da ROMA. Da una parte c'è Chiara Ferragni, la influencer di moda più famosa del momento (anche per via della sua storia d'amore social con Fedez), con i suoi outfit sempre glamour, gli abiti firmati, i capelli biondi perfetti anche quando sono spettinati, dall'altra c'è lei Valentina Schiffiliti, 31 anni, di Seregno (Monza) che alla Ferragni "disfa" tutti i look, rendendoli irresistibilmente divertenti.
Nel suo blo, TheRottenSalad - The dark side of fashion , come anche sulsuo profilo Instagram , le foto che piacciono di più ai suoi oltre 88mila follower sono quelle in cui indossa qualcosa che lei stessa ha creato, in chiave chiaramente esasperata e comica. Tra alcune delle sue creazioni ci sono la giacca in alluminio, il vestitino di McDonald’s, il mega-Ferragni Rocher o la pochette di Chanel ma realizzata con la scatola delle uova. E poi i paragoni con le fashion blogger.
Di se stessa Valentina scrive: "Nata a Milano il 26 Febbraio del 1986 da mamma e papà professori di lettere. Inizia a saper parlare a 6 mesi, e non dice “mamma” o “papà” ma: “chi è?”. Da quel momento è curiosa di tutto... Apre la pagina Instagram “The Rotten Salad – The DisFashion Blogger” nel Novembre 2013, dove prende bonariamente in giro il mondo delle fashion blogger...Questo è il primo disfashion blog mai esistito prima".
Ma come ci si inventa dal nulla un lavoro, per giunta sul web, dopo aver perso quello per cui si è studiato (laurea in Sociologia e un posto come educatrice tra carceri e comunità)? Lo chiederemo direttamente a Valentina che mercoledì 10 maggio, alle 15.30, sarà ospite della rubrica dell'Agl, Sotto Rete. In diretta sulla pagina Facebook della Cronaca Italiana andremo alla scoperta di questo fenomeno del web: @larotten .
Che cosa direi a chi considera l'Aids una punizione divina? Niente. Perché è già stato messo in regola da Dio, infettandolo con un pensiero così malsano, impietoso e spietato, che non gli renderà semplice l'esistenza. Ma ognuno beve nel proprio bicchiere. Immorale. Fate una prova con voi stessi. Come reagireste se sapeste che il cuoco del vostro ristorante preferito ha l’Hiv? O la tipa che fa ginnastica proprio vicino a voi è stata ricoverata per una settimana in ospedale agli Infettivi?
O la maestra di vostro figlio è sieropositiva? Poi, improvvisamente, salta fuori un film geniale, illuminato, ispirato, girato con autentica e grande cognizione di causa, capace di toccare profondità umane oceaniche, quindi abissali. L'Aids è un abisso, un burrone, un precipizio, ma "Dallas Buyers Club”, senza percorrere la deriva del ridicolo pur affrontando il dramma con l'ironia umana del quotidiano.
"Non ti dà un po' sui nervi sentire quelli che parlano di curare i malati mentre intanto sventolano il loro Rolex? Cosa ne sanno di come si trattano i malati di Aids?". La gente parlava, e pensava, proprio in questi termini. "In fondo sono cose che a me non riguardano" e oggi ci ritroviamo con i reparti infettivi colmi di 70enni malati di Aids conclamato con moglie, nipotini e prole a carico che ti guardano con volto burbero e dubbioso, come se a loro l'Aids l'avessero preso giocando con le farfalle, perché non era vero, dicevano, che erano andati a puttane, non potevano dirlo per la moglie i parenti e amici. Prima di tutto la reputazione, a costo della verità. Spettacolo raccapricciante. Pesante per mogli, figli, amici, ma vedere la faccia di quelle persone che pur di non dire ch'erano andate a puttane, si arrampicavano sugli specchi sparando improbabili giustificazioni a cui nessuno credeva. Nella loro immane e sconsolata tristezza oltreché deprimente condizione, era penoso sentire il pesante silenzio di questi 60enni con l'Aids che cercavano di discolparsi in tutti i modi, rendendo ancora più scabroso e insidioso il loro status.(Continua qui, per chi vuole, http://rainingallegories.blogspot.it/
Ferrante Aporti la conosco bene, è l'unica via milanese perennemente in bianco e nero. Un paradigma della città, per alcuni; benché Milano, al pari d'una maliarda un po' sdegnosa, sappia regalare, quando vuole, trilli d'azzurro. Ma Ferrante Aporti no. Conserva la sua ombra ferrigna, i sordidi magazzini, le gallerie tetre e infinite come ventri di balena. E la ferrovia. Essa pure periferica, binario sfumato fra ruderi d'erba. Da uno dei tralicci, ieri, un profugo maliano s'è legato una corda al collo ed è balzato nel vuoto, penzolando poi per interminabili minuti. Lunga sagoma nera sul nero delle pareti. L'ha fatto di domenica, a mezzogiorno, l'ora più viva e atroce. L'ha fatto in giorno di festa, nell'invidiata distrazione del desinare, perché lui, senza nome né documenti, non l'aspettava nessuno, nemmeno il centro d'accoglienza. S'è accomiatato da un retrobottega di stazione perché solo lì il peso del vivere gli è piovuto addosso, con echi di urla, sangue, bombe e sole implacabile. O semplicemente povertà, divenuta a un tratto miseria, e lui certo, ormai, d'aver perduto per sempre la sua dignità d'uomo. La solitudine non lascia scampo nel paese felice, che vedi bello e irraggiungibile. Per esserci devi sparire, e immergerti è l'unico grido. Solenne, sacrale, tuo
I muretti a secco italiani sono candidati ad entrare tra i Beni essenziali dell'umanità Unesco nel 2019, in Trentino cresce l'attenzione all'argomento, un articolo di Giampaolo Visetti pubblicato su repubblica dì odierna su ci porta alla scoperta di questa tecnica antica, e rispettosa dell'ambiente
Una tecnica antica, una conoscenza tramandata di padre in figlio, che non sta inn nessun libro. I muretti a secco italiani sono candidati ad essere riconosciuti tra i Beni essenziali dell'umanità dall'Unesco. La decisione sarà presa nel 2019, ma nel frattempo ci assiste ad un rinnovato interesse per queste particolarissime opere dell'ingegno umano, che modellano il paesaggio rurale creando un equilibrio perfetto con l'ambiente naturale, anche in Trentino. Ad occuparsi del tema è il giornalista trentino Giampaolo Visetti inviato di Repubblica, con un interessante articolo pubblicato oggi sulle pagine onlline del quotidiano, nel quale si approfondisce il "caso di studio" della Valle di Cembra, in una terra, come il Trentino, in cui per la prima volta quella del costruttore di muretti a secco è diventata una professione riconosciuta, con il titolo di "maestro" rilasciato dall'Enaip, l'istituto professionale provinciale, che ha già consegnato il diploma a 18 artigiani specializzati.
Come dice la chiusa dell'articolo di trentotoday "I sassi sono come gli uomini, tutti possono essere buoni, basta saperli vedere: te lo dicono loso in quale posto devono stare" spiega Carmelo Brugnara, 71 anni, viticoltore cembrano, intervistato da Visetti. Il 24 e 25 giugno nella valle di Terragnolo si terrà un intero festival dedicato all'argomento, promosso dall'Accademia della Montagna del Trentino, in attesa della visita degli ispettori Unesco ai muretti a secco italiani, compresi quelli trentini.
Infatti si può leggere nell' articolo su Repubblica.it, che per sicurezza riporto intero sotto
I ragazzi del muretto a secco: "Quei sassi sono opere d'arte"
La costruzione di un muretto a secco in Trentino
La candidatura lanciata da vari Paesi per tutelare una tecnica antica. E in Italia è boom di richieste per iscriversi ai corsi dove si insegna come salvarli: si creano posti di lavoro per muratori di alto livello
dal nostro inviato
GIAMPAOLO VISETTI
VAL DI CEMBRA - "I sassi sono come gli uomini. Tutti possono essere buoni. Basta saperli vedere: allora te lo dicono loro in quale posto devono stare". Carmelo Brugnara ha 71 anni e fa vino a "Maso Spedenàl", in val di Cembra. Da quasi sei decenni costruisce muri a secco per evitare che le vigne, aggrappate alla montagna trentina, vengano giù. Ha cominciato a tenere su il mondo da bambino perché è nato in un luogo "dove c'è sempre stato niente di tutto". "Per mangiare - dice - devi prima fare pulizia. Togli i sassi dalla terra e li metti in ordine per non perderla. La posizione delle cose: è questa, da sempre, che decide chi ce la fa e chi no". Non ha mai aperto un libro ma ha ascoltato molto suo padre, che prima guardava il suo. Così è andato a occhio e solo oggi si rende conto di aver costruito decine di chilometri di muri a secco, disegnando uno dei paesaggi rurali più straordinari del pianeta. È un'anonima ma irripetibile opera d'arte, cruciale sia per il paesaggio che per l'economia delle Alpi. Non è un reperto da museo. I muretti costruiti con i sassi, dal Giappone alla Gran Bretagna, dall'Himalaya alle Ande, dopo i decenni dell'abbandono rivivono un'insperata stagione di consapevolezza collettiva. "All'improvviso - dice il regista Michele Trentini, che sabato prossimo presenterà il documentario "Uomini e pietre" - anche i ragazzi capiscono che la bellezza conta. Anzi: che è decisiva per il destino di ogni comunità". Cipro, Grecia, Italia, Francia, Svizzera e Spagna a fine aprile hanno candidato la "tecnica dei muretti a secco in agricoltura" a patrimonio immateriale dell'umanità tutelato dall'Unesco. Il sì italiano è teso a salvare i terrazzamenti e le millenarie barriere di divisione che segnano il profilo naturale del Paese: in Liguria e nel Salento, lungo la costiera di Amalfi e sull'Etna, a Pantelleria e in Toscana, su tutto l'arco alpino e nel cuore dell'Appennino. Questo tesoro sembrava consegnato alla rovina e alla nostalgia. Contadini, architetti, imprenditori, scienziati e promotori del turismo, lo rilanciano in tutto il mondo quale modello avanzato di uno sviluppo nuovo, capace di generare lavoro e ricchezza senza consumare la natura. La commissione Unesco visiterà i muretti a secco italiani fino all'anno prossimo, la decisione di accoglierli tra i beni essenziali della civiltà è fissata per il 2019. "È un passaggio decisivo - dice il geografo Mauro Varotto, docente all'Università di Padova e anima italiana dell'Alleanza internazionale per i paesaggi terrazzati - che può garantire le risorse pubbliche per conservare l'eroica spina dorsale che unisce i popoli con una storia di miseria e di fatica". In Italia risultano censiti 170mila chilometri di muri a secco, quelli stimati sono oltre 300mila. Gli ettari di campi terrazzati sono altrettanti. La Grande Muraglia cinese, quasi totalmente ricostruita, è lunga 8mila chilometri. Il valore delle pietre accumulate e incastrate nei secoli per permettere agli uomini di coltivare la terra e di allevare gli animali, ossia di vivere, non sfugge più a nessuno. Esperti e appassionati di tutti i continenti ne hanno discusso in Cina, in Perù e in Italia, tra Padova e Venezia: il prossimo convegno internazionale dei paesaggi terrazzati si terrà nelle isole Canarie. Il problema è comune: evitare che una sapienza antica, trasmessa oralmente, muoia assieme ai suoi ultimi custodi. "Costruire un muro a secco - dice il progettista rurale Massimo Stoffella - è come generare una persona. Nasce qualcosa di vivo, per esistere gli occorre un'etica: può essere bello, ma se non ha sostanza prima o poi crolla. Durare impone equilibrio e per questo conta quello che c'è dietro: servono tutte le virtù, ma è il difetto a connotarlo nel tempo". A Terragnolo, ai piedi dell'altopiano di Asiago, il 24 giugno si terrà il primo Festival internazionale "Sassi e non solo". Sette squadre di sfideranno nella costruzione del muro a secco perfetto, donato poi ai contadini della Vallarsa. La competizione rivela il boom che sconvolge una missione edilizia che l'urbanizzazione, assieme alla civiltà industriale e al progresso tecnologico, sembravano aver emarginato. Migliaia di giovani, donne comprese, si innamorano dei muretti naturali in pietra, alzati senza malte e senza cemento, e chiedono di imparare a restaurarli. Nel resto d'Europa il titolo di "maestro di muri e pavimenti in pietra" è già riconosciuto. In Italia la prima scuola è stata aperta presso l'Enaip di Villazzano, in Trentino, e dopo due anni di corsi ha appena diplomato i primi 18 artigiani specializzati. L'iniziativa è dell'Accademia della Montagna e intercetta una crescente domanda di professionalità. "La crisi - dice la direttrice Iva Berasi - rivela opportunità salutari. Impone il recupero di un'agricoltura più sostenibile e di una vita più semplice. I muretti a secco ne diventano il simbolo. Rimarginano le ferite dell'abbandono e confermano il valore economico della bellezza. Un Paese come l'Italia, fragile e fondato sulla qualità dell'arte e del cibo, si salva cominciando a rimettere in piedi i sassi che da sempre tengono tutto insieme". Centinaia, da tutte le regioni, le domande di giovani che vogliono frequentare la scuola trentina della pietra a secco, sette i corsi di secondo livello pronti a partire. Per le imprese edili offrire una competenza certificata significa allargare il mercato. Si creano posti di lavoro per muratori di alto livello e nemmeno alla nuova generazione dei contadini sfuggono le opportunità commerciali: uno ha chiamato "707" il suo vino di punta, per ricordare ai consumatori i chilometri di muri a secco che sostengono le sue colline, garanzia di rispetto e di passione. "La leva di un boom mondiale - dice il naturalista padovano Antonio Sarzo - è proprio l'emozione. Tra le pietre vivono animali e piante, filtra l'acqua. Le persone sentono di non pesare sulla terra, anzi di poterla aiutare con le loro mani. Lavorare o riposare in armonia con la natura è la sola strada verso un futuro buono". Per questo Carmelo Brugnara sogna di trasmettere al figlio barista il segreto per "tirare coi sassi un muretto che dura".Tra le vigne di Ceola non pensa ai muri spinati che i leader globali vogliono alzare come monumenti alla paura che giustifica il loro potere. Quelli poi crollano. "Io sono un piccolo - dice - penso solo a pulire e a tenere su il posto in cui sto per accogliere tutti. Altrimenti resta da fare".
Quindi viene smentito un luogo comune che tale tecnica si trovi solo nel sud d'italia .
Ho accennato dai link che anche noi sardi ne abbiamo un esempio
da http://www.sardegnautentica.it/murettiasecco
I muretti a seccocaratterizzano il paesaggio rurale dellaSardegna. Il fine del muro è la divisione in poderi; il paesaggio, così organizzato, è segnato dalla rete dei percorsi camminus e andalas e dall'alternanza delle colture.Questa divisione nasce dall'applicazione di un sistema di regole le cui radici affondano nella Carta de Logu di epoca giudicale, le quali, pur essendosi evolute nel corso dei secoli, sono state osservate fino agli anni cinquanta del Novecento. Il metodo costruttivo in pietra a secco, assolve la doppia valenza di liberare le terre dalla presenza di pietre, rendendolo più adatto alle coltivazioni, e al sostegno della terra in prossimità di alberi e/o dei confini; si caratterizza storicamente per il metodo dell’autocostruzione, l’impiego di materiali lapidei di piccole dimensioni estratti in situ, la lavorazione minima dei materiali e la loro posa in opera senza leganti e connessioni. Il muro, essendo in pietra a secco, assume grande importanza in quanto, permettendo il drenaggio dell’acqua, mitiga lo spostamento della terra e ne determina l’assestamento.
La chiudenda realizzata con questo metodo costruttivo, si integra nell’habitat di specie animali e vegetali consolidatisi. Diventa al contempo una recinzione di pregio che qualifica ogni tratto della proprietà che cinge. Un lavoro di attenzione e di precisione che segue alla raccolta delle pietre dal fondo. Le pietre selezionate, vengono lavorate con la martellina e allineate secondo quanto disposto con una piccola fondazione.Il muro può variare nelle dimensioni per adattarsi alle esigenze particolari del fondo in cui insiste.
ancora presente in tutta l'isola come dice uno dei pochi artigiani che ancora li realizza con le vecchie tecniche . Antica arte che nella maggior parte dei casi tale tecnica è snaturata perchè le riparazioni ( è una struttura che ha bisogno di manutenzione ) , nelle fazioni \ sobborghi di paesi soni state modernizzate .e le nuove costruzioni
1) Svegliarsi 5 minuti prima del solito per farsi la barba, truccarsi o far colazione senza fretta e con un pizzico di allegria.
2) Se siamo in coda nel traffico o alla cassa di un supermercato, evitiamo di arrabbiarci e usiamo questo tempo per programmare mentalmente la serata o per scambiare due chiacchiere con il vicino di carrello.
3) Se entrate in un bar per un caffè: ricordatevi di salutare il barista, gustarvi il caffè e risalutare barista e cassiera al momento dell’uscita(questa regola vale per tutti i negozi, in ufficio e anche in ascensore).
4) Scrivere sms senza simboli o abbreviazioni, magari iniziando con caro o cara…
5) Quando è possibile, evitiamo di fare due cose contemporaneamente come telefonare e scrivere al computer… se no si rischia di diventare scortesi, imprecisi e approssimativi.
6) Evitiamo di iscrivere noi o i nostri figli a una scuola o una palestra dall’altra parte della città.
7) Non riempire l’agenda della nostra giornata di appuntamenti, anche se piacevoli, impariamo a dire qualche no e ad avere dei momenti di vuoto.
8) Non correte per forza a fare la spesa, senz’altro la vostra dispensa vi consentirà di cucinare una buona cenetta dal primo al dolce.
9) Anche se potrebbe costare un po’ di più, ogni tanto concediamoci una visitina al negozio sotto casa, risparmieremo in tempo e saremo meno stressati.
10) Facciamo una camminata, soli o in compagnia, invece di incolonnarci in auto per raggiungere la solita trattoria fuori porta.
11) La sera leggete i giornali e non continuate a fare zapping davanti alla tv.
12) Evitate qualche viaggio nei week-end o durante i lunghi ponti, ma gustatevi la vostra città, qualunque essa sia.
13) Se avete 15 giorni di ferie, dedicatene 10 alle vacanze e utilizzate i rimanenti come decompressione pre o post vacanza.
14) Smettiamo di continuare a ripetere: “non ho tempo”. Il continuare a farlo non ci farà certo sembrare più importanti.
Giro d'Italia 100 ad Alghero - Ernesto Videoclip prodotto dalla Società Umanitaria di Alghero in occasione della prima tappa del Giro d'Italia 100 in partenza da Alghero il 5 maggio 2017 ulteriori informazioni nella discalia del video Brano musicale "Ernesto" di CLAUDIA CRABUZZA, tratto dall'album "Com un soldat" vincitore della Targa Tenco 2016 per il miglior disco in dialetto e lingue minoritarie
N.,B lo so che sono due sport divewrsi e due ruoli ( gregario e mediano ) ma entrambi contribuiscono da dietro le quinte al sucesso di una squadra nel caso dei mediani , di un singolo ( anche se , ma devi essere dotato , e tenace , 10 volte su 100 capita che possano diventati campioni stessi e dargli filo da torcere )
Dopo la "sbornia" per le tappe sarde del giro del centenario nessun giornale ( forse quelli sportivi ) ne ha parlato eccetto questo speciale rai , passato quasi in sordina o quasi il qualche giorno prima del giro qui il programma del ruolo e dei Gregari . Ora i neofiti del ciclismo e chi segue solo lo sport in tv o andando a vederlo quando capita nella prorpia zona sinchiederà CHI È, QUAL’È IL SUO RUOLO ?eccco la risposta che ne da http://blog.medalinframe.it/?p=54Il gregario nel ciclismo: chi è, qual’è il suo ruolo
Il ciclismo è uno degli sport più popolari. Oltretutto è praticato a livello amatoriale in tutto il mondo, ed è uno degli sport a cui ci si avvicina tutti prima o poi, in un modo o nell’altro. Ma senza dubbio differente è lo sport dal semplice utilizzo della bicicletta.
Tendenzialmente, il ciclismo non è uno sport di squadra, ma piuttosto individuale. Ma in una gara ciclistica tra professionisti, è noto che ogni corridore faccia parte di una squadra. In quanto senza una squadra, senza quelli che vengono chiamati in gergo “gregari”, la punta di diamante, il campione come Coppi o Merckx, difficilmente sarebbe in grado di raggiungere l’obbiettivo della vittoria finale.
Ma chi sono i gregari nel ciclismo? Come mai il gregario ha un ruolo così importante nel ciclismo? La parola deriva dal latino, ed indicava una persona che stava in mezzo al gruppo. Termine per lo più impiegato in ambito militare, e veniva affibbiato ai soldati semplici. Se trasliamo dal militaresco gruppo a quello dei corridori, il gregario è la figura che sta all’interno delle fila dei ciclisti, ma mai sotto le luci delle ribalta.
In quanto il gregario nel ciclismo ha il compito di aiutare e assistere il campione, spingendolo alla vittoria, affiancandolo in ogni impresa, senza mai abbandonarlo. Ve ne sono stati anche di famosi nella storia del ciclismo. Uno dei gregari di lusso è stato il mitico Marco Pantani, il quale nell’anno della vittoria al Giro d’Italia di Stefano Garzelli, il 2000, sostenne il varesotto compagno di squadra guidandolo nelle tappe di montagna. E quindi affiancandolo fino alla vittoria finale.
Infatti sul " ruolo" dei Gregari ci sono diverse versioni c'è quella della rai ( vedere url precedente ) che li vede come sub alterni , altri come questo articolo di www.suipedali.it
i gregari sono importanti per il ciclismo tanto quanto lo sono i campioni. I migliori uomini di squadra valgono tantissimo, anche e soprattutto in termini economici, e nel ciclomercato sono pedine succulente. Poi, certo, il capitano guadagna anche dieci volte tanto perché alla fine ha sul groppone tutta la responsabilità del lavoro altrui e deve “finalizzarlo”. Detto questo, perché un corridore che inizia in modo identico a un altro, poi diventa il subalterno?
È questione di attitudine e di fisico: c’è chi è nato con un talento e chi no o meglio dire con meno. Di conseguenza, un ragazzo che può allenarsi e mantenere ritmi da professionista, ma che non è veloce nelle volate, non è performante in salita, non ha tenuta e recupero su più giorni consecutivi, non è un mostro a cronometro e così via, non potrà mai diventare (o meglio, magari col tempo, invecchiando, ma non così facilmente) un campione. E poi ci sono i fenomeni, che possono fare la differenza.
Ma il ciclismo è uno sport sia individuale sia di squadra e così se è uno solo che vince, tutti gli altri non è che stanno a guardare e anzi sono parti determinanti. Un gregario che vede vincere il capitano grazie al proprio lavoro è contento come se avesse vinto lui.
Perché – in fondo – ha vinto effettivamente anche lui. Ogni tanto, poi, i gregari diventano campioni e trionfano in corse a tappe oppure si tolgono soddisfazioni incredibili, come Luca Paolini. Ma d’altra parte le categorie sono fatte, soprattutto, per essere stravolte.
alcuni sono storici come Scarponi oltre non son celebrati ma hannno svolto da dietro le quinte un ruolo impotante in un altro giro \ tour Europeo come il tour de france
Geraint Thomas / Sky
Capitano: Chris Froome
Chi è?
Arriva dalla pista e su strada ha dimostrato ottime doti di passista-scalatore. Ha 29 anni ed è uno dei più versatili corridori di tutto il gruppo. Ha conosciuto Chris Froome quando entrambi erano alla Barloworld. Dal 2010 corrono per il Team Sky.
Qual è il suo ruolo?
La versatilità di Thomas gli consente di poter aiutare Froome in qualsiasi situazione. Guida il treno quando il suo capitano fora o ha un guasto meccanico, oppure fa l’andatura in montagna, terreno dove migliora di anno in anno. E’ l’uomo di maggior fiducia di Froome e di tutto il Team Sky.
Thomas ha vinto due medaglie olimpiche nell’inseguimento a squadre su pista, ma il suo momento più alto da gregario lo ha vissuto nel 2013 quando ha aiutato proprio Froome a vincere quell’edizione della Grande Boucle. E dire che Thomas ha corso gran parte di quel Tour soffrendo moltissimo per una frattura al bacino.
Chirs Froome e Geraint Thomas durante il Tour de France 2013
Michael Rogers - Tinkoff-Saxo
Capitano: Alberto Contador
Chi è?
E’ un corridore talmente forte e completo che potrebbe anche fare il capitano in tante altre squadre. Ha vinto tre volte il Mondiale a cronometro (2003, 2004, 2005) e ha conquistato diverse tappe nei grandi Giri. Nonostante questo resta un gregario, ma un gregario di lusso. Decisivo nel Tour de France 2012 vinto da Wiggins.
Qual è il suo ruolo?
E’ il bodyguard di Contador. Lo guida in salita e gli sta vicino in pianura. E’ il regista della sua squadra, il corridore che si preoccupa di coordinare da dentro il gruppo tutti i movimenti dei compagni.
Highlight
L’australiano è da considerare un corridore completo. Nel 2014 ha vinto le tappe più lunghe del Tour de France (237.5 km) e del Giro d’Italia (249 km), oltre alla frazione con arrivo sullo Zoncolan, penultima frazione della Corsa Rosa della scorsa stagione.
Michael Rogers (Tinkoff) festeggia una vittoria di tappa a braccia alzate al Tour de France 2014LaPresse
L'hipop italiano oltre alla classica denucia sociale ( vedi post precedente : hipop \ rap italiano nuove leve per ulteriori informazioni ) sta diventando anche romanticismo ed identita come dimostrano sia
Esce il nuovo disco di Coez, ormai esperto navigatore di musiche che viaggiano disinvolte tra rap e pop, ed esce con un titolo divertente e provocatorio: Faccio un casino, che è anche il titolo del singolo che ha anticipato l’album: "Mi sono molto divertito a fare il video", racconta, "è un time lapse che mi sono fatto da solo con la telecamerina a campo fisso, mentre sistemavo la mia nuova casa, è realistico, alla lettera, è davvero la sistemazione della casa. Anzi l’idea mi è venuta proprio perché dovevo sistemarmi".
Video
C’è qualcosa di nuovo in questo lavoro, o sarebbe meglio dire un recupero di cose passate riviste alla luce di oggi?
"Ma sì, preferivo una scelta lo-fi, e si sposa con la copertina del disco, vecchie foto, è molto diverso da quello che facevo prima con immagini molto curate e video pettinati, e mi piacerebbe per questo lavoro rimanere così, su questa linea. Io sono stato visto in molte vesti diverse, ma per me non è un problema. Prima, quando stavo con la Carosello era più diffiicile, anche se devo essere onesto, non è che mi obbligassero a fare qualcosa, tutt’altro, diciamo che era un mio autocondizionamento, ora mi sento più libero. C’è tanto rap e anche le cose che non sono rap hanno quella natura, ci sono riferimenti, si capisce sempre che vengo da lì, è una cosa che nel disco di prima ho voluto eliminare e quindi c’è confusione sul mio progetto. Ma è vero che io vengo dal rap. È difficile dire che Faccio un casino sia un pezzo rap, magari fa incazzare quelli che vogliono rap ma io devo fare pace con questa cosa, non credo al fatto che chi comincia a fare rap deve continuare per forza a fare rap, io mi sono evoluto piano piano, a differenza di Neffa che ha fatto uno stacco radicale, io non sono mai stato così netto, e del resto continuo a collaborare coi miei amici, non è scontato che ogni artista si possa liberare, a volte anche il pubblico si dimostra conservatore. Però come dicevo, per quello che conta, in questo disco c’è anche tanto rap".
C’è una frase molto bella nel pezzo Occhiali scuri: "Non ti scordare mai gli occhiali scuri, non sai mai dove dormirai stanotte" e a dire il vero il nuovo video, legato a questo pezzo, è ancora più sporco, è rovinato, notturno, duro, graffiato…
"Sì, è vero, l’abbiamo girato con i cellulari, ripreso una sera al bowling con cena tra amici a bere e poi al locale, ho ripreso quello che succedeva, poi ci ho messo un effetto anni novanta tipo Vhs tutto rovinato, volevo mantenere tecniche lo-fi".
Foto
La copertina dell'album "Faccio un casino"
A proposito di passato, c’è qualcosa della tua attività di writer ancora in giro?
"Spero di no, sai com’è… avrei paura di denunce retroattive perché il nome è lo stesso. No, scherzo, il fatto è che ero più da metropolitane, quindi è andato tutto perso, anche se forse a pensarci bene qualcosa è rimasto, ci deve essere un vecchio graffito alla scuola di cinema cine-tv, dove andavo, o almeno qualche fan mi scrive che c’è ancora".
Stranamente, visto che parliamo di un disco con tantissime parole, nel libretto del cd non ci sono i testi. Come mai?
"Ho preferito metterci vecchie foto, roba introvabile, tanto ormai i testi li trovi dovunque, in un attimo, quindi volevo occupare meglio lo spazio del libretto. Però li ho messi nell’edizione in vinile. Lì c’è più spazio".
Video
Due coincidenze col disco di Fabri Fibra appena uscito: l'idea del fenomeno e un pezzo sulla mamma. Commenti?
"Allora tanto per cominciare il disco di Fabri si chiama Fenomeno come un mio vecchio pezzo e poi è vero, quello che ho appena finito inizia con “se ti senti chiamare fenomeno…”, sembra affatto apposta e invece non lo sapevo nemmeno, il disco l'avevo già finito tempo fa, e per quanto riguarda la mamma, potrei dire che è la mia prima canzone d'amore. Del resto sono cresciuto solo con la mia mamma e una canzone così gliela dovevo. Forse è troppo privata ma è anche il mio ruolo, ho sempre scritto cose personali".
sia il video e l'intervista da me fatta il 14 aprile quando poi per questioni di tempo sia miie che sue la pubbkico solo ora . Ma iniziamo dall'inizio parlando prima di lui per chi volesse maggiori informazioni su di lui le trova in questo articolo di http://www.rockol.it/
#AFROITALIANO, la prima canzone ufficiale di Tommy Kuti dopo la firma del contratto con la major Universal. La canzone narra l’esperienza di Tommy, un ragazzo di seconda generazione cresciuto nel nord Italia, in una piccola provincia della Pianura Padana.
Il suo obiettivo è di raccontare, secondo questo articolo di http://www.spettakolo.it la storia dei ragazzi che, come lui, vivono la condizione di essere “afroitaliani”, ovvero giovani nati o cresciuti in Italia, ma con genitori provenienti dall’Africa.
Il video è diretto da Martina Pastori ed Edoardo Bolli ed è stato girato tra Milano, Brescia e Castiglione delle Stiviere (paese dove Tommy è cresciuto).
Nel video compaiono Edrissa “Idris” Sanneh, giornalista e opinionista conosciuto per la trasmissione televisiva Quelli che il calcio, il rapper/produttore Laioung, ed altri esponenti della comunità afroitaliana tra cui Loretta Grace, Evelyne Afaawua e Bellamy Okot.
Il videoclip di #AFROITALIANO è una citazione a In Italia,
il video musicale del rapper Fabri Fibra. Quest’ultimo compare qui nei panni dello psicanalista, come Ambra Angiolini fece con lui nel video del 2009.
La strumentale della canzone è stata prodotta da Romeo Gottardi (Pankees), con gli arrangiamenti di Marco Zangirolami.
<< Tommy Kuti è >> da https://www.webl0g.net/2017/04/24/intervista-tommy-kuti-afroitaliano-rap-hiphop-culture/ il primo afroitaliano a firmare con una major, ad aprire la strada di un investimento che l’etichetta fa su un ragazzo nato ad Abeokuta, in Nigeria, e cresciuto da sempre in Italia… Il primo di tanti altri che verranno. Perché il mondo è cambiato, come dice lui stesso nel mirabile singolo #afroitaliano» (corsivo mio). Con queste parole Paola Zukar, la signora del rap italiano, introduce nel suo libro – Paola Zukar, Rap. Una storia italiana, Milano, Baldini & Castoldi, 2017, p. 163 – una nuova voce della scena musicale, quella di Tolulope Olabode Kuti alias Tommy Kuti.
Classe 1989, nato in Nigeria ma vissuto nella provincia lombarda, questo giovane dalla socievolezza e simpatia trascinanti si è affacciato al panorama discografico con un brano che è insieme rivendicazione e messaggio, senza quella dose di rabbia e supponenza che spesso il rap accoglie in sé. Afroitaliano è il primo singolo ufficiale con Universal Music e suona come una vera carta d’identità personale che racconta anche uno spaccato sociale che è proprio delle seconde generazioni.
Le rime si rincorrono tratteggiando l’autoritratto di un artista che sa guardare attorno a sé con lo sguardo disincantato, in cui trovano spazio anche ironia e autoironia, non certo facili da sfoderare in una provincia che troppo spesso, ancora oggi, fa del pregiudizio il pilastro portante di un confronto con l’altro da sé. Ma la storia di Tommy comunica molto di più: è la (bella) prova di un’integrazione possibile, quella che si vive dalle zone più marginali del nostro Belpaese al centro città.E Kuti con la sua consapevolezza se ne fa portavoce anche con le sue stesse scelte di vita: lui che, dopo un anno di studi liceali all’estero e una laurea a Cambridge ha scelto di rientrare in Italia. Una decisione che, nel tempo dei “cervelli in fuga”, diventa un impegno nei confronti di se stesso, degli amici e di tutte le giovani generazioni di oggi. «Finita l’università ho pensato che avrei potuto rimanere in Inghilterra a lavorare, ma purtroppo o per fortuna non è andata così. Ho scelto di tornare in Italia – racconta Tommy – perché sentivo la necessità di raccontare la storia della mia gente, delle persone come me».
adesso la mia intervista
A proposito di cittadini africani associati al crimine, e all'essere parassiti come commenti ?
Credo che purtroppo in Italia l’immagine generale degli Africani che viene veicolata è molto stereotipica, è basata più sui fatti di cronaca come gli sbarchi o i crimini che sulla realtà che effettivamente vive la gente sulla propria pelle.
Personalmente, tu stesso ti senti più radice o seme oppure come s'intravede dal testo finale di afroitaliano
[Interlude: Fabri Fibra & Tommy Kuti]
Ma lei si sente più africano o si sente più italiano?
Mi sento tanto Italiano quanto Africano, nel senso che mi sento nello stesso modo incluso ed escluso in entrambi i contesti.
Quando vado giù in Nigeria i miei cugini mi prendono in giro chiamandomi Oyinbo (Bianchetto) perchè non mangio piccante tanto quanto loro e perchè quando parlo il nostro dialetto, lo Yoruba, ho un accento divertente. Quando sono a Brescia invece i bresciani mi prendono per il culo perchè sono nero, e quando parlo in dialetto bresciano faccio effettivamente ridere (Potaaaa)
Afroitaliano, perché sono stufo di sentirmi dire cosa sono o cosa non sono
Sono troppo africano per essere solo italiano e troppo italiano per essere solo africano
Afroitaliano, perché il mondo è cambiato
ne carne ne pesce quindi ?
Non vuol dire ne carne ne pesce, vuol dire sia carne che pesce.
Quali sono gli stereotipi che più comunemente vengono addossati agli africani ( oltre al classico vu cumpra ) e quali sono quelli che ti offendono di più ?
Vucumpra, prostituta, gangster, spacciatore.
Sinceramente non mi offende nessuno di questi stereotipi perchè….io sono Tommy…non sono uno stereotipo, sono Afroitaliano.
Credi che le cose stiano migliorando?
Eh, Afroitaliano perchè il mondo è cambiato.
Cioè dopo che è uscito il video mi hanno scritto un sacco di ragazze interessate a scoprire la mia storia, gliela sto spiegando ;-)
Considerando che quando andavo al liceo le ragazze belle mi evitavano anche solo per il colore della pelle, si, posso dirti che ora il mondo è leegermente più aperto.
Visto che Hai passato la maggior parte della tua vita in Italia anzi meglio diciamo che ci sei cresciuto . Dichiarazioni come quella di Maio verso i Rumeni ti infastidiscono più in quanto Africano o in quanto italiano?
In quanto essere umano.
una domanda forse ovvia e scontata in quanto sei ormai italiano visto che vivi in italia dall'età di due anni Per te come è stata l'integrazione?
Quando ero al liceo ero l’unico nero della classe, quando ho incominciato a fare rap sono diventato il primo nero ad aver firmato un contratto con una major…diciamo che ad un certo punto è inevitabile integrarsi quando sei il solo.
In ogni caso, pensando al fatto che i ragazzi che mi seguono sono bianchi, neri, gialli, forse posso dire di essere un bel esempio d’integrazione.
Credi che per un bambino che arriva oggi le cose siano più facili?
Si dai, non credo che potrebbe mai essere l’unico nero della classe, avrà compagnia.
Ci sono dei periodi, in seguito a fatti di cronaca o a dichiarazioni di politici, in cui è più difficile essere afro italiano in Italia?
E’ difficile essere Afroitaliano in Italia quando Balotelli gioca in nazionale, perchè siamo tutti sul filo del rasoio, se segna siamo Italiani, se sbaglia siamo dei negri.
Qual è la prima cosa che hai pensato leggendo la dichiarazione di Di Maio sui rumeni ?
Che nella politica purtroppo….Il mondo non è ancora cambiato.Eppure dichiarazioni di questo genere sparate senza alcuna prova non sono una novità.
che ne pensi di bellofigo e Master Sina alias di Anis Barka ?
Credo che cambieranno il mondo, a modo loro.
se non avessi scoperto il rap \ hipop , quale mezzo avreti usato per il tuo obiettivo cioè di raccontare la storia dei ragazzi che, come te vivono la condizione di essere “afroitaliani”, ovvero giovani nati o cresciuti in Italia, ma con genitori provenienti dall’Africa. ma non solo visto che l'italia sta diventando semre più mulkti etnnica ?
Senza la musica sarei stato molto più triste, perchè probabilmente sarei rimasto a vendere Poundo Yam al negozio di mio papà, non puoi certo cercare di cambiare il mondo se sei in un african shop a lavorare.
come è avvenuto il passaggio da non sono straniero sono solo straniero ad afroitaliano ?
Non c’è stato un passaggio lo stesso ragazzo che non è straniero ma è solo stranero, in realtà è anche Afroitaliano.
Sappiamo , o almeno dovremo saperlo , che Uno dei metodi più utili per prevenire il tumore al seno è l'autopalpazione. Per evitare la censura dei social network, una ong argentina ha ideato una campagna speciale
:il petto di un uomo ( qui a qualcosa serviamo 😅😆😇😊 ) per aiutare le donne! Ringrazio la nuova utente facebookiana , alla quale dò la benvenuta , claudia.zedda
Twitter meglio dello psicologo. Una cagliaritana spiega come si diventa star del web
"L'amore è quella cosa che tu sei da una parte, lui dall'altra e gli sconosciuti si accorgono che vi amate": un aforisma di Massimo Troisi, secondo alcuni; di Alda Merini, secondo altri.
In realtà, ad averlo partorito è ValeSantaSubito, al secolo Valentina Serra: ha scelto quel nickname (soprannome) perché "mi sono resa conto di aver avuto troppo pazienza nella mia vita". E, grazie ai suoi pensieri in 140 battute, è diventata una tweetstar, una delle persone più seguite in Italia su Twitter, grazie ai suoi 41 mila follower.
LA STORIA - Cagliaritana, 50 anni compiuti a marzo, Serra vive da una vita ("26 anni, per l'esattezza") lontana dalla sua città. Scelta quasi scontata se, come è capitato a lei, ci si ritrova ad amare un calciatore: nel 1989 si innamorò di un giocatore del Cagliari, Mauro Valentini, e lo seguì nei suoi trasferimenti. "Non a caso il mio primogenito, Andrea, è nato a Cagliari mentre la seconda, Giulia, è nata a Bergamo". Appese le scarpette al chiodo, Valentini tornò insieme alla sua famiglia a Viterbo.
LA SVOLTA - Una vita normale. Con un piccolo neo. "Ero la moglie di, non Vale". Nel 2011 si iscrive a Twitter: il social network diventa una sorta di psicanalista virtuale. "Stavo attraversando un momento di forte disagio, mi sono rinchiusa in casa. E ho cominciato a scrivere i miei pensieri su Twitter". Niente di banale, i tweet sono un mix di autoironia e intelligenza. Anche la fine del suo rapporto con Valentini è raccontata con un tweet. "Ho dato a Mauro la possibilità di essere ancora amato: io non riuscivo più a farlo".
LA SCALATA - In quei tweet c'è tutta la ValeSantaSubito. "Non scrivo per aumentare i follower. E non faccio quello che altri fanno: seguono altri utenti per essere, a loro volta, seguiti. Quando scrivo le mie stupidaggini poi mi metto a ridere da solo". Nessuna ricerca di fama. "Ma grazie a Twitter ho conosciuto tante persone fantastiche". Non solo. "Sono diventata la social media manager di un'azienda proprio grazie ai miei tweet".
Una carrellata? "Ma la notte non potrebbe portare solo il sonno. Chi sarà l'idiota che le ha chiesto i consigli" o "50 sfumature di materia grigia che avete perso andando a vedere il film". Battute taglienti, aforismi. Ma anche impegno sociale: "La vera tragedia", parlando delle donne, "è che, per farci rispettare, noi si debba fare sciopero". Filosofia in 140 battute. "E pensare che, a scuola, facevo temi di otto pagine", conclude.