15.11.05

Senza titolo 980

 «Che strano Paese è questo che accoglie gli immigrati di tutto il mondo e poi non li fa entrare nei negozi e li costringe a lavorare di nascosto e di notte nei cantieri. Dicono che questo è il Paese della democrazia e della libertà. Ma come può esserci democrazia e libertà senza la dignità ? »  Don Mario, omelia ai funerali di un immigrato morto sul lavoro,«Sacco e Vanzetti», Canale 5, 13 novembre 2005


 


la  fiction 


 


 Sergio Rubini e
Ennio Fantastichini
in una scena del film



 


Domenica13 e lunedì14 su Canale 5 ( l'ultima spostata su rete 4 )  la miniserie in due puntate Sergio Rubini ed Ennio Fantastichini interpretano i due italiani Sacco e Vanzetti, fiction d'autore "Impegno civile, non politico"Il produttore Guido Lombardo: "E' la storia di una ingiustizia"Rubini: "Mediaset coraggiosa, la Rai non lo ha voluto produrre"

"NON è un film di destra né di sinistra né, tanto meno, contro gli americani. E' la storia di un'ingiustizia commessa dagli americani su due italiani". Questo, secondo il produttore Guido Lombardo (Titanus), il senso di Sacco e Vanzetti, la miniserie in due puntate in onda su Canale 5 domenica 13 e lunedì 14 novembre, "debutto" di un gruppo di fiction che Mediaset dedica all'impegno civile (fra qualche settimana toccherà a Attacco allo Stato, sulle nuove Brigate rosse e gli omicidi Biagi e D'Antona). Prodotto televisivo anomalo, tanto da essere stato considerato all'altezza di una mostra cinematografica come quella di Venezia, dove è stato presentato, in anteprima, alla fine dello scorso agosto.
La storia è nota: quella dei due anarchici italiani, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, incriminati per rapina e omicidio, giustiziati sulla sedia elettrica il 23 agosto del 1927, riabilitati cinquant'anni dopo dal governatore democratico del Massachusetts, Michael Dukakis, miti eroici delle generazioni contestatarie del Sessantotto e del Settantasette, resi celebri da una ballata politica di Joan Baez e oggetto di un film-culto dallo stesso titolo diretto nel 1972 da Giuliano Montaldo, interpretato da Gianmaria Volontè e Riccardo Cucciolla e basato sugli atti del processo e su veri filmati di repertorio.
La miniserie di Canale 5, regia di Fabrizio Costa, scritta da Pietro Calderoni e Gualtiero Rosella, è interpretata da Sergio Rubini (Sacco) e Ennio Fantastichini (Vanzetti), e nel cast ci sono anche, fra gli altri, Omero Antonutti e Anita Caprioli. Un lungo racconto, che copre il processo, che durò sette anni, mobilitò l'opinione pubblica non solo americana ma anche europea, soprattutto francese, smosse pure il Vaticano e fece degli italiani due martiri dell'ingiustizia. Ma ampio spazio è riservato anche alla vicenda umana dei due protagonisti, alle loro motivazioni, al contesto storico. Per questo si tratta di "un film non politico - spiegano gli autori - ma con molta politica dentro". Si parla di emigrazione e sofferenze, di intolleranza razziale, di anarchia ma "distinguendo anche la componente violenta, quella di Andrea Salsedo e Gaetano Bresci, da quella più idealista di Vanzetti - dice Rosella - cercando di distinguere e di non essere reticenti".
"Da quegli anni a oggi - osserva Sergio Rubini durante la presentazione del film, a Roma - niente è cambiato, gli interpreti sì ma i costumi no: la commedia, il dramma sono sempre gli stessi. Quello che eravamo ottant'anni fa lo abbiamo dimenticato, visto che su un giornale, qualche giorno fa, ancora ho visto la foto di un immigrato e il titolo 'I nuovi barbari'". Rubini ha fatto i complimenti a Mediaset per il coraggio di realizzare il film: "E' sorprendente che a produrlo non sia la Rai, alla quale vanno invece i miei 'scomplimenti'". E anche se il film racconta una pagina nera dell'America "terra di libertà e giustizia", "non c'è traccia di antiamericanismo - ha precisato Lombardo - non è un film politico, ma solo la storia di un'ingiustizia". Rubini ha aggiunto di aver considerato Sacco "una persona di famiglia, mi ricordava la storia di mio nonno, le cui gesta di emigrante in America nel 1918 per cercare fortuna vendendo ghiaccio, e che poi sposò mia nonna per procura, mi hanno affascinato da ragazzo".
Anche per Ennio Fantastichini il film ha un significato particolare: l'attore, che viene da una famiglia di contadini e ha detto di essere cresciuto "con il sogno americano" ha raccontato di essersi avvicinato a Vanzetti chiedendo "idealmente" ispirazione a Volontè, che fu Sacco nel film di Montaldo. E definisce questa miniserie "altamente pedagogica": "Speriamo che la vedano i più giovani perché parla di fratellanza in un Paese che ancora alcuni vorrebbero diviso in Nord e Sud". Alla proiezione del film, oltre a un gruppo di studenti, c'era anche Giuliano Montaldo, che ha ricordato la commozione provata quando Dukakis lo invitò in America il giorno della riabilitazione, e ha apprezzato il lavoro e la sua attualità: "Parlare di quei due non è solo ricordarli, ma anche parlare di intolleranza in un'America in cui, allora, fuori dai ristoranti, c'era scritto 'No dogs, no niggers, no italians'". 



 



 


La Storia


Caso giudiziario trascinatosi dal 1920 al 1927 che ebbe come protagonisti gli immigrati italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, condannati a morte il 15 aprile 1920 per l'omicidio di due uomini durante una rapina in un calzaturificio. La loro esecuzione provocò proteste in tutto il mondo. Il carattere puramente indiziario delle prove addotte contro i due italiani (che erano attivisti anarchici) attirarono sulla corte accuse di faziosità dettata da motivi razziali e politici. La richiesta di riaprire il caso venne sistematicamente rifiutata, anche quando un altro detenuto, condannato a morte, confessò di aver preso parte alla rapina. Solo nell'agosto 1977 il governatore del Massachusetts Michael Dukakis riconobbe in un documento ufficiale gli errori commessi nel processo, riabilitando completamente la memoria di Sacco e Vanzetti.
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 cronologia
- Il libro "L'eredità di Sacco e Vanzetti" di Russel Aiuto tradotto il italiano per questo sito con la storia e immagini
- Documentazione passaggeri
- Articolo del Corriere della Sera sul 75° anniversario della loro esecuzione



 per  altri  documenti e  siticercate all'interno del  blog   in quanto ne  ho già parlato  qui


Senza titolo 979


La tecnica è l’Occidente. Della tecnica non possiamo fare a meno. E qui c’è il busillis, il problema. Perché una cosa è possedere una tecnica, un’abilità strumentale che ci permette di intervenire in molteplici campi e settori della vita umana e naturale, altra cosa è essere posseduti dalla tecnica.


Una volta l’uomo possedeva la tecnica. Oggi ne è posseduto. «Poco male» si dirà. «Sempre meglio che fare a meno delle tante cose utili che la tecnica ci mette a disposizione e ci consente di fare». Può darsi sia vero. Ma il problema dei problemi riguarda la stessa idea di Potere: una volta il potere era la politica, oggi è la tecnica. Se non controlliamo più la tecnica, come facciamo a controllare il potere?


Per Platone la politica era la tecnica delle tecniche. La definiva l’arte regia, ossia quella tecnica un po’ diversa dalle altre che ad ogni cosa attribuisce o riconosce il suo essere. Insomma, detto in altre parole, il filosofo ateniese attribuiva alla politica il compito di decidere i fini da perseguire. Può essere un’idea buonao sbagliata, comunque da discutere. Anche la Modernità, soprattutto i tempi moderni, dunque non solo il grande Ateniese, ha attribuito al potere politico questo grande compito o funzione.


Ancora oggi si sente dire che bisogna riconoscere alla politica un primato. Tale “primato” altro non è che quanto già diceva Platone: la politica è l’arte regia, ossia la tecnica controllata dall’uomo in grado di decidere secondo il giusto fine. Ma chi determina oggi il fine? Chi può dire quali siano gli scopi giusti da perseguire?


La politica che conosce quale sia il giusto fine è finita da un pezzo. E non è neanche detto che sia un male. Anzi, per certi versi è senz’altro un bene. Infatti, la politica che decide tutti i fini si è realizzata nel XX secolo con i regimi totalitari nazionalsocialista e comunista. Le idee assassine (secondo il titolo del libro di Robert Conquest) hanno prodotto gulag e lager. La politica che sa,cioè che presume di sapere, quale sia la direzione verso cui marciare è senz’altro pericolosa.


La natura umana (perché alla fine di questo si tratta) è una natura misteriosa, che sfugge, che non si fa ricondurre a delle leggi naturali o storiche che, una volta conosciute, ci dicano cosa fare in ogni tempo e luogo.


Salvare l’uomo con la politica equivale a condannarlo anzitempo alle pene infernali. Così la conclusione della lunga parabola storica dei totalitarismi (altro che “secolo breve”) che si è avuta con il 1989 ci consegna anche una politica più “debole”,
ossia un potere che non può più indicare quali siano i fini giusti per tutti. È come se il potere,a furia di tagliare teste, si fosse autodecapitato.


Ma oltre all’autodecapitazione, la politica è stata spodestata dalla tecnica. La tecnica, che prima era un potere nella mani dell’uomo, è diventato il potere che ha come unico scopo quello di alimentare il suo potere. Come dice Cantarano, il mezzo è diventato il fine e, si può aggiungere, il fine è diventato il mezzo. La politica è una tecnica al servizio della volontà di potenza della tecnica.


Nasce così il problema del nostro tempo: la politica non può esercitare un controllo assoluto su tutto (perché in questo modo si ritorna sulla strada del totalitarismo) e, nel contempo, non può neanche abbandonarsi al destino della tecnica che alimenta solo potere tecnico. La corsa della tecnica è la corsa degli armamenti: la corsa a chi controlla più cose tramite la tecnica nucleare.


Sorge un dubbio. Non è stato sempre così? La storia umana non è la storia del dominio? La differenza rispetto al passato è data dalla scienza: la tecnica contemporanea è in grado di distruggere l’umanità.


Ma in che modo si può porre un limite a questa forza se non tramite un’altra forza? Solo la forza è la legge della Terra, dice Simone Weil.


Giancarlo Desiderio


Senza titolo 978


L’operaio entrò nella casa.
Un grappino ?
- Niente grappino.
Era una vecchia dietro il banco.
- Che cosa di caldo ?
- Niente di caldo.
- Neanche se aspetto ?
-Se aspettate sì. Caffè di cicoria.
- Aspetterò. Ci vuole molto ?
-La macchina deve scaldarsi. L’ho accesa ora.
Egli sedette a un tavolino di ferro, guardò e vide il tedesco, nell’angolo presso la porta, seduto anche lui che aspettava. Gli strizzò l’occhio.
- Eh ? - il tedesco chiese.Era non più un ragazzo, col nastrino al petto, di una campagna, non di una decorazione.
E la sua voce fu molto timida.
-Eh ?- chiese.
L’operaio voltò via il suo piccolo muso da lui.
Dio di Dio ! pensò. Che aveva un tedesco da essere triste in quel modo ?
Sedeva, le gambe larghe, la schiena appoggiata alla spalliera della sedia, la testa un po’ indietro, e la faccia triste, persa, una stanca
faccia di operaio.
Dio di Dio ! O non aveva conquistato ? Non era in terra conquistata ? Che cosa aveva da essere così triste, un tedesco che
aveva conquistato ?
Tornò a guardarlo e vide che quello non lo guardava.
Aveva gli occhi più in basso, come umiliato. Un momento si osservò le mani ; da una parte, dall’altra, entrambe insieme, e fu un
gesto lungo come ne fanno solo gli operai.
Dio di Dio ! egli pensò di nuovo.
Lo vide non nell’uniforme, ma come poteva essere stato : indosso panni di lavoro umano, sul capo un berretto da miniera.
Sarà zuccherato o no ? - chiese alla vecchia.
- Zuccherato ? Che zuccherato ?
- Allora non lo voglio.
Si rialzò, una mano in tasca, e si avvicinò alla porta. L’aprì.
Il tedesco sollevò il capo e, mestamente, gli sorrise ; anche dolcemente. Pareva di vedere sulla sua faccia che cosa fosse lo sporco di carbone.
Egli uscì.
Dio di Dio ! Pensava. Prese la moto del tedesco e ne spinse a fondo la pressione. Nessuno accorse dalla casa, e fuggì sulla moto.
Nessuno sparò dietro di lui.
- Sei pallidino - gli disse Orazio.
- E’ stata la corsa.
- La corsa ?
Scaraventarono la moto nel fosso, ne aprirono il serbatoio e diedero fuoco alla benzina.
- Questo è tutto - disse l’operaio. - Una moto di meno.
- Non l’hai fatto fuori ?
- No, era troppo triste.


Elio Vittorini

Senza titolo 977


www.photoforum .ru


Oggi ho tanta voglia di fare l'amore con te, la cosa che mi fa rabbia e che è impossibile quando veramente lo desideriamo, ma forse per questo e così bello e tanto atteso il momento in cui finalmente saremo uno nelle braccia dell'altro ad assaporarci.
Ritengo che l'amore è come bere un bicchiere di vino buono, mai ingerirlo in fretta...ma...assaporarlo lentamente, gustanrne la fragranza, perfino il colore.
L'amore, dolce parola formata da sole 5 lettere ma piena di lettere....infinite lettere comprese in un dizionario. Nella parola amore c'è il mare, il sole, la luce, lo splendore di uno smeraldo, la luna piena in una notte buia, vita. L'amore è vita e tu sei tutto questo per me, tu racchiudi il mio universo, lo spazio illimitato della mia anima e del mio cuore e anche del mio corpo che l'intenso desiderio di essere tuo.


Silvana Bilardi 

14.11.05

Senza titolo 976


by Silvana

Senza titolo 975


Tokie Williams non è un santo. E' soltanto un uomo che ha percorso un cammino per uscire dall'abisso. E' nato nel 1953 a Watts, dove nel 1965 vi furono le prime rivolte razziali del dopoguerra in America.


Insieme con l'amico Raymond Washington fondò la gang dei Crips, la cui sanguinosa faida con i rivali Blood è stata raccontata da infiniti film e romanzi.


Nel 1979 Washington fu ucciso in uno scontro a fuoco e nel 1981 Williams fu arrestato per quattro omicidi compiuti durante una rapina, giudicato e condannato a morte.


In carcere, Williams imparò a leggere e a scrivere. Riflette sulla sua vita. E cercò di darle un senso, provando a lenire le ferite che aveva provocato. Scrisse libri, fiabe per bambini, insegnando come la violenza porti alla morte dell'anima ed alla fine dei sogni.


Il 13 dicembre è fissata la sua esecuzione, a San Quintino. E' partita una campagnia per chieredere Governatore Arnold Schwarzenegger di concedergli la grazia


Questo è l'indirizzo mail a cui scrivere


governor@governor.ca.gov


Salvare Williams è salvare la speranza che ogni Uomo possa cambiare


Senza titolo 974


E' già gran tempo che il processo degenerativo della coppia concettuale "mezzo-fine" si andava preparando. Quale siano state le fasi di questo processo, mezzo e scopo si sono addirittura scambiate le parti: la fabbricazione di mezzi è diventata oggi lo scopo della nostra esistenza.


E si cerca spesso di giustificare cose che avevano avuto valore di scopo


Gunther Anders


Senza titolo 973


L'Occidente sorge da un mito. All'inizio della Storia Occidentale c'è il mito di Prometeo raccontatoci da Eschilo. Che dona ai Mortali la tèchne rubata a Zeus. La potenza della tecnica consente agli uomini -i più fragili tra gli esseri - di fronteggiare il caos. Pre-vedendo le cose future. Anticipandole (pro) con la scienza (mathesis).


Certo, a salvare i mortali è la Verità. Quella ricercata dalla sapienza filosofica. Ma se non ci salva dal Nulla, cui il divenire ci destina, la tecnica offre tuttavia un pharmachon. Un rimedio contro il dolore. Una medicina contro l'infelicità. Nella consapevolezza che comunque il pharmacon è comunque un veleno. Contiene in sè una contrapposta possibilità. Che può risultare letale o salutare se supera o meno una determinata soglia di tollerabilità.


Se supera o meno quella linea d'ombra rappresentata dal nichilismo occidentale.


Cantarano


Senza titolo 972


by Bisang


Frammenti di te


trovo sparsi


nel vento


che prima


portava i tuoi baci


adesso  propaga freddo


tristezza


dolore?


No!


Strano,


non mi da più dolore


il tuo ricordo.


Lo accarezzo invece


e con un leggero soffio


lo faccio andare


lontano...


via dal mio cuore.


Altre mani


scivoleranno sul mio seno


cingeranno i miei fianchi


mi trascineranno


lungo il fiume


del piacere.


Lungo sentieri assolati


variopinti


con i colori


dell’arcobaleno.


Silvana

13.11.05

Grande Mimmo!!!

Un omaggio a un grande della musica italiano,sempre dolce signorile e discreto,innamorato della mia terra e autore di una tra le più belle pagine della nostra canzone,voglio postare un suo lavoro che non è molto conosciuto,ma nei momenti di scoraggiamento mi ha sempre aiutato....



Meraviglioso


Domenico Modugno

E' vero, credetemi è accaduto
di notte su di un ponte
guardavo l'acqua scura
con la dannata voglia
di fare un tuffo giù.
D'un tratto qualcuno alle mie spalle
forse un angelo vestito da passante
mi portò via dicendomi così.

Meraviglioso, ma come non ti accorgi
di quanto il mondo sia meraviglioso
meraviglioso, perfino il tuo dolore
potrà apparire poi meraviglioso

ma guarda intorno a te
che doni ti hanno fatto
ti hanno inventato il mare
tu dici: "Non ho niente"
ti sembra niente il sole
la vita, l'amore.
Meraviglioso, il bene di una donna
che ama solo te. meraviglioso
la luce di un mattino
l'abbraccio di un amico
il viso dì un bambino, meraviglioso.

Ma guarda intorno a te
che doni ti hanno fatto
ti hanno inventato il mare
tu dici non ho niente
ti sembra niente il sole
la vita, l'amore, meraviglioso.

La notte era finita
e ti sentivo ancora
sapore della vita
meraviglioso, meraviglioso
meraviglioso ecc..

Senza titolo 971


01.45


Perché non ne vale la pena


Perché a volte fa male ancora


Perché ca**o


Perché non  ho avuto nessuna possibilità di replica


Perché ricordo il suo viso serio e duro con la sua risoluta decisione


Chi ti credevi? Un Dio?


Perché io non ero io


Perché mi sento una stupida ricordando di aver pianto davanti a lui


Perché quando finisce una storia, finisce e basta


Perché ora faccio quello che voglio


Perché voglio sentire che l’altro c’è e non sapere soltanto che c’è


Perché basta sbagliare ancora


Perché voglio sentire brividi


“e non riesco a perdonarti veramente”


“toccami e baciami fino alle viscere
immagino fantastico


I colori cambiano quasi per proteggere
pomeriggi inutili
fammi affogare nel tuo verde mare
con certezze sterili”


“Non mi illudo che tu abbia pazienza
e che tu pianga ancora per me
nel bilancio di quello che manca
non voglio escludere certo anche te
non mi parli da giorni e comprendo
quello che provi dentro poiché
ti ho colpito in centro all'orgoglio
credevo di vincere
che cosa non so”


 


A volte mi viene voglia di baciare una ragazza perché voglio superare uno dei tanti confini che richiedono coraggio.


 


Ma basta poco per sorridere.


Ho aperto la posta stamattina e mi sono ritrovata delle parole meravigliose… mi fanno stare bene!!!


12.11.05

Senza titolo 970

Senza titolo 969

 Comosso e  ispirato  , dalla bellissima  poesia postata  da  iperio  e  dalla reazione  / rigurgito   dei ragazzi calabresi  contro la mafia   (  vedere manifestazione  del 4  novembre  ) ho deciso  di   riportare  le  ulteriori news     delle  vicenda  di P.paola: monni  di   cui avevo  già parlato sempre  nel blog   verso la fine  d'ottobre  e per  rispondere  a dei miei amici  \  conoscenti maschilisti   che dicono che le donne  devono rimanere  a casa    a cucinare  a  lavare e che  sono  poco coraggiose  , Ecco questo  è un caso  in cui  , soprattuitto  in detterminate  zone chiuse   del sud  d'italia    le donne  sono più coraggiose  degli  uomini   Ecco l'esempio di Pina Paola Monni (  la  ragazza dela  foto  a  sinistra  ) la. la  quale  dopo l’uccisione del fidanzato, nonostante le  minacce  ele pesanti intimidazioni  ricevute   tramite  scritte su muri (  fortto a destra  )   per amore ha rotto il tabù dell’omertà   detterminante  in  alcune  zone  interne  della  sardegna   che continuanoad essere  legati  ad un codice  barbaricino   che  ormai  non nesiste  più  o si  è modificato a tal punto  da perdere  il significato originario  . Pina  spiega alla  nuova  sardsegna (  uno  dei quotidianio dell'isola  N.d.c ) perché ha rotto l’omertà    e  che  : << Orune rinasce se parla invece muore se tace» e che   prima o poi reagirà  Pina Paola Monni vorrebbe vivere e lavorare in un paese sereno, normale e tranquillo    E lei, «L’ambiente è dominato da pochi violenti che girano armati e molti subiscono Io ho fatto il mio dovere e non ho paura»  ecco lò'articolo  intervista  tratto  dala nuova sardegna  del 11  novembre   
<<  ORUNE. Pina Paola Monni ha la sua ricetta apparentemente molto semplice per trasformare Orune in un posto «sereno, normale e tranquillo» dove poter vivere e lavorare: «Il paese rinasce se parla, invece muore se tace». E lei questa strada l’ha imboccata con un indubitabile coraggio: al processo per l’uccisione del fidanzato Pasquale Coccone e dell’amico Amerigo Zori ha puntato il dito contro l’unico imputato in aula. Lei ha parlato, ma molti compaesani - testimoni del delitto - non ricordano o non hanno visto niente. E’ la «cultura del silenzio» dice in una lunga intervista alla Nuova. Non perdona ma non chiede vendetta, la scorta non la vuole e denuncia: il paese è in mano a pochi violenti che vanno in giro armati. Ormai non esce più, non si mostra in giro ma le minacce non le fanno paura. Pina Paola Monni è una ragazza semplice, gli occhi neri pieni di luce. Con le mani poggiate sulle ginocchia flesse, esterna un piccolo grande desiderio: poter vivere, passeggiare, lavorare “in un paese normale, sereno, tranquillo”. Usa questi tre aggettivi uno dopo l’altro conversando a testa china, nel primo pomeriggio, nella sua casa profumata da rose gialle e rosse tra i lecci di “Su Pradu”, l’acropoli verde che domina Orune e spazia nell’orizzonte fino al mare. Il cielo è pulito, neanche una nuvola, cielo blu, blu sardo. Parla guardando la foto del fidanzato, ucciso con un suo amico la sera della Domenica delle Palme 2004 in un bar pieno di gente, nella piazza centrale del paese, quella del mercato, piazza Lanfranco Latino, eroe orunese della prima guerra mondiale. Ma nessuno ha visto. Nessuno ha parlato, tranne uno dei due assassini. Ha parlato e parla lei, donna sarda dell’anno. È intelligente, non veste i panni dell’eroina (“mi sento solo una ragazza normale”). E si chiede: “Non è normale onorare col ricordo un fidanzato ucciso dalla follia e che verso di me era pieno di tenerezze?”. Parla con i magistrati e conversa con i cronisti. Accetta il flash di una macchina fotografica. Qualche giorno fa il prefetto di Nuoro, Antonio Pitea, è venuto a portarle la solidarietà delle istituzioni. Un gesto ricco di significati civili, siglato da un uomo dello Stato, nel silenzio inquietante di altre istituzioni, di altri pulpiti, di tanti professionisti. Pina Paola parla serena e decisa avanti alla mamma che ne apprezza ogni gesto, ogni riflessione. Non porge l’altra guancia. “No, non perdono, non si può perdonare chi uccide un uomo, chi stronca una vita”. In tre ore di colloquio mai evocata la parola vendetta. La giustizia è quella pubblica, non quella privata, da Far West. Parla piano, quasi sotto dettatura: “Io accetterò le decisioni dei giudici, dovrebbe accettarle sempre tutto il paese. Il processo è in corso e con la sentenza, per me, calerà il sipario su un dramma assurdo che ha ferito ancora una volta Orune, lo ha riportato in negativo alla ribalta della Sardegna. In me resterà il disprezzo a vita verso chi ha compiuto un atto così vile”. Motiva questo suo comportamento: “Credo che occorra parlare sempre: l’uso della parola non uccide, l’uso della pistola sì. Orune rinasce se parla, muore se tace”.Sembra di vedere e sentire Juliette Binoche, l’attrice francese che ha interpretato “Niente da nascondere” del registra austriaco Michael Haneke. E come in quel film anche qui, tra Nunnàle e Sant’Andria, si capisce che la donna nuova della Barbagia ha una forza e una passione che l’uomo forse non ha. Anche qui “la verità” diventa “la cosa più importante, senza paura”. Orune - coperto ormai dalla nebbia delle prime ore della notte - è sotto choc perché Pina Paola Monni ha creato per amore un evento storico, ha frantumato il tabù dell’omertà complice, ha sbriciolato una muraglia a tenuta stagna di silenzi dettati da un codice più barbaro che barbaricino. Perché oggi Orune non è un paese normale, né sereno, né tranquillo. Non lo è mai stato dal dopoguerra. Si può vivere bene, si può sorridere tra case e pascoli dove la vita è scandita dai rintocchi a lutto delle campane a morto? Nella piazza del Comune freddano a fucilate una mamma che va a prendere il figlio al bar. In campagna uccidono un pastorello di 14 anni com’era successo il 19 luglio del 1971 a Giovanni Gattu che badava alle pecore sfogliando Topolino sotto una quercia in un prato di primule bianche. È sereno un paese dove padre e figlio vengono decapitati e tre fratelli massacrati da uno spavaldo squadrone di morte? È normale che a Capodanno, come avvenne tra il ’91 e il ’96, si sparino migliaia di colpi e le strade siano pavimentate di bossoli? È normale calo demografico o c’è dell’altro se gli abitanti negli Anni ‘50 erano seimila, 4.600 nel ’70 e oggi ridotti a 2.860, anzi a “2600 residenti”? Negli anni ’50-‘60 alle elementari rispondevano all’appello 975 bambini in 34 classi, oggi gli scolari sono 123 divisi in nove classi. È normale che un paese - anche nella Sardegna dello spopolamento delle zone interne - si dissolva per la fuga dei suoi abitanti che vivono sotto una cappa di paura e varcano il Tirreno per cercare la nuova terra promessa all’estero o nei casolari della Toscana, nelle colline del Montefeltro o della Maremma? Pina Paola Monni ha 22 anni. Capelli lisci neri, maglioncino grigio, voce composta ma decisa. Porta all’anulare una fedina “regalata da Pasquale”, al medio un anello rosso-melagrana “regalato dalla famiglia di Pasquale”. Dal girocollo pende un filo di catenina in oro. Poche parole incise, come usano i fidanzati: “Pina Paola e Pasquale per sempre”. Si conoscevano di vista ma si erano frequentati dal giorno della festa di Sant’Isidoro 2003, a fine maggio. Possiamo uscire stasera? “Gli ho risposto di sì, mi aveva accompagnato a casa in macchina”. Poi tanti altri incontri “quando lui rientrava dal lavoro, manovrava l’escavatore di un cantiere edile, facevamo lunghe passeggiate in macchina, dopo qualche settimana il primo bacio, sotto un leccio, qui, vicino a casa. Lo presento ai miei genitori, lui mi porta dai suoi, eravamo felici, insieme stavamo bene, mi copriva di carezze”. Oggi Pasquale Coccone avrebbe avuto 24 anni. Era nato in un’altra famiglia normale di Orune, figlio di ziu Peppinu, pastore di pecore e di zia Pietrina Zidda. Abitava in via Isonzo, rione “Punteddone”. Un hobby su tutti, i cavalli: “Aveva comprato un purosangue baio da corsa, si chiamava Nitèo”. Una passione che sfocerà nella tragedia. Una fucilata in gola contro il povero Nitèo. “Pasquale sa subito chi ha sparato sul cavallo, lo cura e Nitèo si salva. Poi lo vende. Ne acquista un altro, lo teneva a Chilivani. Con i cavalli partecipava alle sfilate del Carmelo, a quella de “Su Segnore”, per Corpus Domini. Gli piaceva il trotto, il galoppo, le quadriglie. E quando era in groppa, sorridente nel tenere le briglie e nell’abbellire Nitèo con fiori bianchi e rossi sulla criniera, si sentiva felice”. Era felice anche la sera della Domenica delle Palme. Pina Paola ricorda quel giorno, era una giornata più londinese che orunese, cielo grigio. Di mattina Pasquale va a casa, a Su Pradu, e la porta in chiesa. Lui esce con gli amici. Dopo la messa a pranzo a Bitti, dalla nonna materna di Pina, Paola Bocco. C’era tutta la famiglia, allegra. Da nonna Paola fino alle quattro e mezzo del pomeriggio, poi a Sa Matta, all’ovile del padre di Pasquale. Ci si fermano fino alle sette. Tornano in paese, lui va casa per fare la doccia, lei lo attende per strada. Si incontrano di nuovo, fanno qualche passo insieme, lui entra da solo al bar 2000. Pina Paola - raccontano gli atti processuali - nota due giovani armati, Alessandro Sestu e Mario Pala. Uno di loro aveva sparato contro il cavallo di Pasquale. Dopo qualche minuto sente alcuni colpi d’arma da fuoco. “Mi si gela il sangue, tento di entrare al bar, mi viene impedito, vedo uscire tante persone, ma Pasquale no. Urlo il suo nome”. Cerca ancora di entrare. La bloccano. “Capisco che Pasquale è stato ucciso, è stato ucciso anche un suo amico, Amerigo Zori”. Vede Mario Pala che col calcio della pistola “infierisce” sul corpo di Amerigo. Continua a urlare. “Mi portano a casa, poi corro all’ospedale di Nuoro dove trovo Pasquale morto”.-Perché ha deciso di parlare? “Era la cosa più giusta che potessi fare secondo la mia coscienza”.-Ha paura? “No, ho fatto il mio dovere di fidanzata e di cittadina”.-Da poco quelle scritte sui muri contro di lei, piene di offese. “Ho saputo ma l’ho messo nel conto. Sono sempre più convinta di aver fatto bene a parlare”.-Il paese le è stato vicino? “Direttamente no, indirettamente sì”.-Come passa le sue giornate? “Ormai non esco più da casa, non mi piace l’ambiente del mio paese”.-Come è questo ambiente? “È dominato da poche persone violente che incutono timore sugli altri onesti e rispettosi. Vorrei che Orune vivesse tranquillo e dimostrasse agli altri paesi che cosa siamo in positivo. L’ambiente, lo voglio ripetere, è condizionato da pochi prepotenti che girano armati e molti subiscono. Occorre reagire. In altri paesi c’è stato un mutamento, da noi , e mi dispiace perché vorrei vivere nel mio paese, ricco di intelligenze, di laureati, di donne creative”. La mamma di Pina Paola è Maria Antonietta Ruiu, lavora come ausiliaria all’ospedale “San Francesco” di Nuoro. Voleva studiare ma a casa non c’erano soldi. Sposata con Salvatorangelo Monni, noto Baddòre, pastore di pecore a “Serra ‘e mesus” verso Nule, ha altri due figli: Pietro, di 16 anni (lavora in un cantiere edile) e Nina che studia al liceo intitolato a un grande sardo, Michelangelo Pira. Dopo le scuole medie anche Pina Paola frequenta lo scientifico di Bitti. Si ritira dopo il secondo anno (“mi aveva infastidito la bocciatura, non ritenevo di meritarla”). Nel 2000 apre un negozio di abbigliamento nel paese, in via Andrea Chessa: “All’inizio gli affari giravano, dopo tre anni sono costretta a chiudere”. E poi? “E poi a casa, ad ascoltare musica leggera e classica, guardo la tivù, leggo Sergio Atzeni, mi piace molto Stephen King, ho riletto due volte Il miglio verde. In estate vado a fare la stagione negli hotel di Orosei, e poi di nuovo a casa. Quando c’era Pasquale uscivo spesso, andavamo a Nuoro e Bitti a mangiare in ristorante o in pizzeria, adesso sto qui. Sola. Con i miei genitori e i miei parenti”. La casa è all’ingresso del paese, sulla vecchia strada per Nuoro, quella della casermetta di Sant’Efisio. È nel rione dov’è sorto il campo sportivo, prima del bivio che porta a Bitti. Un rione da residence, belle case con giardino, ci abitano cinquanta famiglie. All’ingresso vi accoglie un cartello di “Benvenuti nell’area leader II Gal delle Barbagie”, trovate ragazze che fanno trekking, sentite i campanacci delle pecore al pascolo e le grida festose di giovani atleti che si allenano nel campo di calcio. La casa di Pina Paola è ombreggiata da un agrifoglio verdissimo, tanti alberi da frutta, una fitta siepe di piracanta con le bacche rosse e gialle. Una casa normale, all’ingresso c’è il padre che sta rientrando dall’ovile. Pina Paola è nella sala da pranzo dove accoglie gli ospiti, dove ha ricevuto il prefetto. Qualcuno le chiede se accetterà la scorta che le è stata proposta. “No, io non la voglio. Ringrazio il dottor Pitea per le attenzioni che ha avuto ma io sono una ragazza di 22 anni, voglio potermi spostare senza dover essere di peso a nessuno. Io so di avere infranto alcune regole ma - lo ripeto - l’ho fatto in piena coscienza. Perché dovevo star zitta se ho visto chi ha sparato il mio fidanzato e l’amico?”. Nella stanza tante foto alle pareti: spiccano alcuni ingrandimenti con Pasquale cavallerizzo. Sul piano del comò altre foto di momenti felici, lei e lui abbracciati, lei e lui che si baciano, e poi il luttino con una scritta scelta da Pina Paola: “Guardando il cielo vedremo tante stelle, ma una sola la riconosceremo con il tuo sorriso immenso”.Il processo, al palazzo di giustizia di Nuoro, è in corso. Uno degli assassini - Alessandro Sestu - ha confessato. L’altro, Mario Pala, è latitante. La confessione di Sestu non avrebbe dovuto convincere i giovani presenti al bar 2000 a testimoniare? Pina dice: “Sì, potevano parlare, le loro dichiarazioni avrebbero fatto solo da cornice. Ma qui non si parla per costume”.-Che cosa vuol dire “per costume”? “Vuol dire che così è sempre stato. Ma con il silenzio ci ritroviamo con un paese vuoto e triste, dove le mie coetanee hanno paura di uscire e di parlare. Io mi sono comportata spontaneamente, ma è vero che ho avuto poche manifestazioni di solidarietà. Ciò non è successo per mancanza di rispetto né verso la mia famiglia né verso quella di Pasquale e Amerigo. Qui la gente ha paura, perché tutti sappiamo che nel paese ci sono molte, troppe pistole”.-Proprio nessuna solidarietà? “Ha preso posizione Bachisio Bandinu, il professore-antropologo di Bitti. E ha detto a Rai3 parole sagge. Il parroco di Orune, don Fenudi, dall’altare ha detto: vigliacco chi ha visto e non parla. Non mi sembra che quelle parole siano state ascoltate. Poi poche altre manifestazioni di solidarietà tranne il commento di qualche giornalista nuorese e di Giulio Angioni. Ma il paese - quello delle campagne e quello delle professioni - hanno taciuto”.-Continuerà a vivere a Orune? “Sì, perché credo che questo paese prima o poi reagirà. Non credo che i bambini di oggi vogliano vivere in un paese dove di sera scatta il coprifuoco. Vorrei che i bambini di oggi possano vivere in un paese normale, sereno, tranquillo. Se tutti parlano, se tutti accettano la legge dello Stato e non quella privata, Orune può rinascere”. E forse in qualche casa vuota tornerà la vita.Pina Paola Monni vorrebbe vivere e lavorare in un paese sereno, normale e tranquillo       >>       Sempre dallo stesso giornale  un articolo   che descrive  bene   il   clima di orune  e di quelle zone  dove  in particolare  dal 1950 più di 90 delitti: il sangue chiama vendetta in una spirale che pare inarrestabile   e porta  a chiedersi  in luce  del gesto  coraggioso di  Pinna  Quanti morti ancora perché il paese sia pacificato?  e  che neppure l’impegno degli Anni ’70 ha piegato i violenti   << ORUNE. Negli anni Settanta era stata la cooperativa teatrale “Antonio Pigliaru” a tracciare la strada del palcoscenico e della recitazione per tentare di esorcizzare la vendetta. Attori e attrici di Orune, di primo piano, espressivi, avevano portato in scena “In nome del padre”, un delitto come tanti, l’abuso di alcool, il canto delle prefiche (“ana mortu Antoni, coro meu”). Era un no corale alla vendetta, alla faida. Fu un successo in tutta l’isola con una regista, Pina Càmpana, che amava il suo paese più di se stessa. Il teatro approdò nelle scuole, lassù, a “Cuccuru ‘e teti” dove erano arrivati attori nazionali ed esteri, con testi sardi, nazionali ed esteri, ballerine di danza classica, giocolieri. Sindaco era un medico comunista, Pietro Pala. Diceva: “Dobbiamo cambiare pian piano la cultura quotidiana: portare i giovani in biblioteca, allontanarli dai bar, dare ai giovani un libro, togliere le pistole da ogni casa”. E ancora: “Dobbiamo chiedere alle mamme di educare i figli. Ogni giorno”. Nacque la biblioteca comunale Antonio Pigliaru, dietro il municipio di Piazza Remigio Gattu. Tornarono altri spettacoli teatrali, ce ne furono alcuni itineranti, di notte, per le strade del paese dove spesso soffiava “su ventu malu”. Qualcuno aveva paura di quella sfida, ma fu vinta. E fu una festa, un trionfo. Si capì che si poteva camminare sicuri tra viottoli illuminati da fiaccole. Se tornava l’ombra dei delitti, col coltello o con la doppietta, in aperta campagna o tra i flipper di un bar, si convocava il Consiglio comunale e si discuteva in pubblico. Intervenivano Mario Melis, presidente della Regione ed Emanuele Sanna, presidente del Consiglio regionale. Il vescovo, monsignor Giovanni Melis, predicava da sacerdote invocando la pace. Certo. Molti tacevano. Molti disertavano. Ma l’istituzione, la politica svolgeva il suo compito. Civico e civile. Non è bastato. Perché i delitti sono continuati come prima e peggio di prima. In campagna e in paese. E non sono state risparmiate le donne. Nel 1971 - per stare alla cronaca più recente - uccidono una mamma che non voleva che il figlio stesse al bar a ubriacarsi. Si chiamava Domenicangela Senes. Povera donna, trovò la morte in piazza. Perché? Perché voleva spezzare la catena alcool-pistola-delitto-faida. Non glielo avevano perdonato. Un anno dopo, il 30 luglio, ammazzano Antonietta Goddi e Pietro Tolu, erano in via Asproni, rione Parraghine. E chi dimentica quel fiore di ragazza - Maria Teresa Moni - assassinata la notte di Capodanno del 1977 sulla porta di casa? Aveva tredici anni. A novembre del ’90 massacrano di piombo una ragazza di 26 anni, Giuseppina Sanna Pirrolu. Risparmiano il padre “per fargli assaporare il lutto, non l’hana mortu pro intènnere prus su dolore”, spiegò un orunese a un cronista. Dopo Giuseppina ammazzano anche un fratello: rientrava dalla festa di nozze della sorella. Quanti altri delitti? Dal 1950 a oggi ne sono stati commessi 92, quasi due all’anno. Con periodi di terrificante recrudescenza. Sei delitti nel 1984 (due fratelli Deiana, un Mula, un Sanna, un Malune, uno Zidda), altrettanti nel 1989 (ancora un Deiana, Vargiu, tre fratelli Coccone, un altro Malune) e così l’anno successivo (tre Chessa, Busia, Moreddu e Pirrolu). E poi le croci sui Baracca, Arridu, Pittalis, Montesu, Deserra, Burrai, Mangia, Siotto. Come dire che in ogni famiglia c’è stato un morto ammazzato. Deve essere una catena senza fine? Tornano alla mente alcune frasi di un gigante della dottrina forense nuorese, l’avvocato Gonario Pinna. Conversando nel 1967 con alcuni universitari durante la pausa di un processo in Corte d’Assise a Perugia, aveva parlato di alcuni centri del Nuorese: “In Barbagia più di un paese ha saputo superare i drammi ereditati dal passato. Le tragedie, le faide avvengono dove regna la prepotenza, dove l’ospite è guardato con sospetto, dove il carabiniere o il poliziotto sono visti come nemici”. Gonario Pinna difendeva alcuni pastori di Orune. Di Orune - e di un altro paese oggi forse pacificato - parlò: “Occorre il ricambio dei globuli rossi. Orune da solo non ce la farà mai, ha bisogno di innesti buoni”. Pinna, che aveva studiato in Germania, aggiunse: “Bisogna portare a Orune i pedagogisti di Heidelberg e farli vivere lì. E siccome gli orunesi sono intelligenti capiranno che cosa vuol dire il confronto”. Tornare alla terapia di Gonario Pinna il sociologo sarulese? Tornare alla ricetta più semplice di Pina Paola Monni che invita tutti all’uso della parola per uscire dalla notte nera della vendetta? Certo è che a Orune le migliaia di onesti hanno il diritto di vivere in un paese “normale, sereno, tranquillo”.(g.m.) >>  Speriamo che sia il primo esempio  perchè è  così poco usuale che qualcuno "parli" e  abbai  un coraggio cosi  grande  che bisognerebbe scriverne ogni giorno.

11.11.05

Senza titolo 968

Alla vita


La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla
dal di fuori o nell'al di là.
Non avrai altro da fare che vivere.


La vita non é uno scherzo.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,
o dentro un laboratorio
col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano gli uomini
gli uomini di cui non conoscerai la faccia,
e morrai sapendo
che nulla é più bello, più vero della vita.


Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant'anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.


Nazim Hikmet



immagine di Iperio, toscana meridionale, agosto 2004

Senza titolo 967


La vera prigione


Non è il tetto che perde
Non sono nemmeno le zanzare che ronzano
Nella umida, misera cella.
Non è il rumore metallico della chiave
Mentre il secondino ti chiude dentro.
Non sono le meschine razioni
Insufficienti per uomo o bestia
Neanche il nulla del giorno
Che sprofonda nel vuoto della notte
Non è
Non è
Non è.
Sono le bugie che ti hanno martellato
Le orecchie per un'intera generazione
E' il poliziotto che corre all'impazzata in un raptus omicida
Mentre esegue a sangue freddo ordini sanguinari
In cambio di un misero pasto al giorno.
Il magistrato che scrive sul suo libro
La punizione, lei lo sa, è ingiusta
La decrepitezza morale
L'inettitudine mentale
Che concede alla dittatura una falsa legittimazione
La vigliaccheria travestita da obbedienza
In agguato nelle nostre anime denigrate
È la paura di calzoni inumiditi
Non osiamo eliminare la nostra urina
E' questo
E' questo
E' questo
Amico mio, è questo che trasforma il nostro mondo libero
In una cupa prigione.


Ken Saro Wiwa


Senza titolo 966


Dieci anni fa, il 10 novembre 1995, nella grande città negeriana di Port Harcour, un uomo veniva impiccato come un cane, dopo un processo farsa. Il suo nome era Ken Saro Wiwa, scrittore, il Socrate africano.Il suo reato ? La difesa del proprio popolo, gli Ogoni, un piccolo gruppo etnico che viveva di agricoltura, caccia e pesca, il cui territorio fu devastato dalle compagnie petrolifere.Ken Saro Wiwa contro di loro e contro la dittatura che le proteggeva, fu ferma, ma pacifica. Questo è il suo testamento le parole pronunciate dinanzi ad un giudice, che senza consentirgli possibilità di difesa, lo condannò a morte."Signor Presidente, tutti noi siamo di fronte alla Storia. Io sono un uomo di pace, di idee. Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa terra; provo fretta di ottenere che il mio popolo riconquisti il suo diritto alla vita e a una vita decente. Così ho dedicato tutte le mie risorse materiali ed intellettuali a una causa nella quale credo totalmente, sulla quale non posso essere zittito. Non ho dubbi sul fatto che, alla fine, la mia causa vincerà e non importa quanti processi, quante tribolazioni io e coloro che credono con me in questa causa potremo incontrare nel corso del nostro cammino. Né la prigione né la morte potranno impedire la nostra vittoria finale. Non siamo sotto processo solo io e i miei compagni. Qui è sotto processo la Shell. Ma questa compagnia non è oggi sul banco degli imputati. Verrà però certamente quel giorno e le lezioni che emergono da questo processo potranno essere usate come prove contro di essa, perché io vi dico senza alcun dubbio che la guerra che la compagnia ha scatenato contro l'ecosistema della regione del delta sarà prima o poi giudicata e che i crimini di questa guerra saranno debitamente puniti. Così come saranno puniti i crimini compiuti dalla compagnia nella guerra diretta contro il popolo Ogoni"

Senza titolo 965

Finalmente mentre  ascoltavo la malavita  dei baustelle  cd  prestatomi da  un amico  , in particolare  la  canzone   la  guerra  e finita  riporto qui  il testo  



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“Vivere non è possibile”
Lasciò un biglietto inutile
Prima di respirare il gas
Prima di collegarsi al caos
Era mia amica
Era una stronza
Aveva sedici anni appena


Vagamente psichedelica
La sua t-shirt all’epoca
Prima di perdersi nel punk
Prima di perdersi nel crack
Si mise insieme ad un nazista
Conosciuto in una rissa


E nonostante le bombe vicine e la fame
Malgrado le mine
Sul foglio lasciò parole nere di vita
“La guerra è finita
Per sempre è finita
Almeno per me”


Emotivamente instabile
Viziata ed insensibile
Il professore la bollò
Ed un caramba la incastrò
Durante un furto all’Esselunga
Pianse e non le piacque affatto


E nonostante le bombe alla televisione
Malgrado le mine
La penna sputò parole nere di vita
“La guerra è finita
Per sempre è finita
Almeno per me”
E nonostante sua madre impazzita e suo padre
Malgrado Belgrado, America e Bush
Con una bic profumata
Da attrice bruciata
“La guerra è finita”
Scrisse così.



 ho  trovato la  forza   , che nel post precedente  non  m'era riuscita  , , di esprimere \ descrivere  le mie  emozioni e i miei sentimenti  su talew evento  . E proprio mentre  m'accigo a  descrivere  le  sensazioni  le  emozioni , suscitate  da  i video e  dalle testimponianze  dell'inchiesta di rainews24  e  cerccando  di trattenere le lacrine  davanti  a tali abberrrazioni     ripenso  all'attualità  di  MASTER OF  WAR ( DI  BOB DYLAN ) risalente  al  1963   


<<
Come you masters of war
You that build all the guns
You that build the death planes
You that build the big bombs
You that hide behind walls
You that hide behind desks
I just want you to know
I can see through your masks

You that never done nothin'
But build to destroy
You play with my world
Like it's your little toy
You put a gun in my hand
And you hide from my eyes
And you turn and run farther
When the fast bullets fly

Like Judas of old
You lie and deceive
A world war can be won
You want me to believe
But I see through your eyes
And I see through your brain
Like I see through the water
That runs down my drain

You fasten the triggers
For the others to fire
Then you set back and watch
When the death count gets higher
You hide in your mansion
As young people's blood
Flows out of their bodies
And is buried in the mud

You've thrown the worst fear
That can ever be hurled
Fear to bring children
Into the world
For threatening my baby
Unborn and unnamed
You ain't worth the blood
That runs in your veins

How much do I know
To talk out of turn
You might say that I'm young
You might say I'm unlearned
But there's one thing I know
Though I'm younger than you
Even Jesus would never
Forgive what you do

Let me ask you one question
Is your money that good
Will it buy you forgiveness
Do you think that it could
I think you will find
When your death takes its toll
All the money you made
Will never buy back your soul

And I hope that you die
And your death'll come soon
I will follow your casket
In the pale afternoon
And I'll watch while you're lowered
Down to your deathbed
And I'll stand o'er your grave
'Til I'm sure that you're dead


>>


 Per i non parlanti inglese come me   ecco la  traduzione   tratta  da il  sito   del fans  club  italiani  dei perljam www.pearljam.it  che  ne  hanno fatto un abellissima  coover


<<


SIGNORI DELLA GUERRA

Venite signori della guerra
voi che costruite tutte le armi
voi che costruite gli aeroplani di morte
voi che costruite le grandi bombe
voi che vi nascondete dietro i muri
voi che vi nascondete dietro le scrivanie
voglio solo che sappiate
che posso vedere attraverso le vostre maschere.
Voi che non avete mai fatto niente
tranne costruire per distruggere
voi giocate col mio mondo
come se fosse il vostro piccolo giocattolo.
Voi mettete una droga nella mia testa (testo originale: un'arma nella mia mano)
e vi nascondete dai miei occhi
e vi voltate e correte lontani
quando volano i proiettili veloci.
Come Giuda dell'antichità
voi mentite e illudete
Una guerra mondiale può essere vinta.
Voi volete che io ci creda.
Ma io vedo attraverso i vostri occhi
e vedo attraverso il vostro cervello,
come vedo attraverso l'acqua
che scorre giù nel mio scarico.
Voi che armate tutti grilletti
perché gli altri sparino
poi vi sedete dietro e guardate
mentre la conta dei morti si fa più alta.
Vi nascondete nel vostro palazzo
mentre il sangue dei giovani
scorre fuori dai loro corpi
e si seppelisce nel fango.
Voi avete sparso la peggiore paura
che possa mai essere scagliata
la paura di mettere al mondo bambini.
Per minacciare il mio bambino
non nato e senza nome
non meritate il sangue
che scorre nelle vostre vene.
Quanto ne so io
per parlare quando non tocca a me?
Potreste dire che sono giovane
potreste dire dire che sono ignorante
Ma c'è una cosa che so
nonostante io sia più giovane di voi,
che neanche Gesù potrebbe mai
perdonare quello che fate.
Lasciate che io vi faccia una domanda:
sono buoni a tanto i vostri soldi?
Vi compreranno il perdono?
Pensate che potrebbero?
Io penso che scoprirete,
quando la vostra morte esigerà il suo pagamento,
che tutti i soldi che avete fatto
non ricompreranno mai la vostra anima.
E io spero che voi moriate
e che la vostra morte verrà presto.
Io seguirò la vostra bara
nel pomeriggio chiaro
e guarderò mentre siete calati
nel vostro letto di morte.
E starò sopra la vostra tomba
finchè sarò sicuro che siete morti.


>>
                                                            


Adesso che  ho ascoltato la  canzone     trovo le  parole   e la forza  di fare  parafrasando celentano  un gesto rock ovvero  esprimere le mie emozioni    e commentrare  ancora una volta  le  abberranti immagini  di quello che  è stato fatto a fallujah   .
Vedendo i  filmati dell'inchiesta di rainews24( 
vedere  i link del post precedente  )   non mi sono mai vergognato   cosi tanto d'essere un occidentale  e  un italiano  . Sono disgustato   dalpreferire essere morto e sepolto in una bara   o nella nuda terra   piuttposto  che , denunciatemi pure per  villipendio alla  nazione   ( anche  se  ciò è immune  da me  perchè  amo il mio paese   anche  se non alla maiera   retorico nazionalistica   come quella che ci vogliono imporree ma  alla   viva l'italia di  de Gregori   )  e chiamatemi sovversivo  d'appartenere a  ( come  mentalità  e  non come  cultura  )  a un paese  di  merda  che  nonostante  sia  finita la guerra fredda  non ha  il coraggio  di  uscire  come fece  De  gaulle  dalla nato  e  continua  a vendere il suo  di dietro  all'amico americano    sputando sul sacrificio di chi  è morto  per liberare l'ìitalia e  formare una democrazia   viiolando sia con l'intervento  in Kossovo ( centro sinistra  )in Iraq  ( centro destra ) uno degli articoli fondamentali :<>L'italia ripudia la guerra comestrumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione alle controversie internazionali".>> della  costituzione creata   da tale sacrificio  . concludo : 1) lasciando la parola  al bellissimo articolo di M.novella:Oppo    che   sulla  sua rubrica  del 11 c.m  dal titolo Battaglia? No, strage >> E così, li abbiamo visti gli effetti delle armi di distruzione di massa in Iraq: armi usate dall'esercito Usa in quella che è stata chiamata la battaglia di Falluja e che in realtà è stata la strage di Falluja. Una città con centinaia di migliaia di abitanti e centinaia di cupole, sulla cui distruzione avrebbe dovuto scendere il silenzio. Per questo sono stati messi a tacere tanti giornalisti e per questo è importante il terribile documentario mandato in onda nei giorni scorsi da Rai News 24: perché a testimoniare su quegli eventi sono ora dei soldati americani, che hanno partecipato al massacro e all'uso di nuove micidiali armi chimiche. Fosforo bianco, Mk77 e quanto altro ha bruciato i corpi di uomini, donne e bambini, senza che i loro abiti venissero danneggiati. Forse qualcuno avrà ancora il coraggio di sostenere che valeva la pena di fare la guerra in Iraq. Ma noi abbiamo visto con i nostri occhi che la guerra non esporta la democrazia; semmai importa crimini e criminali di guerra anche dentro il cuore malato della democrazia. >> 2) mettendo le mani avanti alle email   d'accuie  che  sicuramente mi giungeranno    rispondendo  che    se  denunciare queste  cose   vuol dire essere  antimericano  all'ora  lo  sono .  Ale accuse  d'essere disfattita   , sovversivo  e  di mancare di rispetto ai caduti di Nassyria rispondo  con  questa frase  di  don lorenzo Milani << M'accusano di aver mancato rispetto ai caduti . Non è vero  . Ho rispetto per  quelle infelici vittime  . proprio per  questo  mi parebbe  ndi offenderle  se lodassi  chi  le  ha mandate  a morire  >>  in questo caso  la  missione  di pace  (  anche  se ormai   non ci crede più  nessuno  )  in iraq  << e poi si  è messo  in salvo  >>  e  aggiungo rimane  al sicuro e mente sapendo dio emntire   o fà l'ambiquo  smentendosi continuamente. Termino con questa poesia  di Bertol Brecht :    La guerra che verrà  non è la prima. \ Prima ci sono state altre guerre.\ Alla fine dell'ultimac'erano vincitori e vinti.\ Fra i vinti la povera gente faceva la fame. \Fra i vincitori  faceva la fame la povera gente ugualmente..   di cui si sente un eco  nei testi dell'ultimo cd  della   cantautrice e musicista fiorentina Susanna Parigi  come  dichiarato    nerll'intervista  al portale\ comunity  www.italianissima..net  del 12\5\2005


colonna  sonora


 E' tratta  da  http://snipurl.com/js1k  sito  da  cui ho  preso il testo della canzone  con cuio  ho aperto  il post  . Perc  coloro  che volessero  i testi delle canzoni  ed eventuali news  posso cliccare sui   sul collegamenti  sotto riportati



Le Déserteur (Boris Vian)
La guerra di Piero (Fabrizio De André) 
Auschwitz (Francesco Guccini)
Where Have All The Flowers Gone (Pete Seeger)
Lili Marleen (Hans Leip)
Imagine (John Lennon)
Self Evident (Ani Di Franco)
Guantanamera (Autori Vari)
שיר לשלום (Yankale Rotblit / יענקל'ה רוטבליט)
Ode an die Freude (Ludwig van Beethoven)
The Green Fields Of France (Eric Bogle)

 


Senza titolo 964


Ci sono giorni che vorresti scrivere solo per la voglia di scrivere e non perché si ha qualcosa da dire.


Che quello che senti non è noia ma stanchezza.


Che decidi di farti male e allora ascolti canzoni…


Emotion Sickness


Che ti piace star li a concentrarti sul lavoro, e intanto quando i movimenti diventano automatici la mente se ne va altrove.. forse sempre dietro a qualche vetro di qualcosa…


Giorni che qualcuno ti manda un messaggio che dice che sta per fondarsi da te solo per vederti,per guardarti un attimo… no grazie!





 


Ci sono giornate però ancora troppo belle per girare in motorino!!!


 


Will è dolce… ogni giorno mi prepara caffè accompagnato da un dolcetto… se fosse più giovane, più carino e etero potrei perdere la testa...ma fortunatamente non lo è!!!


Lui dice che appena finisce una storia bisogna occupare la mente e buttarsi in un’altra storia… ma come si fa ad ignorare quello che non si prova?


 


Attendo di ricevere un abbraccio sincero.. ne ho tanta voglia!!!


 


Forse tutto questo post è generato dalla stanchezza.. sonno arretrato e pensieri di cose da fare!!!

9.11.05

Senza titolo 963


Da sinistra, Goffredo Coppola, Pio Filippani Ronconi, Turi Vasile e Giovanni Gentile



molti dicono che la sinistra  è solo  repressione   della  cultura . leggetvi cosa dice  www.pqanorama.it  (  da  giornale di sinistra libertaria ad  a  cassa di risonanza   di Berlusconi  )  .



           
di  Pietrangelo Buttafuoco  4/11/2005     


                                                                          
Da Gentile a Coppola, da Terragni a Tucci, Balbo, Micheli: si allunga l'elenco della fine dell'oblio per gli intellettuali rimossi. Merito del battesimo progressista. Alcune storie.Che la sinistra sdogani la destra non è un paradosso, è una salvata: è l'unico modo per uscirsene dalla guerra civile. E se Giampaolo Pansa con i suoi libri (l'ultimo è Sconosciuto 1945, edizioni Sperling & Kupfer), da intellettuale di sinistra, restituisce l'elementare diritto alla dignità degli sconfitti, sul piano culturale, quando non ci sono i liberali, pavidi killer per conto del politicamente corretto cui s'abbeverano loffiamente, bisogna aspettare un gigante dell'antichistica come Luciano Canfora, un genio comunista che non teme di contaminare l'esegesi dell'età dorica con l'Armata rossa di Stalin, per recuperare dall'oblio i grandi dimenticati dell'Italia degli intellettuali.
Dell'insigne grecista, docente all'Università di Bari, uscito in libreria, edito da Adelphi, Il papiro di Dongo, è la ricostruzione della scoperta fatta in Egitto nel 1934 da un gruppo di studiosi italiani, scoperta di un papiro attribuito a Cratippo, grazie al quale essi riuscirono a contendere il primato degli scavi e delle interpretazioni filologiche ai colleghi inglesi. Come in tutte le avventure della filologia, c'è il dettaglio rocambolesco: i reperti furono trafugati dai tombaroli e consegnati a Maurice Nahman, ma la maledizione del papiro è il racconto emblematico proprio dell'istinto di guerra civile. Così come ha già scritto Dino Messina sul Corriere della sera, il papiro si salda alla «storia degli intellettuali italiani durante il fascismo». Sul gruppo di studiosi guidati da Evaristo Breccia infatti calerà la ghigliottina della dimenticanza e uno di questi, Goffredo Coppola, rettore dell'Università di Bologna, troverà la morte a Dongo, fucilato e impiccato in piazzale Loreto.
«La vicenda di una damnatio memoriae» scrive Canfora «dell'oblio nel quale l'accademia italiana del dopoguerra ha ritenuto di lasciare la figura di Goffredo Coppola, che io ritengo, e con me molti studiosi stranieri, uno dei maggiori grecisti del Novecento». Non ci sono manuali nei licei che ricordino l'opera di Coppola, un solo libro della Mursia, scritto da Andrea Jelardi, ricorda questo «intellettuale del fascismo»; e Gennaro Malgieri, conterraneo del grecista, collezionando una fatica di decenni al chiuso dell'Archivio di Stato, ha scritto una biografia di Coppola che ancora attende un editore.
Ma è la sinistra che detta i tempi dello sdoganamento: il giorno 14 Malgieri sarà a Corridonia (l'antica Pausula, in provincia di Macerata) invitato da Valerio Calzolaio, deputato dei Ds, per commemorare Filippo Corridoni, il sindacalista rivoluzionario che, accanto ad Alfredo Oriani, fu un profeta del mussolinismo operaio. È la sinistra che può vantare antiche contaminazioni. I liberali si trincerano dietro spalmate d'indifferenza e rimozione: se il ritratto di Coppola rischia di essere tolto dall'anticamera della sala dei rettori a Bologna, la foto di Curzio Malaparte non ha mai avuto dignità d'esposizione nella galleria dei direttori alla Stampa, reietto malgrado la felice stagione di vendite, non perdonato nonostante l'ultima stagione da maoista.
Solo a sinistra c'è spazio per la destra. Il più grande direttore d'orchestra del Novecento non è quello della vulgata, Arturo Toscanini, ma Gino Marinuzzi, frullato nell'estate del '45 tra le vendette. Fu l'ultimo sovrintendente della Scala, il 24 aprile diresse il Don Giovanni al Lirico per le truppe germaniche. Fu un supersignore che parlava solo tre lingue: il palermitano, il tedesco e il latino. Alla soglia dei 40 aveva già diretto per 120 volte il Tristano, il Colon di Buenos Aires per la prima mondiale del Parsifal, finalmente svincolato dai vincoli del Bayreuth, non chiamò né Furtwängler, Toscanini, né appunto Marinuzzi.
Le mode passano, i dimenticati tornano. Si deve al rigore estetico di Marco Minniti se un altro mito dell'Italia fascista come Italo Balbo trova legittima cittadinanza tra i grandi del pantheon nazionale. Ancora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, l'esponente diessino si faceva vanto di poter abitare la Sala delle Ali al ministero dell'Aeronautica e con Balbo, anche lui, amava ripetere il motto: «Chi vola vale. Chi non vola non vale. Chi vale e non vola è un vile». A Palazzo Chigi, invece, si premurò di farsi mettere in ufficio la scrivania di Benito Mussolini. A chi gli chiedeva ragioni, Minniti mostrava orgoglioso il proprio cranio: doverosamente rasato.
Leggenda vuole che anche lo stesso Massimo D'Alema taumaturgicamente vi si accomodasse di tanto in tanto e non meraviglia che la sinistra più ortodossa abbia con la memoria un rapporto pragmatico. L'amministrazione di Predappio non ha tabù riguardo alla casa natale del Duce, anzi, ci fosse una giunta di centrodestra verrebbero collocate lapidi riparatorie, magari con omaggi a Luigi Einaudi, invece nell'officina del fabbro c'è giustamente conservata la bandiera storica del Psi, sezione di Dovia, quella dove erano iscritti tutti i Mussolini.
La storia dello sdoganamento si gioca tra gli opposti. Tutto cominciò con Giovanni Gentile, massimo tra i filosofi, ucciso dai partigiani e poi occultato dall'egemone cultura dei marxisti non senza il volonteroso apporto dei lacchè liberali. Fu Salvatore Natoli, storico della filosofia non certamente di destra, il primo ad affrontare il fondatore della scuola filosofica del Novecento con Giovanni Gentile, filosofo europeo. Un libro edito dalla Bollati cui farà seguito, in una celebre intervista con Panorama, Massimo Cacciari che di lui disse: «È il più grande filosofo del Novecento».
Tra pensiero negativo e riscoperta del niccianesimo si guadagna spazio il ribollire di una sinistra sempre attenta alle ragioni del torto. Si deve a Giampiero Mughini (nel solco di Leonardo Sciascia) la riscoperta del demonizzato per eccellenza, Telesio Interlandi; e si deve a una coppia di straordinari esploratori di colori e avanguardie, Claudia Salaris e Pablo Echaurren, se in Italia è ancora possibile studiare Filippo Tommaso Marinetti, il fondatore del Futurismo.
Se la malattia della storia intellettuale nazionale è stata l'egemonia culturale della sinistra è anche vero che solo nelle due potenti fornaci di questa dittatura letteraria, i cataloghi Bollati Boringhieri ed Einaudi, hanno potuto doverosamente trovare spazio Giuseppe Tucci, e il pioniere dell'orientalistica e il suo primo allievo, Pio Filippani Ronconi, pochi anni fa brutalmente licenziato dal Corriere per avere combattuto nella Seconda guerra mondiale con la divisa delle Waffen.
Nicola Bono, sottosegretario per i Beni culturali, s'è speso per rispolverare dall'oblio un'intera stagione del teatro d'avanguardia degli anni Quaranta, ci sono perle firmate da Turi Vasile (Un uomo sta per morire), e la parola definitiva sulla fertile attività dei Guf, i gruppi universitari fascisti, l'ha coraggiosamente data Andrea Camilleri: «Essi, con largo d'anticipo, suggeriscono temi e tesi che verranno sviluppati dal teatro dell'Assurdo molti anni dopo, ma rilessero criticamente e riproposero al pubblico messinscene dei classici e tentarono inoltre un primo approccio con culture lontane e diverse, i No giapponesi per esempio».
È la sinistra che si nutre di destra. Nella storia dell'architettura, il capitolo più visitato è quello di Giuseppe Terragni. La sua Casa del Fascio di Como è meta di pellegrinaggio e non certo di nostalgici, bensì di ricercatori e architetti.
La sua parabola venne studiata dall'azionista e radicale Bruno Zevi, mentre si deve a Francesco Dal Co e a Manfredo Tafuri il recupero di Luigi Moretti, condannato per ricostituzione del Pnf, sbattuto in galera, quello stesso che fece da architetto il Foro Italico, autore dunque dell'Accademia della scherma, altro capolavoro della tettonica, ormai studiata perfino in un gioco d'alibi intellettuale perché «intrinsecamente antifascista».
Accanto agli architetti sono stati recuperati gli artisti, Mario Sironi e Alberto Burri innanzitutto, ma ci vuole sempre un assessore di sinistra per completare lo sdoganamento. Grazie a Gianni Borgna, il creativo della giunta Veltroni, ha ritrovato luce Giuseppe Micheli, l'autore di Faccetta nera. Le mode passano, i ritornelli tornano.Che la sinistra sdogani la destra non è un paradosso, è una salvata: è l'unico modo per uscirsene dalla guerra civile. E se Giampaolo Pansa con i suoi libri (l'ultimo è Sconosciuto 1945, edizioni Sperling & Kupfer), da intellettuale di sinistra, restituisce l'elementare diritto alla dignità degli sconfitti, sul piano culturale, quando non ci sono i liberali, pavidi killer per conto del politicamente corretto cui s'abbeverano loffiamente, bisogna aspettare un gigante dell'antichistica come Luciano Canfora, un genio comunista che non teme di contaminare l'esegesi dell'età dorica con l'Armata rossa di Stalin, per recuperare dall'oblio i grandi dimenticati dell'Italia degli intellettuali.
Dell'insigne grecista, docente all'Università di Bari, uscito in libreria, edito da Adelphi, Il papiro di Dongo, è la ricostruzione della scoperta fatta in Egitto nel 1934 da un gruppo di studiosi italiani, scoperta di un papiro attribuito a Cratippo, grazie al quale essi riuscirono a contendere il primato degli scavi e delle interpretazioni filologiche ai colleghi inglesi. Come in tutte le avventure della filologia, c'è il dettaglio rocambolesco: i reperti furono trafugati dai tombaroli e consegnati a Maurice Nahman, ma la maledizione del papiro è il racconto emblematico proprio dell'istinto di guerra civile. Così come ha già scritto Dino Messina sul Corriere della sera, il papiro si salda alla «storia degli intellettuali italiani durante il fascismo». Sul gruppo di studiosi guidati da Evaristo Breccia infatti calerà la ghigliottina della dimenticanza e uno di questi, Goffredo Coppola, rettore dell'Università di Bologna, troverà la morte a Dongo, fucilato e impiccato in piazzale Loreto.
«La vicenda di una damnatio memoriae» scrive Canfora «dell'oblio nel quale l'accademia italiana del dopoguerra ha ritenuto di lasciare la figura di Goffredo Coppola, che io ritengo, e con me molti studiosi stranieri, uno dei maggiori grecisti del Novecento». Non ci sono manuali nei licei che ricordino l'opera di Coppola, un solo libro della Mursia, scritto da Andrea Jelardi, ricorda questo «intellettuale del fascismo»; e Gennaro Malgieri, conterraneo del grecista, collezionando una fatica di decenni al chiuso dell'Archivio di Stato, ha scritto una biografia di Coppola che ancora attende un editore.
Ma è la sinistra che detta i tempi dello sdoganamento: il giorno 14 Malgieri sarà a Corridonia (l'antica Pausula, in provincia di Macerata) invitato da Valerio Calzolaio, deputato dei Ds, per commemorare Filippo Corridoni, il sindacalista rivoluzionario che, accanto ad Alfredo Oriani, fu un profeta del mussolinismo operaio. È la sinistra che può vantare antiche contaminazioni.
I liberali si trincerano dietro spalmate d'indifferenza e rimozione: se il ritratto di Coppola rischia di essere tolto dall'anticamera della sala dei rettori a Bologna, la foto di Curzio Malaparte non ha mai avuto dignità d'esposizione nella galleria dei direttori alla Stampa, reietto malgrado la felice stagione di vendite, non perdonato nonostante l'ultima stagione da maoista.
Solo a sinistra c'è spazio per la destra. Il più grande direttore d'orchestra del Novecento non è quello della vulgata, Arturo Toscanini, ma Gino Marinuzzi, frullato nell'estate del '45 tra le vendette. Fu l'ultimo sovrintendente della Scala, il 24 aprile diresse il Don Giovanni al Lirico per le truppe germaniche. Fu un supersignore che parlava solo tre lingue: il palermitano, il tedesco e il latino. Alla soglia dei 40 aveva già diretto per 120 volte il Tristano, il Colon di Buenos Aires per la prima mondiale del Parsifal, finalmente svincolato dai vincoli del Bayreuth, non chiamò né Furtwängler, Toscanini, né appunto Marinuzzi.
Le mode passano, i dimenticati tornano. Si deve al rigore estetico di Marco Minniti se un altro mito dell'Italia fascista come Italo Balbo trova legittima cittadinanza tra i grandi del pantheon nazionale. Ancora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, l'esponente diessino si faceva vanto di poter abitare la Sala delle Ali al ministero dell'Aeronautica e con Balbo, anche lui, amava ripetere il motto: «Chi vola vale. Chi non vola non vale. Chi vale e non vola è un vile». A Palazzo Chigi, invece, si premurò di farsi mettere in ufficio la scrivania di Benito Mussolini. A chi gli chiedeva ragioni, Minniti mostrava orgoglioso il proprio cranio: doverosamente rasato.
Leggenda vuole che anche lo stesso Massimo D'Alema taumaturgicamente vi si accomodasse di tanto in tanto e non meraviglia che la sinistra più ortodossa abbia con la memoria un rapporto pragmatico. L'amministrazione di Predappio non ha tabù riguardo alla casa natale del Duce, anzi, ci fosse una giunta di centrodestra verrebbero collocate lapidi riparatorie, magari con omaggi a Luigi Einaudi, invece nell'officina del fabbro c'è giustamente conservata la bandiera storica del Psi, sezione di Dovia, quella dove erano iscritti tutti i Mussolini.
La storia dello sdoganamento si gioca tra gli opposti. Tutto cominciò con Giovanni Gentile, massimo tra i filosofi, ucciso dai partigiani e poi occultato dall'egemone cultura dei marxisti non senza il volonteroso apporto dei lacchè liberali. Fu Salvatore Natoli, storico della filosofia non certamente di destra, il primo ad affrontare il fondatore della scuola filosofica del Novecento con Giovanni Gentile, filosofo europeo. Un libro edito dalla Bollati cui farà seguito, in una celebre intervista con Panorama, Massimo Cacciari che di lui disse: «È il più grande filosofo del Novecento».
Tra pensiero negativo e riscoperta del niccianesimo si guadagna spazio il ribollire di una sinistra sempre attenta alle ragioni del torto. Si deve a Giampiero Mughini (nel solco di Leonardo Sciascia) la riscoperta del demonizzato per eccellenza, Telesio Interlandi; e si deve a una coppia di straordinari esploratori di colori e avanguardie, Claudia Salaris e Pablo Echaurren, se in Italia è ancora possibile studiare Filippo Tommaso Marinetti, il fondatore del Futurismo.
Se la malattia della storia intellettuale nazionale è stata l'egemonia culturale della sinistra è anche vero che solo nelle due potenti fornaci di questa dittatura letteraria, i cataloghi Bollati Boringhieri ed Einaudi, hanno potuto doverosamente trovare spazio Giuseppe Tucci, e il pioniere dell'orientalistica e il suo primo allievo, Pio Filippani Ronconi, pochi anni fa brutalmente licenziato dal Corriere per avere combattuto nella Seconda guerra mondiale con la divisa delle Waffen.
Nicola Bono, sottosegretario per i Beni culturali, s'è speso per rispolverare dall'oblio un'intera stagione del teatro d'avanguardia degli anni Quaranta, ci sono perle firmate da Turi Vasile (Un uomo sta per morire), e la parola definitiva sulla fertile attività dei Guf, i gruppi universitari fascisti, l'ha coraggiosamente data Andrea Camilleri: «Essi, con largo d'anticipo, suggeriscono temi e tesi che verranno sviluppati dal teatro dell'Assurdo molti anni dopo, ma rilessero criticamente e riproposero al pubblico messinscene dei classici e tentarono inoltre un primo approccio con culture lontane e diverse, i No giapponesi per esempio».
È la sinistra che si nutre di destra. Nella storia dell'architettura, il capitolo più visitato è quello di Giuseppe Terragni. La sua Casa del Fascio di Como è meta di pellegrinaggio e non certo di nostalgici, bensì di ricercatori e architetti.
La sua parabola venne studiata dall'azionista e radicale Bruno Zevi, mentre si deve a Francesco Dal Co e a Manfredo Tafuri il recupero di Luigi Moretti, condannato per ricostituzione del Pnf, sbattuto in galera, quello stesso che fece da architetto il Foro Italico, autore dunque dell'Accademia della scherma, altro capolavoro della tettonica, ormai studiata perfino in un gioco d'alibi intellettuale perché «intrinsecamente antifascista».
Accanto agli architetti sono stati recuperati gli artisti, Mario Sironi e Alberto Burri innanzitutto, ma ci vuole sempre un assessore di sinistra per completare lo sdoganamento. Grazie a Gianni Borgna, il creativo della giunta Veltroni, ha ritrovato luce Giuseppe Micheli, l'autore di Faccetta nera. Le mode passano, i ritornelli tornano.

diario di bordo n 79 anno II C’è una maestra alle Tremiti: “Io, pendolare e precaria riapro la scuola dopo 21 anni” , Toghe choc: vietato licenziare chi viola le norme di sicurezza , sicurezza sul lavoro non solo colpa dei padroni

la prima è una storia come Un mondo a parte , regia di Riccardo Milani (2024) C’è una maestra alle Tremiti: “Io, pendolare e precaria ...