23 giugno 2017 il messagero venento
Sara brucia le tappe: affronta la Maturità dopo aver superato due anni in uno
Udine: mentre frequentava il quarto anno del liceo delle scienze umane all’Isis Percoto ha deciso di sfruttare l’abbreviazione per merito, una possibilità che il ministero riserva a quei ragazzi che hanno la media dell’otto in ciascuna delle materie di studio
Nel riquadro, Giulia Haruni assieme alla sorella Sara, studentessa del liceo Percoto, indirizzo scienze umane. E alcuni ragazzi impegnati nella prova
di Michela Zanutto
UDINE.
Due anni in uno, anche grazie a una memoria di ferro.
Sara Haruni mentre frequentava il quarto anno del liceo delle scienze umane all’Isis Percoto ha deciso di sfruttare l’abbreviazione per merito, una possibilità che il Ministero riserva a quei ragazzi che hanno la media dell’otto in ciascuna delle materie di studio.
Esattamente come, ormai quasi 80 anni fa, fece Pier Paolo Pasolini. Ma Sara ha trovato l’ispirazione in Albert Einstein che è diventato anche il fulcro della sua tesina d’esame.
L’insegnante di filosofia Annalisa Filipponi, quasi per caso, durante l’anno le consegna un libricino di 80 pagine, «Il mondo come lo vedo io» di Albert Einstein: «Non parlava di fisica o la relatività o quanti, ma di come Einstein vedeva la pedagogia, i metodi di studio – racconta Sara – e anche la sua concezione della guerra e della crisi, la reazione allo sgancio dell’atomica.
Mi ha colpita molto soprattutto la visione della crisi ed è nelle sue parole che ho trovato la forza per andare avanti. Einstein credeva che il momento della crisi fosse il più bello perché è quello in cui nascono i progressi. Mi sono ispirata a queste parole per rendere la mia vita migliore».
A dicembre dello scorso anno in classe è stata letta la circolare ministeriale che apriva la possibilità dell’abbreviazione per merito.
«Inizialmente tutti abbiamo creduto fosse una pazzia – ricorda Sara –. Ma ripensandoci mi sono detta, perché non provarci. I requisiti prevedevano la media dell’otto in tutte le materie e io ce l’avevo. Non c’erano esami integrativi, ma tutto il programma di quinta l’avrei dovuto preparare per conto mio».
E così Sara si è buttata. «Nel pomeriggio, più o meno fino all’ora di cena studiavo per la quarta e poi prendevo in mano i libri dell’ultimo anno – dice –. Nessuno ha mai valutato la quinta durante l’anno, ho fatto due simulazioni d’esame ma non potevano fare media nemmeno quelle.
Sinceramente non so nemmeno io come ho fatto, l’unica cosa brutta è che la circolare è uscita tardi, perciò ho dovuto recuperare i mesi da settembre a dicembre. Ho preferito iscrivermi, anche se non avevo la certezza di farcela, ma era meglio provarci piuttosto che rimpiangere».
Quello appena concluso è stato per Sara un semestre interamente dedicato allo studio. Perché, oltre all’impegno per superare brillantemente il quarto e il quinto anno, c’era anche la certificazione d’inglese, «una decisione presa prima del tuffo nell’abbreviazione», sottolinea.
«Se è stata dura? Diciamo che non mi è pesato molto perchè ho una memoria piuttosto forte – rivela –: mi basta leggere una volta e ripetere e poi è tutto fissato. È una fortuna.
Ma ci sono stati periodi terribili. Le vacanze di aprile mi hanno aiutata perché mi hanno consentito non solo di arrivare alla pari con il programma di quinta, ma di superare i miei compagni, che poi mi hanno ripresa».
Ad aiutarla in questo percorso è stata anche la sorella Giulia, che ha 21 anni e studia psicologia all’università: «Abbiamo un rapporto stupendo – riconosce Sara –. Ci siamo aiutate e motivate a vicenda in questo studio.
A un certo punto i miei genitori erano preoccupati perché avevano paura che questo grande impegno stesse facendo male alla mia salute. C’è stato un insieme di cose che li ha spaventati, ma il fatto di vedermi felice e tranquilla poi li ha rasserenati. Io non ho preso quest’avventura come un obbligo, ma la sto vivendo con serenità».
Dopo la fatica dei primi due scritti, «le tracce purtroppo erano molto simili fra loro», lunedì sarà il momento della Terza prova che però non spaventa Sara: «Sono abbastanza tranquilla – ammette –. I primi di luglio ci sarà l’orale e poi per tutto il mese non voglio toccare un libro. Ma già ad agosto mi rimetterò sotto in vista delle prove d’accesso all’università. Non so ancora cosa scegliere, ma di sicuro sarà una bella avventura».
Oggi, guardandosi indietro, Sara vuole ringraziare chi le è stato accanto (mamma Tale e papà Fatmir, oltre alla sorella Giulia e le amiche, i compagni e gli insegnanti sia di quarta sia di quinta «che mi hanno sempre sostenuta»).
Il “sì” di Francesca e Mirko a Portis vecchio, il borgo disabitato dal ’76
Nella frazione di Venzone i volontari hanno rifatto il perimetro della chiesa distrutta dal sisma. Sabato 24 giugno, alle 16.30, le nozze: «I nostri genitori ci hanno trasmesso l’amore per questo luogo» di Giacomina Pellizzarilegi anche
Portis vecchio "rinasce" grazie a un gruppo di volontariVENZONE. Un «sì» detto a Portis vecchio tra i ruderi della chiesa di San Rocco riportati alla luce da un gruppo di volontari, sabato 24 giugno, alle 16,30, farà risplendere l’anima del luogo disabitato da 41 anni. A Portis vecchio non vive più nessuno dalla sera del 6 maggio 1976, quando il terremoto distrusse il Friuli.La frazione di Venzone è stata ricostruita altrove, al riparo dalla frana, ma il cuore della gente è rimasto tra queste case il cui destino sembrava irrimediabilmente segnato dalle croci di Sant’Andrea. Le lesioni che decretano le demolizioni.
Sembrava, è proprio il caso di dirlo, perché gli abitanti idealmente non hanno mai smesso di vivere lì e ora che Francesca Gollino e Mirko Fadi, 30 e 33 anni, entrambi di Venzone, si apprestano a giurarsi amore eterno nel paese che conoscono attraverso i racconti dei genitori, Portis vecchio riprende a vivere veramente.
Questa storia racconta come, dopo una catastrofe naturale, la gente cerca le sue radici tra le macerie. Tutto è iniziato nel 2012 quando gli Amis di Sant Roc (38 persone guidate dal sacerdote della parrocchia di San Bartolomeo, monsignor Roberto Bertossi) memori della fanciullezza trascorsa seguendo l’andamento delle piene del Tagliamento, hanno deciso di rimuovere le macerie depositate, dopo il sisma, nella strete dal’âghe, la scalinata che conduce al piccolo porto fluviale in cui fino all’Ottocento il legname tagliato in Carnia e diretto all’arsenale di Venezia veniva scaricato dalle zattere e caricato sui carri.
Da qui il toponimo Portis. Il riecheggiare dei racconti dove il tempo sembrava essersi fermato (nell’edificio riadattato a deposito la pagina del calendario indica maggio 1976), ha spronato i volontari a recuperare il sedime della chiesa quattrocentesca di San Rocco. «Tutti noi ricordiamo – si legge nel libricino redatto dagli Amis di Sant Roc – i racconti dei nostri avi che si riunivano di fronte al clapon a pregare perché le acque si ritirassero e restituissero sani e salvi i naufraghi».
Nell’Ottocento arrivò anche la ferrovia e per far spazio ai binari venne modificata la pianta della chiesa. Seppur rimpicciolita, quella stessa chiesa continuò a vigilare sul promontorio quasi fosse un faro.
Il terremoto non la risparmiò, venne demolita assieme a molte case. La frana costrinse i circa 200 residenti a rifare Portis altrove, ma quasi fosse un’inconsapevole presagio qualcuno riferendosi al trasloco obbligato scrisse: “Portis deve rinascere qui”. Non poteva immaginare che a 41 anni di distanza quella sorta di promessa sarebbe stata mantenuta.
In una mattina di novembre di cinque anni fa, i 38 volontari iniziarono a disboscare le aree dalla vegetazione che a oltre tre decenni dal terremoto aveva invaso l’area della chiesa e la piazza del paese.
A marzo dell’anno successivo vennero rimosse le macerie per liberare la scalinata verso il fiume e recuperate le pietre riutilizzate per rifare i muri di contenimento e il sedime della chiesa di San Rocco. Fu un lavoro duro e minuzioso, frutto della determinazione di chi non poteva sfuggire ai racconti ascoltati chissà quante volte da bambino.
Ogni estate il gruppo dei volontari aggiungeva un tassello: dalla celebrazione della Santa Messa all’inaugurazione della chiesa che la presenza della ferrovia impedisce di ricostruire. Ora qui si celebra la Via Crucis, si commemorano le vittime del terremoto e si organizzano concerti.
I volontari, con la collaborazione della Pro loco, hanno rifatto l’aula della chiesa, installato l’altare sul pavimento in seminato veneziano, recuperato le campane per sistemarle poi su un’intelaiatura in ferro che ricorda il campanile a vela. Tutto questo mentre negli orti le semine proseguono e le rose continuavano a sbocciare.
A Portis vecchio la vita non si è mai lasciata sopraffare dalla morte. Facendo tesoro della storia, la comunità e il sindaco, Fabio Di Bernardo, hanno proiettato Portis vecchio nel futuro trasformandolo in un laboratorio a cielo aperto dove gli studiosi dell’università di Udine e la Protezione civile mettono in sicurezza gli edificio.
Quello che è stato risparmiato dal terremoto non si tocca e la viabilità interna è parte integrante della ciclabile Alpe Adria. Recentemente il Comune ha investito 100 mila euro nell’asfaltatura della strada principale. Non si faceva da 41 anni.
Pure questo è un segno di rinascita che mantiene legati Francesca e Mirko a questo luogo. «I miei genitori sono originari di Portis vecchio, se ne sono andati assieme agli altri abitanti dopo il terremoto. Tutti hanno mantenuto un forte attaccamento con il paese e trasmesso ai figli l’amore per questo luogo», racconta Francesca non senza aggiungere: «Oggi è un paese abbandonato, ma in futuro Portis vecchio potrebbe diventare un museo a cielo aperto».
E in quel museo non mancheranno gli oggetti descritti nei tanti aneddoti sui vissuti nell’osteria gestita dai suoi nonni. Anche Mirko va alla ricerca delle sue radici a Portis vecchio: «Fa parte del mio vissuto – rivela –, non posso dimenticarlo».
E allora che la festa abbia inizio con i 100 invitati, gli Amis di Sant Roc e tutti coloro che hanno un legame con Portis vecchio. L’unico inconveniente potrebbe essere rappresentato da un possibile temporale estivo. Francesca alza gli occhi al cielo e scongiura l’arrivo delle nuvole.