13.5.17

Quelli della prima Repubblica. Pillitteri, sindaco della 'Milano da bere': "Mio cognato Craxi e gli anni 80" ed altre storie

Premetto che quando crollo la prima repubblica ( termine che abborro visto è un termine politicamente improprio coem dice lo stesso aldo giannuli http://www.aldogiannuli.it/e-corretto-dire-che-siamo-nella-seconda-repubblica/ e poi la corruzione ancora continupo più di prima . https://it.businessinsider.com/il-magna-magna-italiano-raccontato-da-un-manager-pubblico-dalle-alghe-ai-vestiti-usati-dalla-sabbia-ai-rifiuti/ corruzione ) avevo 16 anni e quind non ho esperienze dirette . L'unica cosa che posso dire e che non fu solo corruzione , mafia , strategia dela tensione , ecc e continuità il fascismo .Ma fu anche una repubblica di ideali e di uomini colti e Infatti vedendo trasmissioni e leggendo oltre a sentire i mie genitori e parenti oltre chi ha vissuto quel periodo , posso che condividere questa testimonianza riportata in un commento al video in questione 

Sgombriamo il campo da ogni equivoco: erano dei farabutti, punto e basta. Persone che per anni ed anni hanno utilizzato il proprio potere politico, ottenuto spesso carpendo la buona fede dell'elettorato, al fine di riempirsi le tasche. E Tangentopoli (pur con tutti i suoi limiti) lo ha ampiamente dimostrato.
E' però altrettanto vero -e parlo da vecchio milanese- che quegli Anni Ottanta sono stati scintillanti. Sono di centro-destra, non ho mai votato PSI e non sono mai stato un craxiano, non ho ricordi positivi delle giunte Tognoli e Pillitteri. Ma l'ottimismo che pervadeva la società, il benessere economico, quella sensazione di serenità per il presente e per l'avvenire li rimpiango molto. Si trovava lavoro senza problemi, gli stipendi consentivano un buon tenore di vita... Più in generale, si sorrideva di più. Oggi, tra i mille problemi di questa società, vedo solo malinconia
ecco due storie la prima 


Se non avesse incontrato Bettino Craxi probabilmente Paolo Pillitteri



non si sarebbe dedicato alla politica ma alla sua vera passione: il cinema. E anche oggi nel suo studio milanese, a dominare la scena tra libri e ricordi, c'è un enorme quadro dell'ex leader del Psi che così tanto ha influenzato la sua vita. Pillitteri è stato il sindaco della "Milano da bere", parlamentare ed esponente politico socialista di rilievo. Ma, per molti, è stato soprattutto il cognato di Craxi: "Finché ero nel partito socialdemocratico, a nessuno interessava il fatto che fossi sposato con la sorella di Bettino, Rosilde. Ma quando tornai nel Psi, tutti cominciarono a chiamarmi in questo modo. Io la presi sul ridere e iniziai addirittura a firmare alcune mie dichiarazioni come CDC: cognato di Craxi". Dalla celebrazione delle nozze tra Silvio Berlusconi e Veronica Lario come primo cittadino, al lancio delle monetine a Craxi davanti all'Hotel Raphael nel 1993, dopo lo scoppio di Tangentopoli. "Uno dei più grandi rimpianti che mi porto dietro, è stato quello di non poter essere stato presente ai funerali di Bettino ad Hammamet: avevo un processo in corso e il giudice mi proibì l'espatrio"




la seconda tratta da http://www.secoloditalia.it/2017/03/
che dimostra la cultura e la moralità ( si dimettevano e non arrivavano a farsi leggi ad personam o tana liberi tutti )

Don Olindo, il cappellano della Rsi che preferì “la notte fascista” alla Dc…
di ANTONIO PANNULLOlunedì 13 marzo 2017 - 13:27



Niente da fare, il Movimento Sociale Italiano è stato davvero un “partito differente”, in tutti i suoi aspetti: nelle sue file abbiamo avuto anche un sacerdote-onorevole, don Olindo Del Donno, e non era un prete qualunque: classe 1912, sannita, quattro lauree, medaglia d’argento al valor militare, croce di guerra, cappellano della Repubblica Sociale, scrittore, saggista, deputato della fiamma dal 1976 al 1992. Ma non è finita: uomo ironico, di grandissima cultura e di eloquio raffinato e trascinante, alternava citazioni in latino con motti di Dante, San Giacomo, intercalato da frasi delle Scritture e dalle lettere di San Paolo. Così, come se nulla fosse. Lo scoprì a apprezzò per primo Pinuccio Tatarella, che nella campagna elettorale del 1976 se lo portò in Puglia in tutti i comizi elettorali, dove conquistò tutti con la sua oratoria colta ed erudita. Fu tanto apprezzato che quell’anno don Olindo fu eletto con 36mila voti di preferenza, cosa che bloccò l’elezione di Pinuccio relegandolo tra il primo dei non eletti. Come scrisse qualcuno, fu un vero scherzo da prete, però Pinuccio se lo doveva aspettare: quell’uomo trascinava le folle, con il suo semplice ma efficace programma elettorale: Dio, Patria e Famiglia. E poi aveva fatto la Repubblica ed era stato tra i primi aderenti del Msi in Puglia. Come scrisse, «scelgo le tenebre anziché la luce; alla stella che guida la Dc verso Betlemme preferisco la notte fascista». Oggi ricorre l’anniversario della sua morte, il 13 marzo del 2009, quandò morì all’età di 97 anni. Olindo Del Donno fu, se non erriamo, il terzo sacerdote-onorevole della storia parlamentare italiana: il primo, don Romolo Murri, è addirittura prefascista, perché fondò la Lega democratica nel 1905, rompendo però con la Chiesa e venendo scomunicato; l’altro fu don Luigi Sturzo, padre della Democrazia Cristiana. Poi ci fu Baget Bozzo, che però fu europarlamentare prima con i socialisti poi con Forza Italia. Del Donno non aderì mai alla Dc, sostenendo di preferire la “notte fascista”, e poi perché riteneva che un forte Msi avrebbe convinto lo scudocrociato a spostarsi a destra.

Don Olindo fece anche la Campagna di Russia

Notizie della sua biografia le prendiamo da Realtà sannita; Del Donno infatti era originario di Santa Croce del Sannio. Fu chiamato “il prete nero”, “il nostalgico di Dio”, secondo una felice definizione di Luciano Cirri. Nel paesino natale trascorse un’infanzia felice, rimanendo colpito dalla figura di don Bosco, cosa che lo spinse ad entrare nel Seminario Salesiano di Genzano, alle porte di Roma, dove si distinse per la sua intelligenza e per l’impegno negli studi. Si laureò in teologia all’Università Gregoriana di Roma e fu ordinato sacerdote nel 1937. Subito dopo conseguì anche la laurea in Lettere all’Università La Sapienza di Roma e iniziò la carriera di insegnante. Ma lo scoppio della guerra modificò i suoi piani: chiese e ottenne di partire volontario e fu arruolato in un reggimento di artiglieria a cavallo prendendo parte alla Campagna di Grecia, dove ottenne la Croce di guerra al valor militare. Partecipò poi alla Campagna di Russia dove ottenne la medaglia di argento per il suo coraggioso comportamento nella battaglia di Natale che infuriò nel settore Mikailowski-Ivanowski: “Mentre trovavasi presso un gruppo di batterie impegnate in aspri combattimenti, si prodigava oltre ogni limite per dare ai soldati la sua assistenza spirituale, spingendosi fin sulle prime linee incurante di ogni rischio. Due giorni dopo si recava in una località da poco riconquistata per dare sepoltura ad alcuni artiglieri ivi caduti. Gravemente ferito mentre adempiva tale atto pietoso, sopportava stoicamente il dolore rivolgendo a chi lo soccorreva e al comandante del gruppo, parole ispirate ad un alto senso di patriottismo e mentre veniva trasportato nella barella, ripeteva più volte il grido: Viva l’Italia. Esempio a tutti delle più alte virtù di sacerdote e di soldato”. Ebbe pure tre encomi.

Don Olindo scelse la Rsi: lo imponeva la coscienza

Dopo l’8 settembre compì senza esitare la sua scelta per la Repubblica Sociale, passando la linea Gotica di notte in modo avventuroso per raggiungere Mussolini al Nord. “La mia fu una testimonianza di fede religiosa e di fedeltà alla bandiera. Un impegno per la patria, che era stata bistrattata, ma anche un’esigenza per la nostra coscienza”. Tornato dal fronte, dopo la guerra prese altre due lauree, in Filosofia e Pedagogia, diventando prima Preside e poi Ispettore del ministero della Pubblica Istruzione. Nel 1976, l’elezione alla Camera nel collegio Bari-Foggia, dove rimase per quattro legislature. Apprezzato dai colleghi parlamentari per il suo impegno e la sua rettitudine, svolse un’attività molto intensa, tra interventi, proposte di legge, interrogazioni. L’unica disavventura la ebbe nel 1989 quando, a sorpresa e senza aver avvisato nessuno, votò, unico missino, la fiducia al governo Andreotti VI, tanto che il presidente della Camera pensò di non aver capito bene, tanto che lui sillabò: “Sì, fa-vo-re-vo-le!”. Per questo l’allora segretario Gianfranco Fini lo sospese. In realtà Fini non lo amava molto politicamente, a causa delle sue mai interrotte amicizie con esponenti della Dc e con quelli di Democrazia Nazionale. Ma don Olindo se ne fregò (lui, che era stato già sospeso a divinis dopo l’elezione) e rimase iscritto al gruppo sino al 1992, quando lasciò la Camera. Ha scritto molti libri fra cui Tre peccati e un deputato, Il Vangelo di San Giovanni-Letture filosofiche, L’uomo e la Parola-Manuale di stilistica e metrica, Un alpino fra gli alpini. A Bari don Olindo abitava in una strada del centro, via Sagarriga Visconti 151, non lontano dall’università, e la sua casa era piena di libri e di cimeli: il diploma di laurea incorniciato con il fascio littorio. Nel suo volantino elettorale del 1976 aveva scritto: “Fó giuramento di rinunzia allo stipendio di deputato, destinando ogni mese l’intero emolumento alle sezioni che, con i voti di preferenza, avranno apprezzato questo primo gesto. Confermo. Regalerò il mio stipendio. E questo non perché sia ricco. Per la campagna elettorale ho dovuto fare debiti. Tre milioni di debiti. Lo faccio per dare l’esempio. Perché altri imitino il mio gesto, in modo che si arrivi a un’equa distribuzione dei beni. Sarei felice se mi imitassero i padroni d’industria e rendessero partecipi gli operai”. Concludiamo con una curiosità: “Aldo Moro – raccontò Del Donno nel libro Nel segno della fiamma di Michele Salomone – mi disse: perché non vieni nella Dc? Diventi il don Sturzo secondo. E io gli risposi: guardi che io sono nato così”. E concluse: “Vir oboediens loquetur victorias, recita la scrittura. Per avere la vittoria, l’esercito deve essere ubbediente, disciplinato; altrimenti le vittorie non si ottengono mai.”








con droghe o senza droghe , con soldi e senza soldi ,senza o con tecnologie si è sempre viaggiato e sempre si viaggia e tutto viaggia

viaggiare  dentro di  se   senza droghe
viaggiare per  conoscere  

my play list
oltrealle  tre  canzoni   riportatenel ost   eccovene altre
VIAGGI E MIRAGGI - Francesco De Gregori
COMPAGNI DI VIAGGIO   "
21Beat - Il Viaggio 
IN VIAGGIO  CSI  
Fiorella Mannoia - In viaggio
Cesare Cremonini - Buon Viaggio 


Stamattina  Camminando  perr  andare    fare il mio cosueto turno di volontariato   alla bottega del commercio  equo   , sono capitato  davanti  all'agenzia  di viaggi  , e poi poco fa  cazzeggiando   viaggiando   virtualmdente    con il pc   e  vedendo   gli articoli  (  che  qui  sotto riprongo  )    mi è  venuto il mente  il post  d'oggi  .Infatti nonostante  non esista  angolo  del  mondo ormai   che non sia  consciuto  e d  esplorato  https://it.wikipedia.org/wiki/Esplorazioni_geografiche sia  che  si viaggi passivamente 
« Gli occidentali hanno curiosamente limitato la storia del mondo raggruppando il poco che sapevano sull'espansione della razza umana intorno ai popoli di Israele, Grecia e Roma. Così facendo hanno ignorato tutti quei viaggiatori ed esploratori che a bordo di navi hanno solcato i mari della Cina, l'oceano Indiano, l'oceano Pacifico e i mari artici, e che in carovane, hanno attraversato le immense distese dell'Asia. In verità la parte più cospicua del globo, con culture diverse da quelle degli antichi Greci e Romani è rimasta sconosciuta a coloro che hanno scritto del loro, piccolo, mondo con la convinzione di scrivere la storia e la geografia del mondo.  »
                          (   Henri Cordier 1849 – 1925  )
o attivamente si sente sempre il desiderio di viaggiare perchè

Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza. Va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato. È un romanzo, nient’altro che una storia fittizia. Lo dice Littré, lui non sbaglia mai. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita.
[Louis-Ferdinand Céline ~ Viaggio al Termine della notte]



c'è chi lo  fa :
  • con la  fantasia o osservando la  natura  che viaggia  continuamente   





  •   viaggiando    a  ritroso  del  tempo  e  nel passato  come faccio  o  almeno ci provo   riportando  storie  e  ho  fatti curiosi 
si può fare   anche  senza    droghe  



o  questa




  •   fisicamente    o  cercando  di vedere  uno stesso posto  in prospettive  diverse  .

  esempio  

La metropolitana di New York: un viaggio nel viaggio

La metropolitana di New York è un vero viaggio nel viaggio, una sorpresa ogni giorno

da http://www.ioacquaesapone.it/articolo.php?id=2473 Ven 24 Feb 2017 | di Testo e foto di Roberto Gabriele | Mondo




Ogni viaggio ha un suo sguardo, un diverso punto di vista, un incontro inaspettato. Per questo amo preparare la valigia e andare a caccia di nuovi stupori davanti alle cose che vedo; nulla è mai ovvio né scontato, neanche le cose che già conosco o i luoghi che ho già visitato. Ogni volta è una scoperta, perché nel frattempo sono io che cambio.
La metropolitana di New York non fa eccezione: è un vero viaggio nel viaggio, una sorpresa, perché quasi sempre è nuova la gente che vi si incontra... Ho scritto ‘quasi’ perchè in realtà ci sono alcune figure che sembrano far parte da sempre di quelle gallerie e appartenere ai lunghi condotti che portano nelle viscere rocciose del sottosuolo di Manhattan, quasi fossero elementi di arredo progettati insieme alla stazione.
L’UOMO DI “METRO”
È il caso dell’uomo che distribuisce le copie gratuite di “Metro”, il free magazine che conosciamo anche in Italia: la sua vita professionale inizia al mattino alle 6 quando comincia ad urlare una specie di litania che dura fino alle 9, allorché le copie del giornale sono esaurite e lui sparisce insieme a loro, dileguandosi senza riapparire fino al mattino successivo, e così per anni, per sempre… Puoi ritornare e ritrovarlo lì: stazione 34 linea BDFM.
LA FAMIGLIA COUNTRY
Se ti trovi a frequentare la Grand Central Station, nei suoi infiniti corridoi sotterranei, esattamente dove c’è il passaggio comunicante con lo “Shuttle” per Times Square, lì trovi puntualmente la musica country suonata dalla classica famiglia allargata: tre fratelli, due di questi con relative mogli che suonano la chitarra, il basso e la batteria e cantano, vestiti con camicie a quadroni, gonne a fiori e ciabatte. Cantano la vita rurale della gente del Sud.
BONO VOX NELLA SUBWAY
Ma non ci sono solo gli habitué, nella Subway puoi trovare ogni genere di artisti di strada, alcuni di loro sono dei veri professionisti e hanno uno speciale patentino che li abilita ad esibirsi: li trovi sui treni, ma possono essere dovunque, puoi vederli in un posto e il giorno dopo sentirli cantare a Broadway. E può capitare anche di incontrare gli U2, come è successo qualche tempo fa e poi postato sui social!
BURATTINI E BALLERINI ACROBATI
Ti puoi imbattere, poi, in burattinai e suonatori di fisarmonica, in ballerini-acrobati, ma anche nel disperato di turno, quello che non sa cantare, né suonare, né ballare, quello che cerca di attirare l’attenzione, parlando di sua madre tossicodipendente e del padre ucciso.
5 MILIONI DI PERSONE AL GIORNO
E poi c’è la gente… migliaia di persone in ogni treno, 5 milioni e mezzo di persone al giorno e quasi due miliardi l’anno! C’è il mondo intorno a te. Ricordo le scene del film “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders, in cui un angelo era in grado di ascoltare i pensieri delle persone sulla metropolitana e capirne le infinite storie di vita. Ecco, quando sono sulla metropolitana di New York le guardo e a volte le fotografo, ma sempre le ascolto, anche nei loro infiniti silenzi. I loro corpi parlano. Osservo la gente e ne immagino le storie, proprio come nel film. Le ragazze bellissime e alte le vedi dirigersi a Chelsea, dove ci sono le Agenzie di modelle. Le immagini andare a fare un casting: le vedi in metro e potresti magari ritrovarle in un manifesto pubblicitario al rientro in Italia…
TOP MANAGER ALLA MARATONA
Puoi vedere ovunque il classico top manager nel suo look, con una borsa nera per il computer o che indossa il cappotto con lo zaino sulle spalle: va al lavoro la mattina portandosi l’abbigliamento per allenarsi dopo l’ufficio. Finito l’orario di lavoro, indossa le scarpe e la tenuta da running, mette il cappotto e il resto nello zaino e torna a casa, facendo anche 15-20 chilometri di corsa, allenamento base per la preparazione della più classica delle Maratone, quella di New York!
I ‘COLORI’ NELLA METRO
La metropolitana a New York è anche multicolor: i diversi colori della pelle mi parlano della società cosmopolita newyorkese e che non ha paragoni in nessun’altra città del mondo in termine di numero di etnie.
DA MANHATTAN AL BRONX E RITORNO
Per allontanarmi da Manhattan, ombelico del mondo, prendo la linea 4 o la 5 e me ne vado nel Bronx, dove conosco qualche posticino poco turistico nel quale scoprire la faccia più vera della città. La via del ritorno sulla metropolitana ha il fascino di una scena che si ripete: io unico bianco circondato da un treno di blacks e qualche portoricano. Pochi orientali e quasi tutti neri. Si muovono a famiglie intere, mamme con due o tre figli oppure gruppi di amici adolescenti, ma sempre insieme. Ci trovi i rappers, quelli più distinti e le facce tipiche delle donne che vanno a fare le pulizie in qualche ufficio a Wall Street. La cosa più bella è osservare lo “sbiancamento” del colore medio della pelle dei passeggeri man mano che il treno si avvicina a Manhattan e poi a Downtown. I neri scendono e i bianchi salgono: quel treno unisce il quartiere più povero e quello più ricco della città, è un treno democratico, uguale per tutti, e che accompagna ciascuno nella propria vita.
VICINO ALL’INFERNO
L’aspetto che mi piace di più della metropolitana di NYC è il suo fascino decadente che non le vieta di essere efficientissima in tutto. Credo che sia la rete più fatiscente che io abbia mai visto in un Paese occidentale: è sporca, gli interni non sono minimamente curati e la manutenzione che viene fatta è solo tecnologica, senza nulla di estetico. Non è raro imbattersi in topi giganti anche in pieno centro, si trovano travi arrugginite e perdite di acqua provenienti non si sa da dove, cartacce e bicchieri di cartone, scatole di pizza e coperte puzzolenti abbandonate dagli stessi clochard per quanto erano inservibili. Qui si dimenticano i fasti e le decorazioni della metropolitana di Mosca, la modernità e l’arte di quella di Napoli, o la pulizia di quella di Berlino. Qui sei vicino all’inferno, anche per il caldo umido che provi tutto l’anno, per il rumore assordante dei treni e dei loro condizionatori. Eppure questa città, senza la sua fetida Subway non sarebbe così bella.
STAZIONI DI PERIFERIA
Adoro perdermi nelle stazioni di periferia, quelle più isolate, dove ti trovi da solo ad aspettare un treno o dove scendi e hai l’impressione di essere inseguito dai passi silenziosi di un serial killer. Sono quelle stazioni sopraelevate che trovi a Brooklyn, nel Queens o a Coney Island, dove ti rendi conto di essere nella Little Mosca e dove i negozi hanno le scritte in cirillico! Ne conosco di bellissime: stazioni che passano all’altezza delle basse case a due piani della infinita periferia di New York. Siamo ad un’ora di metropolitana da Manhattan e siamo ancora nella municipalità di New York. I due capolinea distano tra loro quasi tre ore di viaggio! Da queste stazioni puoi osservare i tetti delle case, viaggiando a circa 10 metri di altezza da terra, ma anche in lontananza tutto lo skyline di Manhattan e i suoi grattacieli che riempiono l’orizzonte. Una vista mozzafiato, uno degli scorci più belli che abbia mai visto della città…
LA LINEA 7
C’è una stazione della linea 7 nella quale potrei stare affacciato per ore alla piccola balaustra al termine del binario. Da quel punto mi accorgo di essere sopra la città, sotto di me c’è la strada che brulica di auto, camion e persone, e se alzo lo sguardo dritto davanti a me vedo arrivare i treni che arrancano sui binari in salita. Sullo sfondo di tutto questo, da lontano, posso osservare l’Empire State Building, il nuovissimo One World Trade Center e il traffico di treni e passeggeri che sfilano intorno a me.
LA LINEA A: VERSO L’OCEANO
E se prendi la linea A, quella blu, in direzione Far Rockaway e superi l’aeroporto JFK, dove decine di aerei riempiono il cielo con i loro boati, non fermarti e prosegui ancora, sei nel nulla, ti stai avvicinando al mare. Eccolo: ora ce l’hai davanti, sei sull’Oceano Atlantico! Intorno a te vedrai i surfisti affrontare le onde come se fossi in California. Qui non ci sono grattacieli, ma solo ville sul mare e un silenzio assordante rotto solo dal garrito dei gabbiani. Approfitta per fare una passeggiata e dimenticare il centro per qualche ora: qui c’è la quiete che non trovi a Manhattan, quando dopo questa gita ritornerai in mezzo alla gente sarà ancora più bello apprezzare il caos!
LA LINEA MARRONE AL TRAMONTO
E poi c’è il ponte di Williamsburg, percorrilo al tramonto sulla linea marrone JMZ, quando il sole tramonta. Affacciandoti sulla destra riuscirai a vedere il Manhattan Bridge e poi in fondo il Ponte di Brooklyn, con il sole che tramonta dietro ai grattacieli: questi sono i venti secondi più belli del viaggio, non puoi allungarli, non puoi ripeterli e non hai tempo neanche di fare una foto: dura un attimo, ti mozza il fiato, senti un groppo alla gola e in quel preciso momento ti rendi conto che sei davvero a New York!
25 LINEE, 472 STAZIONI

380 chilometri, 25 linee, 472 stazioni, sugli stessi binari puoi prendere i treni locali che fermano in tutte le stazioni, oppure gli Express che ne saltano tantissime e sono più veloci, ma se sbagli dovrai tornare indietro! Una jungla di binari, di gallerie, di collegamenti: puoi camminare a piedi per un chilometro solo per cambiare tra due linee che solo apparentemente si incrociano! Per orientarti devi sapere che le linee dentro Manhattan sono parallele tra loro e le stazioni hanno il numero della street che tagliano; troverai 4 stazioni con lo stesso numero, su strade diverse e lontane tra loro. Le direzioni da seguire sono sempre e solo due: Uptown and Bronx, oppure Queens o Downtown and Brooklyn.



Ma si può viaggiare , se  si  fa per  avventura  od in solitaria    anche senza tecnologia o con ilmminimo indispensabile per le emergenze come dimostra il finale di due : Basilicata coast to coast 2010 diretto da Rocco Papaleo. e Into the Wild - Nelle terre selvagge (Into the Wild) è un film del 2007 scritto e diretto da Sean Penn, basato sul libro di Jon Krakauer Nelle terre estreme,o per fornire prova documentaria come di mostra questa storia


Come in "Into the Wild", la straordinaria avventura di Eliott


L'incontro con il grizzly, la fame combattuta pescando e mangiando bacche. Il parigino Eliott Schonfeld si è misurato per 3 mesi nella selvaggia Alaska sulle orme di Christopher McCandless, il giovane americano raccontato dal film "Into the Wild" di Sean Penn. Alla stessa età del protagonista del film, Eliott ha viaggiato in solitaria per 1800 km in canoa e 900 a piedi. In questo video il racconto della sua straordinaria avventura (credit: Eliott Schonfeld https://www.facebook.com/eliottschonfeldaventurier/)
 oppure   lavora  e viagia  insieme  




Lavorare in paradiso: vita da nomadi digitali
Per svolgere il proprio mestiere hanno bisogno solo di un pc e di una veloce e potentissima connessione. Per concentrarsi, dei luoghi più incantevoli della Terra di Barbara Savodini


Si chiama home work, mentre coloro che lo praticano sono stati ribattezzati nomadi digitali e fanno tanta invidia agli impiegati tradizionali. Sì, perché per lavorare hanno bisogno solo del loro intelletto, di un pc e di una connessione e per concentrarsi prendono dimora nei più suggestivi scorci della terra, veri e propri paradisi terrestri, visitati da tutti gli altri comuni mortali magari una sola volta nella vita. Fino a qualche anno fa, questi eletti non erano che una manciata di persone in tutto il globo, ma la tecnologia ha velocemente trasformato il modo di concepire il lavoro e così, ora, sono le aziende ad andare a caccia di super cervelloni da spedire dove il clima è sempre mite, l’acqua cristallina e la brezza tiepida e delicata. E il vantaggio è duplice: le sedi centrali spendono la metà per vitto e alloggio (il costo medio mensile non supera mai le 500 euro), mentre i dipendenti rendono il doppio. 



LA RISCOSSA DELLE AGENZIE DI VIAGGIO
L’unico problema è che spesso questi paradisi terrestri, luoghi come la Thailandia, l’Indonesia, il Vietnam o la Giamaica, sono anche quelli in cui la connessione funziona peggio. Ecco che scendono in campo le agenzie: ai tempi delle vacanze low cost, in cui nessuno sembra più aver bisogno della figura dell’operatore di viaggio, c’è chi si reinventa e con questa tendenza ha scoperto un nuovo business. Per rendersi conto della diffusione del fenomeno, basta dare uno sguardo su internet alla quantità di agenzie che lavorano nel settore del nomadismo digitale: c’è Roam, per chi intende trasferire non un dipendente, ma un intero ufficio; Hacker Paradise, il cui nome è già di per sé emblematico; “Wi-fi tribe” che sembra essere il prediletto da chi, anziché concentrazione cerca ispirazione, con centinaia di pittori, artisti e scrittori che lo raggiungono ogni anno. E poi c'è anche nomadlist.com che ha classificato i luoghi belli del nostro pianeta, prendendo in esame cinque parametri: connessione, costo, sicurezza, divertimento e giudizio degli utenti.
conveniente, insomma, è inevitabile, ma in fondo, per chi vive sempre in vacanza, anche dilatare un po' l'orario di lavoro non è certo un problema! 
tori che lo raggiungono ogni anno. E poi c'è anche nomadlist.com che ha classificato i luoghi belli del nostro pianeta, prendendo in esame cinque parametri: connessione, costo, sicurezza, divertimento e giudizio degli utenti.
SVEGLIA PRESTO E TANTE PAUSE: ECCO LA GIORNATA TIPO
La giornata tipo di un nomade digitale? Sveglia presto, perché si sa, il mattino ha l’oro in bocca, un tuffo in piscina o nelle acque cristalline dell’isola, una colazione genuina e poi via a sfornare calcoli o deduzioni informatiche fino alla prima pausa; un pasto fresco all’ombra di una palma o una breve seduta di joga in una capanna, per poi tornare al pc fino alle 17. Proprio come in ufficio, insomma, ma alla fine dell’orario lavorativo ad attendere il lavoratore privato da ogni energia non è il traffico di Milano o il caos di Londra, ma sabbia bianca e natura incontaminata, così, all’indomani, il cervellone dell’azienda sarà più carico che mai. L’abbigliamento? Che dire, quando l’ufficio è dall’altra parte del mondo l’outfit passa in secondo piano e anche chi guadagna 4-5mila euro al mese può permettersi di recarsi alla sua postazione di lavoro in calzoncini e infradito. Anche la vita in paradiso, purtroppo, può avere qualche difetto e nel caso dei nomadi digitali il nemico numero uno è il fuso orario. Qualche in conveniente, insomma, è inevitabile, ma in fondo, per chi vive sempre in vacanza, anche dilatare un po' l'orario di lavoro non è certo un problema! 


Lo strano caso di “Refuga”

Ci sono poi anche aziende che mandano i dipendenti in questi paradisi terrestri non per sempre, ma soltanto per consentire loro di ritrovare se stessi, nuovi stimoli o complicità di gruppo. È questo il caso dell’agenzia “Refuga”, alla quale, tra gli altri, si sono già rivolti Apple e Facebook, i cui 500 impiegati dei settori più delicati hanno trovato la loro complicità scalando vette inarrivabili o attraversando l’India in bicicletta.





ce  chi o lo fa    da  sempre  attirandoti  pregiudizi e  generalizzazioni

Si puà anche   viaggiare  artificialmente con droghe  ed  alluccinogeni ma   lo sconsiglio  perchè   si rischia   la  morte   come di mostra questa  storia   meglio farlo  nei  modi sudetti  o  con la fantasia e  la letteratura   perchè  in viaggio   è libertà fuggire  ( come il film meditteraneo  )  evadere  o oltre  che in se  stessi nel proprio io    vedere le  righe precedenti  e  l'url  sopra 




12.5.17

la differenza fra destra e sinistra non esiste più : “Lo stupro è più odioso se commesso da un profugo”. debora serrachiani pd



Otre al razzismo  "  classico  ed imperante "  contro  profughi ed  migranti  , ed rom (  vedere   fera  gli url  sopra   url   sopra )   c'è   un razzismo   più  subdolo   la cui  origine è  iniziata   come un onda nera  ed  appiccicosa    quando   la diga   delle  ideologie   ( 1988\9 -1994  )    si   è rotta   ed  trova conferma     che destra  e sinistra ormai   non  esiste  più  


debora serracchiani stupro trieste profugo - 1

ma come siamo ridotti a mandare indiretta un suicidio su fb .

un senso  - vasco rossi


dalla nuova  sardegna del  11\5  \ 2017

Sassari, il racconto della tragedia: "La tenevo per il giubbotto, è precipitata"
Il dramma della donna precipitata dal ponte di Rosello nelle testimonianze dei soccorritori




SASSARI.
 Per cinque interminabili minuti hanno provato a evitare la tragedia ma purtroppo non ce l'hanno fatta.Non è servito a niente il gesto eroico di due passanti che  hanno provato con tutte le forze a trattenere una donna di 45 anni che poco prima delle 11 ha scavalcato la ringhiera del ponte Rosello con l'intenzione di togliersi la vita.La donna è precipitata ed è morta - nonostante il tentativo di  rianimazione del 118 - dopo che i due uomini, aiutati da altri passanti, avevano tentato l'impossibile per evitare chw  cadesse nel vuoto.
Il ponte di Rosello pochi minuti dopo...
sempre il ponte  rossello
Mentre in tanti chiamavano il 118 e i vigili del fuoco, i due soccorritori improvvisati hanno legato un braccio della donna con una cintura che uno dei due si è tolto dai pantaloni, ma non è bastato. Dopo qualche minuto la donna è precipitata nel vuoto.Sul posto poco dopo sono arrivati anche gli agenti della squadra volante e i carabinieri. Tantissimi i passanti che si sono fermati sgomenti.«Basta suicidi - hanno detto in tanti - il Comune trovi un sistema per evitare che questi gesti si ripetano».
IL  tentativo di suicidio, i soccorsi affannosi e inutili, la nuova morte dal ponte del Rosello. Il dramma vissuto ieri 10 maggio a Sassari ha sconvolto la città. E il racconto dei pochi minuti che hanno preceduto la tragedia lascia ancora attoniti. «Ho provato in tutti i modi a trattenerla, ma alla fine il giubbotto a cui avevo attaccato la cintura si è sfilato e lei è precipitata, è stato terribile». È ancora sotto choc uno dei due soccorritori che ieri mattina ha tentato insieme a un altro passante di salvare la vita a una sconosciuta che aveva deciso di farla finita.«Ho visto quello che stava succedendo - racconta l’uomo - ho fermato lo scooter e mi sono lanciato per dare una mano a un uomo che era già riuscito a prendere la donna per una mano. Mi sono sfilato la cintura dai pantaloni, ho fatto un nodo e ho provato a bloccarle un braccio, ma non è bastato». «Purtroppo non avevo delle corde in macchina - racconta l’altro soccorritore che ieri sera è tornato sul ponte per deporre dei fiori - altrimenti mi sarei imbragato e mi sarei calato per prenderla. Se fossi arrivato un secondo prima forse l’avrei salvata»



Ora     come  dice   il mio amico  Sergio Pala sulla  sua  bacheca   di fb cerco     ma  soprattutto  : <<  Voglio trovare un senso..tipo Vasco Rossi. >> Infatti  mentre c'era chi tentava di farla desistere, cercava disperatamente di tenerla aggrappata tra la vita e il vuoto c'era chi riprendeva e poi condivideva lo spettacol su WhatsApp  e  poi su    gli altri   social  .
 E Lo trovo  (  e  lo dice  uno  che  di solito   è un " guardone " e  ha  condiso in passato  video  di  bullismo  ,  ecc  )   , per dirla alla Antonio Conte, agghiacciante. Lo trovo di un'insensibilità sconvolgente.   Cosi  come  trovo    triste    questa  

 [---]                                                                                                                                 DOPPIA TRAGEDIA - Sul posto le forze dell'ordine hanno avuto il loro bel daffare per arginare i curiosi. Fra loro anche persone che hanno temuto il peggio. Come una donna, a cui avevano detto che sotto quel lenzuolo c'era il corpo di una ragazza incinta, come la figlia. La donna ha avuto un malore, salvo poi scoprire che non si trattava della sua figliola.A riconoscere la donna è stato il compagno, le mani davanti agli occhi, piegato in due dal dolore, dopo aver sollevato un lembo del lenzuolo. A casa, ad aspettare, c'erano tre figli. Dolore su dolore, davanti alla giostra in Rete. La voce circolata in un primo momento è stata quella del suicidio di una donna in attesa, di otto mesi. Voce che si è affievolita col passare delle ore. Resta l'amarezza di un dramma personale, diventato un film dell'orrore, senza ritegno.
Capisco   chge   in quei momenti  si possa   essere curiosi ,  stare a guardare, impotenti al dramma o mancare  se    sei coragggioso    come    quei ragazzio che  hanno tentato  di salvarla intervenire   Ma da qui a pubblicare "live" sto strazio ne passa. Potere dei social. Potere delle visualizzazioni. Potere delle condivisioni.  << Che  ---  sempre  secondo lo stato  di fb  di Sergio pala  ( vedere  url  del post  colegamento righe precedenti  )  --  << alla fine, è bene ribadirlo, tra tanti like o il doveroso rispetto su simili tragedie optiamo per la prima ipotesi. Incoscienti ma coscienti di spiccioli di gloria virtuale. Lo abbiamo fatto coi bimbi boccheggianti dai gas delle bombe. Lo facciamo con quelli rasati dalla chemio,convincendoci che solo il 3 % ha un cuore e condividerà. Che talvolta, l'amen sarebbe più opportuno per chi crea e distribuisce ste cose. Ma tant' è. In questa gara di cinismo l'importante è partecipare. L'importante è esserci..o non esserci ? Questo è il problema .. ..ma non ce lo poniamo.. >> o   almeno  non tutti   se  lo pongono  

 concludo    con questo scambio  d'opnioni  facebookiano


Antonio Tirabusciò Fele i "social"sono sempre più pericolosi e sempre più lo diventeranno.
Giuseppe Scano Dipende da noi e  dall'usoche  ne  facciamo  dei  social Rispondi16 h
Antonio Masoni Mi permetto. Se qui tutti crediamo di vivere la "Vita in Diretta" come quell'idiota che conduce o conduceva (non fa parte del mio back ground seguire queste cose in TV), nulla ci dobrebbe stupire più. Fbook è stato creato per questo, far credere a tutti che questa sia la vita vera. Anche questo social, però, è come un telecomando...non ci piace non lo guardiamo, ci piace lo vediamo. Come per altre cose della vita, possiamo scegliere...ciò non toglie che quel tale là sia un idiota alla pari della conduttrice del programma TV. Asocial network ancora una volta.
Antonio Tirabusciò Fele In linea di principio si,ma è anche vero che i social sono un amplificatore di tutte le peggiori sfaccettature dell animo umano.
Rispondi
1
11 h







https://www.facebook.com/sergio.pala.52/posts/10209156985501969

10.5.17

Di Gucci ce n'è uno solo: ristorante costretto a cambiare nome Prato, la multinazionale della moda e dell'abbigliamento ha inviato una diffida al ristorante "Gucci doc" di via dell'Accademia dove tutti si chiamano Gucci

leggi anche 
http://iltirreno.gelocal.it/prato/cronaca/2016/06/05/news/il-gucci-doc-in-via-dell-accademia-1.13609221


dopo  Armani    adesso anche Gucci si mette  a fare il preopotente  verso un debole reo  di essere  omonimo  dello stilista  .  Nonfaccio ulteriori  n  commenti onde  evitare   qualunquismi  , populismi , ed ovvietà  . lasdcio parlare  larticolo ed  eventualmente  i vostri commenti

da http://iltirreno.gelocal.it/prato/cronaca/2017/05/10/

Di Gucci ce n'è uno solo: ristorante costretto a cambiare nome

Prato, la multinazionale della moda e dell'abbigliamento ha inviato una diffida al ristorante "Gucci doc" di via dell'Accademia dove tutti si chiamano Gucci di Vittorio Vannucci



PRATO. Prendersela con i più piccoli sembra andare di moda. E' proprio il caso di dire. Incredibile ma vero: un ristorante del centro di Prato, aperto da appena un anno, è stato costretto a cambiare denominazione niente meno che da Gucci, multinazionale della moda e dell'abbigliamento.E' la vicenda paradossale capitata al ristorante "Gucci doc" di via dell'Accademia 49 di Prato, aperto nel 2016 dalla famiglia Gucci, il babbo Fabio, la mamma Barbara, le figlie Laura e Martina Gucci. Il lavoro è filato via liscio per più di dodici mesi con le soddisfazioni e le fatiche di ogni giorno, quando una bella mattina i titolari si sono visti recapitare una lettera di diffida da Gucci direttamente nella casella della posta: "Vi diffidiamo dall'utilizzo della denominazione Gucci doc o adiremo le vie legali"

Gucci vs i Gucci: la maison contro una famiglia di Prato: "Cambiate nome al vostro ristorante"questo il tono della missiva che non lasciava molto spazio all'immaginazione.Fulmine a ciel sereno per la famiglia di ristoratori pratesi. La strada che si poneva davanti era quella di un bivio, o rischiare di andare per vie legali con Gucci cercando di mantenere il nome con cui il ristorante si era già fatto conoscere e apprezzare, oppure cambiare denominazione ed evitare di ingaggiare la battaglia legale col colosso della moda: "Alla fine abbiamo optato per cambiare nome al ristorante - commenta Barbara madre di Laura e Martina e moglie di Fabio - purtroppo non abbiamo avuto scelta. Peccato, ci siamo rimasti molto male. Pare quasi che portare il cognome Gucci sia una colpa agli occhi di questi signori. Mio marito e le mie figlie si chiamano Gucci, essere penalizzati per questo è veramente assurdo".
E anche le figlie Martina e Laura Gucci che gestiscono il ristorante assieme ai genitori, sobbarcandosi l'impegno e la fatica di tutti i giorni, hanno voluto commentare su facebook l'accaduto: "Ci scusiamo con la gentile clientela per la modifica del nome del nostro locale. Purtroppo, in questi mesi -spiegano le due sorelle- oltre all'attenzione dei clienti e appassionati di vino e buon cibo toscano, abbiamo attirato anche le 'attenzioni' sbagliate di chi porta il nostro stesso cognome, ma che è, ahinoi, più potente e ricco. Nonostante abbiamo cercato di farci valere - continuano Laura e Martina - abbiamo dovuto provvedere a modificare il nome al nostro ristorante, che però rimane intatto nella sua idea di buona cucina con quel mix di tradizione e innovazione che ci contraddistingue! Speriamo di vedervi presto da noi!". Il ristorante si chiama adesso Gi doc ristobistrò, una piccola modifica imposta per forza, che però non ha abbattuto il morale, l'inventiva e la voglia di fare della famiglia di ristoratori: "Il nuovo logo sarà caratterizzato da una G con tre puntolini e poi una I a forma di calice con il doc a chiusura di denominazione -aggiunge Barbara - per ribadire il concetto che porteremo avanti come prima e più di prima la nostra cucina con la solita ospitalità e semplicità".

Tutti i Gucci nel locale di via...
Tutti i Gucci nel locale di via dell'Accademia


L'insegna Gucci Doc che dovrà essere...
L'insegna Gucci Doc che dovrà essere cambiata