie di cascatelle di S’Ega Sizzoris, nella valle di Villa Scema) e mettono a disposizione numeri di telefono per le guide. In primavera si svolgono spesso manifestazioni di escursionismo per professionisti che scalano le cascate e in luglio, sul lago artificiale Leni, c’è una manifestazioni internazionale di triathlon. Insomma, la strada maestra per fare davvero dei parchi che non taglino fuori i comuni e la popolazione. E che producano anche reddito.
 
 

Senza titolo 794

Da Forza Italia messaggi antisemiti un caso isolato  visto  i precedenti  ?  o  un tentativo per  crreare un polverone mediatico  e  far dimenticare   \  distogliere l'attenzione sul caso fazio  e  la nuova legge sulle intercettazioni trelefoniche   ?

 



Interrogato sul caso Fazio, il parlamentare di Forza Italia, Guido Crosetto, ha risposto che le banche italiane fanno gola "sopratutto alla grande massoneria ebraica e americana.." indicando l'istituto bancario Merrill Lynch come "particolare" per via della totalità ebraica all'interno del consiglio di amministrazione. Alcune dichiarazioni, volte sopratutto a sotterrare la cosa, hanno visto luce. Perfino Giulio Andreotti, che pur nei giorni scorsi aveva difeso l'operato di Fazio, additando il comportamento dei partiti come un attacco ai cattolici,e per  nel sua  quarantennale  ambiguità politica   ha deprecato l'uscita di Crosetto, segnalando "la coda di razzismo che qualcuno non riesce a perdere". Oggi sul Corsera (  giornale  di solito  su posizioni cerchiobottiste   e  troppo mopderate  )  è uscito un bell'articolo di Riotta, che si chiede perchè non ci sia una presa di posizione netta di condanna di FI, verso l'onorevole Crosetto. Se la risposta più semplice sembra essere la volontà dei forzisti di glissare sull'argomento,e  di  dire ipocritamente : <<  noi siamo i  più grandi amici  di israle >> ( berlusconi )  ; <<forza  italia  non  è antisemita  >> (  fini  ) ,  io non voglio farlo . In Italia, assieme a quello per mussulmani, neri ed extracomunitari, vedere lega  e  destra  extra parlametare  dobbiamo registrare (  di nuovo  )  anche un sentimento razzista verso gli ebrei ? Ma la storia non insegna niente ?  hanno forse mandato in onda le  comiche senza  avvisarci  ?  non si  sono accertatrti  prima di  aprire  bocca   che il cervello fosse collegato  ? dimenticato   le  leggi i razziali   del  1938  e  l'ulteriore  giro di vite    di tali infamanti e   vergognose leggi   della  Rsi (  repubblica  sociale  italiana  ) ovvero al  continuazione  del fascimo  dopo il 25 luglio  1943 ?  (  per  chi queste cose le  dovesse conoscere eviti  di  leggersi i  collegamenti ipertestuali  , per  chi invece non le ricorda   o  le  ha  dimenticate   a causa  della riscrtutra dela storia  operata  da   questo   regime   se  li  rillega    perchè  repetita  iuvant  come dicevano  i latini   )   lascio a  voi , ogni risposta   alla domanda  fatta  nel titolo  .L'unica  cosa  che  dico  e èm  il solito  meditate  gente   meditate 


 

Senza titolo 793


Irlanda del Nord. Una ferita nel cuore dell'Europa. Ogni volta mi illudo che vi sia una qualche possibilità di pace e di civile convivenza. Ed ogni volta rimango deluso.


Da Luglio a Settembre, i giorni più crudeli. Le marce orangiste. Nell'Ulster le persone hanno lunga memoria. Ciò che per noi è assurdo, scannarsi per il ricordo della battaglia di Boyne del 1690, tra i cattolici di Giacomo II e i protestanti di Gugliemo d'Orange, per loro è cosa buona e giusta.


Quest'anno La Commissione indipendente che sovrintende alle marce aveva modificato il percorso degli orangisti, costringendoli ad aggirare un'enclave  cattolica, nei pressi di Springfield road. Ma i lealisti se ne sono fottuti altamente. A Bangor hanno attaccato un bus; dopo aver rapinato tutti i passeggeri, gli hanno dato fuoco. Stessa sorte per sei auto ed un furgone, le cui carcasse sono state poi usate come barricate.


Per tutta sabato notte, i protestanti hanno scagliato contro la polizia bombe molotov, razzi e ordigni artigianali, oltre a pietre e bottiglie. Negozi sono stati incendiati. Un bomba è scoppiata davanti ad un commissariato.Nella parte orientale di Belfast gli estremisti si sono impossessati di una ruspa, con la quale hanno abbattuto diversi lampioni.


La polizia si è limitata ad arrestare undici persone.


L'IRA ha accettato il disarmo; siamo sicuri che sia soltanto lei l'ostacolo per la pace ?

Cambiare ...rinascere!

Cos'è "cambiare" ? Forse è buttarsi dentro a un forte vento che ti porta via… Dove non sai, ma non lo puoi fermare…
O il salto di un burrone che fatichi ad affrontare… Anche se tutto intorno a te stà per crollare…

Forse è una cascata che porta via il passato… O dell'acqua pura che ti scorre dentro, cancellando tutto ciò che è stato…

Forse soltanto un altro bivio da affrontare… O una svolta per poter ricominciare…

Forse tutto… O niente… O forse è solo una parola incoerente…

Cos'è "cambiare" ? Solo e soltanto rinascere in un mondo tutto da scoprire… ....Con il coraggio di volerlo fare….



12.9.05

Senza titolo 792

 Salve a  tutti\e  voi cari amici   vicini e  lontani    appena  tornatri  o che partite  per le ferie    Rieccoci al consueto appuntamento  ( se voi avete   altri post  simili  ben  vengano in qualunque  momento   )    del lunedi  .


Prima   degli articoli di oggi   voglio però  L'introduzione d'oggi non serve per  spiegare l'articolo  ma  per  rispondere a  delle    email ( scusate  ma non  ho resisto  e  poi   è meglio soffernmarsi   a chiarire  che  lasciare delle ambiguità  o deimalintesi  , non  vi sembra  ? )   che stò ricendo  da quando   ho deciso di aprire   ispirato al bellissimo  blog  maree.splinder.com e  alle  lezioni  di  letteratrura  italiana  del prof  Nicola Tanda  e  di  filologia romanza   del prof  Paoolo Manichedda  . Alcune    d'esse  (  la maggior  parte   )  sono   d'approvazione  e  di metraviglia  , altre  (  ma che  ci volete fare  la mamma  dei cretini è sempre incinta  )    di  sfottò  del tipo : <<   sei troppo nostalgico  , troppo al passato  , ecc )  e\o provocatorie  : <<   come uno di sinistra  è passato a  destra  o  fà   la  politica della   destra ,ti contraddici , hai  buttato via  i tuoi ideali ,  ti  sei convertito    hai  voltato gabbana  , ecc )  . Ecco  la mia risposta  alla prinma   affermazione   E'   vero a  volte   sono un nostalgico  , ma  chi  non lo  è  , e  poi  è meglio     vivere nel  presente  con la  consapevolezza  delle  tue  origini   in  modo da  capire  chi  sei  e  dove  vai , piuttosto   che farlo    senza una  base  o meglio    senza   identità o   coscienza delle proprie  origini  .  Quindi  guardare  si  al futuro  , ma  senza   vivere  solo nel passato in maniera da  evitare inutile  nostalgie    e rimpianti    e  allo stesso tempo senza  dimenticarsi d'esso  . Per  quanto riguarda  la seconda   poso dire  che   il   scoprire  (  riscoprire nel mio caso  )  le proprie  tradizioni   non   è solo di una  parte  politica  \  ideologico    ma  lo diventa o puà  diventere  se   ci si chiuda  a riccio a  gli apporti  esterni   fondendosi    e  diventando tutt'uno con il razzismo e  la  xenofobia  della  legadi alcuni settori    di  An  oltre  ai  gruppi \  grupposcoli   della  destra extra parlamentare   o ,SIC ,   nell'antimericanismo  e attacchi ad  israele   a  senso unico  di  certe frangie di estrema sinistra   parlamentare  ed  extra parlamentare  . Cosi facendo  si rischia    che le radici  imputridiscano   se raxcchiuse   in qualcosa  . Io  ho risolto questo  problema  trasformandole  in seme  facendo  la   mia bandiera  ( anche  con questo  blog ) del  la  frase  dello  scrittore ( ne  ho parlato  neio precedenti post  )   Sergio Atzeni (1962-1995), che  affermava  : <<  ... Sono sardo, sono italiano,sono europeo >>     era un suo "credo", molto prima dell'avvento di Maastricht  ; e  da  questo  strofa   tratta   da un canto   anarchico \  libertario    del 1800 i pare  si chiami  Dimmi bel giovane per  il testo sezione  canti anarchicio  del sito  ildeposito  (  più  vote rifatto e riomaneggiato come  è tipico della canzone  di ptrotesta  , la  versione   che  qui  è riporto  è di Pietro   Gori     del 1904  intitolata   " Stornelli  dall'esilio "   trovate  qui il testo  integrale   )   che  dice  " nostra patria è il mondo intero, nostra speme la libertà "     unici rimedi  contro l'attaccamento estremizzato  conservatore e l'invenzione \ l'esaltazione localista    che  nè fa  un uso  strumentale   delle radici, contro il rapporto razzista sangue-suolo di infausta memoria (  leggi  fascismo e  nazismo ) .   Condivin parte    quanto   dice Melisssa P   nel  suo  ultimo libro :<<  (..)  Spesso sento dire  a  chi si è allontanato da casa per  troppo tempo che l'unico motivo  che  lo spinge  a ritornare  nella propria cuccia  è il bisogno d'impossesarsi dele proprie  radici  , di sviscerarle  dal terreno e appropiarsene  vivisezionandole . Radici? di che cazzo di radici parliamo ? Non siamo alberi siamo uomini  . uomini provenuti da  un seme e rimaniamo semi per  l'eternita  Semai  , forese l'unico  luogo dove abbiamo messo rafdici , è il ventre materno . E se un  giorno io vorrò ritornare  alle origini , se vorrò mangiare le mie   radici  , non dovrò farealtro che     squarciarti il ventre entrarci dentro con tutto il corpo e legarmi a te  con un filo ormai fittizio Ma non mi sevirebbe a  niente .Voglio  continuare ad essere  seme  .Voglio esere la mia origine  e la mia fine . e non voglio imputridire  dentro nessun terreno voglio che il vento mi trascini sempre >>        


                                                                                                                                                                                                                                                           D Dopo questa prolissa introduzione  ,  ne    chiedo scusa   ma   non riesco ad uccidere   o trasformare  la mia loggorea   ecco gli articoli   in questione   IL primo articolo  è tratto    dalla    ormai consueta      rubrica   del lunedi   la  nuova  sardegna   12\9\2005 ex miniera      che   diventerà ( speriamo il più presto possibile  )  patrimonio dell'Unesco   . IL  secondo  sempre  dalla nuova  sardegna  del      11\9\05  ma   dall'edizione  di Olbia - Gallura si parla    di una  serie  di manifestazioni      a  sostegno e    per  la raccolta di fondi per l’Auser    del AUser  concluse il  12\09\2005   




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<< La cava dei bronzi di rame   Gadoni, la miniera di Funtana Raminosa che vive come immersa nel passato adesso coltiva il sogno dell’Unesco    Nella montagna si nasconde un esteso giacimento di metallo con il quale i nuragici hanno fuso i loro piccoli guerrieri  >>



Il nome è poetico, da ode oraziana: Funtàna Raminòsa. Come quella letteraria di Bandusia è una sorgente che filtra tanta acqua fresca dai ghiacciai del Gennargentu. Ma questa è la montagna che nasconde anche un esteso giacimento di rame, il metallo col quale sono stati fusi i bronzetti nuragici e che ha battezzato la foresta incantata nel territorio di Gadoni. Oggi la Regione la vuol riportare - e ha in parte riportato - all’uso collettivo. Per ricordare come eravamo e come lavoravamo. Obiettivo: farne uno dei musei e una delle calamite più attraenti dell’archeologia industriale in Sardegna. Già oggi queste gallerie sono percorribili, messe in sicurezza. Attendono una cosa sola: i visitatori, gli studenti, i tecnici dell’ingegneria mineraria. Traguardo non proprio a portata di mano, ma da raggiungere costi quel che costi. È valore aggiunto per il turismo sardo. Ne parleremo più avanti. Un po’ di storia, per cominciare. Di questo tesoro si erano già accorti i primi invasori ed esploratori dell’Isola. Ne fanno fede la galleria Fenicia (negli atti ufficiali definita in francese, Phenicienne). C’è ovviamente la galleria romana (cantiere Sant’Eugenio) visto che almeno fin qui erano arrivati i centurioni e gli schiavi di Cesare e Pompeo. Ecco la galleria “Yvonne”, pare dal nome della bella moglie di uno dei direttori che si sono avvicendati da queste parti. Una pagina di storia tanto antica quanto affascinante per gli intrecci politici, economici, industriali e scientifici che suscitava. C’è una “permissione” allo sfruttamento dei minerali “dell’incontrada di Belvì” risalente al 26 giugno del 1517: il primo a beneficiarne è un certo Pietro Xinto. La miniera continua a imporsi a livello internazionale dopo il 1880, prima con gli scavi attribuiti a un ingegnere piemontese, Vincenzo Ridi, poi - nel 1886 - a un altro professionista-industriale sassarese, Luigi Satta Manunta che segnala il ritrovamento al collega Emilio Jacob. Dai tecnici si passa presto ai finanzieri quando, nel 1912, è un avvocato d’Oltralpe, Paolo Guinebertière ad acquisire tutti i permessi rilasciati. Ed è questa una delle tappe da globalizzazione di Funtana Raminosa. Sotto terra lavorano più di duecento persone, Gadoni è un polo di attrazione, chi lavora in miniera è ritenuto un fortunato perché “almeno lo stipendio arriva a casa ogni mese”. Gadoni è la Ottana, la Sarroch, la Portotorres di fine Ottocento e del primo Novecento. Le “cattedrali” non erano nel deserto ma dentro le viscere della terra. Guinebertière esporta il rame sardo nel mondo, soprattutto nel Regno Unito e in America. Qui il rame di Gadoni, di Funtàna Raminòsa, trova il suo grande sponsor: il presidente degli Stati Uniti Herbert Clark Hoover che prima di mettere piede alla Casa Bianca bada ai suoi affari di imprenditore, di finanziere nato a West Branch nello Iowa e presto estende i suoi interessi specifici di ingegnere minerario nella City londinese e nella sua America. È Hoover che conia il motto “The business of America is business”, gli affari dell’America sono gli affari. E Hoover - prima che sull’America si abbatta la grande crisi del 1929 - fa affari davvero, col rame sardo macina dollari e sterline, è lui a dire che “Sardinian copper is excellent” perché è più puro di altri, è duttile, si presta a tanti tipi di lavorazione. In questi anni l’avvocato Guinebertière arriva ad esportare negli States 63 mila tonnellate di prodotto. Come oggi cambiano proprietà le banche e le aziende, anche allora mutavano le sigle industriali. Viene costituita la “Société Anonyme des Mines de Cuivre de Sardigne”. Ne parla nel 1937 Vincenzo Ravizza nel volume “La Funtana Raminosa” edito dalla “Premiata Scuola Tipografica Salesiana”.
 Ne riferiscono in lungo e in largo le “Relazioni sul servizio minerario e statistico dell’industria estrattiva in Italia” redatto dal ministero dell’Industria e commercio fra il 1880 e il 1985 a cura del Poligrafico dello Stato.  E si ha notizia di tanti altri passaggi di mano. È lo stesso Ravizza, nel 1936, a sottrarre la miniera ai francesi e a costituire la “Società Anonima Funtana Raminosa” con investimenti negli impianti e in tecnologie estrattive. Le cose vanno bene per quattro anni fino a quando la società di Ravizza viene messa in liquidazione per passarne la gestione nel 1940 alla “Società Anonima Cogne-Raminosa”. È l’inizio della seconda guerra mondiale. I nuovi proprietari di Gadoni hanno ottime intenzioni, il rame sardo è molto richiesto dai mercati, funziona ancora l’effetto Hoover, vengono ordinati nuovi macchinari ad aziende tedesche. Ma la nave che li trasportava viene affondata da un siluro nelle acque del Mediterraneo.
 Il resto è storia recente e cronaca. Il Boom industriale diventa declino. Nel 1950 le concessioni minerarie passano alla Cuprifera sarda. Ma l’interesse per gli impianti della Sardegna centrale ormai va scemando. Molte professionalità cambiano lavoro. Gadoni, da paese di immigrazione, diventa paese di emigrazione. A poco serve se nel 1973 arrivano le Partecipazioni statali. Ma un fatto positivo avviene (ed è ciò che non è successo nel Sulcis-Iglesiente): la miniera viene ristrutturata, messa in sicurezza, gli impianti salvati ed ecco il miracolo di oggi: la miniera può essere visitata. Funtana Raminosa è stata visitata, nei giorni scorsi, dai consiglieri del Parco geominerario accolti dal presidente dell’Igea Franco Manca, geologo di Carbonia e da un altro geologo, Roberto Sarritzu, cagliaritano, responsabile del servizio minerario e del monitoraggio delle falde. Ci sono il presidente Emilio Pani col nuovo direttore Luciano Ottelli, Ivano Iai (ministero dell’Istruzione), Francesca Segni Pulvirenti (ministero Beni culturali), Giampiero Pinna, Nicolino Rocca e Giancarlo Pusceddu (rappresentanti della Regione). È un viaggio nella presitoria, nella storia e nella cronaca. Perché si è ripetuto che i bronzetti nuragici sono fatti di rame e il rame utilizzato era proprio quello di Funtàna Raminòsa. Si possono vedere le gallerie, le centinature, i martelli perforatori e soprattutto i macchinari utilizzati per estrarre il metallo. Tra i consiglieri del Parco c’è un ingegnere minerario dell’Università di Cagliari, Marcello Ghiani. Sprizza felicità mostrando macchine dell’Atlas Copco impiegate dalla fase della frantumazione dei minerali per arrivare alla macinazione, flottazione e filtrazione. Questo - dice Ghiani indicando un congegno - era un nastro trasportatore brandeggiabile, quello era un silos di alimentazione dei mulini a palle». E sono ancora visibili le “palle” di minerale, della dimensione di una pallina da tennis. Ai lati di un torrente detto Rio Saraxinus c’è la sala compressori. Qui si ingegnano due sorveglianti di Gadoni, Quinto Secci e Antonio Venier: fanno funzionare, esattamente come avveniva un secolo fa, un generatore elettrico alimentato dalle acque del torrente, c’è una grande ruota in ferro di almeno tre metri di diametro ed è trascinata da una cinghia di trasmissione in cuoio, il tutto per quell’acqua benedetta che scende ancora copiosa da questa boscosa montagna di incanto. Ora il silenzio diventa religioso perché tutti ammirano la cascata circolare interna alla miniera, le gocce sembrano fili d’argento illuminati sapientamente da fibre ottiche piccole come la punta di una penna biro. La magìa è quella del concerto d’acqua di Haydn. Franco Manca, presidente dell’Igea (Iniziative di gestione ambientale, 325 dipendenti in tutta l’Isola), fa notare “gli addensatori e i filtri per la disidratazione dei concentrati e le pompe per l’invio della torbida sterile al bacino di decantazione”. Un altro fabbricato multipiano: c’è il silos di alimentazione di un frantoio, qui arrivava il grezzo proveniente dai vari cantieri attraverso una ferrovia, la teleferica, mezzi gommati. Più avanti si separavano i minerali, in particolare la calcopirite, la blenda, la galena. Altra galleria, altra visione stupefacente. È la “Rampa Brebegargiu”, e così ci si rende conto dell’integrazione fra attività mineraria e bucolica con una galleria dedicata a sua maestà il pastore di pecore.Questa rampa - spiega Sarritzu - è l’ultimo importante scavo realizzato nella miniera che avrebbe dovuto riprendere l’attività estrattiva nel 1980». Così non è stato. Corsi e ricorsi industriali. Per cui dall’attività e dallo sfruttamento si passa all’archeologia. Qui ci sono macchinari unici al mondo. Vanno valorizzati, come fossero nuraghi moderni. E non è detto che questo trapasso non possa creare nuove forme di reddito. Nelle miniere francesi, austriache e tedesche è successo e succede da tempo. Ed è boom di visitatori con numeri che superano il mezzo milione annuo.
 Gli antichi bacini minerari sono diventati culturali e turistici. Perché in Sardegna no? A quando i percorsi geominerari e ambientali dal Sulcis alla Nurra? Gadoni è un paese dell’interno, fa parte della Barbagia di Belvì e del Bim, bacino imbrifero montano del Flumendosa. Un villaggio ordinato, per terra è difficile trovare una cicca. Ogni madre di famiglia pulisce con cura il selciato davanti alla propria abitazione. “La strada è pubblica ma è anche l’ingresso della mia casa, perché non devo tenerlo pulito?”, dice una donna in via San Pietro, tra casette basse, finestrelle piccole, infissi in legno. Il finito edile detta legga sul non finito, fiori e piante da frutto. In piazza ci sono ancora gli alberi con le susine viola e gialle, sono dolcissime, gustose. Al paese si arriva percorrendo la statale 128, prima di Aritzo deviazione a destra, al bivio di Cossatzu, sei chilometri di curve fra castagni secolari e noccioleti. In fondo la vallata del Flumendosa verso i tacchi di Seulo e la punta di Bruncu Sa Scova. Ma il paese si spopola. Quando la miniera era in attività gli abitanti arrivavano a 1250, adesso sono meno di mille, alta percentuale di anziani. «Oggi viviamo di pensioni, la produttività è modesta», dice l’ex sindaco Nicolino Rocca, medico, consigliere d’amministrazione del Parco geominerario. Qualcosa si muove. Ma se la miniera, come è possibile, dovesse diventare davvero una calamita che attrae visitatori, molto resta da fare. Si sta formando una buona schiera di piccoli manager. Due i panifici: quello di Caterina Secci e Gisella Dessì, specialiste nel pistoccu di alta qualità, coccoi e pane bianco di semola. L’altro forno è di Monica Abis, cinque dipendenti, pane tradizionale e una larga offerta di dolci tipici. È in leggera ripresa l’artigianato con le botteghe di Antonello Moro, Davide Castangia (rientrato da Cesano Boscone dov’era emigrato in cerca di lavoro), Adriana Mura fa cornici e vassoi. Due ristoranti-trattoria (di Telemaco Pilia e Christian Moro) e i primi due Bed and breakfast di Mario Cocco e Carlo Polla. Albino Moro, figlio di “Momorettu” confeziona salumi, salsicce e prosciutti. Ottimi. E poi? E poi, dicevamo, le pensioni. Oggi sono molte le case abbandonate. L’idea condivisa un po’ da tutti è quella di risanarle rispettando i modelli urbanistici e trasformarle poi in albergo diffuso. Con una integrazione di reddito che andrebbe spalmato fra molti: “Daremmo intanto un volto sempre più ordinato al paese, crescerebbe il decoro urbano e potremmo essere in grado di far pernottare qui decine di visitatori”, dice Rocca. Certo, non può essere solo questa l’unica ricetta per far rinascere un paese al tramonto. Come in tutti i centri dell’interno occorre ridare vita all’artigianato, soprattutto a quello artistico, collegandolo al turismo integrato all’archeologia industriale, alla valorizzazione dell’ambiente. Ma è necessaria anche una nuova organizzazione turistica. E se questa, pur tra cento stenti è possibile, è molto più impegnativo creare animazione economica e competenza diffusa da Santa Teresa di Gallura a Sant’Anna Arresi. E poi, si chiede un gruppo di giovani al bar Zelig: «Perché venire a Gadoni percorrendo strade tracciate due secoli fa e rimaste immutate, solo con un nastro d’asfalto a ricoprire la massicciata del tempo che fu? L’isolamento non si argina anche con vie di comunicazione agevoli ?”. La materia prima per creare moderne forme di reddito non manca. Le nuove tecnologie collegano anche Gadoni a New York in tempo reale. Si studia più di prima, cresce il numero dei laureati. Ma sarà necessario trovare un altro presidente degli Stati Uniti che, come Hoover per il rame, sponsorizzi la Sardegna di dentro per la sua storia millenaria? È la sperata rivoluzione prossima ventura. Per l’Unesco le miniere abbandonate sono patrimonio dell’umanità. Sono zone con una marcia in più. Ma il motore va acceso presto.


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 Ma quei mestieri sono da salvare  Artigiani all’opera all’Auchan. Raccolta di fondi per l’Auser  


OLBIA                                                                                                                                                                                                                                   Oggetti intagliati nel legno,  o specchi di  legnoe  pietra   (  come questo  nella  foto  tratta dal sito   www.sardegnacreazioni.it) centrotavola ricamati o all’uncinetto, strumenti per aggiustare gli orologi. Sono i simboli di alcune arti ormai in estinzione, incapaci di mantenere il passo con la concorrenza e con la tecnologia.
 Ed è proprio il desiderio di non dimenticarle che ha ispirato la mostra inaugurata ieri nella galleria Auchan e aperta al pubblico per tutta la giornata di oggi che ospita alcune esposizioni di oggetti dell’antico artigianato; assenti gli artigiani della pasta e delle pelli per alcuni problemi organizzativi.
 Nel mondo dell’artigianato ci sono tradizioni tramandate di padre in figlio: come il lavoro all’uncinetto e ai ferri che Vilma Ghigliano apprese dalla nonna quando aveva sei anni. «E’ un’arte bellissima - spiega - che coltivo da tanto tempo. Mi rilassa, mi aiuta a dimenticare i brutti pensieri e poi mi da soddisfazione: con un po’ di impegno si riescono a fare dei lavori molto belli».Il rimpianto della signora Ghigliano è quella di non avere delle figlie alle quali insegnare quest’arte. «Per questo spero di riuscire a organizzare un corso di uncinetto all’interno dell’Auser: è un peccato che tradizioni come queste vadano perdute». Salvatore Pireddu, invece, incarna due arti ormai in via di estinzione: scalpellino per alcuni anni, in seguito a un incidente sul lavoro divenne orologiaio dopo aver seguito un corso in Svizzera. «Lo scalpellino è un mestiere che ancora esiste, ma in maniera completamente diversa - spiega -: noi eravamo dei taglia sassi e con le nostre mani e l’aiuto di piccoli strumenti modellavamo la dura pietra. Certo gli oggetti che realizzavamo non erano perfetti, ma in ognuno di essi c’era la nostra mente e il nostro cuore». L’uso delle macchine ha poi reso meno faticoso questo mestiere, ma secondo l’ex scalpellino lo ha privato dell’anima. Nella mostra all’Auchan, però, Salvatore Pireddu ha voluto esporre gli strumenti della sua seconda arte, quella dell’orologiaio, e una collezione di orologi e cronografi degli anni trenta e quaranta. «Era un lavoro di precisione - spiega l’ex orologiaio - che non esiste più, soppiantato dalla tecnologia e dalle produzioni giapponesi ».
 


In  corso di riscrittura     e di correzione  dello sfasamento         del template e degli  eventuali errori  d'ortografia   mi sono accorto  di   aver dimenticato  un articolo  interessante   che  inizialmente  ritenevo di scarso interesse  , ma  poi  rillegendoli mi sono sembrati   di notevole  interesse  e  ho deciso di metterli     che  riguarda    rubrica bi settimanale    il silenzio e la parola   sempre  di lunedi  della  nuova  sardegna  tenuta  da paolo Pillonca . Esso parla     dello studio  storico  e  filologico  sulle origini del  nome  dela  cittadina di Tortoli   fatto     dallo  scrittore tortoliese   il primo è una recensione  -intervista    , il secondo  di una  sua "£ biografia " . 




Come i punti-luce che rischiarano gli angoli oscuri degli edifici antichi - altrimenti destinati a rimanere per sempre nel buio - i libri di storia locale, quando sono confortati da documenti inoppugnabili, svolgono una funzione di alto rilievo: fortificare i ricordi deboli e regalare conoscenze nuove alle comunità con poca memoria di sé. Da qualche lustro, in Sardegna si è iniziato a mettere mano a questo lavoro, in più luoghi. Partiamo dall’Ogliastra con Albino Lepori di Tortolì, 52 anni, laurea in Economia, funzionario della dogana, autore di diversi libri. Uno è fresco di stampa “Tortolì e la sua gente”, grafica del Parteolla, 490 pagine. sempre


la passione innanzi tutto o che cosa?
 «E proprio una passione e si accompagna alla curiosità di indagare i luoghi dove sono stato. A Oristano ho lavorato per nove anni e ne ho tratto il mio primo libro, ‘Temi sull’Oristanese’. Poi è venuto il lavoro sul mio paese natale e quello sul vino. Sono un sommelier».
 -Perché un secondo libro su Tortolì?
 «Il mio lavoro, nel 1991, è stato il primo a parlare della storia del paese, in assoluto. Il secondo completa in parte i libri di Virgilio Nonnis. Non siamo in concorrenza: Nonnis parla della gente di Tortolì che ha conosciuto e ne fa un quadro molto convincente, io completo la sua opera partendo dal periodo romano, con i due personaggi storici tortoliesi di cui è stato rinvenuto il congedo, i marinai della flotta del Miseno Numitorio Tarabone e suo figlio. Dopo la mia notizia, a Tarabone è stata dedicata una via. Questo è il primo tortoliese e quindi uno dei primi ogliastrini storicamente attestati. Siamo nel 187 dopo Cristo».
 -Come fa a dire tortoliesi?
 «O vi si erano stanziati con la flotta o sono tornati a Tortolì dopo il congedo. Se sono ritornati probabilmente erano ogliastrini, d’altra parte in Ogliastra sono stati ritrovati altri due diplomi di questo tipo, ma di marinai appartenenti ad altra flotta».
-Venendo a secoli più vicini a noi, cosa ha trovato?
 «A parte il Medioevo, ho completato il quadro con le genealogie e con un censimento di fine 1700 dove sono riportate tutte le famiglie. Abbiamo un quadro di Tortolì al 1780 e possiamo conoscere tutti i ceppi familiari che vivevano nel mio paese in quel tempo. Partendo dal censimento, ho ricavato tutti quelli che sono arrivati a Tortolì dal 1780 al 1915, 135 anni di storia. Una curiostà: ho individuato il cognome forse più antico del mio paese, Murreli».
-Antico quanto?
 «Quasi settecento anni».
-Andando per archivi, quali sono le difficoltà maggiori per un ricercatore?
 «Non sempre si può cercare ciò che si desidera. Molte volte ci si deve basare solo sugli inventari, schedari, cataloghi e promemoria. Importanza notevole hanno i Quinque libri, i registri delle parrocchie. Per me il problema è stato che a Cagliari i Cinque libri dell’Ogliastra non ci sono».
-Il suo tempo libero dove va a finire?
 «Negli ultimi due anni ho trascorso il sabato mattina all’Archivio di Stato, oltre che il martedì ed il giovedì pomeriggio, giorni di apertura serale. I pomeriggi domenicali li ho passati all’Archivio dei Mormoni sfogliando i registri anagrafici di Tortolì».
-Che c’entrano i Mormoni?”I Mormoni hanno microfilmato i registri anagrafici di tutto il mondo: con una semplice richiesta e il pagamento di circa tre euro si può far arrivare a Cagliari, in via Peretti, anche la bobina di Tortolì».
-Altre carte?
 «Una fonte importante, la segreteria di Stato del periodo sabaudo. Vi si trovano molte informazioni. Inoltre i testamenti: non sono soltanto nell’archivio di Stato ma anche nei Cinque Libri. Io ne ho trovato uno di un notaio tortoliese del 1600».
-Quale diffusione, per i libri di storia locale?
 «Il mio libro sull’Oristanese è stato acquistato a Oristano e provincia. Questo di Tortolì è in tutte le librerie, sta andando molto bene».
-Esiste una ricetta che favorisca il gradimento da parte dei lettori?
 «Direi il carattere popolare. Scrivendo il primo libro mi ero posto proprio il problema di essere il più semplice possibile e nello stesso tempo di trasmettere il maggior numero di informazioni. La gente legge poco. Volevo dare la possibilità ai tortoliesi di leggere un libro: devo dire che ci sono riuscito».
-Come fa ad esserne sicuro?
 «Il primo libro ha venduto più di duemila copie soltanto a Tortolì. Non sono poche. Con questo secondo sono entrato più in profondità negli argomenti ma ho cercato di conservare la semplicità di scrittura».
-Preferenze dei lettori?
 «Sembrerà strano, ma gli alberi genealogici interessano moltissimo. Come pure i racconti dell’ultima parte, tratti da documenti dell’Archivio di Stato, dalle cause civili e penali. Un esempio è la storia di Efisia Cardia, una ragazza imprigionata dai genitori per quindici anni perché era rimasta incinta di un ragazzo di famiglia plebea all’inizio dell’Ottocento».
-Da chi era costituita due secoli fa la popolazione di Tortolì?
 «Molti lavoratori delle campagne venivano da fuori, troviamo parecchi giardinieri di Barisardo e diversi pastori arzanesi. Pietro Ferreli di Arzana aveva il bestiame nella tanca di San Salvatore, poi si è fermato a Tortolì e ha dato origine al grande ceppo dei Ferreli tortoliesi: informazioni che dànno un’idea degli interscambi».
-I libri non si scrivono per far denaro. Quale può essere, allora, la gratificazione interiore per chi si dedica a questa passione?
 «Il libro su Tortolì l’ho riletto almeno venti volte, ogni volta che lo rileggo è come se non l’avessi scritto io. La gratificazione? Aver dato la possibilità ai miei compaesani di leggere queste cose. Io sono innamorato del mio paese forse perché ne sono stato sradicato presto. La gratificazione è anche quella di aver visto la firma di mio nonno che non ho conosciuto perché è morto nel 1924. Durante l’elaborazione del libro ho vissuto un film in diretta, il migliore della mia vita».
-Che tiratura avete fatto?
 «Mille copie. Il primo problema è coprire le spese. In questo lavoro è già intervenuta la Comunità Montana e la Provincia. Il presidente Piero Carta è stato molto sensibile». 


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Lo scrittore tortoliese è stato a Salerno, Napoli e Firenze, poi il ritorno nell’isola, e la passione per gli archivi    L’odissea negli uffici della dogana prima del salto  «Continuo il lavoro di Nonnis, ma il mio modello è don Cocco»

 



CAGLIARI. Albino Lepori è nato a Tortolì nel 1953. Nella cittadina costiera ha vissuto fino all’età di 14 anni, «poi siccome in Ogliastra non c’era l’istituto dei ragionieri e stava nascendo l’industrializzazione, io avevo una zia a Macomer e sono andato a studiare nel centro del Marghine». Inizia una vita di spostamenti, lui la racconta così.
 «A Macomer mi avevano messo in una classe di pendolari, mi son trovato isolato anche perché a quell’età si sente il distacco dagli amici d’infanzia. Allora sono voluto andare via ed ho ripiegato su Nuoro dove mi sono diplomato, poi mi sono laureato a Cagliari in Economia e commercio. Qui mi sono fermato, con la parentesi del servizio militare: sono stato a Salerno, Napoli e Firenze che mi ha aiutato molto a crescere». Assunto come «addestrando per diventare funzionario della direzione generale della banca nazionale del lavoro», viene mandato a Verona come sede di prima assunzione. Prima di partire, da buon sardo, si era coperto le spalle «dando un altro concorso per avere la possibilità di rientrare in Sardegna». Il concorso riguardava le dogane ed era riservato ai laureati. Memore dei periodi trascorsi a Macomer e Nuoro, Albino Lepori volevo un posto di mare. «Sono stato chiamato alla dogana di Oristano, quando avevo già la casa a Cagliari. Per nove anni ho fatto il pendolare, Cagliari-Oristano-Cagliari. Nel 1989 finalmente sono rientrato a Cagliari dove ho prestato servizio alla dogana. Adesso, dal 1992, sono alla direzione regionale dell’agenzia delle dogane e mi occupo di contenzioso, faccio l’avvocato della dogana sarda, seguo i rapporti con l’avvocatura dello Stato, i procedimenti giudiziari e così via». Il rientro a Cagliari gli dà modo di frequentare «centri di consultazione che in altre città non ci sono, come l’archivio di Stato e la biblioteca universitaria». Luoghi molto importanti per l’ultimo libro su Tortolì ma anche per quello su Selegas. Racconta Lepori: «In pratica il libro su Selegas è servito come prototipo per poi fare il lavoro su Tortolì, che come argomenti si presta molto di più di un paesino come Selegas. Intanto, per Selegas, ho cominciato a sondare gli archivi, e quindi a non prendere cose scritte da altri ma a trovare notizie nuove ed elaborarle. Contemporaneamente scrivevo su alcune riviste: Quaderni Oristanesi, Il giornale della Trexenta, l’Ogliastra e Studi Ogliastrini».
 Tra le scoperte cagliaritane, Albino Lepori ne privilegia una: «È stato molto proficuo l’incontro col Centro sardo studi genealogici, nel 1997: è veramente un’associazione fatta apposta per chi ama approfondire gli argomenti di cui stiamo parlando. È un gruppo composto da persone veramente serie e qualificate. Mi sono stati molto utili, mi hanno fatto crescere e dato consigli, abbiamo scambiato opinioni. Qui in questo lavoro infatti comincia ad esserci un abbozzo di genealogia. Anche il colloquio continuo con studiosi del livello di Lorenzo Del Piano, Marcello Lostia, Vittoria Del Piano, Francesco Floris, Pino Ledda e Sergio Serra mi aiuta ed incoraggia». Ma il pensiero finale di Lepori va «ad una persona molto importante che ha scritto su tutti i Comuni dell’Ogliastra, il canonico Flavio Cocco di Gairo Sant’Elena, un ricercatore infaticabile e metodico, di grande rigore intellettuale: per me è stato un vero caposcuola».



ecco un altra  articolo    sempre    dala nuova sardegna   stavolta  dalla  rubrica  estiva  del 13\9\2005  e  sempre riguardante le miniere 

 

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   APPROFONDIMENTI 



 

PRIMO ARTICOLO                                                    




  • STORIA                                                                                                                                                                                                                                          per  informazioni  sulle ex miniere della sardegna   e  sulla storia  del movimento operaio sardo,le sue  lotte,ecc  . ; e questo altro  qui  sulla miniera  dell'articolo    http://tinyurl.com/apooj



  • LETTERATURA                                                                                                                                                                                                                                  il figlio di  bakunin di sergio Atzeni    qui  una   lettura radiofonica  e  qui per    trama del romanzo 



SECONDO  ARTICOLO



  • artigianato sardo  vendita  e  qacquisti


http://tinyurl.com/7gxgv                                                                                                                                                                                                                 http://tinyurl.com/e3s3m                                                                                                                           http://tinyurl.com/c8p2n                                                                                          


                                                                



 

Senza titolo 791




Camminando nel sentiero della vita

Camminando nel sentiero della vita
si alternano gioia e dolore

Al bivio,impauriti dal soffrire
ci si siede sulla panchina
a leccarsi le ferite
per la sofferenza dell’inganno
e sogni infranti come calici di cristallo,

siamo rami in balia del vento
stremati dal tempo
sradicati con violenza
per terra sbattuti
calpestati dall’indifferenza

Tutto passa
dalle corse da bambini
alle stagione dell’amore
solo il tempo potrà guarire…

Attratti da un sogno
l’incertezza
nel seguire la strada del cuore

Il calore di una mano
accompagna il passo

tra un attimo e l'altro della vita
c'è una speranza che attende un'altra speranza

se solo, si ha la forza
di coltivare nel proprio giardino
il fiore dell’amore



* I versi in corsivo son di Romano battaglia

Senza titolo 790

Ho appena ricevuto l'invito...ed ho accettato. Grazie per evermi contattata...

Come fanno a scattare le foto le persone ipovedenti e cieche? Le tecnologie utilizzate.

Alle scorse Paralimpiadi di Parigi il fotografo cieco João Maia da Silva ha stupito tutti con i suoi scatti. Ma come ha fatto? Scattare foto...