20.2.17

Palme in piazza Duomo date alle fiamme: frutto della pseudo identitaria leghista ed affine

   colonna sonora  il canto delle palme


Premetto  che non sono  favorevole alle palme  ed  altre piante tropicali in piazza Duomo   sia per  la possizione   che è  un impugno in faccia  alla visualizzazione del monumento sia  perchè ci posso essere altre  soluzioni  per  il decoro urbano  piante    basse  , fioriere , ecc .Insomma mi lasciano perplesso come   la foto  ( poi modificata   ) di un famoso film L'immagine può contenere: 2 persone, persone in piedi, meme e sMS Ma soprattutto  non sono  d'accordo ,mi ricorda  quando l'inquisizione  nel caso di Savonarola   e poi i regime nazista  e fascista  bruciavano i libri in piazza  .  Ringrazio come sempre  l'amica   e utente   Daniela  Tuscano  che mi suggerisce la  risposta


ANSA.it Lombardia
Palma sacra custodisce "punto zero" Milano

Palma sacra custodisce "punto zero" Milano
E' nella chiesa del S. Sepolcro, la volle Carlo Borromeo

                                                             © ANSA
(ANSA) - MILANO, 19 FEB - Nella polemica delle palme si inserisce a Milano questa curiosità storico-religiosa: è una palma in bronzo, realizzata per volontà del cardinal Carlo Borromeo nel 1600, che custodisce simbolicamente il "punto zero" della città, il punto che secondo Leonardo da Vinci è da considerarsi il vero centro di Milano. Quel punto è nella cripta della chiesa del S. Sepolcro, accanto alla Biblioteca Ambrosiana, in piazza Pio XI, a pochi metri da Piazza Duomo. In una mappa del Codice Atlantico Leonardo lo indica come "il vero mezzo" di Milano. E lì, per volontà di san Carlo Borromeo, è collocata dal 1600 un palma in rame e bronzo fatta realizzare dal cardinale come simbolo di "sapienza e rigenerazione" e non a caso collocata lì: per Carlo Borromeo quel punto è l'ombelico della antica Milano e della civitas romana sia in termini geografici quanto etico-morali. Perché si trova accanto alla copia esatta del sepolcro di Cristo realizzata nel 1100 dentro cui è custodita terra prelevata dai Crociati a Gerusalemme.
  agli idioti  che   davanti a notiizie  come  questa  scrivono tali commenti 
Allarme in Sud Sudan, metà della popolazione rischia di morire per fame #NelMondo - VIDEO


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Giampaolo Melis Per farli sentire a casa loro verranno piantate le palme in tutta Italia
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o peggio  elogiano il fatto  ,   sarò contradditorio   , dirà qualcuno\a   , visto che faccio delle campagne contro l'odio e gli insulti  , ma purtroppo   non so come  chiamare  persone del genere  che su Facebook gira il post scritto giovedì scorso da un gruppo di estrema destra, Azione identitaria, che annunciava: 

I quali Attaccando anche Starbucks - la multinazionale che sponsorizza la nuova aiuola di piazza Duomo -, il post parla della volontà di distruggere la cultura occidentale, tesi che altri - a destra - hanno usato in questi giorni. Adesso, dopo che le palme sono bruciate, il gruppo di estrema destra aggiunge: "Non rivendichiamo ma non condanniamo il gesto".

Gente   ignorante   che  si  spaccia  per  identitaria ,  non  conoscendo  neppure   quelle    che  dicono essere le  loro stese  radici 











Kurt Cobain, 50 anni da antistar: Non poteva salvarsi ?


  colonna sonora indeciso  fra    due  canzoni dei doors  due  pezzi da  90  del  rock  

Il 20 febbraio il leader dei Nirvana avrebbe festeggiato il mezzo secolo. Ma la sua eredità resta scritta nelle canzoni e non nella baraonda mediatica che continua a girare intorno al suo nome


Ha ragione Frances Bean Cobain quando dice che degli anni 90 non gliene frega niente. Non gliene sarebbe fregato niente nemmeno a suo padre Kurt, che il 20 febbraio avrebbe compiuto 50 anni. Tutto il rumore che sentiva intorno era solo fastidio. In Serve the servants, una delle canzoni guida dell’album In utero, aveva già espresso la sua insofferenza per i riflettori sempre puntati addosso: “La rabbia giovanile ha pagato bene / ora mi annoio e sono vecchio”.
Alla fine, tutto quel baraccone mediatico che si muoveva intorno a lui, al suo legame con Courtney Love e alla cosiddetta scena di Seattle lo aveva sfiancato. Cobain non somigliava a nessuno, non era parte di nessuna scena. Amava profondamente la musica, ma non possedeva l’epica eroica di Eddie Vedder e dei suoi Pearl Jam o il gusto sarcastico e strafottente dei Tad. L’eroina per lui non era un ornamento rock’n’roll: aveva iniziato a prenderla perché era l’unico modo per non sentire i dolori strazianti provocati dalla sua ulcera. Per poter dormire. 
Figuriamoci quanto gliene sarebbe fregato delle idiozie sul ‘club dei 27’, sulla maledizione del rock’n’roll e su tutte quelle storie su cui è costruita tanta letteratura musicale. La sua tossicodipendenza non aveva niente di estetico e la sua vera preoccupazione era quella di non tradire lo spirito degli esordi, di non cadere nella piscina dorata dello star system.
 

Video


“A suo modo, Kurt Cobain ha tentato di mostrarci come vivere – ha scritto Donna Gaines all’indomani del suicidio - pregava per il razzista, l’omofobico, il misogino. Ma lui non era Gesù e non poteva salvarci”. Forse davvero Cobain è stato il John Lennon degli anni 90, ma non ha saputo sopportare il peso della sua immagine. Semplicemente perché non lo voleva. Nei mesi precedenti al suicidio aveva mandato segnali di malessere profondo: voleva dare a In utero un titolo impossibile da equivocare come I hate myself and I want to die e si era fatto anche
fotografare con un pistola in bocca. Il suo disagio di antistar si percepiva in ogni istante.
Se davvero ha lasciato un testamento forse bisogna cercarlo tra le pieghe delle sue ultime canzoni. Come in All apologies, dove tante domande vengono lasciate in sospeso: era lui a pretendere le scuse dei mass media? O voleva scusarsi con la piccola Frances? O si scusava col mondo per il suo prossimo addio ? 
Non è un caso che nella versione unplugged di quel brano, registrata nel novembre del 1993, pochi mesi prima del suicidio, la frase “all in all is all we are” diventò “all alone is all we are”. Dopo la sua morte, Courtney Love disse che non sapeva cos’altro avrebbe potuto fare per aiutarlo. Non aveva funzionato niente: l’amore, la piccola Frances, la terapia. “Lo stomaco ‘bruciante e nauseante’ di Kurt era il suo cuore sanguinante”, ha scritto Donna Gaines. 

Video

Frances Bean ha ragione sugli anni 90. Non è l’analisi di un decennio che può spiegarle suo padre. Né tantomeno le fandonie sui 27enni maledetti. Kurt era la rappresentazione del dolore, la voce della disperazione. Starà vicino a Billie Holiday, a Edith Piaf, a Janis, a Amy Winehouse, a Jeff Buckley. Tutte voci solitarie, assolute, capitate per caso nel loro tempo ma contundenti, straziate, eterne. E speriamo che almeno abbia trovato un po’ di silenzio: quaggiù il rumore si era fatto assordante .

  sempre  di repubblica   oltre  i die  link sotto  riportati  

E'' vero che  mi  "Ci manca. Ci manca la sua voce roca e vellutata al tempo stesso", dice Pier Paolo Capovilla  il cantante del Teatro degli Orrori in questa intervista   . Ma  non concordo  almeno completamente     ---  altrimenti    come si spiegano le morti   di Joplin , Morrison , Hendrix  ----  
quando dice    <<  il rock ti dà voglia di combattere, di resistere. Ti fornisce una cultura dell'emancipazione. Altro che suicidio! Meglio imbracciare un basso elettrico">>
Guardando   le  sue  foto e  i suoi video   ho rivisto me stesso ragazzo e mi è servito a capire molte cose della mia generazione   ( ed  anche  di  com'ero  )   , la cosiddetta generazione X.  Infatti   Non si è trattato di influenza artistica, ma di un'identificazione", dice lo scrittore  (  qui  maggiori dettagli  )     Non suo  fans  Tommaso Pincio, scrittore, romano,nel  suo romanzo "Un amore dell'altro mondo" ha fatto discutere in quanto   nel chiacchericcio  e  dei vari bla  .. bla  .. dei  fans e  dei media    racconta  La vita di Kurt Cobainattraverso gli occhi di un amico immaginario.


il padrino autorizza il triangolo amoroso . rottura di un tabù o potenza di un boss ?


Cade il tabù della mafia: il padrino autorizza il triangolo amoroso

Un'intercettazione rivela come Cosa Nostra abbia cambiato il concetto di onore: a San Giuseppe Jato l'amante era un boss più importante del marito quindi la relazione venne approvatadal nostro inviato SALVO PALAZZOLO


20 febbraio 2017


Un'intercettazione dei carabinieri 

SAN GIUSEPPE JATO (PALERMO)
Cade anche l'ultimo tabù di Cosa nostra, non c'è più onore mafioso che tenga. Un boss della provincia di Palermo ha autorizzato il triangolo amoroso che era ormai diventato pietra di scandalo. Perché i protagonisti della storia, il marito e l'amante della moglie, sono entrambi mafiosi di un influente clan, uno di quelli che si vanta ancora di custodire l'ortodossia dei vecchi padrini. Nella piazza del paese non si parlava ormai d'altro; in chiesa gli sguardi correvano, al bar si ridacchiava. "Non c'è più la mafia di un tempo".
Qualche tempo fa, il pettegolezzo era diventato un caso d'onore per il marito, ma anche per l'amante, accusato dagli anziani dell'organizzazione di violare le regole di Cosa nostra. Perché "non si guardano le mogli degli amici nostri", recita il secondo punto del decalogo sequestrato a uno dei superlatitanti di Palermo, Salvatore Lo Piccolo. L'antica legge dell'onore mafioso. Non era davvero più un caso privato quel triangolo amoroso. Le voci erano arrivate sino a Palermo. Una decisione si imponeva da parte del giovane capomafia del paese. Una decisione attesa dal popolo di Cosa nostra. Non si è fatta attendere, ed è stata una sorpresa per tutti: la donna potrà continuare a frequentare il suo amante. E il marito non avrà nulla a che pretendere. Ecco, il verdetto, registrato in diretta da un'intercettazione dei carabinieri del Gruppo Monreale, che in questi ultimi mesi con il pm Francesco Del Bene hanno radiografato le continue trasformazioni che stanno avvenendo nella Cosa nostra della provincia palermitana. Il via libera al triangolo amoroso-mafioso è davvero una rivoluzione per il vecchio codice d'onore di Cosa nostra, quello che imponeva una punizione esemplare per la fedifraga e il suo amante.
Negli anni Ottanta, bastava anche il sospetto del tradimento per uccidere una donna, non importa che fosse la figlia o la sorella di un mafioso. Qualche mese fa, l'anziano padrino Mariano Marchese era tornato ad evocarla una punizione esemplare, per la moglie di un ergastolano accusata di essere troppo libera nei suoi atteggiamenti. Poi, un blitz bloccò il progetto.
Ma c'è amante e amante. Andando a fondo alla storia del triangolo amoroso-mafioso si scopre che l'amante era un boss in carriera e il marito era l'ultimo arrivato in Cosa nostra, addetto alla raccolta del pizzo. Insomma, il capomafia non poteva dire di no al più rampante degli esponenti del clan. In tempi di crisi per l'organizzazione, fra arresti e sequestri di beni, non ci si può permettere di scontentare uno dei quadri dirigenti che promettono di più. È ormai il tempo della morale liquida della mafia, anche a costo di introdurre una deroga ad personam alle regole dell'onore criminale. Che, però, può essere subito smentita alla bisogna. Anche questo è accaduto, ancora una
volta non per sacre questioni di principi criminali, ma per interesse. I vertici di Cosa nostra volevano spodestare il reggente di Monreale, era accusato di non distribuire adeguatamente gli introiti delle estorsioni. Quale migliore accusa, dire che aveva una relazione extraconiugale. Poco importa che la donna fosse ormai l'ex moglie di un detenuto. Il boss fu costretto ad andare in esilio al Nord Italia. Ma dopo aver rinunciato al potere (non all'amante) potè tornare in Sicilia.

19.2.17

navigo nel mare della vita

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

A Piacenza c'è un asilo dove gli estremi si incontrano e vecchi e bambini "crescono" insieme.

 questa  vicenda  appresa  da  http://www.repubblica.it/cronaca/2017/02/19



mi ha fatto ritornare alla mente oltre i mie nonni paterni e materni ( l'ultima , quella materna , scomparsa a 96 anni nel 2010 ) e questa canzone di cui stavolta pubblico il video




PIACENZA. Alcuni hanno quasi un secolo, altri soltanto tre anni. Sono l'inizio e l'autunno della vita. A Piacenza c'è un asilo dove gli estremi si incontrano e vecchi e bambini "crescono" insieme. Dove la lentezza è un dono. C'è Fiorella che ha 87 anni e Stefano e Carlo che vanno al nido. Lei spinge il deambulatore e loro la precedono. "Guardate - ride Fiorella - ho tanti cavalieri, non sembro una regina?". Poi tutti a sporcarsi di farina e a impastare torte. Divertendosi non poco. Mano nella mano. Perché i più anziani e i più piccoli hanno lo stesso passo, si sa, e basta uno sguardo per essere complici e diventare amici. Aurora, 36 mesi, taglia pezzetti di mela e Maria, 90 anni, che è mamma, nonna e bisnonna e da giovane faceva la "bottonaia", mescola farina e zucchero, mentre Franco, classe 1933, legge le fiabe a Noemi, e Olga, nata nel 1927, attenta e lucida, racconta di sé: "Io li ascolto i bambini sapete, ci gioco, gli narro le storie della mia infanzia, e loro sono attenti, mi guardano diritti diritti negli occhi. E se mi fermo, mi tirano per il braccio: Nonna Olga, poi che cosa fa il lupo?"".

Si chiama "educazione intergenerazionale", consiste nel far coabitare nella stessa struttura un asilo nido e un centro anziani, i piccolissimi e i grandi vecchi. "E poi creare delle occasioni di incontro, come la cucina, la pittura, la lettura, in cui le età si mescolino, le generazioni si fondano, partendo dalla constatazione che gli anziani e i bambini insieme stanno bene, e imparano gli uni dagli altri" spiega Elena Giagosti, coordinatrice del progetto che l'Unicoop di Piacenza sta sperimentando da alcuni anni. Una grande struttura moderna di vetro e acciaio, finestre luminose sul verde, spazi ampi e colorati che ospitano circa 80 anziani e un nido per 40 bambini dai tre mesi ai tre anni. Luoghi divisi naturalmente, ma con tante aree comuni.

A metà mattina c'è il laboratorio di cucina. Mele golden, lievito e granella di zucchero. Grandi e piccoli tagliano e impastano, sotto lo sguardo vigile delle educatrici. Carlo, tre anni, immerge il dito nel dolce: "Fiorella non ha fatto niente, ho fatto tutto io, sono un cuoco, e i nonni del nido sono buffi", e ride contentissimo della sua battuta. Giacomo Scaramuzza ha 94 anni, è stato giornalista alla "Libertà" ed è tuttora attivissimo. "Quando sono venuto a vivere qui, non sapevo che ci fossero anche i bambini, per me che non ho avuto figli sono stati una scoperta incredibile, io partecipo a tutte le attività, con loro non c'è bisogno di parole, ci si capisce con gli sguardi, c'è uno scambio assolutamente naturale. Troppo spesso oggi le età non si incontrano, come se la vecchiaia fosse qualcosa da nascondere. Così, invece, è un po' come passare il testimone...". Un progetto per adesso unico in Italia ma già attivo in Francia e soprattutto a Seattle, alla "Providence Mount St Vincent", la prima scuola materna inserita in un centro anziani, diventata famosa in tutto il mondo con il documentario "Present Perfect".
Racconta una mamma: "Mia figlia è entusiasta degli anziani del nido. Se li incontriamo fuori li saluta, li riconosce, come fossero amici della sua età". Perché a contatto con i "grandi vecchi" i piccoli imparano a non avere paura di rughe e disabilità, spiega Valentina Suzzani, responsabile pedagogica dell'asilo. "Così il deambulatore diventa un triciclo da spingere, la carrozzina del nonno una macchina sportiva, e se per gli anziani i piccoli sono una ventata di gioia, i bambini attingono alla saggezza e all'ironia di chi ormai non ha più fretta". "Oggi siamo oggetto di tesi di laurea, ma quando abbiamo iniziato non sapevamo nulla né della Francia né di Seattle - dice Elena Giagosti - avevamo però alle spalle decenni di esperienza della Unicoop nella gestione sia di nidi che di anziani. E ogni volta che avveniva "l'incontro" ci rendevamo di quanto fosse prezioso per entrambi. Così abbiamo pensato di far "convivere" sotto uno stesso tetto le varie età della vita. Ed oggi è un successo".
Franco Campolonghi è nato nel 1933, di anni ne ha 84, è il responsabile della biblioteca del nido e qui, al centro anziani, ha anche incontrato una nuova compagna. "I libri e i giornali sono stati sempre la mia più grande passione, da giovane divoravo Hemingway, e poi Piero Chiara, Fruttero e Lucentini. Così sapendo del mio amore per la lettura mi hanno chiesto se volevo occuparmi dei libri per il nido. E per me è stata una festa. Mi sono informato, ho cercato i testi giusti. Ogni giovedì i piccoli salgono qui con le educatrici e noi vecchi leggiamo loro le favole. Ci divertiamo un mondo, e vedessi quanto sono attenti. Se smetti ti tirano per la giacca. E alla fine vogliono sempre ricominciare da capo".

italiani brava gente il massacro dei monaci etiopi a Debrà Libanòs massacrati da Graziani Hailé Selassié (1892-1975)

Tutti i media nazionali ,  con eccezioni come quello  qui sotto e se  non ricordo male  anche il programma  di  rai3\ rai storia  " il tempo e  la storia  in  due  puntate   ( I II )  ha  ricordato l'evento in questione   una delle  tante  atrocità commesse  da noi Italiani  .


E Graziani massacrò i monaci etiopi
Ottant’anni fa la feroce strage di Debrà Libanòs che seguì l’attentato contro il viceré
italiano ad Addis Abeba. I responsabili di quelle atrocità non hanno mai pagato


disegno di Achille Beltrame per la copertina della «Domenica del Corriere», 27 dicembre 1936
shadow
«Feci tremare le viscere di tutto il clero, dall’Abuna all’ultimo prete o monaco», ringhiava quel macellaio di Rodolfo Graziani. Rimorsi? Zero: rivendicava anzi la strage di Debrà Libanòs, dove aveva affidato agli ascari islamici lo sterminio di tutti i preti e i diaconi del cuore della Chiesa etiope, come «titolo di giusto orgoglio». E giurava: «Mai dormito tanto tranquillo».
Il maresciallo Rodolfo Graziani (1882-1955)
Sono passati ottant’anni, da quei giorni di orrore. Tutto inizia la mattina del 19 febbraio 1937. Ad Addis Abeba il viceré Graziani e le autorità italiane che da nove mesi governano un terzo del Paese e son decise a prendere il controllo del resto con ogni mezzo (compreso l’uso di 552 bombe caricate a iprite e fosgene autorizzate dal Duce, documenterà lo storico Angelo Del Boca), celebrano la nascita del primo figlio maschio di Umberto di Savoia. Improvvisamente, da un balcone raggiunto superando i controlli, piovono ed esplodono una dopo l’altra otto bombe a mano. Sette morti, decine di feriti. Tra cui Graziani, colpito da decine e decine di schegge.
Hailé Selassié (1892-1975)
La rappresaglia è immediata. E non avendo sottomano gli attentatori, fuggiti, si abbatte violentissima su chi capita. Coinvolgendo tutti i fascisti della città. «Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovano ancora in strada», scrive nel diario il giornalista Ciro Poggiali. «Vedo un autista che, dopo aver abbattuto un vecchio negro con un colpo di mazza, gli trapassa la testa da parte a parte con una baionetta. Inutile dire che lo scempio si abbatte contro gente ignara e innocente». Una carneficina. Racconterà il vercellese Alfredo Godio: «Fra le macerie c’erano cumuli di cadaveri bruciacchiati. Più tardi, sulla strada per Ambò, vidi passare molti autocarri “634” sui quali erano stati accatastati, in un orribile groviglio, decine di corpi di abissini uccisi». «Per ogni abissino in vista non ci fu scampo in quei terribili tre giorni», ricorderà l’attore Dante Galeazzi: «In Addis Abeba, città di africani, per un pezzo non si vide più un africano».Deciso a farla finita coi ribelli a dispetto di ogni trattato, il Duce dà ordine che «tutti i civili e religiosi comunque sospetti devono essere passati per le armi». Tutti. Compreso Destà Damtù, il genero di Hailé Selassié. Che importa dello sdegno internazionale? «E nello scroscio del plotone di esecuzione echeggiò la più strafottente risata fascista in faccia al mondo», esulta la «Gazzetta del Popolo». «Schiaffone magistrale (…) sulle guance imbellettate della baldracca ginevrina». Bilancio complessivo? Migliaia di morti. Compresi «cantastorie, indovini e stregoni», rei di auspicare il ritorno del Negus: «Ho ordinato che fossero arrestati e passati per le armi. A tutt’oggi ne sono stati rastrellati ed eliminati settanta» Il peggio, però, arriva a maggio. Quando Graziani decide di inviare il generale Pietro Maletti, di cui apprezza la cieca obbedienza, a spazzare via preti, diaconi, fedeli di Debrà Libanòs, l’amatissimo monastero fondato nel XIII secolo che considera «un covo di assassini, briganti e monaci assolutamente a noi avversi»: è convinto che i due bombaroli di Addis Abeba siano passati nella fuga proprio di lì.
Se sono veri i rapporti firmati da Maletti stesso, scrive Del Boca in Italiani brava gente? (Neri Pozza), in due settimane le sue truppe «incendiavano 115.422 tucul, tre chiese, il convento di Gulteniè Ghedem Micael (dopo averne fucilato i monaci), e sterminavano 2523 arbegnuoc». Patrioti nemici dell’occupazione italiana. «Era tale il terrore che diffondeva che l’intera popolazione si dava alla macchia».
Terrore comprensibile. Per garantirsi la ferocia belluina senza crisi di coscienza tra i soldati cattolici chiamati a massacrare i cristiani di una Chiesa etiope che aveva 17 secoli, spiega Angelo del Boca, il generale rinunciò «a servirsi dei battaglioni eritrei, composti in gran parte da cristiani, e utilizzava ascari libici e somali, di fede musulmana, e soprattutto — parole sue — “i feroci eviratori della banda Mohamed Sultan”».
Il generale e i suoi macellai di fiducia circondarono il complesso la sera del 19 maggio, festa di San Michele, presero prigionieri tutti e, ricevuto l’ordine del viceré Graziani di passare per le armi «tutti i monaci indistintamente compreso il vice priore», cercarono il posto giusto per la mattanza. La scelta cadde sulla piana di Laga Wolde, ai cui limiti si inabissava un burrone. Due giorni dopo cominciò, sistematica, la decimazione. Allineati i condannati lungo il baratro, scrivono gli storici Ian L. Campbell e Degife Gabre-Tsadik, gli ascari presero un lungo telone «e lo stesero sui prigionieri come una stretta tenda, formando un cappuccio sopra la testa di ognuno di loro». Poi, la fucilazione. «E mentre un ufficiale italiano provvedeva a sparare il colpo di grazia alla testa, vicino all’orecchio, gli ascari toglievano il telone nero dai cadaveri per utilizzarlo per il successivo gruppo». Ordine eseguito, comunicò Maletti nel pomeriggio: giustiziati 297 monaci incluso il vice-priore e 23 laici. «Sono stati risparmiati i giovani diaconi, i maestri e altro personale». «Fucilate anche loro», cambiò idea tre giorni dopo Graziani. E Maletti, ligio agli ordini più infami, eseguì.
Conta finale: 449 assassinati. Numero che Campbell e Gabre-Tsadik contestano: furono tra i 1423 e i 2033. Il doppio o il triplo di quanti saranno trucidati dai nazisti a Marzabotto. Berhaneyesus Souraphiel, l’arcivescovo cattolico etiope, sospira nel docu-film di Antonello Carvigiani e Andrea Tramontano Debre Libanos, prodotto e trasmesso da TV2000, che ancor oggi certe ferite non sono ancora del tutto rimarginate. Racconta però lo storico Alberto Elli, profondo studioso della Chiesa etiope e dell’Etiopia, che il mausoleo in ricordo dell’eccidio, a novembre, non c’era più: «Dicono d’averlo tolto come gesto di riconciliazione». Un passo importante. Come fu l’anno scorso, ad Addis Abeba, la stretta di mano di Sergio Mattarella a vecchi patrioti etiopi. Era stato questo, del resto, l’appello al popolo di Hailé Selassié al suo ritorno in patria il 5 maggio 1941, a guerra ancora in corso: «Vi raccomando di accogliere in modo conveniente e di prendere in custodia tutti gli italiani che si arrenderanno con o senza le armi. Non rimproverate loro le atrocità che hanno fatto subire al nostro popolo. Mostrate loro che siete soldati che possiedono il senso dell’onore e un cuore umano». La richiesta del Negus di estradare almeno i due generali della mattanza, però, non venne mai accolta. E qualche strada italiana li onora ancora come eroi di guerra…






aggiornamento FAQ



ricevo mote email in cui mi si chiede come mai molti post , fra cui anche quelli criap , non hanno titolo ?
per i miei post  me rispondo che   fin dall'esordio del blog prima di passare  a quello attuale  ( ed in parte è cosi tutt'ora ) scrivevo per la maggior  parte  di getto senza pensare necessariamente ad un titolo . infatti alcune volte copio e modifico quelli degli articoli che riporto . Per i vecchi collaboratori non saprei dipendeva da loro .

Per criap ecco cosa mi ha risposto via email : << "Il titolo della mia rubrica è 'L'elzeviro del filosofo impertinente' proprio come 'L'Amaca' di Serra. Il nome della rubrica sostituisce il titolo del singolo pezzo". >>
Per  Daniela a volte li sceglie  lei a  volte  insieme    

L'elzeviro del filosofo impertinente /3

Michele Valentini, 30enne, si è tolto la vita per lanciare un messaggio forte e chiaro ad una società, e a una classe politica sorda alle istanze dei più giovani. Non mi interessa sottolineare che suicidarsi non è il modo più giusto per portare all'attenzione il problema. Io non giudico i miei simili ma cerco di comprendere un atto tanto disperato ed estremo. Questo mondo ha bisogno di empatia e non di paladini del falso buonismo. Come sosteneva Friedrich Nietzsche: "Non esistono fenomeni morali, ma solo un'interpretazione morale dei fenomeni". Ho solo sei anni in più di Michele e devo ammettere che leggere la sua lettera mi ha profondamente emozionato e colpito. Anch'io sono molto amareggiato, deluso e arrabbiato con chi ci ha rubato il futuro e non ci permette di costruircene uno. Dopo la laurea non ho trovato una sistemazione tale da potermi spingere a sognare un futuro colmo di speranza. L'Italia non è un paese per giovani, e questo l'ho compreso durante la mia permanenza all'estero. Da noi chi ha meno di quarant'anni va incontro a mortificazioni di ogni tipo. Sulla mia pelle ho provato a sperimentare nuove strade e nuove idee che puntualmente mi venivano stroncate da una burocrazia che non accetta  né il merito né il rinnovamento. Mi hanno proposto di scrivere articoli per diversi giornali, ma ovviamente a titolo gratuito. Mi hanno convocato per insegnare nelle scuole private, ma anche questo dovevo farlo senza percepire alcun compenso. Siamo circondati da vampiri che si nutrono dei momenti di difficoltà di una parte della popolazione. Ad un certo punto la speranza si è affievolita, e ho avvertito lo sconforto. Devo ringraziare soltanto la mia famiglia per avermi sostenuto in ogni momento, altrimenti anch'io non ce l'avrei mai fatta. Dopo quanto accaduto a Michele nessuno dovrà più testimoniare con la propria vita l'insoddisfazione di vivere in una nazione che non ti valorizza affatto. Quando accade una tragedia umana come quella di Michele siamo tutti responsabili dell'accaduto. Nessuno escluso. La nostra indifferenza ha contribuito ad aggravare la sua angoscia esistenziale. La sua morte non occupa più le prime pagine dei giornali. Gli esclusi da Sanremo e le solite beghe di partito sono gli argomenti del giorno. Nel frattempo chi legifera, non importa lo schieramento politico d'appartenenza, gioca a fare l'indiano e continua ad ignorare i numerosi segnali di fumo.
Pertanto desidero esprimere la mia vicinanza alla famiglia Valentini, e a tutti coloro che lottano quotidianamente per un futuro più roseo. Io lotto con voi e per noi! Riprendiamoci il futuro.
"Il sogno di uno solo è l'illusione, l'apparenza; il sogno di due è già la verità, la realtà" (Miguel de Unamuno).

Criap 
® Riproduzione riservata


18.2.17

Amatrice, multa da 4 mila euro per aver portato aiuti con un camion L’uomo, un privato, è passato sull’unica strada che, a tutt’oggi, collega direttamente la cittadina con la Salaria. E ora le vittime del sisma stanno facendo una colletta per aiutarlo a pagare la sanzione



sono talmente schifato dalla cattiva burocrazia che stavolta 😈😐😢😪🙇😡 non ho il coraggio o voglia di passare ( come se me ne fosse importato qualcosa ) come qualunquista o populista lasciando commenti su tale notizia  presa  da http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/17_febbraio_18   di Virginia Piccolillo



LA STORIA

Amatrice, multa da 4 mila euro
per aver portato aiuti con un camion
L’uomo, un privato, è passato sull’unica strada che, a tutt’oggi, collega direttamente la cittadina con la Salaria. E ora le vittime del sisma stanno facendo una colletta per aiutarlo a pagare la sanzione
                                     








Era arrivato a portare aiuti ai terremotati con un camion. Ha avuto una multa da 4mila euro per essere passato sull’unica strada che, a tutt’oggi, collega in maniera diretta Amatrice con la Salaria, visto che il centro storico è ancora ingombro di macerie ed edifici non puntellati e non è stato riaperto al traffico privato. E ora le vittime del sisma del 24 agosto 2016 stanno facendo una colletta per aiutarlo a pagare la sanzione. Accade anche questo nel mondo alla rovescia di Amatrice, dove il grande cuore degli italiani cerca di sostenere la rinascita della popolazione vittima del sisma, ma trova ostacoli di ogni genere.
«Vado via. Mi dispiace, ma tornerò in macchina»
Lo sa bene Giuseppe che venerdì è arrivato, con un mezzo messo a disposizione gratuitamente da una ditta edile, per distribuire aiuti. Cose concrete che possono essere recapitate subito. Dal pellet per scaldarsi nei container perché la temperatura nella notte scende sottozero, ai saponi, al mangime. E ha imboccato la Romanella: una strada ormai nota alle cronache per essere stata promossa durante il post-sisma a chiave di volta del traffico per la cittadina distrutta dal terremoto. Citata ogni volta che bisognava rispondere alle lamentele del sindaco Sergio Pirozzi sull’urgenza di una migliore viabilità, evidenziando i lavori, appena, compiuti per rinforzare il Ponte a Cinqueocchi: capace ora di sostenere il via vai continuo di mezzi pesanti dell’esercito, dei vigili del fuoco e della protezione civile. Ma per il camion, di 75 quintali, è tornato improvvisamente in vigore il limite di 35 q, che esisteva quando il ponte era pericolante. Ed è scattata la multa. Davvero? «Come no? - assicura Giuseppe che ha interrotto bruscamente la sua piccola missione umanitaria - Mi dispiace. Ma soprattutto per questa gente. Hanno bisogno di tante cose. Portavamo cibo per loro, cibo per gli animali, cose utili. Non era un auto-articolato era un semplice camion. Tornerò. Ma con la mia macchina».
I terremotati: «E’ una vergogna, pagheremo noi»
«E’ una vergogna», protesta Fabio, a nome di un gruppo di terremotati che intendono dare uno «schiaffo morale a chi se ne sta infischiando dei disagi che stiamo subendo». E annuncia: «Non abbiamo più niente. Ma ci stiamo tassando. Raccoglieremo i soldi. E gliela pagheremo noi». Per loro è «inaccettabile» quello che è stato fatto «a chi si sta dando da fare a spese proprie, con generosità». Ma il limite? «Prima che venissero fatti i lavori era di 35 quintali - obietta - . Come può essere lo stesso anche dopo quello che è stato speso per rinforzare il ponte? O i lavori sono stati fatti male, oppure non vogliono togliere quel limite perché dà fastidio che noi agricoltori e allevatori lo utilizziamo e creiamo un po’ di traffico. A sei mesi dal terremoto dobbiamo volare? Ma dimmi tu se è possibile».
La Protezione Civile: «Si può passare per Montereale»
Dalla Protezione Civile si evidenzia che la Romanella non è l’unica strada che collega la Salaria ad Amatrice. Si può uscire a Posta, prendere la SR 471 fino a Montereale, dove si può proseguire lungo la SR 260 Picente fino ad Amatrice. E si aggiunge che i lavori di messa in sicurezza realizzati da ASTRAL sul ponte a 5 occhi, sono serviti a limitare il fenomeno di erosione che comportava grave rischio per la stabilità della struttura e permesso la riapertura del ponte con limite di massa a 3,5 tonnellate, già in vigore prima della scossa del 30 ottobre, evento che ne ha comportato la chiusura totale fino alla messa in opera degli interventi urgenti sopracitati. Un limite rispettato dai mezzi della Protezione Civile di quel peso. «L’interdizione ai veicoli con massa superiore a tale limite non è quindi un vincolo amministrativo, ma è dettato da ragioni di sicurezza».



senso civico , fortuna \ culo , amore ed altre storie

la  prima è una  storia  stavolta (  ma  anche  se non lo  fosse stata è  sempre importante  e dimostra  che il senso civico  ancora non è , anche se   sempre più raro  , morto completamente )  a  lieto fine che << contrasta >> --  il  http://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca/2017/02/17 da cui  ho tratto la storia  -- << con episodi di cronaca, anche recenti, nei quali sono stati proprio il coraggio e il senso civico a venire meno.>>



Bambina piomba nel Tergolino, un papà-eroe la riporta a riva

Camposampiero, il genitore di un suo compagno d’asilo si getta in acqua e la salva: “Devo cambiarmi, sono pieno di fango”

di Martina Mazzaro




CAMPOSAMPIERO
 Una bambina dell’asilo cade nel canale e il papà di un suo compagno di scuola materna non ci pensa due volte: si getta in acqua e la salva. Riaffidata la bimba alla mamma, se ne torna a casa con il figlioletto.
È successo in centro. Erano le 15.40 quando la piccola, sporgendosi dal parapetto mentre tornava a casa, è caduta nelle acque del Tergolino che scorre a fianco della Sr 307. Vani i suoi tentativi di aggrapparsi con le manine alla riva, mentre la corrente la trascinava oltre il ponte che dà accesso ad alcune abitazioni.
Sono state le grida disperate della madre a catturare l’attenzione dei passanti e dei negozianti, in particolare del papà eroico che, senza pensarci due volte, è sceso nel canale per soccorrerla.
«Quando ho sentito gridare, mi sono precipitato in strada per prestare aiuto, è stato allora che ho visto un uomo che, senza esitazioni, è sceso in acqua raggiungendo la bambina e prendendola in braccio» racconta un maestro della scuola primaria Parini.
«Una volta afferratala, il soccorritore, con l'acqua fin sopra la cintola, ha passato la piccola a un altro ragazzo e a quanti poi l’hanno riportata a riva». Una catena umana in cui ognuno formava un anello.
Risalito a riva dopo il gesto coraggioso, l’uomo che ha salvato la piccola è tornato nell'ombra e ogni tentativo per rintracciarlo è stato vano: «Non appena la bambina è tornata tra le braccia della mamma, che cercava in tutti i modi di tranquillizzarla, l’uomo se ne è andato per la sua strada», raccontano i testimoni.
«La bambina sta bene, fortunatamente non ha riportato ferite, ma solo un grande spavento», conferma la direzione della scuola dove la piccola è iscritta e dove tutti, ora, tirano un sospiro di sollievo.
La temperatura esterna, meno rigida rispetto alle settimane scorse, ha favorito il salvataggio ed evitato conseguenze peggiori per la bambina.
La fortuna ha inoltre voluto che, in quel tratto, l’acqua del Tergolino superi di poco il metro di profondità.
«Ora devo andare a cambiarmi, sono pieno di fango»: queste le uniche parole del papà-soccorritore tipiche di chi non ha bisogno di sentirsi gratificato per un gesto solidale.

la seconda racchiude tutte e tre le caratteristiche citate nel titolo  è  può essere  classificata  tra  quelli    che  io  metto   con  questa  definizione   di   Mario Mariotti miracoli laici   . Essa è la storia di Valentina, sopravvissuta a un incidente ora sogna le nozze Valentina Vincenzi ha 25 anni. A settembre è stata travolta da un Tir. Era scesa dall'auto da cui usciva fumo ed è stata sbalzata in aria. Ricorda tutto di quel terribile giorno. Ha subito 50 operazioni e ora sta lavorando con coraggio per riuscire a rimettersi in piedi. Il suo sogno? Sposare il compagno, Giacomo Goldoni, che l'ha chiesta in sposa al suo risveglio in ospedale.

Carpi: lei si risveglia dopo un grave incidente e lui la chiede in sposa

Era stata travolta da un Tir. «Sopravvissuta per caso all’incidente e a 50 operazioni. La proposta di nozze in ospedale»


















CARPI.
Non ho mai perso conoscenza e ho percepito ogni dolore quando, ogni pezzo di lamiera mi trapassava la pelle e i muscoli e mi sbriciolava le ossa: la macchina ha continuato a spingere sulla gamba semi amputata per 40 minuti prima che l'ambulanza arrivasse a liberarmi da quell'inferno».».






{}L'incidente. Quando un camion ti travolge e ti ritrovi incastrato tra le lamiere della tua auto e quelle del tir, vedi tutta la vita che ti passa davanti e ti rendi conto di quanto sia appesa a un filo sottile, sottilissimo. Lo sa bene la solierese Valentina Vincenzi, 25 anni, una laurea in Psicologia criminale conseguita all’università di Kingston upon Hull, in Inghilterra, che il 27 settembre dell’anno scorso ha vissuto una giornata che ha cambiato per sempre la sua vita. Valentina è rimasta gravemente ferita alle gambe in un incidente stradale dopo il quale ha subìto oltre 50 interventi, tra quelli in sala operatoria e altri. Una strada fatta di pazienza e tenacia durante la quale la 25 enne ha coronato il suo sogno d'amore: a due giorni dall'incidente, quando si è risvegliata in ospedale, il suo compagno le ha proposto di sposarla.
In autostrada. «Stavo viaggiando in autostrada, di ritorno da un corso di aggiornamento per il negozio in cui lavoravo - racconta Valentina - stavo percorrendo la Brennero in direzione Modena, quando dalla mia auto ha iniziato a uscire del fumo dal cofano. Circa 300 metri prima dell'uscita di Mantova sud, ho accostato in corsia d'emergenza, chiamando immediatamente il carro attrezzi per i soccorsi. Sono uscita dall’abitacolo e mi sono posizionata davanti all’auto, da cui usciva ancora del fumo. Improvvisamente, mi sono sentita sbalzare in aria e sono stata avvolta da una nuvola di polvere e sporco, senza capire cosa stesse succedendo, stordita anche dal rumore di lamiere, clacson e ruote. Dopo una manciata di secondi ho capito di essere stata investita da un camion che arrivava da dietro e aveva invaso la corsia di emergenza continuando a sbandare fino a quando non si è arrestato. Mi sono ritrovata incastrata fra la mia vettura e il guardrail, con una gamba bloccata dalle lamiere. Il dolore era fortissimo e continuavo a urlare: le lamiere erano conficcate nella mia carne e il sangue continuava a scendere. Ho continuato a sbracciarmi per diversi minuti prima che qualcuno si fermasse».Il compagno. Contemporaneamente, sulla corsia nella direzione opposta c’era il compagno di Valentina, Giacomo Goldoni, che ha assistito a tutta la scena.« Una volta arrivata l’ambulanza, sono stata trasportata all’ospedale di Mantova, poi, in elicottero al Niguarda di Milano - prosegue la 25enne sopravvissuta - Sono stata sottoposta a innesti cutanei prelevati dalla mia gamba sana che rimarrà per sempre rovinata dalle cicatrici e porto un fissatore circolare Lizarov, fissato con viti al femore e che arriva alla caviglia dove i chiodi entrano nell'osso per tenere fissa la frattura, scomposta e molto grave. Devo legare un cordino ai ferri del fissatore, facendolo passare dentro ai passanti dei lacci della scarpa perché la semi amputazione mi ha causato una lesione grave al nervo sciatico facendo sì che il mio piede non si alzi verso l’alto. Prima facevo body building a livello competitivo, ballavo: ora non so che cosa riuscirò a fare. Al lavoro, non mi hanno rinnovato il contratto, visto che ero in scadenza. Sono stata dimessa dal Niguarda il 23 dicembre e ora sono ritornata a casa, a Soliera. Sono rimasta addormentata due giorni a causa dei medicinali - continua la ragazza - quando mi sono risvegliata, Giacomo mi ha chiesto di sposarlo. Una gioia immensa che mi ha aiutato a superare il primo, grosso impatto. Vorrei ringraziare, oltre a Giacomo, la mia famiglia e alcuni medici che mi hanno aiutata. Come il chirurgo Fabrizio Sammartano, l'ortopedico Francesco Sala, i chirurghi plastici Joseph Negreanu e Luca Vaienti e Osvaldo Chiara, dirigente del Trauma Team dove sono stata ricoverata dopo la terapia semintensiva».



le foibe spiegate a mia nipote

Lo so che  il 10 febbraio    è passato  da  più di una settimanae  che  quindi  dovrei andare  oltre ed  non fissarsi  \ pensare   troppo al passato  , ma



Foibe, Mastro vincenzo, ricordare dovere
Ignoranza e assenza di memoria condizionano il presente 
Una pagina dolorosa della storia italiana sulla quale ancora non è stata raggiunta una memoria condivisa [ non condivo  perchè fin quando   non si parlerà a  360 gradi non ci potrà mai essere memoria  collettiva http://www.ultimavoce.it/foibe-massacri-non-riescono-ad-unire/ ] : per questo occorre ricordare con eventi e iniziative le vittime delle foibe e gli esuli istriani e giuliano-dalmati, affinché possa essere loro riconsegnata la giusta dignità. Lo ha detto il presidente del Consiglio regionale Antonio Mastrovincenzo nella seduta aperta dedicata al Giorno del Ricordo, parlando della necessità di ricordare come di "un dovere". "Si è perso troppo tempo - ha sottolineato - dietro a ricostruzioni alterate dei fatti sulle foibe, che hanno negato la realtà, aggiungendo offesa all'orrore. La violenza nazional-comunista e quella nazi-fascista attingevano entrambe dal nazionalismo, dal fanatismo, dalla discriminazione e dall'esclusione, che conducono alla 'pulizia' etnica, sia essa razziale, politica, religiosa, e all'instaurarsi di una dittatura. La democrazia è innanzitutto rispetto delle minoranze, prima ancora che governo della maggioranza".
da http://www.ansa.it/marche/notizie  del  14\2\2017
  

Inoltre  quest'anno    le  celebrazioni ( strumentali e  non )    continuano   ancora   per  un po' in  quanto proprio  quest'anno  cadono i 70  anni dei trattati di Parigi  dell 10 febbraio 1947   . Ed  ancora  continuano  le  solite polemiche  di comuni e  scuole   che non festeggiano o  invitano   storici  meno nazionalisti   e che  (   in modo  giustificazionista  o revisionista  fanno , a  differenza  di quelli ufficiali  concentrati solo le  brutture    comuniste e non    anche  di quelle  fasciste , i  conti  anche  se    solo parzialmente  con il passato  )    o  i soliti  atti poco rispettosi  nei confronti   di vittime  e  chi ha  subito  sula  sua pelle   le  aberranti   dell''una e dall'altra ideologia del secolo scorso
Ne  approfitto  per  rispondere  alla domanda   di mia nipote  fattami l'altro giorno   ( in realtà è figlia di mio cugino  )    che mi chiede  cosa   sono le foibe  ,  sintetizzando    con parole  mie  ciò che ho appreso prima  passivamente   e poi criticamente     in  30  anni  su foibe  ed  esodo  ben  prima quindi   deela retorica   diventata poi  strumentale   e ad uso e consumo  di chi  vuole da una parte  e  dall'altra negare  e\o  sminuire   una  pagina  triste dela nostra storia  in particolare del confine  orientale . 
  Le  foibe  e per me  l'esodo    silenzio  o  riduzione   ad un fenomeno di nicchia  per motivi d'opportunismo  politico   fino  al 1989\1992   . Strumentalizzazione ideologica ma  anche   purtroppo  paura   e  poco  coraggio a  fare  i conti con il passato  nel  non volere   andare a cercare   da cui hanno avuto  origine le  foibe  e  rastrellamenti  , attribuendoli solo a  una determinata parte politica  .
Inoltre prendendo spunto da http://magazinedelledonne.it/news/content/2385329-le-foibe-spiegate-ai-bambini-il-10-febbraio-e-il-giorno-del-ricordo  che pur  trattando l'argomenti  n  come sempre in maniera  capziosa e nazionalista   fornisce  attimi spunti  per  spiegare  a  ragazzi al  di sotto   dei  14 anni    il dramma delle foibe
Le foibe spiegate ai bambini non possono prescindere da un'introduzione storica che deve iniziare spiegando ai piccoli di casa il contesto storico   precedente  alla  la firma dell’armistizio dell’8 settembre del 1943.  Gli abitanti di quelle zone, quindi, per sfuggire all'infoibamento (vale a dire per evitare di essere gettati vivi nelle oltre 1500 voragini rocciose di origine carsica presenti sul territorio) fuggirono, o tentarono di farlo, dando origine a un esodo che, anche lui, assunse presto dimensioni immense. Costretti ad abbandonare le  terre in cui avevano vissuto per sottrarsi a questa ondata di discriminazione e di violenza, e  di come   gli italiani dell'Istria furono accolti con sospetto anche in patria dove vennero a lungo additati come "fascisti".Se ricordare, però, è indispensabile (soprattutto per insegnare ai più giovani, come ha ricordato in occasione di un Giorno del Ricordo l'allora presidente Giorgio Napolitano, a non commettere mai più gli stessi errori del passato), per spiegare le foibe e non solo ai bambini è indispensabile approcciare all'argomento con attenzione. Largo quindi ai racconti nel caso di  più piccoli  dedicati al tema che, però, non sono numerosi  e alle testiminianze .  Nella limitatissima bibliografia e filmografia a disposizione, per i bambini più piccoli, c'è la favola Perché la notte che, scritta dall'autrice di libri per bambini Lorella Rotondi e illustrata da Stefania Silvari (e poi trasformata in un corto animato), racconta la storia di una bambina che accusa la notte di aver "ingoiato" tutti i suoi giochi, la sua cameretta e anche i suoi affetti. Poi  i vari documentari storici  




17.2.17

Auguri Michael Jordan, la leggenda del basket compie 54 anni

in sottofondo  dal cd  Achtung Baby - One-U2


dopo  i cinquant'anni  di Roberto Baggio , su cui non mi  dileguo   ne  ho parlato   qui un altra leggenda  dello sport   , del basket   per la precisione  , compie   54  anni  



Michael Jordan, una tra le più grandi icone dello sport mondiale, compie oggi 54 anni. "Air" Jordan in 20 anni di carriera rivoluzionerà il gioco della pallacanestro vincendo ben sei titoli con i suoi Chicago Bulls oltre ad ottenere diversi riconoscimenti personali (tra i tanti 6 MVP delle Finals e miglior media punti a partita della storia). La sua biografia sul sito della NBA dichiara: "Per acclamazione, Michael Jordan è il più grande giocatore di pallacanestro di tutti i tempi" (a cura di Damiano Mari)