Avrei voluto commentare la puntata di presa diretta di rai3 sul caso stamina che trovate sotto
Il primo
Presadiretta e Le Iene, come si parla di Stamina in tv.
Da una parte la chiarezza delle prove, dall’altro la pressione emotiva: due modi opposti di raccontare il fantomatico metodo a base di staminali sul piccolo schermo.
“Dedicheremo la puntata a un argomento controverso: il metodo Stamina, quello di Vannoni e della Stamina Foundation, della comunità scientifica nazionale e internazionale che ha attaccato ferocemente questo metodo considerandolo alla stregua di una truffa, dell’inchiesta della procura di Torino coordinata da Guariniello sull’attività della Stamina Foundation, della politica e delle decisioni del ministero della Salute. Ma anche dell’attesa enorme che questo metodo, pubblicizzato da tantissime televisioni, ha creato nei malati e nei parenti dei malati”. Ha esordito così Riccardo Iacona, nell’introdurre l’
ultima puntata diPresadiretta, in onda ieri in prima serata su Rai Tre, interamente dedicata a un’inchiesta attorno al
discusso trattamento a base dicellule staminali promosso da
Davide Vannoni e dal medico Marino Andolina. Si è discusso del metodo, della sua fondazione, delle inchieste che ne oscurano la reputazione, di scienza e dipolitica, pur senza trascurare gli aspetti umani della vicenda, con testimonianze dirette di pazienti che chiedono l’accesso alle cure, ma anche di famiglie che si dichiarano tradite e che ne portano in superficie i lati più oscuri: quello delle richieste di denaro e delle promesse di guarigione mai mantenute.
C’è già chi ne esalta il giornalismo televisivo d’inchiesta, anche se da parte di Vannoni e dei suoi sostenitori la trasmissione è stata bollata da subito come pseudogiornalismo fazioso. Su questo, saranno i risultati delle inchieste della procura, ormai quasi al termine, a rendere conto. Ma per quanto riguarda il discorso giornalistico, ci sentiamo di riconoscere che forse per la prima volta il caso Stamina è stato rappresentato sul piccolo schermo in tutta la sua complessità e con il visibile intento di fornire un servizio pubblico di informazione. Impossibile non rilevare un confronto impietoso tra due intere stagioni di servizi in prima serata de Le Iene Show,
che abbiamo più volte criticato, e le due ore di trasmissione che abbiamo seguito ieri sera. Presadiretta ha raccontato una storia definita, quella di Stamina, comprensiva di fatti e responsabilità. E lo ha fatto in modo chiaro, preciso, documentato e comprensivo di contraddittorio.
Ecco una rassegna di quanto le due redazioni abbiano raccontato l’intera vicenda in modo differente. Perché la televisione ricopre ancora un ruolo forte nel formare l’opinione pubblica nel nostro Paese. E non può essere gestita con superficialità.
Le famiglie dei malati
Quelle in piazza Montecitorio, le loro proteste e la loro esasperazione creano l’apertura della puntata di Presadiretta, con tanto di intervista ai fratelli Biviano, ormai da sei mesi alloggiati all’addiaccio in attesa di poter accedere al trattamento in qualità di cura compassionevole. C’è lo
smarrimento e c’è la disperazione, proprio come hanno mostrato anche Le Iene. Il problema è che il programma di Italia 1 si ferma qui, mentre ieri sera la trasmissione di Iacona porta ben oltre.
Va da quelle famiglie e quei pazienti di cui finora avevamo letto solo sui giornali. Primo tra tutti Carmine Vona, affetto da una forma di paralisi, che ha ricostruito tutta la trafila di operazioni necessarie per accedere al trattamento di Vannoni quando ancoraStamina faceva la spola tra Torino, Carmagnola e un centro estetico in San Marino. E che ha raccontato in prima persona dei gravi effetti collaterali subiti dopo la sua unica infusione così come del totale abbandono da parte di Vannoni e Andolina, nonostante le promesse di recupero del 100%, mai avvenuto in alcun modo.
E assieme a lui diversi altri in carne e ossa, a testimoniare la desolazione delle aspettative tradite, lo smarrimento dinanzi a infusioni nel midollo spinale senza anestesia, nemmeno nei bambini, degli effetti collaterali inaspettati nascosti dentro alle infusioni e dell’incubo delle ripercussioni del duo Vannoni e Andolina nel caso di accuse e denunce. Un unico appunto: era davvero necessario mostrare i bambini malati, seppur con il consenso dei genitori?
I leader di Stamina Foundation
Per chi si fosse informato sul caso Stamina guardando solamenteLe Iene Show, probabilmente Vannoni e Andolina non sono altro che due personaggi parimenti estrosi e geniali con una grande idea ostacolata dai poteri forti e dalle lobby del farmaco. Questo perché Golia e i suoi collaboratori tacciono su tutti i loro aspetti più controversi, con ripetute interviste in cui ogni parola viene presa come oro colato, in totale assenza di una controparte. Anzi, ai due viene addirittura chiesto di descriversi e commentarsi a vicenda, in una sorta di celebrazione reciproca tra soci. Un contraddittorio che di fatto non può reggere.
Presadiretta invece li incalza, li provoca e va in cerca di qualcuno a cui chiedere se le dichiarazioni rappresentano il vero o il falso. Nel caso di Andolina, a cui viene chiesto perché le infusioni di staminali venivano praticate all’ospedale di Trieste esclusivamente la domenica pomeriggio, i giornalisti della trasmissione vanno a cercare conferme e spiegazioni anche oltre ai membri di Stamina, fino a incontrare di persona l’allora direttore sanitario della struttura,
Mauro Delendi. “Non c’era nessun accordo con l’ospedale” chiarisce Delendi, in opposizione a quanto sempre affermato da Andolina: “Anziché attività di ricerca, venivano fatti trattamenti sui malati, e scoprirlo è stata proprio la procura della Repubblica”.
Ancora più efficace l’intervista di Iacona a Vannoni, che viene incalzato sul lato medico-scientifico, sulle sue qualifiche, sul suo comportamento coi pazienti, sulle promesse di guarigione, sul
giro d’affari attorno a Stamina Foundation e sui propositi futuri della società, che prevede di
commercializzare le staminali in Cina a mezzo della farmaceutica Medestea, così come di sfruttare i fondi di una cooperativa di pazienti disperati per insediarsi in una clinica a Capo Verde. Riassumendo: al termine dell’intervista l’immagine di Vannoni ne esce praticamente massacrata. La sua incompetenza in materia medica e nelle dinamiche della ricerca scientifica, così come i suoi scopi commerciali, vengono alla luce.
La scienza e gli scienziati
Grandi assenti per la maggior parte dei servizi delle Iene, aspetti scientifici ed esperti di cellule staminali sono invece il vero filo conduttore della puntata di Presadiretta. Come dovrebbe d’altronde essere quando si tratta una tematica che ruota attorno a fuochi come la salute pubblica, gli investimenti per la ricerca clinica e le prove di efficacia di un trattamento che viene millantato come potenziale salvavita per più di cento malattie incurabili del sistema nervoso.
Cosa sono le staminali e come funziona la ricerca biomedica non viene chiesto, come nel caso delle Iene, a Vannoni (che ricordiamo non è né medico né biologo, bensì docente di psicologia della comunicazione e laureato in materie letterarie). La parola sulla scienza è data agli scienziati, e in particolare a tre eccellenze della ricerca sulle cellule staminali in Italia e a livello internazionale. Vediamo una
Elena Cattaneo impegnatissima a chiarire le perplessità della comunità scientifica sul metodo Stamina, un
Michele De Luca che spiega come i risultati dei trattamenti non siano nemmeno lontanamente compatibili con gli standard di una pubblicazione ufficiale, un Paolo Bianco intento a sottolineare lapericolosità di un’apertura verso trattamenti privi di evidenze scientifiche per i cittadini. Troppo difficile, per Le Iene, far entrare in uno dei loro servizi anche il parere dei nostri massimi esperti in materia, anziché focalizzarsi solamente su ipotetici miglioramenti
mai certificati da alcuna documentazione?
Le inchieste
Taciute nel corso delle venti puntate della trasmissione di Mediaset, le inchieste che vertono su Stamina Foundation e sugliSpedali Civili di Brescia, dove le infusioni di Vannoni sono diventate ufficialmente a carico del Sistema sanitario nazionale, vengono invece spiegate e approfondite da Presadiretta. La prima, per tentata truffa ai danni della Regione Piemonte, con un tentativo di richiesta fondi di 500mila euro; la seconda, persomministrazione di farmaci guasti e potenzialmente pericolosi per la salute, manipolati oltretutto in laboratori non idonei. Vengono letti documenti e relazioni ufficiali delle ispezioni dei Nas e intervistati i responsabili, e ne esce un quadro totalmente diverso a quello a cui Le Iene ci avevano abituato, ricco di dettagli e in cui nulla può essere lasciato al caso. Dal modo con cui vengono conservati i
campioni biologici alla mancanza di certificazioni di qualità di prodotto cellulare e dei reattivi per il loro trattamento, passando per l’assenza di documenti sulla vitalità e l’attività biologica delle cellule da iniettare nei pazienti, tutto riconduce a un grosso, pesantissimo, punto di domanda: cosa c’è nelle infusioni di Brescia? Nessuno all’interno dell’ospedale lo sa e nessuno, in trasmissione, si sogna di comunicarlo come una questione di poco conto. Si stratta di fatto di un precedente gravissimo, segno di una totale mancanza di trasparenza e dell’assenza di qualsiasi tipo di consenso informatonei pazienti.
Donazioni o pagamenti?
Presadiretta porta in tv anche la questione dei soldi: quelli che i pazienti avrebbero versato, certificati di bonifico alla mano, sui diversi conti correnti associati a Vannoni e alle sue società. Mentre la tv ci aveva abituato finora a sentir parlare il patron di Stamina di donazioni per la sua società senza fini di lucro e a favore dei malati, appare dalle testimonianze un lato molto più oscuro: visite, prelievi, e infusioni (prima dell’ingresso di Stamina agli Spedali di Brescia) sono completamente a carico delle famiglie dei pazienti, che pagano in anticipo, profumatamente e in assenza di qualsiasi garanzia. Un singolo trattamento supera da listino i 25 mila euro, e a chi fa fatica a pagare il dottor Andolina si permette di rispondere telefonicamente: “La sera mandi sua moglie a battere”, come recita una dichiarazione sconvolgente da parte di una delle famiglie intervistate ieri sera.
Fuori discussione l’importanza dell’inchiesta di Iacona e dei suoi collaboratori. L’appunto è alla tempistica e al palinsesto: la televisione avrebbe dovuto lasciare uno spiraglio a servizi di questo tipo molto prima, anziché abbandonare gli spettatori in balìa di un’unica (e schierata) trasmissione. La prossima volta (e speriamo non ce ne siano), ci auguriamo che il giornalismo televisivo d’inchiesta possa accendere i propri riflettori prima. Facendo da spalla alla Rete, che si è resa conto del caso Stamina con molto anticipo
Ciao, Davide Parenti, piacere. Non ci conosciamo. A dire la verità una volta un amico comune dovrebbe averci presentati, ma era una di quelle presentazioni di sfuggita che si fanno perché è educato farle, quindi quella volta non conta. Lo dico nel caso tu ti stessi legittimamente chiedendo “È questo mo’ chi cazzo è?”: appunto, nessuno, tranquillo.
Tu, invece, sei – lo specifico per quelli che stanno leggendo queste righe e non fossero pratici del sottobosco televisivo – il capo autore de “Le Iene”.
Lo confesso: ho rimandato queste lettera di giorno in giorno. Avrei voluto scrivere un articolo lungo e documentato abbastanza da smentire una per una la monumentale quantità di cazzate cui avete fatto da microfono parlando del caso Stamina, ma c’è
chi,
in rete, l’ha
fattoprima e
meglio di me.
Non mi metto qui a fare l’elenco anche perché sono convintissimo che tu conosca fino all’ultima virgola ognuna delle obiezioni mosse dalla comunità scientifica al metodo che avete ingenuamente sponsorizzato. E sai perché le conosci, Davide Parenti? Perché, dentro di te, sai benissimo di avere sostenuto una monumentale idiozia.
Lo so, è difficile. La prima volta si può passare per fessi: capita. La seconda volta c’è l’aggravante della recidività ma, comunque, esiste ancora la possibilità che uno sia, semplicemente, un po’ boccalone. Alla terza è giusto iniziare a porsi delle domande. Alla quarta si può dare già per assodata la malafede. Dalla quinta in poi si può già dire eccetera eccetera. Cinque, Davide Parenti: fai cinque con le dita. Cinque grosse cazzate non si perdonano a nessuno, e tu, di servizi ammiccanti sul caso Stamina, ne hai mandati in onda venti.
Io lo so come te la sei cavata fino a oggi: dichiarando che avete “solo raccontato una situazione, un disagio”. Lo dici, forse, anche un po’ per giustificarti con te stesso, e questo lo capisco: è una di quelle cose tristi che si imparano a fare col tempo, riuscire a guardarsi allo specchio e avere il coraggio di chiedersi “Posso essere stato così fesso?”. La risposta, Davide Parenti, non ti piacerà: sì, si può.
A un certo punto succede questo: che diventi Dio. Il tuo intuito è stato premiato e hai avuto ragione così tante volte, che la gente inizia a scriverti. E non lo fa perché pensa tu abbiaraccontato bene delle storie: lo fa perché pensa tu abbia la risposta ai suoi problemi. Perché è rassicurante pensare che qualcuno possa avere la soluzione, anche quando la soluzione non c’è. In quel momento, però, i ricettori che nelle persone normali hanno come unica funzione quella di suonare l’allarme al primo sentore di cazzata, a te sono andati a farsi fottere da mo’.
Arriva un momento in cui, quando già hai fatto tanto e ti sei fatto volere un gran bene, credi di poter fare e meritare ancora di più. È la volta che ti capita la cazzata. Pensi a quanto sarebbe bello se fosse vera, e quanto bravo sembreresti agli occhi di tutti per aver scoperto per primo che era lì, a portata di mano, sotto gli occhi di tutti, che alla fine inizi a crederci.
Poi però te ne accorgi e smetti, Davide Parenti, intorno a un ipotetico servizio numero sei. Toh, al sette. Tu sei arrivato al venti. E ho il sospetto che avessi nasato la bufala già dal numero quattro, ma ormai fosse troppo tardi.
Per venti volte – a esclusivo beneficio dei numeri di audience – hai solleticato l’immaginazione di quelli più scemi di te, conducendoli per mano in un mondo fantastico in cui le cure esistono, tutte, e a scoprirle – tutte assieme, nel contesto di una botta di culo unica nella storia dell’umanità – è lo scappato di casa che più al mondo avrebbe bisogno di uno shampoo. Poi, a intervistare uno che l’ha studiata, quella roba lì, e sostiene che stai facendo da megafono al Gran Mogol dei peracottari, mandi Giulio Golia, uno che ti ascolta ammiccando, con la faccia da “Io non dico niente per non influenzarvi, ma chìste è ‘nu strunz falluto”.
Devi rendermi atto, Davide Parenti che, al di là di quel filo di dovuta presa per il culo, ti sto almeno riconoscendo l’assenza di malafede. Tu però aiutami, e prendi nota delle giustificazioni che nel corso del tempo hai utilizzato e potresti essere tentato di riciclare. Sono quelle in grassetto e tra virgolette. Il resto sono io che parlo.
“Abbiamo solo raccontato una storia“. Ti piacerebbe uscirne con questa facilità, lo immagino. La notizia è che, invece, resti responsabile delle storie che scegli di raccontare e, soprattutto di come scegli di raccontarle. Se la storia che racconti spinge qualcuno a scegliere di non curarsi, se si scopre che non esistono basi scientifiche che provino l’efficacia della cura e quel qualcuno poi muore, ciccio, tu sei responsabile with cherry on top.
“Ma noi non siamo un programma giornalistico“. Bella, ma non è tua. E non ha funzionato nemmeno col primo che l’ha usata. Stai dando una notizia. Se sai che non è vera, si chiama“mentire”. Se sai che non è vera ma lo sa anche la gente che ti sta guardando, si chiama“fiction”.
“Noi abbiamo dato voce alla sofferenza di famiglie e bambini cui nessuno dava ascolto“. E hai fatto una buona cosa, bravo. Poi era tuo dovere spiegare anche che, fuori da quel vortice di emozioni in cui qualsiasi ingenuità è giustificata, la realtà è purtroppo diversa dal mondo perfetto che ci piace immaginare. Nella realtà, decine di migliaia di scienziati e medici lavorano per decine di anni solo per arrivare a identificare correttamente una malattia, e da lì parte un percorso di altre decine di anni per arrivare mettere a punto una strategia di cura che, con un po’ di fortuna, potrebbe concludersi con una cura. Questa è la realtà, Davide Parenti, e fa talmente schifo che non puoi nemmeno metterci le telepromozioni in mezzo.
“Noi abbiamo solo sostenuto la libertà di cura“. Ora ti spiego perché sbagli anche in questo, che a un occhio grillino e/o smaliziato potrebbe sembrare un intento sacrosanto. Ti faccio l’esempio dell’“immunità di gregge”: è il fenomeno per cui i figli di genitori talmente sciroccati da credere che i vaccini causino l’autismo non si ammalano. Non si ammalano perché la maggioranza dei genitori sceglie invece di vaccinare i propri, di figli, facendo in modo che le malattie che abbiamo imparato a domare non si diffondano. Però restano lì, le malattie, a aspettare pazientemente che gli sciroccati diventino maggioranza. “Libertà” resta una bella parola fino a quando non mette a repentaglio l’incolumità altrui: se scegli di non curarti e metti a rischio la salute delle persone che hai attorno io, Stato, ho tutto il diritto e perfino il dovere di dirti “No, col cazzo”.
Ho finito l’elenco, e mi resta questo da dirti: che non c’é nulla di male, ma tanto invece di onorevole nell’andare in onda e dire “Scusate: sappiamo che avete fiducia in noi, ma questa volta abbiamo sbagliato. Potevamo scegliere di fare finta di nulla, o di continuare a battere quel chiodo, e invece abbiamo scelto di dirvi una verità che per noi è scomoda, e cioè che avevamo torto. Sappiamo che, facendo questo, rischiamo che non crediate più a quello che diremo, o che ci crediate un po’ meno, ma dentro di noi speriamo che il fatto di essere stati onesti possa servire a meritare ancora la vostra stima”.
Puoi dire questo, Davide Parenti, e fare qualcosa di davvero rivoluzionario in televisione. Oppure puoi fregartene e continuare a fare una cosa che sappiamo funzionare bene: puoi cominciare non a assomigliare, ma proprio a essere Antonio Ricci e sostenere che le Veline di “Striscia la Notizia“ siano portatrici di un forte messaggio sociale e non stiano invece a sgambettare su quel bancone in quanto – semplicemente, ma legittimamente – due belle fighe.