2.3.18

TU VIVI Lettera ad Antonietta di © Daniela Tuscano

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Ora ti prego, Antonietta, ti supplico, non cedere. Il tuo corpo risponde per te, col suo vigore superstite e intatto, giovane, biondo. Nel silenzio respira, a testimoniare la volontà e la forza, anzi, la singolare stupefazione della (r)esistenza qui, su questa terra. 
Abbandonata, lo eri già prima. Quando avevi presentato un esposto contro il criminale che ti aveva percossa brutalmente davanti alle figlie perché volevi separarti da lui. Ma non era successo nulla, come sempre. Già, la parola della donna non conta, e dovere della moglie è tenere unita la famiglia, cioè i famuli, cioè i servi. E serve, infatti, vi considerava l'individuo che ti ha sposata: serve, oggetti da possedere, patenti di rispettabilità sociale. Persone, mai. Perché avrebbe dovuto, del resto? Era la storia, in fondo. La letteratura. La politica. La religione. La stampa e, più recentemente, l'informatica. Tutto, nel tempo, è cambiato, tranne il solo tassello in grado di farci davvero uscire dallo stato di barbarie: la convinzione della piena umanità delle donne. 

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Così tu e le tue figlie - anch'esse avevano urlato, anch'esse temevano il padre, anch'esse ignorate, irrise, obliate - siete rimaste vittime, le ennesime vittime, di questa ferinità 2.0, di questo atavismo contemporaneo, sempiterno. Ennesime, mai uguali. Gli assassini si replicano e duplicano, ma ognuna di voi, di noi, è diversa. Unica. 
Stavolta nemmeno i grandi media sono riusciti a giustificare il femminicida. Ci hanno provato, ci proveranno ancora, ma con sempre maggior difficoltà e, speriamo, vergogna. Non osano più ricorrere alla consueta scusa del raptus; non possono. L'assassino aveva infatti pianificato tutto scrupolosamente, in cinque lettere, contemplando persino le spese per il funerale, la vendita della casa e la disdetta dei contratti per la fornitura del gas. No, nessun raptus, ma una lucidità glaciale che l'informazione tenta ora di contrabbandare per follia. Ma il cervello del carnefice, per giunta uomo d'ordine - ritenuto idoneo al suo ruolo malgrado i ripetuti accessi di violenza -ragionava alla perfezione. Cattivo. Era semplicemente cattivo. Un delinquente freddo e spietato. Politico: i femminicidi non appartengono alla cronaca nera ma all'antropologia, alla filosofia. Teologicamente, rientrano nell'ordine del peccato perché il dominio del maschio sulla femmina non è un fatto naturale ma il frutto della malizia e della superbia. 
Adesso, Antonietta, sei sola. E il tuo strazio non è finito. Il tuo sangue e le tue viscere pulsano disperatamente per riaffermare la loro terrena dignità. E questo, non riescono a sopportarlo. Ti odiano anche adesso; ti odiano, talvolta, da dentro. Alcune donne, anzi femmine, incautamente legate ai loro aguzzini, ti augurano infatti di chiudere gli occhi per sempre. Per il tuo bene, dicono. Hai perso le figlie. Hai perso l'uomo che diceva di amarti. Hai perso, insomma, la tua ragion d'essere. 
Vedi? Ancora una volta, la tua soggettività non è contemplata. Non "servi" più. Non madre, non moglie, tanto vale cancellarti. Nel tuo stesso interesse. Questa eutanasia di senso si presenta col volto della compassione. E, dietro a essa, si cela forse un'altra immagine: sempre la stessa: la "famiglia" finalmente riunita, ognuno al suo posto, il padrone e le sue famule, se non su questa terra, almeno nel sonno eterno.
Ma tu rimani, scompagna e urticante. Resti per spezzare questa gerarchia mortifera. Ci sei perché il futuro ti si prospetterà durissimo. Ma qualcosa è ancor più tenace, vero e onorevole. Tu. Antonietta e basta. Antonietta che si basta. E che, per essere realmente ancora madre, saprà e dovrà proseguire il suo cammino. Vivi, Antonietta. Non ascoltare le sirene dell'inganno, vivi lo stesso. Soltanto così le figlie cui è stato spezzato il futuro saranno glorificate, soltanto così potranno nascerne altre legate principalmente al loro cuore, libere d'amare, fuggire, sbagliare, di sovvertire una Storia mutila d'umanità.

                                        © Daniela Tuscano

LA MAESTRA DI TORINO VERRÀ LICENZIATA PRIMA DEI “MACELLAI” DEL G8 GENOVA 2001

Sono  parzialmente   d'accordo con articolo sotto    riportato .
Infatti  hanno si fatto bene a licenziarla , perchè uno\a che ha tale ruolo non si può permettere uscite del genere, non può permettersi questa violenza becera. Dovrebbe avere gli strumenti culturali per capire che non è questa la via giusta... Ed quindi è giusto che si prenda le sue reponsabilità e ne paghi le conseuenze . Ma qui sta pagando per tutti
Infatti l'uso che ne hanno fatto i partiti e i media é indecente .Praticamente l'hanno additata come il Male assoluto di questo paese di , stupratori , torturatori , ladri ,collusi,mafiosi ,corrotti ..... Ma sopratutto hanno accellerato i tempi .



 da  http://thevision.com/attualita/maestra-torino-polizia/

Finalmente la stampa e i politici italiani hanno trovato il nemico comune contro cui scagliarsi, tutti per uno e uno per tutti. Non ha le sembianze di un terrorista che tenta di commettere una strage, né quella di un amministratore accusato di corruzione (così tanti, questi ultimi, da diventare nessuno). Non è chi giura sul Vangelo contro l’ipotetica islamizzazione del suolo italico, né chi promette (o minaccia) di abolire i pochi diritti civili approvati durante l’ultima legislazione. Non è chi si candidapur essendo ineleggibile. Il nemico comune, il mostro da combattere, il male dell’Italia claudicante in mezzo ai tumulti è una maestra precaria di Torino.
Lunedì 26 febbraio, durante la puntata di Matrix su Canale 5, è andato in onda un servizio sugli scontri tra la polizia e i manifestanti antifascisti, circa cinquecento, che hanno tentato di raggiungere l’Nh Hotel tra corso Bolzano e corso Vinzaglio, dove stava parlando il leader di CasaPound Simone Di Stefano.Simone Di Stefano

Nel filmato si nota una donna in prima linea negli scontri di piazza tra antifascisti e CasaPound. Urla contro Forze dell’ordine schierate in strada: “Vigliacchi, mi fate schifo, dovete morire”. Intervistata, ha poi ribadito “Sì, ho detto quelle parole perché loro stanno proteggendo i fascisti e perché un giorno potrei trovarmi, fucile in mano, a combattere contro questi individui”. Da quel momento la maestra è diventata ufficialmente la personificazione della tensione sociale, mandante ed esecutrice degli scontri che hanno costellato questi lunghi, vacui, inutili e dannosi mesi di campagna elettorale. Il suo nome è stato messo bene in evidenza da tutti i media, e la sua vita analizzata sotto l’intransigente lente dell’opinione pubblica, e della politica.
Matteo Renzi, ospite della trasmissione di Canale5 ha subito commentato così: “Che schifo, un’insegnante che augura la morte ai poliziotti andrebbe licenziata su due piedi”. Ma “La cattiva maestra” è riuscita anche ad avvicinare gli estremi: così Matteo Salvini, in versione investigatore, ha rivelato di aver subito individuato la maestra torinese, raccontando che tempo fa la signora lo avrebbe attaccato su Facebook: “Mi ha scritto: sei incompatibile con la Costituzione, vattene affanculo,” ha raccontato il leader della Lega. Poi – per non lasciare campo aperto all’avversario politico – ha aggiunto che “La maestra che urla ai poliziotti dovete morire non metta più piede a scuola finché campa.”

Valeria Fedeli

La ministra Fedeli si è subito mossa per mettere in moto un bel procedimento disciplinare nei confronti dell’insegnante, che è stata prima sospesa e ora ovviamente rischia il licenziamento. Anche perché è indagata per istigazione a delinquere, oltraggio a pubblico ufficiale e minacce.
Che le immagini trasmesse da Matrix mostrino un’incompatibilità della maestra con il suo ruolo di educatrice credo che sia innegabile, per il solo fatto che anche quello dell’insegnante di Torino è un ruolo pubblico, e per quanto la libertà d’espressione debba sempre essere garantita, se ti fai riprendere dalle telecamere mentre auguri la morte di un altro impiegato pubblico, devi anche accollartene le conseguenze professionali e giuridiche. Personalmente, però, l’unica cosa che rimprovero alla maestra è l’ingenuità che l’ha portata a offrire un bel primo piano a tutti i reporter che le stavano attorno.



Ciò che è al limite dell’imbarazzante è come e quanto il caso sia stato strumentalizzato. Ancor di più perché la strumentalizzazione è stata univoca e trasversale, unisce partiti e società civile come neanche la vittoria dei mondiali di calcio.
L’insegnante è diventata un’untrice così nociva da poter contagiare chiunque le stia accanto. O lo sia stato in passato, anche solo per un attimo, come nel caso della consigliera comunale torinese Maura Paoli. Sempre all’interno dello studio di Matrix, mercoledì sera il conduttore Nicola Porro ha mostrato al leader M5S Luigi Di Maio una fotografia che ritrae la consigliera insieme alla maestra. “Credo che quella consigliera,” ha detto subito Di Maio, “non sia più nel Movimento”. E l’ha pure ripetuto. In realtà Paoli fa ancora parte del M5S e del suo gruppo consiliare a Torino e non ci sono notizie riguardanti un suo avvenuto o prossimo allontanamento dal Movimento. “Dev’essersi trattato di un lapsus,” pare abbiano detto quelli in risposta.
Ma la maestra è diventata una micidiale arma attraverso cui screditare l’avversario. Il senatore del Pd Stefano Esposito ha infatti attaccato su Twitter: “La maestra elementare che augura la morte ai poliziotti immortalata a una manifestazione #notav con la consigliera #M5s Maura Paoli nota sostenitrice dei centri sociali. Come ho sempre detto m5s e centri sociali a #Torino sono quasi la stessa cosa.” Eh sì, perché il Mostro di Torino è pure una di quelle inquietanti creature che vivono nell’ombra dei centri sociali, crogiolo di idee pericolose e sovversive, vedi i NoTav o NoMuos. Le immagini trasmesse da Matrix sono state immediatamente acquisite dalla Digos – sarebbe folle anche solo pensare che un’aizzatrice del genere possa restare a piede libero. E niente sfugge alla Digos di Torino: il mostro è stato subito identificato. Sì è vero, non è una leader dei movimenti antagonisti, neanche una portavoce. Ma pare, dice la Digos, che al centro sociale torinese “Gabrio” la conoscano più che bene. È una militante dei comitati NoTav che da anni si battono contro l’Alta Velocità in Val Susa – quella che è stata definita un’opera inutile, dopo vent’anni. Ma il suo nome compare anche nei rapporti sulle attività in Sicilia dei NoMuos, i gruppi che tentano di impedire l’istallazione dei sistemi radar della Nato a Niscemi. Insomma, si tratta di un pericoloso criminale che potrebbe destabilizzare un intero Paese, per di più alle soglie di elezioni nazionali.
E c’è di più. Come una spia russa, il mostro era riuscito a insinuarsi all’interno del tessuto sociale italiano, in uno dei ruoli cruciali per il suo prosperare: qualificata come maestra, o meglio una maestra non di ruolo. La donna compare da anni nelle graduatorie, anche come maestra di sostegno. È questo particolare legato alla sua professione che sembra aver turbato più di ogni altra cosa l’intera società italiana. Che un partito nazionale candidato alle elezioni dia pieno sostegno a una persona che tenta di fare strage di migranti, rivendicando politicamente il gesto, non sembra essere recepito come “pericolo”. Ma una maestra alla testa di un corteo antifascista che urla contro i poliziotti è inaccettabile.
Il mostro sembra aver scosso l’intera società civile. Il Corriere della Sera, grazie a un impareggiabile e imprescindibile lavoro di inchiesta, ha scovato “Claudia”, la mamma di un alunno dell’Istituto Comprensivo Leonardo da Vinci di Torino, la stessa scuola della maestra che al corteo antifascista contro CasaPound urlava ai poliziotti “vigliacchi, mi fate schifo, dovete morire”. “Mio figlio è alle medie,” racconta Claudia, “e sentiva le urla arrivare dal piano delle elementari, di sotto, dove c’era lei. Gridava sempre e i bambini erano terrorizzati, finché un papà si è arrabbiato e allora finalmente l’hanno tolta dalla seconda B e adesso non so bene che cosa faccia…”. Insomma, il mostro aveva da tempo mostrato il suo lato più oscuro. Peccato che non essendo noto il nome della mamma preoccupata, e non registrandosi lamentele da parte di colleghi o dirigenti della scuola, questo scoop sembra essere nient’altro che gossip.
Immancabile la lettera di una “figlia di poliziotto”



 le categorizzazione dei personaggi in casi come questi è sempre fondamentale per identificare i Buoni e i Cattivi. Sempre dalle pagine del primo quotidiano d’Italia, l’irreprensibile Gramellini ha descritto la maestra come una più fascista dei fascisti: “Arrogante, violenta, fanatica. Con gli occhi strabuzzati e la bocca sguaiata che bestemmia il buon senso e il senso dello Stato, farneticando di fucili partigiani come se fossimo ancora nella Repubblica di Salò anziché in quella di Gentiloni. La penso come Renzi (ogni tanto succede): quell’insegnante andrebbe licenziata in tronco. Per i danni che potrebbe fare ai bambini e per quelli che ha già sicuramente inferto alla sua categoria.” Perché nessuno pensa ai bambini?
A chiedere l’immediato intervento contro il mostro sono stati soprattutto i sindacati di polizia: Serve «una ferma e corale condanna morale e anche concreta,” ha affermato Felice Romano, segretario del Siulp (Sindacato Italiano Unitario Lavoratori Polizia), che ha pure ringraziato Renzi per aver “tempestivamente censurato questo tipo di condotta esprimendo solidarietà nei confronti dei poliziotti ed auspicando l’immediato sospensione dell’insegnante”.
Il segretario generale del Sap (Sindacato Autonomo di Polizia) Gianni Tonelli si è subito associato al collega: “Abbiamo assistito alla sospensione di un poliziotto per molto meno. Adesso ci chiediamo: cosa ne sarà di questa insegnante? Cosa avrà mai potuto insegnare ai suoi alunni? È possibile che un’istituzione come la scuola, deputata alla formazione e all’inclusione nella società, si avvalga di insegnanti che incitano all’odio e non rispettano le istituzioni? Da cittadino, ancora prima che poliziotto, mi aspetto che questa persona sia immediatamente sospesa dall’insegnamento”.
Questi commenti assumono un tono del tutto diverso – quasi divertente – se si considera che, solo qualche giorno prima della deflagrazione del caso della malefica maestra, la Polizia di Stato era balzata agli onori della cronaca per un tweet sarcastico. Vittime della frecciata contro gli osservatori di Amnesty International Italia, presenti alla manifestazione antifascista organizzata sabato a Roma dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) per monitorare il comportamento delle forze di polizia ed eventuali usi sproporzionati della violenza.
Perché, nonostante il nostro sia un Paese la cui memoria è sempre troppo corta, il tema delle violenze e delle torture perpetrate dalle forze dell’ordine è ancora un problema, e anche grosso, che l’approvazione della legge contro il reato di tortura – dopo un iter lungo appena trent’anni– non ha risolto, anzi.
Mentre l’Italia intera è indignata e spaventata dalle urla – probabilmente inopportune – di una maestra durante una manifestazione antifascista, non ha destato la stessa preoccupazione il fatto che a fine dicembre 2017, Gilberto Caldarozzi, condannato in via definitiva a tre anni e otto mesi per aver partecipato alla creazione di false prove finalizzate ad accusare ingiustamente chi venne pestato senza pietà alla Diaz da agenti rimasti impuniti, è oggi il numero 2 – Vice direttore tecnico operativo – della Direzione Investigativa Antimafia, ai vertici delle forze investigative italiane. E la nomina è stata decisa dal ministro dell’Interno Marco Minniti. Così come quella di Pietro Troiani, il vicequestore di Genova passato alla storia come “l’uomo delle false molotov”. Un altro dei condannati eccellenti per la “macelleria messicana” del G8, cui è stato affidato uno degli incarichi più prestigiosi della polizia italiana: Troiani il 21 dicembre è stato nominato dirigente del Coa, il Centro operativo autostrade di Roma e del Lazio, il più grande d’Italia. Come per Caldarozzi, tecnicamente non si è trattato di una promozione. Inoltre Calderozzi, insieme ad altri protagonisti dello scempio della Diaz, è stato spesso in cattedra alla Scuola Superiore di Polizia. Franco Gratteri, che all’epoca del G8 era un grado superiore a Caldarozzi, oltre a tenere anche lui cattedra alla Scuola di Polizia, negli anni ha stipulato accordi con le università. Anche Gratteri è stato condannato in via definitiva per la “macelleria” di Genova.


È già passata anche l’indignazione per i cinque minuti di applausi e standing ovation tributati dal Congresso nazionale del Sap ai tre agenti condannati in via definitiva per la morte del 18enne Federico Aldrovandi, durante un controllo il 25 settembre del 2005 a Ferrara – Paolo Forlani, Luca Pollastri e Enzo Pontani. In quel caso il segretario nazionale Gianni Tonelli – che ora chiede preoccupato cosa ne sarà della mostruosa insegnante di Torino – aveva lanciato la campagna #vialamenzogna, una risposta alla manifestazione nazionale  #vialadivisa con la quale pochi giorni prima la famiglia di Federico chiedeva la destituzione dei colpevoli della sua morte.
In quell’occasione proprio Tonelli parlò di “accanimento contro gli operatori delle forze di Polizia”, di “una pelosa macchina del fango che mistifica la realtà dei fatti trasformando, spesso, i violenti in eroi e i poliziotti in delinquenti.” D’altronde il caso della morte di Aldrovandi è evidentemente un nervo scoperto, tanto che a dicembre, il giudice sportivo Pasquale Marino ha multato alcune squadre di calcio perché i loro tifosi avrebbero esposto “uno striscione di contenuto provocatorio nei confronti delle forze dell’ordine.” Gli striscioni erano delle fotografie di Federico Aldrovandi.
E per quanto riguarda Stefano Cucchi, sembra si sia persa memoria del fatto che ancora non è stato condannato nessuno, a quasi nove anni di distanza dalla sua morte.
Insomma, la maestra di Torino non aveva un incarico di ruolo e probabilmente non l’avrà mai. Anche se, personalmente, non dispererei. Dato l’andazzo di questo Paese, fra qualche anno potrebbe ricevere una promozione.

mie riflessioni sulla strage da femminicidio di Latina

Strano tu che parli del femminicidio e delle violenze sulle donne non ci sia nel tuo blog un articolo o una presa di posizione sull'ultimo e terribile fatto avvenuto a Latina .
Questa è una dele email che ho ricevuto redbeppe@gmail.com (email del blog per chi ancora non lo sapesse )
  L'immagine può contenere: 3 persone, persone che sorridono, persone sedute e spazio al chiuso Ora il fatto è che a volte , parlo per me , davanti a simili fatti , si è come bloccati \ paralizzati da non riuscire a trovare le parole giuste che non siano le solite parole di circostanza  dei nostri\e  politicanti  (I II)   o quelle  sempre uguali     ed  sessiste  ( vedere  articolo  sotto della  Murgia  )  che si trovano sul 90 % dei media .
 Infatti
Michela MurgiaIeri alle 10:56 ·

"Non ci sono parole per questa tragedia", ha detto stamattina il giornalista radiofonico che commentava la notizia del tentativo di uccidere Antonietta Gargiulo e della morte delle sue due bambine per mano dell'uomo da cui si stava separando, il loro padre.
Non è vero che le parole non ci sono. E' vero invece che ci rifiutiamo di usare quelle giuste e continuiamo a pronunciare quelle sbagliate.
La parola giusta è "femminicidio", cioè la morte di una donna progettata da un uomo perché si rifiutava di agire secondo le sue aspettative. E' una parola che dice due cose: che è morta una donna, sì, ma anche il perché.
La parola sbagliata è "tragedia", perché richiama l'immaginario teatrale e inserisce quello che è successo in un quadro da sceneggiata sentimentale dove le persone coinvolte risultano alla fine tutte in balìa del destino. Ma non ha sparato il destino: ha sparato un uomo.
La parola sbagliata è "esasperato dalla separazione in atto". E' sbagliata perché regala un alibi emotivo all'assassino e insinua che la vera colpevole fosse la donna che aveva deciso di interrompere la relazione.
La parola sbagliata è "follia", è "raptus". Nessun femminicidio avviene di punto in bianco: tutti sono la punta estrema di un crescendo di violenze che in questo caso, come in molti altri, erano state rese note anche alle forze dell'ordine. Ogni femminicidio è l'esito di un progetto di annichilimento. Considerare reato solo la fine di questo progetto significa non poterlo mai impedire.
Spiace leggere sui giornali ancora parole come queste.
Indigna che una donna sia andata a chiedere aiuto alle forze dell'ordine e non sia stata presa sul serio perché ha dichiarato "solo" la sua paura.
Addolora pensare a quante donne, leggendo che denunciare non serve a salvarsi, a denunciare forse adesso non ci andranno più.
Servono soldi ai centri antiviolenza, i soli che prendono sul serio la paura delle donne ancora vive. Servono progetti di formazione scolastica contro gli stereotipi di genere che ancora costruiscono il maschile possessivo ed esigono il femminile remissivo. Serve educare i giovani all'addio inevitabile, alla sconfitta che fa parte dell'umano, alla perdita vissuta con responsabilità, in modo che l'unica via di risoluzione al dolore non sia più la distruzione di quello che ci fa soffrire.
Leggete i programmi elettorali. Ditemi queste cose dove le trovate
l'unico  pensiero   che sono riuscito a    formulare   è questo  





concludo  qui  con    questo  post   del mio contatto


Doriana Goracci si trova qui: Cisterna di Latina.
28 febbraio alle ore 19:24 ·

non si può mettere la faccia di uno che ha sporcato la divisa che portava per lavoro, da carabiniere, non si può mettere la foto di uno che se l'è pensata bene, aspettando alle 5 in garage la moglie che stava andando al lavoro in fabbrica alla findus, da cui si sarebbe separato il 29 marzo, per spararle più colpi, senza finirla e poi subito dopo aiutata dalle vicine di casa, ancora viva hanno detto e chissà cosa pensa se ce la fa... Se l'è pensata bene quando ha preso nella sua borsa le chiavi di casa e ha ammazzato da subito la figlia di 14 anni e l'altra di 8 che avevano raccontato ai servizi sociali e all'avvocato della mamma le loro paure, nel vedere quell'avanzo di padre disumano fare violenza sulla loro madre, se l'è pensata bene a rimanere rinchiuso in casa e togliersi la vita da solo dopo 8 ore: oh come avrei sperato che finisse per decenni in carcere con la paura che qualcuno gliela avrebbe fatta pagare...lei Antonietta Gargiulo di soli 39 anni non lo aveva denunciato per paura che perdesse il lavoro...e se non denunci e non provi con i fatti quanto sia pericoloso minaccioso NESSUNO TI ASCOLTA...dove sarebbe andata ad abitare come avrebbe mantenuto le figlie? si sarebbe fatto cara Antonietta, non so più che scrivere se non tutta l'amarezza la tristezza per quello che avevi incontrato amato e con cui avevi 2 figlie, si un mostro, di egoismo e violenza.Si chiamava Luigi Capasso e spero che nessuno faccia onore ai suoi funerali, dato che la chiesa
respinge i suicidi, quando gli pare...
p.s. UNA DOMANDA a lei te giornalista lavoratore studente disoccupato marito nonno fratello figlio compagno nipote amico uomo...hai mai avuto paura della violenza della donna che hai vicino,alle spalle,davanti, che mette le chiavi nell'uscio di casa ?



P.s

  ciò non significa    che  mi stia  arrendendo  , ma  certe  batttaglie  le  donne  le  combattono  meglio d noi  perchè hanno dele buone  lingue 



  e  sono  loro che   dovrebbero   insegnare  a  noi uomini  e  a  certe  donne  che ragionano  come  maschi allupati

"Le donne provocano la violenza maschile": bufera sulla candidata Forza Italia a Taranto

Maria Francavilla, moglie del presidente della Provincia di Taranto Martino Tamburrano, lo ha dichiarato ai microfoni di Studio 100. Ira dei gruppi femministi: "Cultura maschilista, nulla giustifica la violenza"







"Noi donne a volte provochiamo la violenza negli uomini e quindi è un tema da affrontare veramente con serietà". È la frase pronunciata in un'intervista rilasciata all'emittente Studio 100 da Maria Francavilla, candidata al Senato, in quota Forza Italia, per il centrodestra nel collegio uninominale Puglia 7, nonché moglie del presidente della Provincia di Taranto, Martino Tamburrano.
Frase che ha scatenato una serie di polemiche tra le associazioni in difesa delle donne e sui social. Parole dette a margine di un incontro e dibattito con l'autrice Barbara Benedettelli, che ha presentato il suo libro 50 Sfumature di Violenza. Femminicidio e maschicidio in Italia e che, secondo la Francavilla, avrebbe avuto il 'coraggio' all'interno di un discorso più articolato, di dire, appunto, che in alcuni casi le donne "provocano la violenza negli uomini".
 

Sulle sue dichiarazioni è intervenuto il gruppo Non una di meno Taranto, legato al movimento internazionale contro la violenza di genere e maschile, pronto manifestare anche quest'anno l'8 marzo. "La gravità delle sue affermazioni e la narrazione tossica che ne deriva  - scrive il gruppo -  rappresentano il terreno fertile per una cultura maschilista e machista che giustifica in qualche modo la violenza nei confronti delle donne, mettendo le vittime sotto giudizio .

non so che  altro dire  



28.2.18

Dario Cicchero & Mauro Ciancone presentano Over the Line primo quindicinale sul mondo del rugby: la sua filosofia, le sue curiosità e su chi ci mette la faccia

Cazzeggiando fra le varie pagine a cui vengo invitato \ iscritto in automatico o ( come in questo caso)   che mi vengono segnalate via messanger dai contatti di facebook , ho visitato la  pagina  facebook  https://www.facebook.com/overtheline65/ ed il realativo  canale di youtube curati   da   Dario Cicchero  e    Mauro Ciancone .
Come  prima cosa    oltre  a  FAQ  ho cercato   il primo post  o una presentazione . ed  eccola  qui  
Dario cicchero   e Mauro Ciancone innsieme  alla  pagina  hanno  aperto il canale di  youtube di Over the line   di cui  trovate sotto   un video  . Un  << CANALE DEDICATO AI MONDI, ALLE STORIE DI UOMINI E DONNE, ALLE METAFORE E ALLE PASSIONI DEL RUGBY RACCONTATE DAI PROTAGONISTI:E" ALLA PAGINA FACEBOOK "OVER THE LINE >>
Insieme   alla  prima  puntata  

Esso  è  Un  “quindicinale”, “rotocalco” o meglio “documentario diffuso” sul mondo del Rugby, la sua filosofia, le sue curiosità e su chi ci “mette la faccia”, dedicato a chi questo mondo e questo gioco non lo conosce e vuole saperne di più e a chi lo conosce e vuole meravigliarsi ancora della sua bellezza. Insomnma  la loro  " missione  " si riassume in questo pensiero: <<  La nostra “meta” non è solo far conoscere il mondo del rugby ma far appassionare il maggior numero di persone ai mondi di passione che circondano tutti gli sport, soprattutto quelli considerati in modo errato “minori” >>

ottimo canale e ottima pagina fb che  dimostra che in italia non c'è solo calcio grazie a Dario Cicchero e a Mauro   Ciancone ed  alla  nostra  chiaccherata  che  trovate  sotto  alla  fine del  post   sto imparando a conoscere un sport bello e lontano dai media . Ma  soprattutto    sono riuscito grazie  ai loro  video  fin qui tramessi    a mandare  al diavolo   il  mio preconcetto   che  vedeva  rugby  uguale  fascismo  solo perchè  : 1)  è nato e  si svilupato  sotto il  fascismo ( I II  )   2)  è  tutt'ora  ,  anche se   si sta  sdoganando e prevale  il fary play ,viene usato insieme  alle arti marziali  come propaganda  dalla  nuova destra  o  destra  extraparlamentare 
da https://inducks.org/
Infatti  diciamo che  è   grazie  a loro   che     si è    completato in me  quel processo iniziato   , non so dire  quando  con precisone   , 🤔🙄 nel rivedere  l'ennesima replica  tv  di   :   Lo chiamavano Bulldozer  un film del 1978, di produzione italo tedesca diretto da Michele Lupo  con Bud Spencer, pseudonimo di Carlo Pedersoli (Napoli, 31 ottobre 1929 – Roma, 27 giugno 2016) . Anche  se    come  mi  fa  notare  Dario  uno degli autori  della pagina <<   il film di Bud Spencer se ricordo bene parla di Football Americano e non di Rugby, sono due sport completamente diversi, l'unica cosa in comune che hanno, ma neanche tanto quella perchè peso e dimensioni sono diverse, è la palla ovale e a grandi linee i pali e il tipo di campo, ma null'altro, lo spirito le tattiche di gioco e molto altro sono diversissimi per certi versi anche opposti, due esempi veloci nel rugby conta la squadra nel suo toto tutti sono indispensabili al gioco anche se uno solo arriva a meta, chiunque può andare a meta, nel football mediamente i ruoli sono molto "stretti" e non tutti vanno a meta "tatticamente", nel football ci sono due squadre nella stessa squadra (difesa e attacco) e spesso con antagonismo tra le due, poi 
nel futbool colpisci anche chi non ha la palla nel rugby è vietatissimo ecc... e parlando con chi ha avuto a che fare con i due sport in prima persona ti diranno che è piu simile la pallanuoto al rugby che il  footbal >> Ma " la spinta " decisiva è avvenuta quando ho riletto insieme a mia nipote acquisita questa storia di Marco Gervasio topolino 2737 ( foto sopra a destra )
Ora Secondo me , ed è questo uno dei motivi per cui mi è piaciuta e mi piace la loro pagina ed il loro canale , c'è oltre alla passione anche l'intento di questa di sdoganare il rugby dall'ideologia fascista e la relativa trasformazione in sport e basta . Questa mia tesi interpretativa   è smentita dagli stessi Dario  e  Mauro << il nostro intento non è quello di "sdoganare" il rugby ma di farlo conoscere e per un altro semplice motivo che non riteniamo il rugby uno sport fascista (e lo spieghiamo alla domanda 8 ) e non ne abbiamo mai avuto "notizia" da parte di nessuno di questo stigma verso il Rugby >>
  Infatti , rileggendomi sia  :  l'intervista  chaccherata  che trovate  sotto  con relativi approfondimenti bibliografici  ,   sia  rivdendo  la puntata  introduttiva  ( vedere   video )  in loro c'è    solo il nobile    l'intento di trasmettere cio' che la tv e la stampa fanno per il calcio ciò di cui parla la recensione di questo libro  di
scritto nel 1961 e per la prima volta pubblicato in Italia ,fatta   da questo articolo  del quotidiano la repubblica del 2011 e   da  cui  ho tratto  la  foto  centrale . 
Ma  soprattutto   molta  umiltà  cosa rara  di questi tempi   e  voglia   d'imparare  : << Ti dico subito che alle domande tecniche io non saprò risponderti, Mauro forse, anche quella sui film doc ecc io ho solo visto asini e sinceramente non ricordo neanche com'è anche qui forse lo potrà fare mauro lui è l'appassionato e quello che è nell'ambiente io sono quello che non capisce nulla e vuole conoscere questo mondo. In qualsiasi caso la nostra conoscenza su quello che chiedi alla 4 e alla 5 è quasi nulla o comunque superficiale e potrebbero essere domande che faremo noi a qualcuno della federazione o ad uno storico del gioco, a poi ci sarebbero anche il rugby a 7 (che se non sbaglio lo si gioca alle olimpiadi) quello in carrozzina, il tuch , il beac, lo snow e credo altri 😁>> . Ecco  l'intervista  chaccherata
come è nata questa idea ?
OverTheLine nasce dal ritrovarsi di due vecchi compagni di scuola dopo ben trent’anni di lontananza e di esperienze maturate in questo lasso di tempo, il rugby per Mauro e la narrazione di storie per Dario. Questo è stato l’inizio di un percorso di approfondimento per Mauro e di conoscenza per Dario, che dopo una riflessione e uno studio di fattibilità è diventato un progetto concreto dedicato a chi il rugby non lo conosce e a chi lo conosce ma vuole ancora meravigliarsi della sua bellezza, assumendo la forma di quello che noi definiamo “rotocalco video” o meglio un “documentario diffuso” a puntate. Lo abbiamo costruito senza mediare i contenuti facendo parlare i protagonisti, non solo giocatori e addetti ai lavori ma anche le mamme, i papà, i nonni e i parenti vari, i gestori dei locali in cui si respira rugby, “semplici” appassionati, giornalisti, persone di spettacolo e chiunque sia affascinato da questo mondo variegato di umanità: praticamente da chiunque ci “metta la faccia”.
in cosa consiste la filosofia del rugby ? 
Dalle interviste di OverTheLine è emerso che la filosofia del rugby è paragonabile ad un grande contenitore nel quale si trovano valori semplici e fondamentali come la condivisione, il rispetto dell’altro chiunque esso sia, l’altruismo, la perseveranza, l’impegno, l’amicizia, il sostegno, il rispetto delle regole, la generosità, l’aggregazione, la correttezza, l’inclusione.
Tra l’altro gli intervistati sottolineano il fatto di come nel rugby tutti sono protagonisti e nessuno gioca per se stesso e in particolar modo che la partita di Rugby non la si gioca contro ma insieme alla squadra avversaria, tutto questo permette di vivere una grande emozione.
 come mai in italia non ha un grosso seguito ? 
E’ necessario sottolineare innanzitutto che il Rugby ha un seguito proporzionato alla sua diffusione e alla sua pratica sul territorio nazionale. Da molti viene considerato uno sport di nicchia nonostante in determinati eventi come il Sei Nazioni, i test match autunnali e i mondiali abbia una copertura mediatica e televisiva importante che ne promuove l’immagine e il suo contorno colorito.
Per aumentare l’interesse e il seguito verso questo sport è necessario per prima cosa che aumenti il numero dei praticanti. Ciò sta accadendo, il rugby di base è in costante crescita e in questo contesto i nostri intervistati alla domanda “come creare interesse oltre il Sei Nazioni” hanno dato risposte interessanti ad esempio è emersa la necessità di applicare nuove politiche di sviluppo e di investimenti indirizzati alla base del movimento rugbistico italiano da parte della Federazione Italiana Rugby, la necessità di comunicare il rugby, parlare del rugby al maggior numero possibile di persone al di là dei media che ne parlano, quando ne parlano, principalmente in chiave di risultati e raramente ne raccontano il suo universo, la sua gente, i suoi valori.
secondo la voce rugby di wikipedia : << (... ) Ne esistono due varianti principali, differenziatesi nel Regno Unito alla fine del XIX secolo: il rugby a 15 o rugby union, disputato tra due squadre di 15 giocatori ciascuno, e il rugby a 13 o rugby league, con 13 elementi per squadra. Al di là delle differenze del numero dei giocatori, le due discipline hanno regole differenti e sono considerate indipendenti l'una dall'altra.(..) >> quale delle due viene praticate in italia a livello locale ?
Dal lontano 1823 anno nel quale le cronache riportano “l’invenzione” del gioco, il rugby ha subito profonde trasformazioni e ha assunto formule diverse. La veste più conosciuta e praticata in Italia è il rugby a XV con i campionati seniores Eccellenza, serie A, serie B, serie C1, C2 e i campionati giovanili dall’Under 18 a scendere.

Si praticano anche il rugby seven (7 giocatori) disciplina olimpica, la versione a 13 giocatori meno diffusa e altre particolari come il “Wheelchair Rugby” (Rugby giocato in carrozzina), il “Beach Rugby”, il “Touch Rugby” che si può giocare da 2 a 99 anni, poi esistono anche alcune molto particolari come lo “Snow Rugby” giocato sulla neve e il “Rugby Subacqueo” giocato in piscina.

 5)sempre wikipedia : << Dagli anni novanta in poi, con l'avvento del professionismo, molto è cambiato, tutto il sistema è finalizzato a creare giocatori professionisti di alto livello, i club si sono associati in franchigie, è arrivata l'attenzione mediatica e con essa esigenti sponsor, anche il regolamento si è adattato alle mutate esigenze favorendo sempre più la spettacolarità del gioco a discapito delle fasi statiche. Alcuni riti per addetti ai lavori sono venuti meno, ma lo spirito originario è rimasto immutato e accanto al professionismo permangono ancora molti club dilettantistici.>> in italia lasituazione qual'è ? 

Precisiamo subito che il rugby professionistico è strettamente collegato al rugby di base e cioè al dilettantismo, punto di partenza di tutto il movimento ovale che vive di volontariato, delle quote di iscrizione dei praticanti, di elargizioni e come l’alto livello ricerca continuamente sponsor e partner per finanziare ulteriormente le proprie attività (pur non avendo professionisti).
L’arrivo del professionismo ha permesso l’innalzamento del livello del gioco e delle performance dei singoli giocatori, gli atleti possono dedicarsi a tempo pieno alla pratica sportiva traendone beneficio per il loro rendimento personale, per il conseguimento dei risultati delle loro squadre e per la spettacolarità delle partite. L’alto livello è il naturale traguardo al quale ogni sport aspira e nel rugby, in Italia, è una situazione ancora fonte di dibattito sul modo di conseguirlo e sui metodi da applicare

6) Tra 
i film più celebri,
i documentari  
  • I giganti dell'Aquila: trasmesso da Rai Educational e RAI3, che racconta le imprese sportive e umanitarie dei professionisti aquilani di rugby a 15 dopo il terremoto
  • Liberi a meta: trasmesso da RAI3, che racconta le imprese sportive di una squadra di detenuti di un penitenziario italiano
  • DMAX Rugby Stories, dedicato alle piccole storie legate all'ovale
L'Animazione
All Out!! è uno spokon manga ambientato in una squadra di rugby a 15. Ha avuto una trasposizione anime nel 2016.

quale s'avvicina di più a vostri intenti ?
Come detto in precedenza l’intento è quello di far raccontare il mondo del Rugby in ogni sua forma, con punti di vista differenti, dal vissuto differente, partendo dalla quotidianità dei suoi protagonisti che siano essi coinvolti in prima persona o semplici spettatori.Nessun eroismo, nessuna santificazione, nessun atto unico e irripetibile ma tanta vita e passione per lo sport in genere e per il Rugby in particolare.


la filosofia , che giustamente volete far scoprire ( o riscoprire ) del rugby la si trova nel mini rugby o anche nel rugby " normale " ?
La filosofia di questo sport è uguale per tutti i rugbisti, per tutte le età, a tutti i livelli e per sempre (si spera). Si inizia nel minirugby ad assimilare i valori, si pongono in questa giovane età le basi per il futuro sportivo dei bambini e, senza presunzione, per la loro vita di tutti i giorni. Cosa importante poi è che questi valori arrivino alle loro famiglie per poi con piacere essere condivisi.Non ne abbiamo ancora parlato ma a livello sportivo la cosa più bella che dovrebbe trasmettersi a tutti gli sport è il comportamento del tifoso di rugby sugli spalti dove il terzo tempo (citando un appassionato intervistato) “inizia dal primo tempo della partita condividendo in modo allegro e spensierato la partita e qualche birra con i sostenitori della squadra che gioca con la tua squadra”.

 secondo voi il rugby è ancora uno sport fascista come lo era in origine oppure non lo è più come dimostrano  sia questo articolo de ilfattoquotidiano  sia  questo  video ?

Partendo dal presupposto che il Rugby è uno sport e basta ed è nato in college e diffuso subito tra i minatori e gli operai gallesi, scozzesi, irlandesi e inglesi, non è mai stato uno sport fascista non solo non lo è più, poi se uno afferma che in Italia si è sviluppato durante il fascismo è un’altra cosa, anche perchè come tutti gli sport a cominciare dal calcio, ma anche il nuoto, l’atletica e molti altri in quel periodo sono diventati “fascisti” e utilizzati per la propaganda piegandoli a valori non loro. Lo sport è una delle forme di espressione e solidarietà più importanti per il genere umano e va salvaguardato e considerato come portatore di sani principi morali. Citando il più vecchio club ad “invito” (selezione internazionale) i “Barbarians”: il Rugby è un gioco per gentiluomini di tutte le classi sociali, ma per nessuno sportivo cattivo di nessuna classe sociale. 
Incuriosito ancora  di più    da  questa  chaccherata    specialmentre   dall'ultimo punto  , cioè   il rapporto tra  il rugby ed  il fascismo      ho  fatto delle ricerche   ed  ho trovato questi   riferimenti interessanti  ed  utili ad  abbattere   il mio pregiudizio su questo  sport    molto affascinante   . Pregiudizi nati  dal fatto  del periodo storico  ( guerra  fredda , post   anni'60\70  ,anni di piombo  strategia della tensione  , tangentopoli  )   in cui ho vissuto  la mia infanzia   e i miei prim  20  anni   e  "lo scontro"culturale\ ideologico\politico di mio padre   e mio prozio  politica  extraparlamentare   e  mio nonno paterno ( fascista  della prim'ora ? , mio prozio anche  lui fascista  .

#ilprincipelibero ? UN #DEANDRE' DA SOFA'

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Mi  che   a quelli    che  è piaciuto   ill principe libero   si contano sulle dita  di una mano  e  soprattutto  sono  qui fans   fanatici    che non riesce  a  separare  l'artista   dalla persona  , ma sono abituati a  santini laici  e   agiografici . 
Oltre   a me  (  vedere   mio post  )   che l'ho iniziato ad  ascoltarlo   discograficamente    solo con le  nuvole  in quanto volevo allora a vevo solo 14 annie rifiutavo tutto quello che ascoltavano i miei matusa , a stroncare questo film ci sono anche ottimi critici musicali come del calibro di Gino castaldosu repubblica del 23 febbraio qui un estratto http://bit.ly/2Fqdsrb il resto è a pagamenti a pagamento )  e l'asciutta - ma   non per  questo - incisiva recensione   del sito lindipendente 
Infatti ecco un altra stroncatura da chi de andrè lo ha conosciuto benissimo , quasi quanto i suoi familiari , Matteo Tassinari.




                  Tanto rumore   per nulla




PER il "PRINCIPE LIBERO" targato RAI, ossia al tentativo grottesco, innaturale, paradossale ed esasperatamente caricaturale e parrebbe assai improvvisato nel gessato stile pravdiano del cavallo mazziniano in Roma, tentativo improbo di ricordare il più grande dei nostri cantautori in poesia. Per far cassa, come direbbe il mio amico Bibi Ballandi morto pochi giorni fa e che ricordo volentieri in questa occasione, far contanti, cash, dobloni, euro, dollari. Che domande? Certo che avrei desiderato
che Dori Ghezzi avesse avuto un po' più di voce in capitolo, magari intervenendo sul testo, assicurarsi che il ricordo della inquietudine (creatività, poetica) di Faber non fosse marginale o rimaneggiata, come nessuno ha voluto che fosse, forse moglie compresa. Volevano fare un bel santino di Fabrizio De André e Luca Facchini, il regista, che c'è riuscito in pieno. NON OSANDO, tanto lo sappiamo che Fabrizio non voleva essere e non era un Principe. Per quel che ne so io, non li sopportava i principi.
PERCHE'sarebbe stata una grande occasione stare fermi, lasciare tutto com'era. Non muovere paglia. Non proferir parola. Non abbozzare neanche l'idea. Nessuno avrebbe detto nulla, come qualcuno non si sarebbe accorto di niente. Che gioia l'ignoranza che vola tutta via. Adesso, quando una scolaresca avrà bisogno di vedere un film su De André, quale film andranno a prendere secondo voi? Si procede, andando avanti senza sapere nulla, almeno non gridiamo allo “scandalo” e inconsapevoli, stiamo tranquilli. L’inconsapevolezza delle anestesie sociali, è il male preferito dalle maggioranze, quello che garantisce un'immane Domenica delle salme che si ripete in stand by, come uno scudo per proteggersi dalle novità troppo potenti o forti, quindi plachiamo tutte le scintille del caso, quello che è poi avvenuto nel due sere. Meglio sarebbe stato aspettare un'occasione migliore, centrare un traguardo, una ricorrenza importante, ma così ci chiediamo anche il perché di questa messa in scena colossale, questo dispiegamento di forze, invece di abortire un papocchio dove Tenco sembrava un liceale, Villaggio ricorda involontariamente Fantozzi e il Principe Liberato è un Faber da sofà con accento romanesco che è una campana stonata, favellando col contagocce, mentre Faber, quando era in compagnia, parlava con la fluidità dei fiumi in piena.
E QUEL CIUFFO, quel ciuffo, esagerato. Alla Zanardi, doppipetto come fossero fruit of the loom, ancheggiamenti da belle epoquè. Una produzione Rai, una Tv generalista che deve cercare di mettere d’accordo il più alto numero di persone (utenti pubblicitari) verso un tipo di programma, ‘sta volta è toccato al Nostro. Loro non ci pensano già più. Parlo dei progettisti Rai, i capostruttura, hanno altre questioni per la testa. Nuove. Un Faber troppo Adone. E poi gente come Riccardo Mannerini, Pepi Morgia, Gian Piero Reverberi, Franz Di Cioccio, Nicola Piovani, Francesco De Gregori, Massimo Bubola, Mauro Pagani, ma dove erano? Ma la FdA (Fondazione, Fabrizio De André), aveva bisogno di soldi per lavori da fare e ampliare l'agriturismo dell'Agnata (nella foto) che è poi stato il sogno di De André negli ultimi anni. Ve lo dico, io. Ellade Bandini, il suo batterista, mi disse. “Fabrizio di cantare non gliene frega più nulla. Ora è molto preso dal suo agriturismo che sta costruendo a Tempio (L’Agnata, più precisamente) e quello è il suo futuro”, concluse lasciandomi un po esterrefatto e con
la testa di chi ha capito una cosa che non voleva sapere, figuriamoci capire. De André si stava lentamente ma inesorabilmente appassionandosi sempre più all'attività di agricoltore, accantonando sempre più e progressivamente, quella musicale.

Un De Andrèda Sofà
PERCHE' sarebbe stata un grande occasione stare fermi. Non muovere paglia. Non proferir parola. Non abbozzare neanche l'idea. Nessuno avrebbe detto nulla, come qualcuno non si sarebbe accorto di niente. Meglio sarebbe stato aspettare occasione migliore, invece di abortire un papocchio dove un Tenco sembra un liceale, Villaggio ricorda involontariamente Fantozzi e il Principe Liberato è un Faber da sofà con accento romanesco che suona come una campana stonata, favellando col contagocce, mentre Faber in compagnia era un fiume in piena. E quel ciuffo, quel ciuffo, esagerato. Alla Zanardi, doppipetto come fossero fruit of the loom, ancheggiamenti da belle epoquè. Una produzione Rai, Tv generalista che deve cercare di mettere d’accordo il più alto numero di persone (utenti pubblicitari) verso un tipo di programma, ‘sta volta è toccato al Nostro. Loro non ci pensano già più. Parlo dei progettisti Rai, i capostruttura, hanno altre questioni per la testa. Nuove. Un Faber troppo Adone.
SENTIMENTALISMO  ECCESSIVO


DE ANDRE' CON L'AMICO E POETA RICCARDO MANNERINI,col quale scrisse il suo primo
Concept-album: "Tutti morimmo a stento"

E POI PERSONE come Riccardo Mannerini (poeta) e col quale ha vissuto una decina d'anni in un monolocale dell'angiporto genovese, Pepi Morgia regista dei concerti grande amico, Gian Piero Reverberi grande compositore, Franz Di Cioccio batterista PFM, Nicola Piovani direttore d'orchestra, Francesco De Gregori (ma non era lui il Principe?), Massimo Bubola (cantautore), Mauro Pagani (polistrumentista) e molti altri, ma dove erano? Ma la FdA (Fondazione, Fabrizio De André), aveva bisogno di soldi per lavori da fare e ampliare l'agriturismo dell'Agnata (nella foto) che è poi stato il sogno di De André negli ultimi anni. Ellade Bandini, il suo batterista mi disse: “Fabrizio di cantare
non gliene frega più nulla. Ora è preso dal suo agriturismo che sta costruendo a Tempio (L’Agnata, più precisamente). Quello è il suo futuro”, concluse. Eravamo a Rimini nel '98 e la sera Faber s’esibiva al Palafiera. Era in tournè con “Anime salve”, quindi non mi sento neanche di imputare “Mammadodori” di aver accettato un prodotto marchiato e tipico della linea editoriale nazional-popolare della Rai. Accontentar tutti, per non dispiacere a nessuno. Un Principe recintato, quasi imposto, richiesto e circoscritto alla richiesta, nonchè delimitato a norma, regolamentato a dovere, svuotato di tutto il suo sapiente comporre, le sue lunghe nottate, le sue pennellate, i suoi facili entusiasmi per scontrarsi con la realtà beghina e ottusa come un mattone. Eppure questa grande lucida cognizione della superbia dei vincitori, invece che ispirargli rabbia e disperazione, innescava la sua grande forza narrativa dilatandone la spontanea dolcezza.


DE ANDRE' DURANTE IL PROCESSO A SASSARI
DOPO IL RAPIMENTO DURATO PIU' DI 4 MESI


NON alla RAI,Non al BISCIONE, e neanche a LA7


FABER non ha brevetti come non è mai stato così elitario, privilegiato, agganciato, prenotato a vita, ancorato, ai benefit dell'esistenza che non scelse mai. Da qui la valanga di tormenti in Fabrizio che non sono stati neppure delineati nello "Speciale" (alla Minoli). La vita genovese, saltata damblè! Piedi pari. I carrugi. Mannerini? Troppo riguardante il ricordo che dovevano aver pensato di lasciare di Faber, un ricordo manipolato, non realistico. De André era altra roba. Speriamo nella prossima occasione. Ma bisogna capire che non deve essere un prodotto Rai o peggio ancora del Bisicione, loro fanno dei "santini" e così non è! Nel senso che per quanto e come conosco Faber, vorrei confermare che di Faber, nel "Principe libero", c’è molto poco. Come si può dire che quello fosse Fabrizio De André? Il Principe Libero si fossilizza sui sentimentalismi didascalici, e lo spettatore non sente neppure il desiderio, la bellezza delle parole né tanto meno l’impulso verso la libertà, che De André con una pennellata ti descriveva una città. E' mancato il genio, l'estro. E' mancato il coraggio di osare, ma penso che non fosse nei programmi Rai, l'osare. 




Dulcinea del Toboso,io sono il tuo Hidalgo Passerà anche questa stazione...

Nel mio cluadicante  narrar

E’ QUESTA LA grave cosa dell’intera operazione: aver dato di Faber un’idea beghina, irreale, non all'altezza. La nel procedere in direzione ostinata e contraria. Non era così la poetica, la vita di De André, la sua fragilità inossidabile al punto che suo figlio Cristiano lo chiamava "il toro" per il suo carattere molto competitivo. Perché il De André dell’innocente Luca, è didascalico ma anche fuorviante. Ma questa è una responsabilità di chi ha voluto mettere sullo scranno più alto il cantautore più profondo che abbiamo mai ascoltato. E questo a me pesa. E sarei curioso di sapere l’opinione del “Principe”, ma quello è impossibile purtroppo. Il mistero delle emozioni accoglie ogni raziocinio, ogni calcolo, tutto il vortice d'orrore si tramuta in un acquazzone di quel venerdì alle 15,30 che iniziò improvvisamente a piovere forte (su questo tutti i vangeli, apocrifi e "ufficiali", sono d'accordo) quasi come a lavare l'onta della violenza umana, capace di ammazzare in Croce chi parlava d'amore proclamandosi figlio di Dio. Una Buona Novella, chissà quanto e come manipolata o "rimaneggiata". L’umanità di Maria in questa canzone trascende la sua divinità, come è vero il suo contrario. Nelle parole di De André, Maria diventa la madre di tutto abbracciando il sacrificio della sua vita stessa per un disegno destinato al libero pensare di ognuno.



Ma voi che siete a Rimini tra i gelati e le bandiere non fate più scommesse sulla figlia del droghiere


CONCLUDO, (per la gioia di tanti), azzardando nel mio claudicante narrar, che non sarei l'uomo che sono se non fossi cresciuto ascoltando le sue canzoni, le sue interviste, i testi letti e divorati, il suo bel volto, le note spesso in minore, musica sapiente, il suo stile, la personale storia, il rapimento, episodi di altri che Fabrizio ha fatto suoi vivendoli, da Riccardo Mannerini, al regista-concert di Faber, Pepi Morgia, fino a Cristiano e Dori, non potrei dire di essere ciò che sono. Mi sarebbe mancata quella forma d'anarchia che non trova risposta nei poteri istituzionali fino ad essere convinto che è vero, non esistono poteri buoni, ma solo poteri con molti zeri e tanti interessi singoli. Tante parole cangianti e nessuna scrittura, proprio come nei campi d'ortiche, ricordi tanti e nemmeno un rimpianto per chi è abituato a farsi piovere addosso, non è un problema. Faber è in un campo minato col suonatore Jones perché ha accompagnato per mano la vita di molti di noi e questo rende tutto molto soggettivo complicando le questioni alterando la passioni. Alla fine penso che siamo in troppi a tirare la giacchetta di Fabrizio. Molti non centrano, o sono di passaggio, mai ci mettono la faccia, mai. Se poi scrivi, ti beccano la minutaglia, e ti chiedono di quella. Dopo 'st'inutile sbornia di un liquore che non è del Mercante. Per quanto mi riguarda, penso di lasciarlo stare per un po. Gradirebbe.


Quindi  affermo  che   de  andrè  aveva prevvisto la  sua santificazione  ed  agiografia  che   come  mi sembra  di capire   ascoltando questa  sua  canzone  https://www.youtube.com/watch?v=m3ZGdzuvcws


Concludo facendomi come il sito lindipendente questa domanda #ilPrincipeLibero: c’era davvero bisogno di una fiction per raccontare #FabrizioDeAndré? SEPPINO DI TRANA.  ci  manca  solo    che vendano  uno  stronzo  e  lo spaccino  per una  cagata  di fabrrizio 

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