29.5.17

chi li capisce i destrosi e gli islamofobici una ragazza islamica condanna il terrorismo e loro la reiempono d'odio ? polemica sulle celbrazioni del 43 anniversario di della strage di piazza dela loggia

nell'attimo breve  - Milvia

per  saperne  di più    sulla  triste   e  d'amarezza  della  strage    di  piazza  della  loggia
Fin quando  succederanno    poleniche  e strumentalizzazioni \  uso   politico -ideologico \  propagandistico  dell storia   non ci sarà mai  , almeno non completamente memoria  condivisa  . quando i  fascisti e  i destrosi  ,  in questo caso ,  non potendoi nè  riscriverla   nè  negasrte  l'inegabile   usano     che  è peggio   la  storia  del   secolo scorso    come  un  arma  ideologica  e  cazz  boh parlano  di pacificazione  e  di menoria  condivisa    cazz  boh 


Brescia ricorda la strage di piazza della Loggia e le sue vittime. Lo fa a 43 anni di distanza. E per la prima volta, sul palco delle celebrazioni oltre a sindaco, istituzioni locali e rappresentanti sindacali è salita anche una donna musulmana, una studentessa 21enne musulmana di origini siriane







http://milano.corriere.it/foto-gallery/cronaca/17_maggio_28/



che con la sua testimonianza - in una società divenuta multietnica nel corso dei decenni che separano dalla ferita del 28 maggio - ha ribadito che non c'è differenza tra attentato e attentato. Un chiaro rimando alla situazione internazionale, segnata dai numerosi fatti di sangue rivendicati dall'Isis.

«Non importa se una bomba viene fatta esplodere nel nome di un ideale religioso o politico. È sempre terrorismo» ha detto Batul Alsabagh, studentessa iscritta all'Università Cattolica di Brescia e rappresentante del centro islamico locale.
«Siamo musulmani ma siamo bresciani. Apparteniamo ad una città che ci ha accolto e il 28 maggio è anche il nostro 28 maggio» ha detto la giovane.
«Siamo qui in punta di piedi e non vogliamo fare un'invasione, ma tendere la mano» è il pensiero espresso in piazza da Batul Alsabagh che ha poi concluso: «Chi fa esplodere una bomba lo fa per dividere e distruggere il futuro».



L'intervento della comunità islamica dal palco (Foto @AnpiBrescia)
il suo  intervento   ha  -- sempre  quanto  riporta   http://www.giornaledibrescia.it/  del  28 mag 2017, 11:05  --- L'annuncio del suo intervento - sollecitato in particolare dai sindacati - aveva già fatto discutere nei giorni scorsi, in particolare esponenti del centrodestra. "Cosa c'entra con la strage bresciana?" si sono chiesti l'assessore regionale Simona Bordonali e il consigliere Fabio Rolfi, entrambi della Lega.
Paola Vilardi, ex assessore comunale, esponente di Forza Italia ha annunciato che non parteciperà alla manifestazione.
"La storia di bombe ed attentati (destra e sinistra), la strategia della tensione degli anni ’70  [  vedere  link  sopra    su  la  strage di piazza  dela loggia   e   varti articoli  del  blog  ) che, guarda caso, stiamo rivivendo in questa storia, negli anni 2000, anni armati da estremisti islamici. E nel cuore di Brescia, nel centro di quella piazza, il Comune permette ai nostri “nemici” di venirci ad insegnare qualcosa???? Sono indignata" ha scritto sul suo profilo Facebook.




Purtroppo  non  è  la  sola  infatti  

Da più parti nel centrodestra si sono levate voci critiche nei riguardi della decisione di far parlare un rappresentante della comunità islamica bresciana, Raisa Lamarai, domenica alla celebrazione del 28 maggio ’74. Il consigliere comunale di Forza Italia, Paola Vilardi, ha perfino detto che per via di questa presenza in piazza lei non ci andrà. Contrari a dare la parola a un maomettano in un giorno che a loro parere dovrebbe essere intimo della storia più dolorosa della città, sono anche il consigliere regionale di Forza Italia Fabio Rolfi e l’assessore sempre al Pirellone, Simona Bordonali entrambi della Lega Nord.
I fatti di Manchester hanno forse inasprito i toni della reazione alla scelta sindacale - la manifestazione di domenica come sempre è gestita da Cgil, Cisl e Uil. Ma forse no, almeno per Rolfi il quale le sue critiche le affida a domande all’amministrazione comunale, compartecipe alla organizzazione. «Quello che mi chiedo è cosa c’entrano gli islamici, a Brescia quando ci fu la strage non c’erano neppure, non hanno niente a che vedere con quegli anni». Il fatto che siano rappresentati e in veste ufficiale sembra anche a Vilardi una forzatura: «La cerimonia si è ideologizzata in mano ai sindacati. Al contrario il percorso della Casa della Memoria era stato in un’altra direzione, quella di spogliare dell’ideologia il ricordo dei morti».
BORDONALI è sulla falsariga di Rolfi, non comprendendo neppure lei che ci azzecchi «un islamico con la memoria della strage»: «Rispetto la persona che verrà a parlare, ma l’iniziativa e la memoria della Strage sono un’altra cosa. E’ la religione in quanto tale che non c’entra, a meno che l’obiettivo sia parlare di altro, far passare altri messaggi che non sono quello del ricordo».
Rolfi si chiede «perché allora non chiamare a parlare i valdesi, i sikh, i buddisti». E ammonisce a non accontentarsi delle prese di posizioni spot, dell’autocritica formale nelle occasioni formali, «dalla comunità islamica vorrei una presa di distanza concreta, forte e non occasionale». Per il consigliere regionale la discriminate è data dalla ufficialità, «una testimonianza attraverso una partecipazione in piazza va benissimo, ma sul palco è diverso». Diversissimo per Vilardi, che alza i toni quando forse sull’onda emotiva di Manchester si riferisce all’Islam come ad «un nemico a cui sindacati e amministrazione, dado voce ad un suo rappresentante, chiedono di impartirci insegnamenti».
Il tema è finito al centro anche dell’incontro del centrodestra di ieri sera al salone Piamarta, tema che invece non scuote Manlio Milani, presidente della Casa della Memoria. «La scelta è dei sindacati, ma noi non l’abbiamo assolutamente contrastata. Da anni la comunità islamica partecipa , con omaggi floreali ad esempio. E conviene a tutti che questa partecipazione ci sia come conviene a noi valorizzare le posizioni critiche, le prese di distanza dal terrorismo che provengono da quel mondo. Confondere il dibattito delle idee e il terrore è un errore, anche allora, negli anni Settanta tenemmo ferma la differenza».

cosi  come  molti   commenti  di  " webeti  " \   salvinisti   \ malpancisti ed  islamofobici su   questo articolo   http://milano.repubblica.it/cronaca/2017/05/28/news/piazza_della_loggia_mattarella-166615779/

Lo  so che   dovrei esprimere  un pensiero  mio originale   , ma  a volte  è  questo  ilbelo della vita  qualcuino\a  ti  brucia  le  tale  e  t'anticipa    opure   si  arrivi  alle stesse  conclusioni in cui  arriovano  gli altri\e  , ma  la penso   :  
  sia  come     l'ultino commento di questa  diascussione  ( sempre  da  repubblica  ) 
Revoker Robot
sono tutto meno che leghista ma sinceramente non capisco il perché di questa provocazione. Cosa c'entra con Piazza della Loggia, che senso ha una musulmana sul palco in quanto tale.
lafcadio43
Forse la signora ha voluto partecipare con i cittadini italiani alla commemorazione dei morti e dei  feriti provocati da terroristi italiani e nel contempo sottolineare la sua disapprovazione per ogni forma di terrorismo.
Ha fatto male?
Tamen
e quindi sale sul palco, tra il pubblico nessuno evidentemente, a me risulta che l'islam sia storicamente alleato con i fascisti, i quali, moltissimi si sono convertiti all'Islam. Mi piacerebbe vedere quando e se faranno una manifestazione contro Isis, quanti sono.
tamen
zeropa91
Poteva farlo in occasione delle stragi di Parigi,di Nizza,di Berlino,di Manchester,di Bruxelles...Mi pare che i cittadini ITALIANI abbiano partecipato.La signora?!
ahren19
E dove sarebbe la provocazione? Una comunità che porta un suo segno di solidarietà alla città che li ospita è una provocazione? O forse per lei è una provocazione ricordare che non è solo dal radicalismo islamico che bisogna difendersi? Cos'era provocatorio, lo spieghi bene, il fazzoletto sulla testa? il tentativo di integrazione? Forse è questo il motivo, una comunità che esprime solidarietà ad un'altra dopo non la si può accusare di non integrazione, non la si può accusare di volersi ghettizzare, non la si può accusare di essere insensibile al terrorismo. Eccola qua la provocazione, la presenza di una ragazza di 21 anni vi ha messo paura, paura che vi manchino le scuse per puntare il dito verso il diverso, giacché essendo noti per la vostra scarsità di coraggio, per giustificare l'intolleranza avete ancora necessità di una qualche giustificazione.
sia come Damiano Galletti, segretario della Cgil di Brescia si stupisce di questa polemica «mi pare una pura strumentalizzazione». Non dice che male c’è che parli un islamico, va oltre, dice che è un bene che la comunità islamica «condivida il nostro No al terrorismo, a maggior ragione in queste ore». «È importante dare voce a quegli islamici che condannano lo jihadismo; come abbiamo visto a Manchester a denunciare la radicalizzazione dell’attentatore erano state le moschee». Il No ai terrorismi, ecco per Galletti spiegata la presenza di Raisa Lamarai sul palco e cosa la lega al 28 maggio.
























































28.5.17

L’estate di Mirandola, rossa come le mura di Marrakech Figlia di due mondi, la scrittura in dono e migliaia di seguaci sul web “Papà parlava in modenese, ma solo il terremoto ci ha uniti davvero”

La  storia che     riporto  oggi  (  se  non volete  leggere  l'intero post   trovate  qui  l'articolo )  tratta  da   http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca/2017/05/27/  è la  dura   lotta  di  chi  è italiano a tutti   gli effetti  (  nato\a  , cresciuto  ,  studia  \ lavora qui  e paga le tasse  )  ma   non ha ancora la  cittadinanza  diretta  e  subisce   quotidianamente    cose  del genere :


Sono in sala d'attesa e l'ispirazione mi suggerisce di raccontarvi un mio peccato di debolezza che non sfugge alla regola "causa-effetto". È una storia lunga, cominciata quasi dieci anni fa e che dedico a tutti quelli come me, in cerca di un riscatto per se stessi, per le proprie origini e per l'Italia.
da https://www.gridodutopia.com/marocchina
Il mio primo anno di scuola superiore l'ho trascorso in un liceo di provincia, cullata dal desiderio di imparare molto e di creare altrettanto. Ero l'unica figlia di immigrati nell'intero edificio, ma fino a quel momento la diversità non era mai stata un grosso problema che si ripercuotesse spesso anche sui fatti. Con i miei compagni più stretti non c'erano difficoltà di nessun tipo, se non qualche innocente curiosità da parte di ragazze all'alba dell'adolescenza, intente a combattere brufoli e cotte precoci. Il dramma che vivevo, però, esisteva e proveniva dal resto delle classi, i cui giovani animi ribelli trovavano in me una serie di errori estetici, dettati da un'appartenenza etnica e religiosa lontana dalla loro. 
"Ma i marocchini non vengono in gita con noi / Tu alzati da lì che noi abbiamo la priorità / tu, il caffè, lo prendi dopo / non sei invitata al mio compleanno" e cose così, che a quattordici anni uno fa fatica a digerire. Avevo smesso di andare alle macchinette da sola, perché non volevo fare scorta di occhiatacce e derisioni. Evitavo di unirmi ad uscite di gruppo, in cui fossero presenti alcuni dei ragazzini che sprecavano per me pezzi d'odio. Ho finito l'anno con la pagella brillante e l'umore spento. A settembre, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso ed io che in lacrime scongiuravo mia madre di non mandarmi più in quella scuola, che avrei preferito rinunciare all'istruzione piuttosto che a tornare tra quelle mura. Il mese seguente l'ho passato a casa, alla ricerca d'una soluzione che mi portasse via da un entourage che mi soffocava la serenità. Ho cambiato città e scelto altre facce con cui condividere la mia crescita scolastica. Ho cambiato gli insegnanti, che non si erano mai accorti di nulla, i compagni che hanno fatto finta di niente o che mancavano di sensibilità perché troppo distanti dalla mia realtà. Ho cambiato atteggiamento e ho maturato una diffidenza che mi ha condotto a sedare molte parti della mia identità. Ho riempito la cartella di promesse e di un dolore che solo il tempo, oggi, è riuscito a curare. Ho peccato d'una debolezza che profuma di fallimento, di mancato riscatto personale e mi pesa sul cuore come un macigno destinato all'eternità.
Ora,

Non sempre , parlare in dialetto significa arretratezza , come affermano i puristi ( fra cui anche i miie genitori 😌😨)


come dicevo dal titolo  questa  storia riportata  da  http://invececoncita.blogautore.repubblica.it/articoli/2017/05/27/ci-stanno-certe-fuosse/ lo  dimostra  

Fra Montaguto, paese irpino di 400 abitanti, e Toronto è nato il primo, almeno che io sappia, telegiornale bilingue che fa (quasi del tutto) a meno della lingua italiana: gli anchormen parlano dialetto irpino e inglese. Può sembrarvi una bizzarrìa, ma nel grande capitolo del “chi va, chi torna, chi resta” il canale on line www.montaguto.com si propone il nobile compito di tenere in contatto la comunità montagutese emigrata molti decenni fa negli Stati Uniti e in Canada e i quattrocento rimasti, e nel frattempo nati o tornati.L’inglese, lingua madre degli irpini di seconda o terza generazione nati in America del Nord, traduce i messaggi in dialetto, e viceversa. Bisnonni e pronipoti comunicano sul web. La vecchia Adelina manda tanti cari saluti da oltreoceano ai paesani, i paesani raccontano agli emigrati i fatti di casa. “Vogliamo mettere, anzi rimettere in contatto gli irpini a distanza”, mi dice Michele Pilla, direttore del giornale on line.Scrive. “In questo piccolo borgo in provincia di Avellino abbiamo sentito il bisogno di raccogliere le testimonianze dei nostri vecchi, di far parlare il paese con chi se ne è andato tanti anni fa, con chi è cresciuto senza mai tornare. Le loro radici e le nostre si intrecciano anche se un oceano le separa”. “’Cerase cerase… ognuno a la casa’”, va  in onda sulla nostra pagina web: insieme a me ci lavorano Francesco Mascolo e l’anchorman Domenico Del Core, da Toronto. Del Core legge le notizie in inglese per tutti i montagutesi che vivono all’estero e non capiscono il dialetto. Così poco a poco lo ritrovano, tornano ad impararlo. Quasi tutti lo hanno sentito in casa dai nonni emigrati, poi lo hanno perduto. D’altra parte anche a chi vive a Montaguto è utile imparare meglio l’inglese, o impararlo daccapo, per comunicare coi congiunti lontani. Videomessaggi, saluti, notizie domestiche e un tg”.Le rubriche s’intitolano “Lu paès”, “Lu tiemp”, “Andò stim”. C’è una fondamentale sezione necrologi. In “Montagutesi abroad” si apprendono notizie di paesani a Boston e si recuperano ritagli di giornale che celebrano la vita e le opere di chi è partito e ha fatto anche solo relativa fortuna. Dal paese partono informazioni sullo stato delle strade (“ci stann certe fuosse che ponno scassà le ruote”), la situazione dei funghi e dei cinghiali. Il pezzo forte è il tg, vale la pena andarlo a cercare su Youtube. Non ha frequenza regolarissima, l’ultimo è di aprile di quest’anno, ma il sito e Facebook sono aggiornati. “In inglese e dialetto diamo notizie di attualità, rubriche di approfondimento, videoselfie, vecchie foto del paese, passeggiate tra i vicoli di Montaguto e la voce dei tanti montagutesi sparsi per il mondo con saluti audio e video”.Un vecchio saluta col detto “Omme se nasce, brigante se more”, sempre attuale. Alla fine resta la strana sensazione di un mondo sospeso fra un tempo remoto e un presente lontano, ma l’Italia dei paesi è tutta così. Ovunque ci sono Montaguto abitate da chi è rimasto, coi pronipoti che tornano a riaprire le case di campo dei nonni e farne, se possono, un resort. Ovunque, dall’Irpinia al Veneto, le comunità divise dall’emigrazione del secolo scorso (e di questo) si rimpiangono, si cercano, si tramandano raccomandazioni. E’ anche un modo per capire meglio, a partire dalle nostre, le migrazioni degli altri.
Infatti a volte  ritornao  

Storie di emigrazione: dagli Usa a Belluno in cerca delle radici


Il viaggio di Christine Cannella, signora americana di origini pontalpine, è partito da un cucchiaino






L'emozione di Christine: dagli Usa a Belluno per trovare le sue radici
Christine Cannella ha realizzato il suo sogno: vedere i luoghi da cui la sua famiglia è partita alla ricerca del "sogno americano". Una storia che affonda le sue radici nel secolo scorso e che oggi, a quasi cent'anni di distanza, è ancora capace di emozionare. Eccola mentre si racconta durante la sua visita al MiM Belluno LEGGI L'ARTICOLO

BELLUNO. Si dice che in ogni racconto, insieme agli altri componenti che ne costituiscono l’ossatura, ci sia sempre un "oggetto magico", ossia quell’elemento che permette al protagonista di tirare le fila e raggiungere l’obiettivo che si è prefissato. Quella di cui parleremo, anziché un racconto o una fiaba, è una storia vera, ma vede comunque la presenza di un oggetto magico, in questo caso un cucchiaino d’argento con impresse decorazioni floreali e la sigla “MB”. Ma per capire bene il ruolo che ha rivestito questo manufatto bisogna partire dall’inizio, raccontando la storia di Christine Cannella Carrara, che da sempre vive negli Stati Uniti, ma le cui origini sono bellunesi, precisamente pontalpine.






Sin da quando era bambina Christine ha nutrito un desiderio: riscoprire le proprie radici. Un sogno che ha realizzato in questi giorni, riuscendo ad arrivare per la prima volta, insieme al marito Marty Carrara, in provincia di Belluno.Martedì, accompagnata dalla guida turistica Paola Bortot, è stata prima all'Archivio storico di Belluno e poi in parrocchia a Cadola. Nel pomeriggio ha visitato il Mim, Museo interattivo delle migrazioni dell'Abm. E lì l’abbiamo intervistata. «Mia nonna, Virginia Bridda, nacque il 29 settembre 1900 a Roncan. Suo papà si chiamava Giovanni», racconta Christine, che non parla italiano, in quanto, come spiega, era considerata dai suoi avi la "lingua degli adulti".



«Mio nonno, Antonio Viel, era nato invece il 9 dicembre 1891 a Quantin, da Luigi e Maria Luigia Viel». Antonio emigrò in Florida il 28 maggio del 1909, a 17 anni. Poi si spostò a Cresson, in Pennsylvania, dove andò a lavorare in una miniera di carbone. «Mia nonna inizialmente rimase a Ponte nelle Alpi», dice ancora Christine. «Dalle ricerche fatte in parrocchia a Cadola ho trovato il certificato di battesimo di mio nonno e quello di matrimonio con Virginia: si sposarono il 14 febbraio del 1920, proprio a Cadola. Il 28 dicembre dello stesso anno nasceva il loro primo figlio, Luigi Giovanni».Nel 1930 Antonio si spostò a Edison, in New Jersey, dove iniziò a lavorare per la Johnson & Johnson e stabilì lì la sua famiglia. «Antonio e Virginia misero poi in piedi un locale, "Viel's Tavern"», continua Christine. «Dopo la morte del nonno, mia nonna, che ho sempre chiamato "Nonni", continuò l'attività. Con lei anche mio padre e mia madre, Carmen Charles Cannella e Maria Eliza Viel, e mia zia Florence Emma. Personalmente ero molto attaccata a nonna Virginia e il mio compito da bambina era preparare i tavoli. Un giorno ho trovato un cucchiaino d’argento. Per me era bellissimo e ho chiesto alla nonna di chi fosse: mi rispose che apparteneva a sua madre. Anni dopo scoprii che le iniziali "MB" erano quelle della mia bisnonna, Maria Antonia Bortot. Quel cucchiaino per me fu come un mistero, una favola, la "scarpina di Cenerentola". Ed è proprio in quel momento che è iniziato il mio sogno di scoprire le origini della mia famiglia».



Un desiderio che è cresciuto nel tempo e che si è concretizzato due anni fa quando, tramite i social network, Christine ha contattato Nick Simcock, volto noto a Belluno, chiedendogli aiuto: «Gli ho scritto dicendogli che mi ponevo l'obiettivo di realizzare il mio sogno per il mio sessantesimo compleanno». Compleanno che "cade" proprio quest'anno e Christine e si è fatta questo grande regalo: arrivare a Belluno. «L’emozione che sto provando è indescrivibile», mette in risalto. «Per me è un miracolo che si realizza». Ieri pomeriggio il suo viaggio ha visto come tappa Quantin, con la visita al cimitero, dove è ancora sepolto il bisnonno Luigi. «Tra l’altro, quello che fino a poco tempo fa era l’orologio del campanile di Quantin era stato donato da mia nonna alla morte del marito», ricorda Christine. «Allora aveva commissionato alla una ditta di Cadola di realizzare e installare quest’orologio». Ieri Christine e il marito Marty hanno incontrato il parroco, don Giorgio Aresi, che per l’occasione ha anche celebrato una messa, seguita da un rinfresco alla vecchia latteria del paese.



 paese.

BASTA SOLO ESSERE ISLAMICO PER FAR PARTIRE LA CACCIA ALLE STREGHE

OTTIMO IL COMMENTO DI MICHELE SERRA SULLA SUA RUBRICA DEL 27\5\2017


L'immagine può contenere: sMS

Giuseppe Scano ha condiviso il post di Giovanni Cimmino.
19 ore fa

L'immagine può contenere: spazio all'aperto
Giovanni Cimmino con Rosa Di Carlo e altre 42 persone.
il, trentenne marocchino sposato con una russa cristiana ortodossa, e sente festeggiare.
La stessa sera avveniva l'attentato di Manchester.
Il bravo cittadino pioltellese (o pioltellino, boh) allora, fa due più due, si precipita su Facebook e scrive che in quel bar si stava festeggiando per la strage in Inghilterra.
Immediatamente la stampa, locale e nazionale, riprende la notizia, che poi viene anche riportata dai Tg.
Mattino 5 ci fa addirittura un servizio sopra, con tanto di interviste ai musulmani locali e alla gente del posto.
Al bar Marrakech arrivano i carabinieri e l'antiterrorismo.
La notte, qualcuno lancia una bottiglia incendiaria contro la saracinesca del bar, provando a dargli fuoco per ritorsione.
Il problema, però, è che quella sera, al bar Marrakech, c'era una festa privata che era iniziata anche molto prima dell'ora dell'attentato.
Ma è bastato pochissimo, è bastato che un imbecille qualsiasi puntasse il dito contro un uomo la cui unica colpa era quella di essere marocchino per scatenare la "reazione" di chi pensa di "difendersi" a suon di molotov, di chi è convinto di essere "in guerra" perché l'hanno detto in TV, l'ha letto sui social, lo dice Salvini.
La tipica, sempreverde, dinamica della più classica "caccia alle streghe", insomma.
Ora Adil dice che ha paura ad uscire di casa, vede che lo sguardo delle persone nei suoi confronti è cambiato.
E ha organizzato un "aperitivo solidale" sabato prossimo.
Spero tanto che, se non altro, riesca a guadagnare abbastanza da riparare i danni fatti alla saracinesca del suo bar dal fuoco.
Per gli altri danni, quelli provocati dallo sguardo della gente, probabilmente ci vorrà più tempo, purtroppo.
In bocca al lupo, Adil.
(Emiliano Rubbi) "

MiFACCIO LA STESSA DOMANDA  CHE SI  FA    
Guido Matucci Purtroppo c'è confusione. Anche i giornali rilanciano sistematicamente falsi scoop, che poi vengono presi per veri. E quale è la differenza tra un fake, una falsa notizia creata dal blog e lì rimasta, e la stessa falsa notizia ripresa da giornali e tv? Mi pare che esista un Ordine dei giornalisti, che anziché fare processi politici alle idee (mi viene in mente la patata bollente), potrebbe intervenire con una condanna pubblica di questi pseudofatti rilanciati da pseudogiornalisti. fake, una falsa notizia creata dal blog e lì rimasta, e la stessa falsa notizia ripresa da giornali e tv? Mi pare che esista un Ordine dei giornalisti, che anziché fare processi politici alle idee (mi viene in mente la patata bollente), potrebbe intervenire con una condanna pubblica di questi pseudofatti rilanciati da pseudogiornalisti


NEL COMMENTARE  IL POST DI MICHEOE SERRA  



NE


NEL  

miliano Rubbi

27.5.17

c'era volta .... primna di facebook

Paolo Bonfanti - Bei tempi andati


Sergio Pala
9 hC'era una volta...
Quando Mark zuccamarina non aveva inventato sto cavolo di social tutti conducevamo un'esistenza più tranquilla e rilassata. Poi me ne é arrivato sto tipetto qui, che, fiutato l'odore dei soldi attippo segugio della Val Brembana, ha posto fine a questo Eden. Oddio. I cafoni, i maleducati sono sempre esistiti. Ma, per tale connotazione, venivano relegati ai margini della società civile. Nascevano, vivevano e morivano nel quasi totale anonimato.Ed era giusto così. Ora invece, te li ritrovi ogni santo giorno..attippo camion alla Fumosa *, simili alla sabbia che ti si annida nei boxer. Fastidi di cui faresti volentieri a meno. Che una volta, molti tra questi Lord inglesi, svezzati a pane e Montessori, non avevano la possibilità di esternare a mezzo mondo quanto la loro mente dopo breve travaglio partoriva. Vuoi tu per il timore di una querela, vuoi tu per il timore di prenderle di santa ragione. Invece ora mi diventano invincibili, affilano la tastiera e protetti dallo scudo - schermo combattono attippo Isis contro la buona regola dell'educazione. E perdono. Perdono perché l'offesa qualifica loro, ed io li considero tre volte peggio di quel che scrivono. Ma non lo dico. Chiamatemi codardo. O semplicemente educato. O cauto. Perché rischiare una querela per far il figo su Facebook è roba da ricovero coatto. La noia porta a questo. Chi non riesce ad avere un dialogo civile e senza offendere scelga altri svaghi. Non mi riferisco ad un singolo episodio. Che sta preghiera " dacci oggi il nostro insulto quotidiano" è da interrompere. Vacciniamoci tutti contro sta pericolosa epidemia. E con le belle giornate andiamo al mare...anche se c'è la sabbia pazienza. Leviamocela dalle palle. E la gente maleducata pure. A dopo.
* frazione  fra  tempio p e Bortigiadas





26.5.17

per i media ci sono morti e morti . i morti a Manchester hanno più spazio di quelli morti in egitto eppureil destino e la mano vigliacca è la stessa

leggi anche
http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2017/05/nei-loro-occhi-daniela-tuscano-ed-altre.html


Compagnidistrada ha condiviso il post di Anna Salori Ciampi.
Pubblicato da Daniela Tuscano18 h
Anna Salori Ciampi

proprio mentre leggo della econda  storia mi ritorna  in mente  questa  cnazone della mia infanzia
BAMBINI - Paola Turci

Anche qui sono morti tanti bambini. clome a Manchester , ma i  media  solo   scarne norizie  rispetto  ai primi  . Ma   mi chiedo    che  importanza  ha  s'erano egiziani e cristiani? o meglio coti in quanto come afferma  l'introduzione del video sotto   cuirata  da   Ugo Leo ? o  fosserro atei e non credenti  ?
  La maggior parte dei cristiani in Egitto sono copti.Copto deriva dalla parola greca “aygiptos” che vuol dire egiziano.La chiesa copta risale al 50 d.C. quando si dice che l’apostolo Marco visitò l’Egitto.
Le credenze generali sono condivise con quelle della chiesa ortodossa orientale.
Parte delle cerimonie sono in copto, una lingua che deriva dagli antichi egizi.
La chiesa copta è guidata dal Papa di Alessandria che risiede a Il Cairo.
Il numero di copti in Egitto è oggetto di contestazioni: si aggira attorno al 10-15% degli 84 milioni di egiziani.
I radicalisti islamici hanno attaccato i copti e le loro chiese.
L’ondata di violenza contro la comunità religiosa è aumentata negli ultimi anni dopo la destituzione nel 2013 del presidente islamico Morsi.
L’attacco più sanguinoso risale al primo gennaio 2011. Ad Alessandria un’autobomba esplode davanti ad una chiesa alla fine della messa di mezzanotte provocando 21 morti.

Attacco armato a bus di cristiani in Egitto: “Ci sparavano contro e filmavano tutto”Almeno 35 morti, molti bambini. Il pullman era diretto al monastero di Anba Samuel


Pubblicato il 26/05/2017
Ultima modifica il 26/05/2017 alle ore 15:07
ROLLA SCOLARI



Stavano andando a pregare al monastero di Anba Samuel, vicino a Minya, nell’Alto Egitto, 220 chilometri a Sud del Cairo. Uomini armati hanno fermato il loro autobus. Erano otto o dieci, secondo i testimoni. E hanno iniziato a sparare, filmando tutta la scena. Hanno ucciso almeno 35 persone, molti bambini. È l’ennesima strage di cristiani copti in Egitto, in cinque mesi. La comunità, che rappresenta il 10 per cento di una popolazione egiziana di 92 milioni, si era a malapena ripresa dallo choc del doppio attentato che il 9 aprile, nella Domenica della Palme, durante le messe o poco dopo, ha colpito due chiese: una a Tanta, nella regione del Delta del Nilo, e l’altro nella cattedrale di San Marco ad Alessandria, da dove il papa Tawadros, leader della Chiesa copta d’Egitto, era uscito da pochi minuti.
I cristiani copti quel giorni hanno pianto 46 morti, altre 29 persone erano morte nell’attentato alla chiesa di Botroseya, nel complesso della grande cattedrale del Cairo, a dicembre. In entrambi i casi, gli attacchi erano stati rivendicati dallo Stato Islamico, che è sempre più attivo nel Sinai egiziano, da dove almeno 300 famiglie di copti nei mesi passati sono scappati verso le città del Delta per sfuggire alle persecuzioni degli estremisti. L’assalto all’autobus non è ancora stato rivendicato da alcun gruppo. In febbraio, dopo l’attacco alla chiesa del Cairo, e utilizzando le immagini di quella strage, lo Stato Islamico ha pubblicato online un video in cui indicava i cristiani come le sue “prede preferite”.



Il nuovo massacro arriva alla vigilia del mese sacro del digiuno di Ramadan, che si apre domani. In passato, gruppi estremisti hanno indicato questo periodo come il momento ideale per portare a termine le loro azioni di morte. Benché la comunità copta sostenga il presidente AbdelFattah al-Sisi, che ha promesso di arginare i terroristi in Egitto e di proteggere i cristiani, questo ennesimo atto di sangue farà sorgere nuove domande sulla protezione della comunità e in generale la sicurezza nel Paese minacciato dai fondamentalisti. Dopo l’attentato di dicembre, nelle principali città egiziane le chiese hanno ottenuto maggiore protezione da parte delle forze dell’ordine, eppure agli estremisti è stato possibile colpire durante le celebrazioni della Pasqua.


22 maggio alle ore 20:23 ·

Cagliari, Saline Conti Vecchi: il primo sito archeologico in un impianto ancora produttivo

per  saperne di più
http://www.leviedellasardegna.eu/storia_delle_saline_in_sardegna.html
https://it.wikipedia.org/wiki/Saline_di_Molentargius
http://www.parcomolentargius.it/articolo.php?art=885

  da http://www.repubblica.it/cronaca/2017/05/26/news/saline_conti_vecchi_il_primo_sito_archeolgico_all_interno_di_un_impianto_ancora_produttivo-166458088/  dove  potete  trovare nella slideshow  altre immagini



CAGLIARI - I fenicotteri rosa sono diventati i guardiani delle bellezze della Sardegna meridionale. 

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Gli ultimi arrivati in questa terra di approdi e partenze sono la prima meraviglia che si incontra all'ingresso delle Saline Conti Vecchi, monumento di archeologia industriale inaugurato oggi ad Assemini, alle porte di Cagliari, grazie alla collaborazione tra il Fai (Fondo Ambiente Italiano) e l'Eni. Le saline Conti Vecchi sono un impianto di estrazione del sale avviato nel 1929 e da allora sempre in funzione. 
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È il primo sito archeologico aperto all'interno di un impianto ancora produttivo. Il Fai ha restaurato l'impianto originario di inizio Novecento, i vecchi uffici e le vecchie officine. Ma tutt'intorno c'è l'impianto attivo - e questa è la particolarità unica - anch'esso visitabile. Così,  insieme agli ambienti di inizio Novecento (diventato il monumento di archeologia industriale), si vedono le vasche rosa in cui il sale sta "maturando" per la raccolta di fine ottobre e novembre.ndial dove Eni lavora il cloro. Intorno pale eoliche che svettano sulla laguna e sullo sfondo i monti di Capoterra. 
Il lavoro del Fai cerca di portare sviluppo sostenibile in un'area nata dall'intuizione di un imprenditore illuminato, l'ingegner Luigi Conti Vecchi, tra il 1921 e il 1929, e gli scempi fatti dalla politica industriale in Sardegna negli anni Sessanta e Settanta. La visita alle saline è un'immersione nella storia economica dell'isola di un secolo e insieme uno sguardo struggente sulla particolarità naturalistica di questa terra.

''Oro bianco'', con il FAI alla scoperta delle saline di Sardegna


Le sale degli uffici, riarredate con la consueta  precisione filologica degli esperti Fai, la voce dei pochi dipendenti (18) rimasti rispetto ai circa 1400 dell'epoca d'oro delle saline, le montagne di sale scintillanti raccontano un secolo di storia sarda ma anche di storia italiana, ricordano che in Italia non ci fu soltanto l'esperienza Olivetti. Anche alle saline Conti Vecchi ci fu il villaggio degli operai, dove il fondatore aveva pensato alla scuola, all'infermeria e a un bagno per ogni casa nel 1929, in un'isola dove nel 1973 in alcune case dell'interno ancora non esisteva. 
L'officina, la falegnameria, i laboratori descrivono un'industria efficiente in cui per non fermare mai il lavoro si poteva rifare ogni pezzo mancante, per non aspettare che il ricambio arrivasse dal continente. Le saline hanno resistito alla guerra, alle scelte scellerate della politica industriale nazionale, continuano a produrre e si rinnovano. 
Aperte da domenica 28 maggio per tutti, oggi sono state presentate alla stampa e domani l'ingresso sarà riservato agli abitanti dì Assemini e Capoterra. La collaborazione tra Eni, Fai, Regione e Comuni della zona apre infatti a una modalità di riqualificazione partecipata, dopo decenni di lotte sindacali nella zona di Macchiareddu e di battaglie per la bonifica ambientale. 
Non a caso l'inaugurazione ha avuto la partecipazione istituzionale dei grandi eventi nazionali. Insieme al sindaco di Assemini, Mario Puddu (che ha nvitato i sardi a spargere la voce per promuovere l'uso della sala eventi delle saline) hanno descritto la nuova vita delle saline l'amministratore delegato di Syndial, Vincenzo Maria Larocca, il presidente del Fai Andrea Carandini e il vice presidente Marco Magnifico, l'amministratore delegato Eni, Claudio Descalzi, il presidente della regione Francesco Pigliaru e la sottosegretaria ai beni culturali e turismo Dorina Bianchi. 
Descalzi ha annunciato per la zona l'implemento della produzione di energia sostenibile con un impianto fotovoltaico che dovrebbe andare a regime nel 2018. Il presidente della Regione Pigliaru non ha taciuto sui problemi di inquinamento ancora esistenti nell'area di Macchiareddu e dello stagno di Santa Gilla, richiamando Syndial agli impegni presi e assicurando trasparenza nel monitoraggio dei livelli di inquinamento.
"Troppe cose di buon senso non si sono fatte, oggi è bello vedere che si può  produrre senza inquinare. Qui è facile - ha sottolineato - ma ci ricorda anche quanto ancora c'è da fare, dopo che per decenni si è distrutto con una visione di breve periodo". La sottosegretaria Bianchi ha definito il turismo "il sale che può migliorare le condizioni economiche" a patto che questo turismo ripsetti tradizioni e ambiente. 
La descrizione del lavoro del Fai sulla salina descritto dal presidente Carandini ha sottolineato la "condivisione del passato di fronte al presente" e anticipato il progetto di ampliare ancora il sito con  il recupero del molo e del villaggio operaio. "Cooperazione inedita nella quale si lavora a fianco di chi lavora", ha chiosato Carandini sottolineando il compito del Fai di intrecciare ambiente e storia "comunicato in un mondo concreto".
 
Fuori dalla freschissima sala, realizzata ai primi del Novecento in maniera sapiente con mattoni di argilla, il sole arroventa il paesaggio e il riverbero è abbagliante. I fenicotteri hanno la testa nell'acqua, la Sardegna è come sempre stupefacente.



 

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