17.1.14

Cane rubato non riconosce più la padrona, il ladro vuole comprarlo . ?se succede anche noi uomini ?



insieme alla morte di padre piras vedere post precedente leggo sempre  sulla nuova  sardegna   quest'altra news curiosa e come da titolo mi chiedo e se dovesse ( o già successo ) a noi persone ?

Il cucciolo di pincher è stato rintracciato dopo 5 mesi. La proprietaria non lo vuole più e lo scippatore ha deciso di pagare 500 euro pur di tenerlo

CAGLIARI. «Scippa» un cucciolo di cane mentre finge di volerlo comprare e dopo cinque mesi viene rintracciato dai carabinieri. L'animale, però, non ha riconosciuto più la padrona e lo scippatore ha deciso di pagarlo pur di tenerlo. Una vicenda singolare quella avvenuta fra Selargius e Quartu, nel cagliaritano, iniziata
con uno scippo di un Pincher ai danni di una donna di 46 anni. Il 2 settembre la proprietaria del cucciolo ha incontrato un potenziale acquirente in via Milano a Cagliari, all'appuntamento si è presentato un giovane, di 27 anni, che dopo aver finto di volerlo acquistare ha strappato dalle mani della proprietaria il guinzaglio ed è fuggito con l'animale. La donna ha richiesto l'intervento dei carabinieri.Il 15 dicembre scorso i militari di Selargius sono riusciti a rintracciare il presunto responsabile del furto, e sono andati a casa del giovane trovando il Pincher. Ma l'identificazione non è stata facile. Il cane era sprovvisto di microchip e tatuaggio. Il ventisettenne, inoltre, ha dichiarato che era di sua proprietà. A conferma della tesi ha mostrato un video che riprendeva il cane mentre giocava in casa in una data precedente a quella dello «scippo».I militari sono comunque riusciti ad accertare che il cucciolo non era lo stesso, ma era un altro Pincher. Messo alle strette il giovane ha confessato, restituendo l'animale alla proprietaria. Ma il cucciolo non l'ha riconosciuta, ringhiandole contro. La donna, vista la situazione, ha dichiarato di non volere più il cane, mentre il giovane si è offerto di comprarlo: ha consegnato 500 euro alla donna per tenerlo in custodia giudiziaria.

L’ultimo viaggio di padre Francesco Piras E-mail Stampa Condividi L’ultimo viaggio di padre Francesco Piras Morto a 99 anni il gesuita maestro di meditazione: 10mila allievi nell’isola

leggo con costernazione  la nuova sardegna ed  apprende  la news   riportata  dal  titolo  . 
CAGLIARI.
 "Buon viaggio, maestro": è uno dei tanti saluti con cui molti dei suoi discepoli - sembra ne abbia oltre diecimila in tutta la Sardegna- accompagnano padre Francesco Piras, il gesuita fondatore della scuola di meditazione trascendentale, verso l'ultima dimora. La notizia della sua morte, avvenuta alle 22.50 di mercoledì, si è subito diffusa, grazie alla rete, in tutto il mondo. Sicuramente in quella speciale "famiglia" di studenti, intellettuali, operai, impiegati, che hanno seguito a Cagliari, Sassari e Alghero le sue lezioni.
È morto serenamente, dicono i confratelli. Come un uomo di quasi 99 anni - mancavano 29 giorni al traguardo - che ha cercato di essere contemporaneamente un buon uomo, insieme cristiano e sacerdote. Una vocazione coltivata fin da piccolo, che si è irrobustita nell'adolescenza e negli anni trascorsi da Francesco Piras, nato a Villanova Monteleone nel 1915, nel liceo "Azuni" di Sassari. A diciannove anni comincia il lungo percorso formativo tra i gesuiti, prima il noviziato, poi gli studi filosofici, la laurea in lettere a Torino. In uno dei gruppi di studio degli studenti gesuiti, coordinati dal giovane padre Piras, si distingue per intelligenza e cultura Carlo Maria Martini, futuro arcivescovo di Milano. Nel luglio del 1947 l'ordinazione sacerdotale dalle mani di un vescovo sardo d'azione: il cardinale Maurilio Fossati, dal 1924 al 1929 guida della diocesi di Nuoro e dal 1929 al 1930 arcivescovo di Sassari. Padre Piras è uomo di scuola, ma anche di "mischia" sociale: nel 1950 dà vita al primo "cineforum" in Italia e per otto anni diventa "cappellano" degli operai Fiat di Termini Imerese. Rientrato nell'isola nel 1980, il tempo di guardarsi attorno, poi il 21 febbraio 1983, nell'artistica sacrestia della chiesa di San Michele in via Ospedale a Cagliari, riunisce una settantina di persone con le quali inizia un corso di meditazione trascendentale. Le tendenza new age e della mistica spinta dovevano ancora arrivare in Sardegna. Da 70 frequentatori si passa a 100, poi a 3-400. Un corso aperto a tutti, senza distinzione di cultura e appartenenza religiosa. Un gesuita sulla lunghezza d'onda di Madre Teresa di Calcutta: "La povertà materiale caratterizza molti paesi dell'Africa e dell'Asia. Ma fa più paura la povertà spirituale degli stati occidentali". «Padre Piras voleva che la persona ritrovasse i propri spazi vitali e i propri riferimenti – dice Luca Lecis, ricercatore universitario, assiduo per diversi anni alle lezioni del gesuita – concentrandosi sul presente, perché passato e futuro non ci appartengono». Oltre diecimila le persone incontrate da padre Piras in trent'anni di scuola di meditazione. «Gente affascinata da quest'uomo di fede al quale non piaceva essere chiamato maestro, perché di Maestro ce n'è uno solo, ma amico».Infatti come dice http://www.sardiniapost.it/<< padre Piras ha insegnato ai suoi allievi gli strumenti per amare davvero se stessi con la consapevolezza che un’esistenza sana e serena non ci è data dal destino ma può dipendere solo da noi >> per l'articolo completo : http://goo.gl/IDVikl



16.1.14

Le ricette povere di Melissa star dei fornelli venuta dalla fame Finita sul lastrico, crea un blog con piatti da una sterlina Dopo il boom di contatti, il contratto per un libro

PER SAPERNE DI PIÙ
agirlcalledjack.com sito della blogger )
 www.theguardian.com ( il  giornale per  cui scrive  )
http://www.irenemilia.it/upload/pagine/pagine/791-ilricettario.pdf ( ricette con avanzi  )
http://www.giallozafferano.it/ricette-cat/riciclare-gli-avanzi/


Ecco  una storia   di  come  cucinare  con gli avanzi    o  a poco prezzo si può  .Un modo  (   trovate  qualche sito   fra  gli url  sopra  ) per   evitare che   : << Ogni anno in Italia una famiglia in media butta 49 chili di cibo, per disattenzione o negligenza nella gestione della spesa. Una quantità di cibo che, ogni anno, viene acquistato, riposto in frigorifero o nella dispensa, ma poi finisce direttamente nella spazzatura senza essere consumato. Così finiscono in discarica 1,19 milioni di tonnellate di alimenti. Uno spreco che ammonta a circa ben 7,65 miliardi di euro l’anno, 316 euro per ciascuna famiglia. >>)  corriere della sera del  11\10\2013  qui l'articolo intero


repubblica del 16\1 \2014  

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
ENRICO FRANCESCHINI



LONDRA Diventare povera  l’ha fatta diventare ricca. O perlomeno le ha fatto smettere di vivere con 10 sterline alla settimana e di andare a letto al freddo, senza cena.
Fino a qualche anno fa Melissa Monroe faceva la centralinista in una stazione di pompieri,pagata 27mila sterline (32mila euro) lorde l’anno. Poi le è nato un bambino, l’uomo con cui l’ha concepito l’ha lasciata e si è trovata a dover chiedere un orario di lavoro più flessibile.
I pompieri non hanno potuto accontentarla. Lei, per non lasciare solo il figlio di notte,ha dovuto licenziarsi. Ha chiesto assistenza sociale, ma gli assegni familiari da ragazza madre tardavano. Le bollette da pagare si accumulavano. Trecento domande di lavoro inviate di qua e di là sono rimaste senza risposta. Così, davanti a un bimbo che piagnucolava dicendole, «mamma, dammi un altro po’ di pane e marmellata,ho fame», ha staccato il riscaldamento
per risparmiare sui consumi, sostituito la luce elettrica con le candele, rinunciato all’acqua calda e iniziato a impegnare tutto, dal televisore alla chitarra, per raggranellare qualche soldo. Disoccupata,affamata, a casa tutto il giorno,un giorno le è venuta l’idea di scrivere un blog per raccontare
la sua esperienza, cambiandosi  nome di battesimo forse per celare un’identità di cui cominciava  a vergognarsi.
“A girl called Jack” (Una ragazza di nome Jack), il suo blog, ha conquistato rapidamente fan sul web. Se  ne sono accorti anche i giornali, prendendolo a esempio della “nuova povertà” di un’Inghilterra  uscita dalla recessione, secondo le statistiche, ma in cui molti non sono  più tornati agli standard di vita  di prima della crisi. Le sue ricette  di cucina da 1 sterlina al giorno  (o poco più: 10 sterline alla settimana, circa 12 euro, era il suo budget di sopravvivenza)
hanno convinto il Guardian a darle una rubrica di “cucina povera”.
Titolo: “Jack Monroe’s low cost recipes ,le ricette a basso prezzo di Jack Monroe. Ora Melissa/Jack ha 31mila seguaci su Twitter,un contratto per unlibro di ricette che le ha fruttato 25mila sterline (30 mila euro) di anticipo e un altro con la catena di supermarket Sainsbury per spiegare appunto ai consumatori come cucinare cose buone spendendo poco. E il partito laburista le ha chiesto di fare da “ambasciatrice” della sua campagna contro il rialzo dei prezzi energetici.
Tutto è bene quel che finisce bene? No, perché la stampa di destra l’ha presa di mira, accusandola di sfruttare una falsa povertà per arricchirsi, di “non essere una vera povera” perché è laureata si esprime in inglese corretto e propone ricette troppo raffinate. «La sua è  una parodia della povertà»,scrive il Daily Mail, descrivendola come «la povera donna preferita del Guardian ». A infastidire i tabloid conservatori, si capisce alla fine, è il fatto che Melissa/Jack sia di sinistra e scriva le sue ricette su un giornale filo-laburista. «Vengo da una famiglia di lavoratori », replica lei. «Anch'io ho sempre lavorato. Ma nel giro di sei mesi sono diventata una che andava a letto con la pancia vuota. I miei critici vorrebbero che rimanessi povera per avere diritto di parola?».



Sotto    ,  sempre da repubblica  , altre  sue ricette  , chi se  ne frega  se   sono scritte   su un giornale di sinistra o di destra  , l'importante  e che  siano originali  , creative e buone    voi  che ne pensate ?




Una ragazza autistica con il talento delle percussioni: la storia di Benedetta

 chi lo ha detto  che   ha un handicap  non possa creare    ?    la  news  sotto  riportata  tratta da http://www.redattoresociale.it/Notiziario
Simone Gambirasio
è una  risposta  alle tante ingiustizie  ed  abusi che debbono sopportare quotidianamente  .come questa
questa lettera di denuncia di Simone Gambirasio, disabile al 100%, che cerca disperatamente di dare visibilità a una situazione vergognosa, che squarcia il velo dell’accessibilità dei mezzi pubblici per i portatori di handicap in Lombardia (in particolare Milano e Provincia). La pubblico nella speranza che la leggano in tanti e che in tanti la segnaliate a chi di dovere (io lo farò con i miei amici giornalisti). Perché davvero non se ne può più di diritti violati come questo.
Ecco cosa  scrive  sul suo facebook  

Cari APCOA, SEA e Tenord. Scrivo a tutti e tre, mettendovi in copia. Così magari, dato che vi date la colpa a vicenda, potete anche parlarne tra voi e risolverla più velocemente. Aggiungo anche in copia qualche amico giornalista, così per mettere un pochino di pepe. Come forse già saprete, io sono un portatore d'handicap che vive a Cairate ma lavora a Milano. Come tanti altri faccio il pendolare, e prendo i treni ogni giorno per andare al lavoro. Solo che io non posso prendere proprio tutti i treni: no, solo alcuni, pochi pochi, perché non sono tutti accessibili (anzi). Di solito prendo il Malpensa Express da Busto Arsizio (che non è esattamente una stazione vicina, ma mi adatto). Ma dato che mi piace lavorare (vi sembrerà strano, ad alcuni capita) a volte finisce che io debba fare tardi, tornando poi in orari in cui il Malpensa Express ferma esclusivamente a Malpensa. Devo sempre e comunque prendere il Malpensa Express, gli altri treni non garantiscono accessibilità a ogni corsa.
Mio padre parcheggia a Malpensa e viene a prendermi a Milano (perché anche a Milano i mezzi pubblici non sono realmente accessibili, ma questa è un'altra storia). Insieme a lui prendo un tram, un autobus e un treno. Dopo circa 1 ora e 45 minuti, se sono particolarmente fortunato, arrivo a Malpensa. E cosa scopro? Scopro che, dato che ho deciso di prendermi il "lusso" di parcheggiare nell'unica stazione accessibile a quell'ora in provincia di Varese, il parcheggio per disabili (quello giallo e contrassegnato) lo devo pagare. Lo pago, per essere precisi, la bellezza di 29,50€. 






Non è la prima volta. Mi ero già lamentato il 21 giugno 2013 in una lettera a VareseNews (http://www3.varesenews.it/comunita/lettere_al_direttore/disabile-in-cerca-di-parcheggio-devi-essere-intelligente-sveglio-alto-266178.html), ma non mi avete mai risposto.
Perché pago? Perché da qualche mese SEA e APCOA hanno deciso che se un portatore d'handicap non prende l'aereo ma il treno, allora deve pagare il parcheggio. Parcheggio, lo ripeto, per portatori d'handicap, contrassegnato. E io, modestamente, il mio contrassegno per portatori d'handicap al 100% ce l'ho. Ma pago lo stesso, già.
Pensavo che dopo la mia lettera a VareseNews qualcosa fosse cambiato. E invece no, niente. Oggi, dopo essere stato in giro per lavoro a Milano dalle 7 alle 22, quando ho provato a prendere la mia auto in Malpensa per tornare a casa, APCOA mi ha chiesto 29,50€. Ho fatto chiamare il responsabile di APCOA due volte, e la prima volta mi ha detto che devo tassativamente pagare. Alla seconda, quando ha scoperto che di lavoro ho fatto anche il giornalista, mi ha detto che al massimo posso fare insolvenza, e poi chiamare SEA. 
Io, perdonatemi, ero stanco, volevo andare a casa. Ho pagato 29,50€ e me ne sono andato. Ma è davvero normale che a Malpensa non ci sia un parcheggio gratuito per portatori d'handicap che prendono il treno? Devo davvero pagare così tanto per fermarmi in una stazione nella quale, in realtà, sono costretto a fermarmi?
E aggiungo: non ditemi che potrei parcheggiare nell'area di carico e scarico. Mio padre non è lì ad aspettarmi, mio padre viene a prendermi a Milano... quindi non può usufruire del carico e scarico, come è evidente.
Non voglio indietro i miei soldi, non voglio le scuse (non che mi siano mai arrivate, da nessuno). Voglio solo che poniate fine a una situazione imbarazzante che mette seriamente in dubbio la vostra intelligenza. Per non pagare un parcheggio, che mi spetta di diritto (DM 236, art 8.2.3), devo lottare strenuamente, al punto che mi viene suggerito di lamentarmi con SEA, Apcoa, Trenord e non saprei chi altro (ma aggiungeteli pure voi in copia, nel caso). Devo capire come e dove trovare il parcheggio disabili a Malpensa (impresa all'altezza di pochi eletti) e poi consegnare documentazione ridondante, tra cui una carta d'identità, due firme di mio pugno e un biglietto aereo per l'Isola che non c'è. Firme che, tra l'altro, devo fare sulle ginocchia perché lo sportello di APCOA non è accessibile. Per prendere parcheggi che, spesso, sono occupati da spazzatura o (non ci crederete) mi è anche capitato di vedere carrelli o cavi o sacchetti non meglio definiti. No no, meglio che i disabili paghino, mica che vi rubino abusivamente i parcheggi che voi state usando per qualcosa di veramente serio.


Cordialmente,
un vostro affezionatissimo utente

Simone Gambirasio

(1) Così, giusto per ricordarvelo, la legge dice: "Nelle aree di parcheggio devono comunque essere previsti, nella misura minima di 1 ogni 50 o frazione di 50, posti auto di larghezza non inferiore a m 3,20, e riservati gratuitamente ai veicoli al servizio di persone disabili.".
Dice "GRATUITAMENTE", stranamente non si parla di biglietti aerei, carte d'identità e obbligo di scrivere articoli di giornale per ottenere i rimborsi. Che buffa la legge, vero?
Una ragazza autistica con il talento delle percussioni: la storia di Benedetta
Da alcuni mesi frequenta la scuola del maestro Ramadori. Domani si esibirà nel recital di fine anno della Music Academy a Perugia. Eseguirà il brano “Afro interplay” con i “djembe”. La madre: "La sua esperienza deve essere un messaggio per altri genitori"

scusate la divagaszione  ma  certe cose assurde mi danno fastidio

07 giugno 2013

PERUGIA – “L’esperienza di Benedetta deve essere un messaggio per altri genitori. Se alle persone con disabilità vengono dati gli strumenti giusti e sono in grado di esprimere se stesse, sentono che ha un senso il proprio esistere, possono avere e dare tanta gioia e dare un contributo a tutti”. Sono le parole di Gabriella Larovere, madre di una ragazza di 21 anni affetta da sclerosi tuberosa e autistica. Domani, 8 giugno, Benedetta si esibisce nel recital di fine anno degli allievi della Musical Academy a Perugia. Eseguirà il brano “Afro interplay” con i “djembe”, tamburi africani di diverse dimensioni, in questo caso molto grandi. Da due
mesi Benedetta suona con il maestro Leonardo Ramadori, che “sta facendo uscire da lei il talento che ha dentro” facendole sperimentare suoni e percussioni di ogni tipo e sta coltivando un coinvolgente rapporto tra la musica e Benedetta. Un rapporto che comincia da lontano. Da quando Benni è nata, come ci racconta mamma Gabriella: “Ho una raccolta di dischi e una grande passione per la musica, e per tutta la gravidanza ho ascoltato musica, specialmente il jazz. E quando Benedetta, che ha sempre avuto difficoltà a dormire, si svegliava di notte, ho sempre cantato per lei a bassa voce, cullandola. Successivamente, nelle attività di riabilitazione hanno sempre trovato posto le percussioni. Benni ha una grossa capacità di ascolto, è capace di riconoscere un brano a partire dalla prima nota. Ed è innamorata della canzone napoletana”.
Alle scuole medie arriva “l’avviamento musicale”. Prima in Abruzzo dove Benni risiedeva con la famiglia e dove scopre di  ricevere dalla pratica musicale un grande benessere. Ora in Umbria, dove da pochi mesi frequenta la scuola del maestro Ramadori. “L’insegnante, che è uno dei più bravi percussionisti in Italia, l’ha ascoltata e subito abbiamo avuto la sensazione che era la persona giusta per Benedetta. E’ capace di comunicare con lei, si scambiano discorsi musicali, l’ha stimolata, e appena due settimane fa le ha proposto di fare il saggio di domani. Le abbiamo detto che suonerà e si andrà a divertire, senza suscitare in lei ansia da prestazione”. Quando è alle percussioni Benedetta è “come in trance – dice Gabriella - chiude gli occhi e ciondola la testa e sorride. E’ dentro alla musica”. La giovane soffre di epilessia intrattabile con terapia, ma “quando suona riesce a star bene per le 24-36 ore successive, forse perché libera tante endorfine”. Il corso con il maestro prosegue per tutto il mese di giugno. Poi a settembre riprenderà, “perché le serve – ribadisce la madre -. Vorrei che potesse esprimere sempre di più quello che ha dentro”. (ep)

15.1.14

Lettera aperta a Davide Parenti delle iene sul caso vanoni By Gianluca Neri - Presadiretta e Le Iene, come si parla di Stamina in tv Da una parte la chiarezza delle prove, dall’altro la pressione emotiva: due modi opposti di raccontare il fantomatico metodo a base di staminali sul piccolo schermo



Avrei voluto commentare  la  puntata  di presa diretta  di rai3   sul caso stamina  che trovate  sotto 




ma   questi due  articoli  il  primo di  http://www.wired.it/scienza/medicina/  e  il secondo di  http://www.macchianera.net/2014  che ritrovate  sotto   mi  hanno anticipato e credo  lo abbiano fatto meglio  di  me 






Il primo



Presadiretta e Le Iene, come si parla di Stamina in tv.
Da una parte la chiarezza delle prove, dall’altro la pressione emotiva: due modi opposti di raccontare il fantomatico metodo a base di staminali sul piccolo schermo.


“Dedicheremo la puntata a un argomento controverso: il metodo Stamina, quello di Vannoni e della Stamina Foundation, della comunità scientifica nazionale e internazionale che ha attaccato ferocemente questo metodo considerandolo alla stregua di una truffa, dell’inchiesta della procura di Torino coordinata da Guariniello sull’attività della Stamina Foundation, della politica e delle decisioni del ministero della Salute. Ma anche dell’attesa enorme che questo metodo, pubblicizzato da tantissime televisioni, ha creato nei malati e nei parenti dei malati”. Ha esordito così Riccardo Iacona, nell’introdurre l’ultima puntata diPresadiretta, in onda ieri in prima serata su Rai Tre, interamente dedicata a un’inchiesta attorno al discusso trattamento a base dicellule staminali promosso da Davide Vannoni e dal medico Marino Andolina. Si è discusso del metodo, della sua fondazione, delle inchieste che ne oscurano la reputazione, di scienza e dipolitica, pur senza trascurare gli aspetti umani della vicenda, con testimonianze dirette di pazienti che chiedono l’accesso alle cure, ma anche di famiglie che si dichiarano tradite e che ne portano in superficie i lati più oscuri: quello delle richieste di denaro e delle promesse di guarigione mai mantenute.
C’è già chi ne esalta il giornalismo televisivo d’inchiesta, anche se da parte di Vannoni e dei suoi sostenitori la trasmissione è stata bollata da subito come pseudogiornalismo fazioso. Su questo, saranno i risultati delle inchieste della procura, ormai quasi al termine, a rendere conto. Ma per quanto riguarda il discorso giornalistico, ci sentiamo di riconoscere che forse per la prima volta il caso Stamina è stato rappresentato sul piccolo schermo in tutta la sua complessità e con il visibile intento di fornire un servizio pubblico di informazione. Impossibile non rilevare un confronto impietoso tra due intere stagioni di servizi in prima serata de Le Iene Show, che abbiamo più volte criticato, e le due ore di trasmissione che abbiamo seguito ieri sera. Presadiretta ha raccontato una storia definita, quella di Stamina, comprensiva di fatti e responsabilità. E lo ha fatto in modo chiaro, preciso, documentato e comprensivo di contraddittorio.
Ecco una rassegna di quanto le due redazioni abbiano raccontato l’intera vicenda in modo differente. Perché la televisione ricopre ancora un ruolo forte nel formare l’opinione pubblica nel nostro Paese. E non può essere gestita con superficialità.

Le famiglie dei malati
Quelle in piazza Montecitorio, le loro proteste e la loro esasperazione creano l’apertura della puntata di Presadiretta, con tanto di intervista ai fratelli Biviano, ormai da sei mesi alloggiati all’addiaccio in attesa di poter accedere al trattamento in qualità di cura compassionevole. C’è lo smarrimento e c’è la disperazione, proprio come hanno mostrato anche Le Iene. Il problema è che il programma di Italia 1 si ferma qui, mentre ieri sera la trasmissione di Iacona porta ben oltre.
Va da quelle famiglie e quei pazienti di cui finora avevamo letto solo sui giornali. Primo tra tutti Carmine Vona, affetto da una forma di paralisi, che ha ricostruito tutta la trafila di operazioni necessarie per accedere al trattamento di Vannoni quando ancoraStamina faceva la spola tra Torino, Carmagnola e un centro estetico in San Marino. E che ha raccontato in prima persona dei gravi effetti collaterali subiti dopo la sua unica infusione così come del totale abbandono da parte di Vannoni e Andolina, nonostante le promesse di recupero del 100%, mai avvenuto in alcun modo.
E assieme a lui diversi altri in carne e ossa, a testimoniare la desolazione delle aspettative tradite, lo smarrimento dinanzi a infusioni nel midollo spinale senza anestesia, nemmeno nei bambini, degli effetti collaterali inaspettati nascosti dentro alle infusioni e dell’incubo delle ripercussioni del duo Vannoni e Andolina nel caso di accuse e denunce. Un unico appunto: era davvero necessario mostrare i bambini malati, seppur con il consenso dei genitori?
I leader di Stamina Foundation
Per chi si fosse informato sul caso Stamina guardando solamenteLe Iene Show, probabilmente Vannoni e Andolina non sono altro che due personaggi parimenti estrosi e geniali con una grande idea ostacolata dai poteri forti e dalle lobby del farmaco. Questo perché Golia e i suoi collaboratori tacciono su tutti i loro aspetti più controversi, con ripetute interviste in cui ogni parola viene presa come oro colato, in totale assenza di una controparte. Anzi, ai due viene addirittura chiesto di descriversi e commentarsi a vicenda, in una sorta di celebrazione reciproca tra soci. Un contraddittorio che di fatto non può reggere.
Presadiretta invece li incalza, li provoca e va in cerca di qualcuno a cui chiedere se le dichiarazioni rappresentano il vero o il falso. Nel caso di Andolina, a cui viene chiesto perché le infusioni di staminali venivano praticate all’ospedale di Trieste esclusivamente la domenica pomeriggio, i giornalisti della trasmissione vanno a cercare conferme e spiegazioni anche oltre ai membri di Stamina, fino a incontrare di persona l’allora direttore sanitario della struttura, Mauro Delendi. “Non c’era nessun accordo con l’ospedale” chiarisce Delendi, in opposizione a quanto sempre affermato da Andolina: “Anziché attività di ricerca, venivano fatti trattamenti sui malati, e scoprirlo è stata proprio la procura della Repubblica”.



Ancora più efficace l’intervista di Iacona a Vannoni, che viene incalzato sul lato medico-scientifico, sulle sue qualifiche, sul suo comportamento coi pazienti, sulle promesse di guarigione, sulgiro d’affari attorno a Stamina Foundation e sui propositi futuri della società, che prevede di commercializzare le staminali in Cina a mezzo della farmaceutica Medestea, così come di sfruttare i fondi di una cooperativa di pazienti disperati per insediarsi in una clinica a Capo Verde. Riassumendo: al termine dell’intervista l’immagine di Vannoni ne esce praticamente massacrata. La sua incompetenza in materia medica e nelle dinamiche della ricerca scientifica, così come i suoi scopi commerciali, vengono alla luce.
La scienza e gli scienziati
Grandi assenti per la maggior parte dei servizi delle Iene, aspetti scientifici ed esperti di cellule staminali sono invece il vero filo conduttore della puntata di Presadiretta. Come dovrebbe d’altronde essere quando si tratta una tematica che ruota attorno a fuochi come la salute pubblica, gli investimenti per la ricerca clinica e le prove di efficacia di un trattamento che viene millantato come potenziale salvavita per più di cento malattie incurabili del sistema nervoso.
Cosa sono le staminali e come funziona la ricerca biomedica non viene chiesto, come nel caso delle Iene, a Vannoni (che ricordiamo non è né medico né biologo, bensì docente di psicologia della comunicazione e laureato in materie letterarie). La parola sulla scienza è data agli scienziati, e in particolare a tre eccellenze della ricerca sulle cellule staminali in Italia e a livello internazionale. Vediamo una Elena Cattaneo impegnatissima a chiarire le perplessità della comunità scientifica sul metodo Stamina, unMichele De Luca che spiega come i risultati dei trattamenti non siano nemmeno lontanamente compatibili con gli standard di una pubblicazione ufficiale, un Paolo Bianco intento a sottolineare lapericolosità di un’apertura verso trattamenti privi di evidenze scientifiche per i cittadini. Troppo difficile, per Le Iene, far entrare in uno dei loro servizi anche il parere dei nostri massimi esperti in materia, anziché focalizzarsi solamente su ipotetici miglioramenti mai certificati da alcuna documentazione?
Le inchieste
Taciute nel corso delle venti puntate della trasmissione di Mediaset, le inchieste che vertono su Stamina Foundation e sugliSpedali Civili di Brescia, dove le infusioni di Vannoni sono diventate ufficialmente a carico del Sistema sanitario nazionale, vengono invece spiegate e approfondite da Presadiretta. La prima, per tentata truffa ai danni della Regione Piemonte, con un tentativo di richiesta fondi di 500mila euro; la seconda, persomministrazione di farmaci guasti e potenzialmente pericolosi per la salute, manipolati oltretutto in laboratori non idonei. Vengono letti documenti e relazioni ufficiali delle ispezioni dei Nas e intervistati i responsabili, e ne esce un quadro totalmente diverso a quello a cui Le Iene ci avevano abituato, ricco di dettagli e in cui nulla può essere lasciato al caso. Dal modo con cui vengono conservati i campioni biologici alla mancanza di certificazioni di qualità di prodotto cellulare e dei reattivi per il loro trattamento, passando per l’assenza di documenti sulla vitalità e l’attività biologica delle cellule da iniettare nei pazienti, tutto riconduce a un grosso, pesantissimo, punto di domanda: cosa c’è nelle infusioni di Brescia? Nessuno all’interno dell’ospedale lo sa e nessuno, in trasmissione, si sogna di comunicarlo come una questione di poco conto. Si stratta di fatto di un precedente gravissimo, segno di una totale mancanza di trasparenza e dell’assenza di qualsiasi tipo di consenso informatonei pazienti.
Donazioni o pagamenti?
Presadiretta porta in tv anche la questione dei soldi: quelli che i pazienti avrebbero versato, certificati di bonifico alla mano, sui diversi conti correnti associati a Vannoni e alle sue società. Mentre la tv ci aveva abituato finora a sentir parlare il patron di Stamina di donazioni per la sua società senza fini di lucro e a favore dei malati, appare dalle testimonianze un lato molto più oscuro: visite, prelievi, e infusioni (prima dell’ingresso di Stamina agli Spedali di Brescia) sono completamente a carico delle famiglie dei pazienti, che pagano in anticipo, profumatamente e in assenza di qualsiasi garanzia. Un singolo trattamento supera da listino i 25 mila euro, e a chi fa fatica a pagare il dottor Andolina si permette di rispondere telefonicamente: “La sera mandi sua moglie a battere”, come recita una dichiarazione sconvolgente da parte di una delle famiglie intervistate ieri sera.
Fuori discussione l’importanza dell’inchiesta di Iacona e dei suoi collaboratori. L’appunto è alla tempistica e al palinsesto: la televisione avrebbe dovuto lasciare uno spiraglio a servizi di questo tipo molto prima, anziché abbandonare gli spettatori in balìa di un’unica (e schierata) trasmissione. La prossima volta (e speriamo non ce ne siano), ci auguriamo che il giornalismo televisivo d’inchiesta possa accendere i propri riflettori prima. Facendo da spalla alla Rete, che si è resa conto del caso Stamina  con molto anticipo







Ciao, Davide Parenti, piacere. Non ci conosciamo. A dire la verità una volta un amico comune dovrebbe averci presentati, ma era una di quelle presentazioni di sfuggita che si fanno perché è educato farle, quindi quella volta non conta. Lo dico nel caso tu ti stessi legittimamente chiedendo “È questo mo’ chi cazzo è?”: appunto, nessuno, tranquillo.
Tu, invece, sei – lo specifico per quelli che stanno leggendo queste righe e non fossero pratici del sottobosco televisivo – il capo autore de “Le Iene”.


Lo confesso: ho rimandato queste lettera di giorno in giorno. Avrei voluto scrivere un articolo lungo e documentato abbastanza da smentire una per una la monumentale quantità di cazzate cui avete fatto da microfono parlando del caso Stamina, ma c’è chi, in rete, l’ha fattoprima e meglio di me.
Non mi metto qui a fare l’elenco anche perché sono convintissimo che tu conosca fino all’ultima virgola ognuna delle obiezioni mosse dalla comunità scientifica al metodo che avete ingenuamente sponsorizzato. E sai perché le conosci, Davide Parenti? Perché, dentro di te, sai benissimo di avere sostenuto una monumentale idiozia.
Lo so, è difficile. La prima volta si può passare per fessi: capita. La seconda volta c’è l’aggravante della recidività ma, comunque, esiste ancora la possibilità che uno sia, semplicemente, un po’ boccalone. Alla terza è giusto iniziare a porsi delle domande. Alla quarta si può dare già per assodata la malafede. Dalla quinta in poi si può già dire eccetera eccetera. Cinque, Davide Parenti: fai cinque con le dita. Cinque grosse cazzate non si perdonano a nessuno, e tu, di servizi ammiccanti sul caso Stamina, ne hai mandati in onda venti.
Io lo so come te la sei cavata fino a oggi: dichiarando che avete “solo raccontato una situazione, un disagio”. Lo dici, forse, anche un po’ per giustificarti con te stesso, e questo lo capisco: è una di quelle cose tristi che si imparano a fare col tempo, riuscire a guardarsi allo specchio e avere il coraggio di chiedersi “Posso essere stato così fesso?”. La risposta, Davide Parenti, non ti piacerà: sì, si può.
A un certo punto succede questo: che diventi Dio. Il tuo intuito è stato premiato e hai avuto ragione così tante volte, che la gente inizia a scriverti. E non lo fa perché pensa tu abbiaraccontato bene delle storie: lo fa perché pensa tu abbia la risposta ai suoi problemi. Perché è rassicurante pensare che qualcuno possa avere la soluzione, anche quando la soluzione non c’è. In quel momento, però, i ricettori che nelle persone normali hanno come unica funzione quella di suonare l’allarme al primo sentore di cazzata, a te sono andati a farsi fottere da mo’.
Arriva un momento in cui, quando già hai fatto tanto e ti sei fatto volere un gran bene, credi di poter fare e meritare ancora di più. È la volta che ti capita la cazzata. Pensi a quanto sarebbe bello se fosse vera, e quanto bravo sembreresti agli occhi di tutti per aver scoperto per primo che era lì, a portata di mano, sotto gli occhi di tutti, che alla fine inizi a crederci.
Poi però te ne accorgi e smetti, Davide Parenti, intorno a un ipotetico servizio numero sei. Toh, al sette. Tu sei arrivato al venti. E ho il sospetto che avessi nasato la bufala già dal numero quattro, ma ormai fosse troppo tardi.
Per venti volte – a esclusivo beneficio dei numeri di audience – hai solleticato l’immaginazione di quelli più scemi di te, conducendoli per mano in un mondo fantastico in cui le cure esistono, tutte, e a scoprirle – tutte assieme, nel contesto di una botta di culo unica nella storia dell’umanità – è lo scappato di casa che più al mondo avrebbe bisogno di uno shampoo. Poi, a intervistare uno che l’ha studiata, quella roba lì, e sostiene che stai facendo da megafono al Gran Mogol dei peracottari, mandi Giulio Golia, uno che ti ascolta ammiccando, con la faccia da “Io non dico niente per non influenzarvi, ma chìste è ‘nu strunz falluto”.
Devi rendermi atto, Davide Parenti che, al di là di quel filo di dovuta presa per il culo, ti sto almeno riconoscendo l’assenza di malafede. Tu però aiutami, e prendi nota delle giustificazioni che nel corso del tempo hai utilizzato e potresti essere tentato di riciclare. Sono quelle in grassetto e tra virgolette. Il resto sono io che parlo.
“Abbiamo solo raccontato una storia“. Ti piacerebbe uscirne con questa facilità, lo immagino. La notizia è che, invece, resti responsabile delle storie che scegli di raccontare e, soprattutto di come scegli di raccontarle. Se la storia che racconti spinge qualcuno a scegliere di non curarsi, se si scopre che non esistono basi scientifiche che provino l’efficacia della cura e quel qualcuno poi muore, ciccio, tu sei responsabile with cherry on top.
“Ma noi non siamo un programma giornalistico“. Bella, ma non è tua. E non ha funzionato nemmeno col primo che l’ha usata. Stai dando una notizia. Se sai che non è vera, si chiama“mentire”. Se sai che non è vera ma lo sa anche la gente che ti sta guardando, si chiama“fiction”.
“Noi abbiamo dato voce alla sofferenza di famiglie e bambini cui nessuno dava ascolto“. E hai fatto una buona cosa, bravo. Poi era tuo dovere spiegare anche che, fuori da quel vortice di emozioni in cui qualsiasi ingenuità è giustificata, la realtà è purtroppo diversa dal mondo perfetto che ci piace immaginare. Nella realtà, decine di migliaia di scienziati e medici lavorano per decine di anni solo per arrivare a identificare correttamente una malattia, e da lì parte un percorso di altre decine di anni per arrivare mettere a punto una strategia di cura che, con un po’ di fortuna, potrebbe concludersi con una cura. Questa è la realtà, Davide Parenti, e fa talmente schifo che non puoi nemmeno metterci le telepromozioni in mezzo.
“Noi abbiamo solo sostenuto la libertà di cura“. Ora ti spiego perché sbagli anche in questo, che a un occhio grillino e/o smaliziato potrebbe sembrare un intento sacrosanto. Ti faccio l’esempio dell’“immunità di gregge”: è il fenomeno per cui i figli di genitori talmente sciroccati da credere che i vaccini causino l’autismo non si ammalano. Non si ammalano perché la maggioranza dei genitori sceglie invece di vaccinare i propri, di figli, facendo in modo che le malattie che abbiamo imparato a domare non si diffondano. Però restano lì, le malattie, a aspettare pazientemente che gli sciroccati diventino maggioranza. “Libertà” resta una bella parola fino a quando non mette a repentaglio l’incolumità altrui: se scegli di non curarti e metti a rischio la salute delle persone che hai attorno io, Stato, ho tutto il diritto e perfino il dovere di dirti “No, col cazzo”.
Ho finito l’elenco, e mi resta questo da dirti: che non c’é nulla di male, ma tanto invece di onorevole nell’andare in onda e dire “Scusate: sappiamo che avete fiducia in noi, ma questa volta abbiamo sbagliato. Potevamo scegliere di fare finta di nulla, o di continuare a battere quel chiodo, e invece abbiamo scelto di dirvi una verità che per noi è scomoda, e cioè che avevamo torto. Sappiamo che, facendo questo, rischiamo che non crediate più a quello che diremo, o che ci crediate un po’ meno, ma dentro di noi speriamo che il fatto di essere stati onesti possa servire a meritare ancora la vostra stima”.
Puoi dire questo, Davide Parenti, e fare qualcosa di davvero rivoluzionario in televisione. Oppure puoi fregartene e continuare a fare una cosa che sappiamo funzionare bene: puoi cominciare non a assomigliare, ma proprio a essere Antonio Ricci e sostenere che le Veline di “Striscia la Notizia“ siano portatrici di un forte messaggio sociale e non stiano invece a sgambettare su quel bancone in quanto – semplicemente, ma legittimamente – due belle fighe.


Il digiuno dellla figlia di Anna ragnedda per la verità sull'alluvione "Voglio sapere com'è morta mia madre"

                                       I funerali delle vittime di Olbia (Foto simbolo)



unione sarda  


"Due mesi sono trascorsi dall'alluvione di Olbia, senza sapere come e perché è deceduta mia mamma Anna Ragnedda". Lo sostiene la figlia che ha iniziato, per protesta, lo sciopero della fame e della sete.


Ferita difficile da rimarginare, la perdita della mamma in quel tragico 18 novembre. La signora Anna Ragnedda è morta a Olbia, a 83 anni, nell'appartamento di via Lazio, annegata durante l'alluvione.
La famiglia parla di ritardi inspiegabili nelle indagini e la figlia Antonella Casalloni ha scelto la via del digiuno, in segno di protesta.


14.1.14

Il sogno americano dei sardi sull'Oceano

unione  sarda  del 14\1\2014
Nessuno viaggiava in prima classe, la seconda costava centocinquanta lire, la terza dolore e spavento. Il mare era sempre mosso e pochi ballavano il foxtrot. Tra la fine del 1800 e gli inizi del '900, più di 12 milioni di persone sbarcarono in America, 4 milioni gli italiani, tantissimi i sardi. Qualcuno lo sa, altri saranno sicuramente curiosi di sapere se in famiglia hanno un lontano parente approdato un giorno a New York in cerca di fortuna. C'è un sito - www.ellisisland.org - che ha registrato l'elenco completo degli uomini e delle donne arrivati con la valigia di cartone sull'isola all'ombra della Statua della Libertà. Digitate il vostro cognome e si aprirà un mondo. Un Angelo Cossu di Bultei arrivò il 5 agosto 1912 sul transatlantico Rochambeau partito da Le Havre, aveva 18 anni. Di Antonio Cossu ce ne sono nove, tutti del Sassarese. Le ragazze sono tre: Maria, Giuseppina, Adele. In alcuni casi le residenze sono state storpiate, Calaugianns, Bardigali, Osckiri. Poligami, criminali e anarchici venivano rispediti a casa, il resto di quella umanità veniva sottoposta a visita medica e subito dopo otteneva il permesso di cominciare una nuova vita. Accanto a un Giovannino Piras scopriamo un Enrico Caruso, insieme con Battista Sanna, un Giacomo Puccini, vicino a un Antioco Pinna un Rudolph Valentino. Ci piace pensare che i primi, anche se non sono diventati famosi, abbiano trovato quello che desideravano.

Usa Gli cade il telefono nel fiume gelato Per recuperarlo muoiono in due. adesso si muore per la tecnologia e non più per le idee

protrebbe interessarti 


http://tinyurl.com/pct4ybm ( corriere della sera del 18 agosto 2013  ) 


http://www.pointblog.it/blog-di-maddy/phubbing  ( definizione del fenomeno )


Se prima  si moriva per le idee (  parafrasi di una famosa  canzone  de  Andreiana   )  adesso  si muore  per la tecnologia  .
Ora  sminchionanndo  cazzeggiando sulla pagina facebook dell'unione sarda  ho trovato questa  news 


Il tragico episodio a Chicago, Illinois. La vittima è un 26 enne, che si è tuffato nel canale ghiacciato per riprendere lo smartphone. Dispersa una donna che ha cercato di aiutarlo.


Pur di non perdere il telefonino ha sfidato il ghiaccio del fiume Chicago, nell'omonima città degli Stati Uniti. Ma il suo attaccamento alla tecnologia gli è costato la vita. La vittima è un ragazzo di 26 anni.

IL giovane si trovava sulle sponde del fiume che attraversa la capitale dell'Illinois, è scivolato in acqua nel tentativo di recuperare lo smartphone che gli era appena caduto nel canale. L'impatto con l'acqua gelata lo ha immediatamente paralizzato, impedendogli di riemergere. Per aiutarlo si è gettata nel fiume anche una sua amica, che in quel momento era con lui. Ben presto i due sono stati notati annaspare da alcuni passanti, che hanno allertato i soccorsi. Il 26enne è stato tratto in salvo e trasportato d'urgenza in ospedale. Purtroppo, però, le sue condizioni erano ormai disperate ed è morto poco dopo il ricovero. La sua amica risulta dispersa. Sinora vane le ricerche dei sommozzatori per recuperare il corpo della malcapitata.


su sul mio  facebook  è nata  un interessante ,   per  il  momento solo a  due , discussione



Ivan Il Terribile Sta prendendo l'andazzo delle reti mediaset sta specie di giornale "l'ugnone" [unione sarda ] ....solo gossip e articoli pro cappellacci e compari...
11 minuti fa · Non mi piace più · 1



Giuseppe Scano vero  , ma   questa  è , salvo eccezioni  che si contano sulla punta di una mano  , l'informazione   in italia  . Ma qui si tratta , notizie  come queste   non l'avevo  ancora  sentite , si tratta dio quello che gli studiosi chiamano Phubbing  (  http://www.pointblog.it/blog-di-maddy/phubbing ) .  


godersi la vita non significa oscurarla

questa  canzone    in sottofondo  (  Paolo Fresu & Uri Caine - Si dolce è il tormento  )   conferma  quanto descritto  da questa mia compagna  di viaggio \   di  strada   virtuale   che nonostante i rapporti poco idilliaci  ( mi ha cancellato da  fb  dopo neppure  due  giorni  perchè ho  osato scriverle in privato e chiederle  la video chiamata  )  e non avevo capito   chi le dava fastidio   continuo a seguirla  perchè è una che  come potete notare  dal suo blog   non manda il cervello all'ammasso  \  in cassa integrazione e\o si rifugia  nel buonismo e nel politicamente  corretto a tutti i costi  come potete vedere   e leggere dal suo blog   http://virginpunk.wordpress.com/2014/01/13  da  cui ho  tratto il post  d'oggi 

                              godersi la vita non significa oscurarla
Una persona vive meglio degli altri quando la vita l’accetta. Colei o colui che si ritengono migliori nel vivere o si comportano come se lo fossero, non sono affatto migliori. Spesso qualcuno si proclama più “libero” di altri. C’è chi lo fa di proposito e chi invece “subisce“, senza volerlo, la propria pulsione di vita. Non è un male, assolutamente. Ma bisogna che si capisca quando una persona si ritiene “migliore” degli altri e non lo è, affinchè voi non pensiate di vivere in maniera meno esatta.Esistono punti di vista non opinabili sull’arte del vivere. C’è chi pensa che per essere al top bisogna fare tutto ciò che il nostro corpo e la nostra mente permettono. Spingersi oltre il confine che solitamente viene rispettato. Oltrepassare le barriere del “comunemente lecito” per sentire davvero la vita che serpeggia. C’è chi, invece, palpita di serenità, senza dover strafare. C’è chi si “accontenta” di amare, di essere amato, di ridere, di solleticare la propria vita senza piegarla al proprio volere. Ma poi, siamo davvero sicuri che il nostro volere non sia altro che una semplice fuga?
Ritengo che l’evasione mentale e tutto ciò che comporta lo “stravolgere” le regole, spesso, sia semplicemente una corsa senza fiato lontani dalla propria esistenza. Per non guardarla, così com’è, nuda e cruda. Praticamente simile a quella di molti altri. Nessun vero successo, nessuna grande gratificazione, molto amore dentro di sé ma pochissimo tempo per dispensarlo e sentirlo. E allora non ci resta che evadere. Come? Beh, alcol, divertimento, tanta gente da conoscere, parole da dire, frasi d’effetto per colpire, seduzione, sesso e chi più ne ha più ne metta. E il giorno dopo? E’ forse cambiato qualcosa? No, ma restano gli strascichi della nostra diserzione e ci sembrano sufficienti per ritenerci soddisfatti.
Errore. La vita in quel momento non l’abbiamo vissuta. Siamo solo stati abili nell’oscurarla. Non sono una che rifiuta la parte “ludica” della vita, anzi. Senza quello che senso avrebbe dire “me la godo“? Non sarebbe affatto vero. Ma esiste un limite che non andrebbe oltrepassato, per poter restare a guardare sé stessi, con lucidità, e rendersi conto che va tutto bene o va tutto male.Saperlo non è sbagliato. E’ vita. E fintanto che sono consapevole di soffrire, posso porre rimedio per stare meglio. Trovo sbagliato chi dispensa consigli su com’è meglio vivere. Soprattutto se lo stile che viene proposto altro non è che l’occultamento della vita stessa. Io non fuggirei mai. Non l’ho mai fatto e mai lo farò. E mi piacerebbe che queste persone smettessero di essere così convinte che il loro modo di campare sia più giusto.
La libertà è esattamente questo: vivere la propria vita come si è scelto di fare, anche scappando, ma smettere di ritenere “miseri” coloro che la vita la guardano in faccia, anche se non è esattamente idilliaca come quando, durante una sbronza colossale, ci sembra di non avere fardelli da portare. Terminato il “viaggio” siamo punto e a capo e magari ci siamo anche persi qualcosa per stradaMi sono spesso sentita dare della limitata o della sfigata perchè non mi lascio andare più di tanto ai “piaceri” della vita. E’ una mia scelta e non ho nessuna vergogna di averla presa. Non mi forzo di razionare, è totalmente istintivo. Ho troppo bisogno di dare luce alla mia vita, non voglio perderla di vista, mai. Voglio essere attenta e non perdermi nemmeno un attimo della gioia che tante cose possono portarmi. E nello stesso modo non voglio fuggire dal dolore che la stessa esistenza mi procura e mi procurerà, negli anni. L’eccesso serve ma senza oscurare in maniera assoluta ciò che accade intorno e dentro di me. L’estremo è esattamente quello che io ritengo un “limite“. Punti di vista.

Scritto questo concludo proclamando “vivi e lascia vivere“, non ritenere meno “felici” coloro che, a differenza tua, non agiscono come se non ci fosse un domani. Per loro un domani c’è e sperano sempre sia bello da guardare, in tutta la sua complicatezza.
N.B. ciò che scrivo nei miei articoli sono parto del mio personale pensiero, non corrisponde né voglio farlo passare come verità assoluta.

Il neuroscienziato Luigi Gessa: «Ho provato la cannabis. Fa danni, ma l’alcol è peggio»

Nuove polemiche per le dichiarazioni sulla "cannabis" del neurofarmacologo Gianluigi Gessa  (  foto a destra  )  . Dice di aver provato la cannabis e che "agli adulti non fa male più di tre bicchieri di vino e che crea meno che riporto   sotto  integralmente onde  evitare    accuse  di faziosità    ) e che hanno innescato una serie di accese polemiche.
dipendenza". Sono le dichiarazioni (non le prime) che Gianluigi Gessa, noto neurofarmacologo Cagliaritano ha fatto al Corriere Salute ( ECCO L'ARTICOLO dell'inserto salute del corriere della sera   del 10\1\2014

«Sulla cannabis gli scienziati si dividono in falchi e colombe. I primi sono contrari, le
seconde favorevoli. Io non sono un volatile, non ho pregiudizi. Posso elencarne gli effetti positivi e negativi. Di certo, in una classifica di pericolosità collegata alla reale tossicità, la cannabis non la metterei in testa: prima l’alcol, poi l’eroina, la cocaina in forma di crack e la nicotina». 
Gian Luigi Gessa è un neuro psico farmacologo. Ha diretto a lungo il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Cagliari trasformandolo in centro di eccellenza. Ha guidato per il Cnr diversi gruppi di ricerca sulle dipendenze. Interviene nel dibattito di questi giorni sulla liberalizzazione delle droghe leggere, su cui ieri si è espresso anche il ministro della Salute Beatrice Lorenzin dicendosi «assolutamente contraria».
Lei qualche anno fa, in un’intervista sull’Unione Sarda , ammise di aver provato la cocaina, per concludere che era meglio studiarla che prenderla. E la cannabis? 
«Ovviamente l’ho sperimentata. Se si prova da adulto, le conseguenze non sono preoccupanti. A certe condizioni». 
Quali? 
«Molte. Anzitutto è necessario che abbia un alto contenuto di cannabidiolo, una sostanza cugina stretta del principio attivo che attenua quello che fa male». 
Come si può essere sicuri che la cannabis sia «buona»? 
«Non si può, non con quello che c’è in circolazione, senza regole». 
Effetti negativi? 
«Il primo e più grave è finire in prigione. Poi la capacità della sostanza di dare dipendenza. Ancora, un’influenza negativa sulla coordinazione motoria: se dopo guidi o vuoi fare sport, potresti avere degli incidenti. E ci sono ripercussioni sull’apprendimento e sulla memoria: durano una o due ore dal momento dell’assunzione». 
E quali sarebbero i positivi? 
«Il più gradito è l’euforia, un’allegria indistinguibile che nelle persone fortunate si genera naturalmente. Poi ci sono quegli effetti che ne rendono apprezzabile l’uso terapeutico, sempre a patto che ci sia il cannabidiolo: aumenta l’appetito, riduce la nausea, funziona da analgesico per i dolori neuropatici e per la cefalea, è efficace anche per il glaucoma. Artisti e musicisti gradiscono la percezione alterata dei suoni e dei colori». 
Non è pericoloso? 
«Sì, lo è in quelle persone che non dovrebbero provare la cannabis». 
Chi sono? 
«Gli adolescenti e i preadolescenti, perché in questa età il cervello si sta ancora formando. Oltre agli effetti detti prima: presentarsi a un’interrogazione sotto amnesia non va bene». 
Chi altro non dovrebbe? 
«Le persone vulnerabili, con disturbi psichiatrici o psicologici gravi, ansiosi, depressi, schizofrenici non manifesti». 
Cosa risponderebbe a un adulto che le chiede se può «farsi una canna»? 
«Se non rientra nelle categorie appena dette, non lo dissuaderei più che dal bere tre bicchieri di vino a cena: l’effetto è lo stesso e il rischio dipendenza minore». 
Vista la sua esperienza, e dunque la sua capacità eventualmente di dosarne l’uso, perché non fuma cannabis? 
«Perché non sento l’esigenza di provare un’euforia artificiale. Tutte le droghe, producono i loro effetti nel cervello sostituendosi fraudolentemente ai neurotrasmettitori. Il principio attivo della cannabis agisce sostituendosi all’anandamide. Ecco, io credo di averne pure troppa». 




 Il primo a schierarsi contro è il senatore Antonio Gentile, coordinatore regionale del nuovo centrodestra in Calabria.Antonio Gentile chi ? Quello sotto inchiesta per reati tipo truffa aggravata, abuso d’ufficio, falsità materiale ed ideologica, rivelazione di segreti d’ufficio e corruzione? LUI, chiede l'intervento del Ministro perchè Gessa ha sperimentato l'erba su sé stesso? E che intervento vorrebbe? Radiazione dall'Albo? Dieci anni di galera? O che dichiari pubblicamente che l'erba uccide più di tutto il resto anche se non è vero? Infatti  egli ha  dichiarato che  "Affermare dall'alto di un'autorevolezza scientifica di avere provato personalmente quella che è e rimane una droga -, dice Gentile -, è un fatto grave che va al di là delle intenzioni e induce al consumo. Il ministro Carrozza dovrebbe intervenire". 
Il solito classico  intervento  censore  ed  ipocrita  , posso capire  essere  contrario  alle dichiarazioni   di Gessa  hi ha studiato farmacologia conosce bene prof. Gessa, essendo uno dei migliori farmacologi italiani e nel mondo e avendo studiato le sostanze d'abuso, sa bene quel che dice ! . Infatti   egli  conferma  quello che si dice anche nel mondo scientifico    d'anni   che  essa  è  « Pericolosa solo per gli adolescenti, ma dà meno dipendenza del vino»Il neuroscienziato Luigi Gessa: «Ho provato la cannabis. Fa danni, ma l’alcol è peggio .Pericolosa solo per gli adolescenti, ma dà meno dipendenza del vino» c Antonio Gentile?  il thc tetraidrocannabinolo principio attivo della sostanza in questione ha benefici sull'organismo e non solo. Certo  che  se assunta in grosse quantita' potrebbe non far bene come qualsiasi altra cosa al mondo esempio la nutella ma anche il pane o l'acqua ect.,solo ignoranza e ipocrisia affermerebbero il contrario.
Concordo con quanto dice ,  nel commento a tale  notizia  sul  sito dell'unione sarda ,  Balilla71 il 13/01/2014 08:54  : << Bravo Gessa! dire che il re è nudo può dar fastidio al re...ma è la verità. Nessuno muore per uso di cannabis (persino abuso)mentre i morti per alcolismo si sprecano. Dall'alcol peraltro è difficilissimo uscire. L'alcol "sballa", crea una dipendenza terribile, fa ammalare ed uccide, ed incredibilmente l'imputato è sempre la cannabis...mistero. >> Io non capisco,     SONO  SARCASTICO  , come si permette un luminare della scienza ed illustre studioso a dire la verità! Dovrebbe uniformarsi all'ignoranza comune e galoppante in italia, frutto di caccia alle streghe e lobby di potere varie e dire il falso. Poveri ignoranti ( la  maggior parte   )  proibizionisti, vi siete fati prendere per il naso da decenni e siete convinti di sapere la verità.da un lato siete i responsabili dell'arricchimento di fior fiore di delinquenti e dall'altro di aver carcerato persone onestissime  solo  per  un grammo di  fumo  . E non ve ne fate nemmeno vergogna,continuate barrosi  vanagloriosi ) sulla vostra falsa via.

13.1.14

BRESCIA. Coinvolti importanti politici lombardiCure ai raccomandati per “lanciare” Stamina. Speriamo che la gente apra gli occhi sui ciarlatani



in attesa della puntata di presa diretta stasera alle 21 su rai3 dedicata a punto al caso stamina ecco le ultime news , che se fossero confermate potrebbero ( come dicevo da titolo ) portare la gente ad aprire ulteriormente gli occhi nei confronti di un ciarlatano
 
 da  l'unione sarda  del  13\1\2014  

BRESCIA. Coinvolti importanti politici lombardi
Cure ai raccomandati per “lanciare” Stamina



BRESCIA
 «A Brescia c'era interesse di importanti personaggi della Regione di vedere curati se stessi e i propri congiunti, abbiamo perciò deciso di curare prima i raccomandati, così poi saremmo riusciti a far entrare i nostri bambini». È questa la dichiarazione choc di Marino Andolina, vice presidente di Stamina Foundation, intervistato da Presadiretta che fornisce così una spiegazione sul perché gli Spedali Riuniti di Brescia abbiano applicato per primi il contestato protocollo.
QUADRO INQUIETANTE Un nuovo tassello che si aggiunge ad un quadro sempre più inquietante, dove si allunga la lista delle testimonianze pubbliche delle tante famiglie che raccontano di avere dato somme ingenti all'inventore del metodo, Davide Vannoni, e alla sua associazione, dopo avere ricevuto assicurazione di guarigioni che però non si sono verificate. Come il papà di Nicole che racconta e dimostra con i bonifici di avere pagato 50 mila euro per alcune infusioni che hanno provocato anche problemi alla bambina, tanto da essere stata portata in ospedale. Le indagini del giudice Raffaele Guariniello a Torino, prossime alla chiusura, avrebbe individuato circa 70 vittime.
DURO IL MINISTRO Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, che firmerà nei prossimi giorni, assicurano dal Ministero, il decreto che darà il via i lavori del comitato scientifico che dovrà nuovamente esaminare la metodica, ipotizza intanto ci possa essere stata truffa ai danni dello Stato se verrà dimostrato che sono stati consegnati all'ospedale di Brescia e al ministero due protocolli diversi.
L'AMMISSIONE «Un dirigente della Regione Lombardia aveva un problema, una malattia neurologica progressiva - ha spiegato Andolina durante la trasmissione che sarà trasmessa domani su Rai 3 -. Ha pensato che potevamo curarlo e ha favorito l'ingresso del nostro metodo negli Spedali di Brescia. Anche i dirigenti locali avevano qualche fratello, cognato o marito col morbo di Parkinson»,
UN PADRE ACCUSA «Il trattamento Stamina ci è costato 50mila euro, dobbiamo ancora finire di pagare e mia figlia resta sulla carrozzella»: ha invece spiegato il papà di Nicole De Matteis, una bimba di 11 anni. «Vannoni ci aveva promesso che la bambina avrebbe lasciato la carrozzella, adesso dicono che Stamina serve a migliorare la vita dei malati, ma a noi ci aveva promesso la guarigione».