8.11.15

occhio cattivo di © Daniela Tuscano






OCCHIO CATTIVO

Certo. Forse trovo
Affinità ovvie, forse siamo
Tutti uguali, in penombra,
Corrucciati.
Forse, però
Nello sguardo, duro e fisso
Vedo il tuo, il mio tormento.
Vedo lande desolate,
Una fine ormai prescritta,
Sudata, spenta, espiata.
Non sei angelico. Sei bieco,
Hai l'occhio senza luce,
La pupilla braccata,
Inchiodata ai troppi guai. 
Da quel giorno, in cui peccasti,
Il tuo umano è deflorato
E il tuo corpo ormai resiste
Puro e casto, nei tuoi versi,
In un'anima preziosa,
Barocca, egra, mendica.
Così io; ci son ferite
Prive di misericordia,
E la pace è un'illusione.
Solo l'arte, o la sua eco
Può lenire tanto strazio.

(A Pier Paolo Pasolini)

© Daniela Tuscano

una birra locale ed artigianale vince contro una grande birra . Tertenia: la birra Moretta vince la battaglia del marchio. Passo indietro della Heineken e produce la prima birra a chilometri zero in Sardegna.

Ogni tanto    capita   , come potete  apprendere  dal post d'oggi , che una piccolo prodotto   locale  di nicchia   vinca    sul grande  non per   la diffusione  ma  per la sua stessa  sopravvivenza e  potersi  fregiare  del suo nome  .  E' il caso di una  birra  artigianale prodotta , per  giunta  da    donne   qui  il sito  della ditta   ,   a  Tertenia  un paese   dell'interno della  Sardegna  .







Se nel caso non riusciste a vederlo perchè ancora non riesco a scaricare  cn downloadhelper  (ora  disponibile anche per  google  chrome  )   il video vero e proprio ma  solo la pubblicità  contenuta  al suo interno   potete  trovare     la  video  storia  la  potete trovare o qui all'interno dell'articolo   ( il cui testo lo trovate sotto )  o sulla pagina dei media all'interno del sito stesso 


da  l'unione sarda  del    7\11\2015  20:25 - ultimo aggiornamento alle 21:03
Tertenia: la birra Moretta vince la battaglia del marchio. Passo indietro della Heineken

estratto dal video  dell'unione 



La famiglia Lara ha trascorso oltre un anno con il fiato sospeso a causa di una diffida presentata dalla Heineken:
«Secondo loro la nostra birra Moretta ricordava troppo la loro birra Moretti», racconta Francesca Lara.
«Abbiamo risposto alla lettera motivando la scelta della nostra etichetta», precisa l'’imprenditrice.
Qualche giorno fa Alberto Bottalico, responsabile dell'’ufficio stampa Heineken, ha inviato una lettera alla famiglia Lara che conteneva un messaggio emozionante: «Nessun Plagio. Sia benedetta la birra Lara».


  per  il video intervista  ad  uno dei responsabili    lo trovate  andando alla    fonte  dell'articolo 
)
 Oggi alle 16:21



Bionda, saporita e con un grado alcolemico di appena 4,7 per cento.
È l’ultima arrivata in casa Lara e la prima birra a chilometri zero in Sardegna.
Il birrificio a conduzione familiare di Tertenia inaugura Breca, realizzata con materie prime prodotte nell’isola: lievito, orzo, grano, luppoli e acqua.
Intanto il colosso mondiale Heineken, dopo aver fatto un passo indietro sul presunto plagio dell’etichetta Moretta, benedice la birra sarda e i proprietari Francesca Lara e Gianni Piroddi tirano un sospiro di sollievo.






  ne  avevo  già  parlato  qui   sul blog  quest'estate  , ma poiché non  ho voglia  di cercare   l'url  \  l'articolo  ,   trovate  qui sotto un  " riassunto  preso da  http://www.ladonnasarda.it/succede-che/4971/birra-moretta-una-bella-storia-di-imprenditoria-femminile.html






Birra Moretta, una bella storia di imprenditoria femminile 
di Martina Marras | 14 luglio 2015


                                               Le sorelle Lara



Il microbirrificio Lara si trova a Tertenia, piccolo centro ogliastrino. Nato per caso dall’intuizione della maestra birraia Francesca Lara, proprietaria dell’attività, è diventato particolarmente famoso negli ultimi tempi, in seguito alla diatriba sulla legittimità del nome scelto per una delle birre prodotte nello stabilimento sardo. Sichiama Moretta, la scura delle Quattro Sorelle (Sennora, Affumiada e Piculina) e la cosa non è piaciuta alla Heineken.
Secondo il colosso che produce anche la baffuta birra Moretti l’assonanza fra i due nomi non sarebbe casuale e pertanto non dovrebbe restare impunita. Di altro avviso l’imprenditrice: «Abbiamo registrato il marchio alla Camera di Commercio - spiega - e nessuno ci ha detto che non potevamo utilizzarlo. Mi sembra poi che non ci sia nessuna effettiva somiglianza, dal momento che la nostra è una Moretta nell’etichetta - dove si vede una donna dai capelli scuri, ndr - e nella sostanza, trattandosi appunto di una birra scura». 
Mai avrebbe pensato, Francesca, che qualcuno potesse storcere il naso. «Ovviamente non potevamo immaginare che potesse succede una cosa del genere. Noi abbiamo agito in buona fede, senza prendere spunto da nomi noti».
Il birrificio Lara non ha comunque intenzione di farsi intimorire. «Non è stato bello, ricevere una lettera firmata da 15 avvocati, ma noi siamo decisi a non cambiare il nome alla nostra birra - spiega - abbiamo mandato la nostra risposta ufficiale, spiegando che siamo disposti a modificare l’etichetta da Moretta a Lara Moretta».La storia di Francesca e del suo birrificio è una di quelle che meritano di essere raccontate. Non solo perché lei, a 42 anni, è una delle poche birraie donne in Italia, ma anche perché tutto è 



nato per caso, o per amore, come ama dire l’imprenditrice, fino a diventare realtà dopo anni di sacrifici.
Francesca è un’infermiera professionale che ha deciso, consapevolmente, di fare la casalinga, una volta sposata. Ha sempre amato cucinare e sempre subito il fascino dei lieviti. Così, correva l’anno 1999, decise un giorno di provare a fare una birra in casa per suo marito. «Non avrei mai immaginato che potesse diventare una professione - racconta - ma mio marito rimase talmente entusiasta del risultato che mi costruì un piccolo e raffinato impiantino pilota per produrre in quantità un po’ più elevate».
L’impianto artigianale, un gioiellino come lo definisce Francesca, poteva produrre 80 litri di birra, richiedendo comunque tante ore di lavoro. «Abbiamo perfezionato le nostre ricette e circa 10 anni dopo provato a fare il grande salto aprendo il nostro piccolo birrificio».
Per Francesca sono stati anni intensi, di sperimentazione e ricerca. «Cercavo in tutti i modi di vincere un bando di imprenditoria femminile, per avere un finanziamento e avviare la mia attività», dice. Nel 2009, insieme a suo marito, finalmente inaugura il birrificio. La produzione cresce a mano a mano che il tempo passa, nel 2011 triplica. L’impianto in uso, ora, è da mille litri, ma presto verrà sostituito da uno da oltre duemila.
Una piccola realtà a conduzione familiare, che si nutre di soddisfazione e orgoglio. «Il nostro è un birrificio agricolo: siamo noi a produrre la materia prima, l’orzo e il grano. Ci occupiamo poi della trasformazione e della vendita. La nostra filiera corta ci permette di produrre una birra cento per cento sarda. Questa è la filosofia che anima il progetto e che perseguiamo con impegno e fatica da diversi anni».



5.11.15

“Chiedi di lui", un romanzo verità su Renato Zero


Un romanzo-verità su Renato Zero, che si fa apprezzare per la fluidità della scrittura e la ricchezza dei contenuti. “Chiedi di lui, viaggio nell'universo musicale di Renato Zero” è un libro originale e completo, diviso in tre parti, che abbracciano l’intera carriera del cantante romano. È un libro “per tutti” che soddisfa tutte le esigenze perché vi si ritrova il Renato degli esordi beat e pasoliniani (finalmente in modo appropriato, senza accostamenti fuori luogo ma con documentata puntualità) e quello del successo, prima scandaloso poi accettato, il periodo buio, la rinascita e la consacrazione
degli ultimi anni. E sullo sfondo le vicende storiche, sociali, politiche, sessuali e di costume di 40 anni di quest’Italia che ci fanno capire come Renato abbia rappresentato benissimo uno spaccato del nostro vissuto. Daniela Tuscano e Cristian Porcino, gli autori del volume, sono da lungo tempo attenti osservatori dell'artista. Si sono basati su testimonianze dirette e personali e sulla loro capacità critica, senza farsi condizionare dal gossip o dalla loro stessa passione. Sono infatti convinto che un libro “vero” su Renato può essere scritto solo da chi lo apprezza sinceramente, ma anche questo è un rischio perché si può sconfinare nella glorificazione o finire per “modellarlo” secondo i propri gusti, dimenticando la sua realtà. Questo rischio nel libro di Daniela e Cristian è stato evitato perché si conserva la giusta capacità di analisi senza perdere l'ammirazione. Un piccolo classico, insomma, che resisterà alle mode e al passare del tempo.

Renato Porcelli






Per acquistare il libro:

3.11.15

La pasoliniana morte di Pier Paolo di matteo tassinari con

  concludo   su Paolini   ( vedere post precedenti )   riportando lìottimo come sempre    post  dell'amico  e compagno di viaggio  http://mattax-mattax.blogspot.it/2012/10/pier-paolo-pasolini.html









Come in       un
suo        libro
di Matteo Tassinari
La morte di Pier Paolo Pasolini, 
2o anni fa, sembra una morte molto pasoliniana, come un romanzo scritto da lui stesso. Normale, piccolo borghese, era il quartiere dove abitava, così come la sua casa, con i centrini sotto i vasi di fiori, i ninnoli, i comodini e varie regalie. Una casa piccolo borghese. Non aveva, Pasolini, a differenza di tanti altri intellettuali italiani (parlo di quelli di allora, s’intende, oggi è una razza estinta), la conversazione spumeggiante, il linguaggio pirotecnico, la citazione seducente, ma il modo di parlare piano, pacato, rettilineo, modesto di chi è consapevole della propria cultura e perciò non la esibisce perché il farlo ne capirebbe l'inutile vanità. E in questa atmosfera anche le cose che diceva, le stesse che scritte suscitavano scandalo, irritavano o entusiasmavano, mentre a lui parevano cose normali, elementari, quasi banali. I gesti misurati, tranquilli, ma micidiali, quanto meno inusuali per l'élite intellettuale del periodo quando si sentiva calpestare il cuore. Divorava la sua esistenza con un appetito insaziabile. Come finirà tutto ciò? "Lo ignoro. Sono scandaloso. Lo sono nella misura in cui tendo una corda, anzi un cordone ombelicale, tra il sacro e il profano".

*Vittima ideale*
Se incontravi quel volto non lo dimenticavi. Uno sguardo profondamente segnato, ruvido, irregolare, asprigno quando andava nei dibattiti della Rai cultura spaio anni '70. Un volto. Un Cristo. Ma un Cristo diverso da quello terribile e putrefatto di Matias Grünewald o, tanto meno, dal Cristo oleografico dell’iconografia oscurantista. Insomma, anch’esso, un Cristo normale. Pasolini non aveva nei gesti, nel parlare, nel modo di porgersi, nulla della checca. Era anzi virile. La scena cambiava ogni qual volta era con la mamma e quest’uomo, l'intellettuale furioso e indignato, s'infantilizzava per sdilinguarsi in bacini e bacetti, in puci-puci imbarazzanti con la persona da lui più amata certamente con "imbarazzato" amore, tanto era.
 OMOFOBIA
   La Chiesa
l'ha maledetto, mettendo l'omosessualità tra "i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio". Mentre in molti dei seminari italiani, avvenivano rapporti omosessuali e anche in altre occasione. L'omosessualità è interna alla chiesa, come in tutti gli ambienti o spazi sociali. Alti prelati sono omosessuali, come vescovi o preti hanno tutt'ora rapporti con altri uomini. Smettiamola di dare questa idea falsa dei componenti della chiesa come lindi e intonsi, quasi asessuati e privi di esigenze sessuali. Così nascono i tabù e paranoie. Suvvia...
Tornando a Pasolini,
il padre si vergognava di lui, ma ritagliava tutti i suoi articoli che il "Corriere della Sera" pubblicava quotidianamente. A Casarsa, Pasolini è sepolto insieme alla madre, in una tomba doppia, una tomba matrimoniale. Il padre sta da solo, distante. La psicanalisi non l'ha aiutato (è andato in analisi da Cesare Musatti, ma dopo sette-otto sedute s'è ritirato). Queste sono le nostre colpe. Non l'abbiamo capito. Cerchiamo di capirlo adesso, e accettiamolo per quel che è stato. La sua scrittura grande era e grande resta. La sua vita è finita com'è finita. Non illudiamoci: la passione non ottiene mai perdono fra gli umani.
Pier Paolo Pasolini e la signora maestra Susanna Colussi, sua madre
Un
delitto senza     fine
"Forse qualche lettore troverà che dico cose banali. Ma chi è scandalizzato è sempre banale. E io sono scandalizzato. Resta da vedere se, come tutti coloro che si scandalizzano (la banalità del loro linguaggio lo dimostra), ho torto, oppure se ci sono delle ragioni speciali che giustificano il mio scandalo. Il vero scandalo di questi scritti è nella loro severità. Essi toccano fatti che coinvolgono, in modo patente o oscuro, la vita e la coscienza di milioni di uomini. Sono duri, aspri, "scandalosi" argomenti che Pasolini affronta senza indulgenza, senza approssimazioni. Il lettore degno della "scandalosa ricerca" trova qui degli scritti di "attualità" certo non effimeri, in cui si cerca di decifrare la fisionomia degli anni a venire. La tragica morte dello scrittore e le reazioni che ne sono seguite rivelano la terribile qualità profetica, il sicuro presagio nascosti in questo libro".                                                        (Pier Paolo Pasolini)

*"Il cuore te lo spaccano una sola volta,

poi sono solo graffi che non senti più" P.P.P.*

Ogni tanto si avvicinavano dei ragazzi, le classiche “marchette”, e si scambiava due chiacchiere in modo molto pulito. Uno di questi lo avrebbe fatto uccidere. L’intellighentia di sinistra italiana, nella sua ipocrisia, non ha mai accettato che Pasolini fosse morto, com'è morto.




Complotto fascista


Come minimo doveva essere stato un complotto dei fascisti, fantasticheria cui diede voce per prima Oriana Fallaci che aveva orecchiato qualcosa dal parrucchiere. E invece andò proprio così. “Pino la rana” si ribellò ad una richiesta sessuale particolarmente umiliante di Pier Paolo e contando sui suoi diciassette anni, nonostante Pasolini fosse ancora un uomo atletico (giocava a calcio, che gli piaceva moltissimo) lo ha ammazzato. Così come questa intellighenzia non ha mai capito che il fondo oscuro di Pasolini era proprio l’humus necessario al suo essere artista e, soprattutto, un grande, un grandissimo intellettuale.
“L'ansia del consumo è un'ansia di obbedienza a un ordine non pronunciato. Ognuno in Italia sente l'ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell'essere felice, nell'essere libero. Perché questo è l'ordine che egli inconsciamente ha ricevuto, e a cui deve obbedire, a patto di non sentirsi diverso. Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza. L'uguaglianza non è stata infatti conquistata, ma è una falsa uguaglianza ricevuta in regalo. La diversità è una grande ricchezza”, scriveva Pasolini nel 1974 sulla prima pagina del Corriere, come non si possono accantonare le seguenti sue parole: "Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell'aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell'omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano – cosa comune a tutti gli uomini – io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente".







L'adescamento   
Ma non si può trattare, in poche righe, l’opera di Pier Paolo Pasolini. E' possibile invece ricordare una frase che scrisse nel 1962 inserita ne “Le belle bandiere”: "Noi ci troviamo alle origini di quella che sarà la più brutta epoca della storia dell’uomo: l’epoca dell’alienazione individuale e sociale. Questo per un fiorire estremo della tecnologia che sperpera ogni tradizione culturale.
"Lo assalirono gridandogli “Fetuso, sporco comunista” 
Le parole di 50 anni fa
La corruzione sarà il male politico da difendersi". Parole dette 50 anni fa. Torna compulsivo il dubbio: la P2 è responsabile, o complice, del delitto Pasolini? Pino Pelosi, l'allora ragazzino accusato dell'omicidio, lo scorso anno dichiarò, come riportato nel libro: "Profondo Nero", che i responsabili della morte di Pasolini erano cinque uomini arrivati sul posto, come d'accordo, con una moto e una Fiat targata Catania. Tra loro due frequentatori della sezione del Msi del Tiburtino, Franco e Giuseppe Borsellino. Mentre lo picchiavano a morte gridavano: "Sporco comunista! Frocio, ecco quel che ti meriti" e botte fino a sfinirlo, sfigurarlo per poi passarci sopra il corpo tramortito con la macchina.
Il corpo    massacrato
di Pasolini
Famose le parole di Pelosi agli atti: "Se tu uccidi qualcuno in quel modo, o sei pazzo o hai una motivazione forte. Siccome questi assassini sono riusciti a sfuggire alla giustizia per trent'anni, pazzi non sono certamente. Quindi avevano una ragione, una ragione importante per fare quello che hanno fatto". In breve, chi l'ha ucciso, sa bene quando l'ha voluto e come. La lotta sul corpo di Pasolini ebbe varie fasi e si svolse in vari posti, accanto all'auto, a trenta metri, a settanta metri, a dieci. Nel primo posto fu trovato un anello di Pelosi. Lui lo riconobbe. Con la prima versione gli è stato sfilato nella colluttazione. Con la seconda versione, non riesce a dire perché gli sia caduto lì. Nel secondo posto Pasolini si fermò, si sfilò una maglietta, si asciugò il sangue.
Il corpo di Pier Paolo Pasolini, la mattina del 2 novembre 1975 ad Osta



Dietro le alfette
Poi arrivò il branco nascosto dietro Alfette in borghese ma appartenenti ai Servizi. A questo punto è interessante evidenziare la ferocia sanguinosa con cui gli assassini hanno massacrato Pasolini. Come se fosse un punto non casuale ma voluto, come a scorticare una razza una categoria: gli omosessuali. Direi che i tempi sono cambiati in meglio rispetto agli anni '70, ma sono ancora tantissimi gli omofobi che per motivi religiosi, politici, culturale calpestano i diritti di persone che non chiedono nulla se non di assomigliare a ciò che sentono dentro. Purtroppo c'è gente, ancora, che vuole cambiarti, che vuole decidere lei come devi comportarti. Per dire che la lotta per la salvaguardia dei diritti degli omosessuali è ancora sulle cime tempestose, e non pochi sono i segnali inquietanti che giungono da tutte le parti del mondo, anche da dove addirittura ti uccidono se dimostri tendenze "diverse" dal gregge.
Bombardamento ideologico televisivo
"Il bombardamento ideologico televisivo non è esplicito. esso è tutto nelle cose, tutto indiretto. Mai come oggi, un modello di vita ha potuto essere propagandato con tanta efficacia che attraverso la televisione. Il tipo di uomo e di donna che conta, è moderno, è da imitare, e da realizzare. Non è descritto, raccontato nella sua verità. E' decantato o rappresentato, alterato, plastificato". Da "Il bombardamento ideologico televisivo".                       (P.P.P.)

"Una storia sbagliata"

"Una Storia Sbagliata" di Fabrizio De André

 Epoca alienante
per i mal disposti
Pasolini stava lavorando a un romanzo-denuncia, "Petrolio", rimasto incompiuto e pubblicato postumo, quello che può a tutti gli effetti essere considerato il suo vero “romanzo delle stragi, in cui alludeva all'attentato a Enrico Mattei, presidente dell'Eni. E forse è proprio in Petrolio che si trova la chiave della morte del suo autore, legata a un altro mistero italiano: la “strana” morte di Enrico Mattei. Pasolini era venuto in possesso di informazioni scottanti, riguardanti il coinvolgimento di Eugenio Cefis nel caso MatteiPasolini scrive che Eugenio Cefis, citato con il nome di fantasia di Troya, diventa a sua volta presidente dell'Eni e questo "implica la soppressione del suo predecessore". Cefis, secondo il Sismi, è il fondatore della P2. Alla sua fuga dall'Italia, nel 1977, il suo posto fu preso da Licio Gelli. Cefis, secondo Pasolini, teorizzava un golpe bianco, senza l'uso dei militari e della violenza, attraverso il controllo dei mezzi di informazione, come descritto in seguito nel "Piano di rinascita democratica" di Gelli. Per Pasolini, il delitto Mattei è il primo di una lunga serie di stragi di Stato.
"Io ti ricordo, Narciso, Avevi il colore della sera, quando le campane suonano a morto".                  PPP
Una tesi sostenuta persino da Amintore Fanfani: "forse l'abbattimento dell'aereo di Mattei, più di vent'anni fa, è stato il primo gesto terroristico nel nostro Paese, il primo atto della piaga che ci perseguita". In "Petrolio" descrive la storia del colosso industriale Eni ed in particolare quella del suo presidente Eugenio Cefis. Lo fa con un espediente letterario: il personaggio inventato di Troya, ricalcato sulla figura di Cefis. "L'intellettuale - ha scritto Pasolini - deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento". Più semplicemente, se "Petrolio" fosse stato pubblicato, forse Pasolini sarebbe ancora vivo. Come se Saviano non fosse riuscito a pubblicare "Gomorra", sarebbe già morto. 
Sul set di Uccellacci e uccellini, 1966, con Totò

Frocio comunista? Cefis!
A questo punto, seguendo tale ragionamento, ci dovremmo chiedere perché un gruppo di picchiatori della malavita romana uccide un poeta? Allo stato dei fatti ci sono due ipotesi ritenute tra le più fondate. La prima è che Pasolini sia morto così perché è così che si moriva allora. Quelli sono gli anni '70, gli anni di piombo e gli anni della "violenza diffusa" e "trasversale". Sono gli anni in cui si ammazza le gente per quello che è, perché è diversa, politicamente e culturalmente. Ci sta che un gruppo di persone, spontaneamente o spinte da qualcuno che sta più in alto e coltiva una sua relativa "strategia della tensione", si organizzi per dare una lezione a quel "frocio comunista", come Pino Pelosi oggi solo racconta di aver sentito durante il massacro di Pier Paolo Pasolini.


E dare    una lezione     può
anche essere sinonimo di ammazzare, come era successo soltanto pochi mesi prima a Sergio Ramelli, militante dell'Msi ucciso da estremisti di sinistra a Roma, o ad Alberto Brasili, simpatizzante di sinistra ucciso da estremisti di destra a Milano, e come sarebbe successo anche dopo quel 2 novembre. La seconda ipotesi, invece, ha a che fare col lavoro di Pasolini, col suo essere lo scrittore di quel "Io so." di pochi ma potenti e pronti a tutto che vuole raccontare la misteriosa, confusa e drammatica storia del nostro Paese. Pier Paolo Pasolini lo stava facendo con un romanzo molto moderno, rimasto incompiuto che si chiama "Petrolio". In quel romanzo ci sarebbe un capitolo importante che parlerebbe dei risvolti politici e criminali che girerebbero attorno all'Eni e al suo direttore Cefis e al suo predecessore Enrico Mattei, ucciso com'è stato poi provato in seguito.

“Cos’è     questo
golpe?    Io so”
Pasolini, nel famoso editoriale apparso sul Corriere della Sera “Cos’è questo golpe? Io so”, diceva che l’intellettuale deve avere il coraggio della verità. Deve saper dire la verità. È ancora possibile parlare di verità, alla quale si può aggiungere la giustizia) senza cadere nel dogmatismo? Un esempio per capire il suo anticonformismo dalle maglie larga d'umanità. Oriana Fallaci lo intervistò per l’Europeo, in quella che resta una straordinaria testimonianza del modo d’essere di Pasolini, il suo cercare l’umanità dove il senso comune rifugge e resta, all’artista, l’inesauribile voglia di capire, sapere, conoscere. "La notte scappa agli inviti e se ne va solo nelle strade più cupe di Harlem, di Greenwich Village, di Brooklyn, oppure al porto, nei bar dove non entra nemmeno la polizia, cercando l’America sporca infelice violenta che si addice ai suoi problemi, i suoi gusti, e all’albergo in Manhattan torno che è l’alba: con le palpebre gonfie, il corpo indolenzito dalla sorpresa d’essere vivo. A volte penso che se non smetto me la trovo una pallottola in cuore o la gola tagliata". Ma è pazzo a girare così per New York, scriveva la Fallaci e Pasolini replicava con una dichiarazione d’amore per la città: Vorrei aver 18anni per vivere tutta una vita quaggiù".

 Il "Corsaro" ucciso dai Servizi segreti
Quale sia in assoluto la verità nessuno lo sa a parte quelli che credono in Dio. L’intellettuale deve dire onestamente quello che pensa e non è detto che sia in assoluto giusto, a prescindere da qualsiasi legame di tipo partitico o, se vogliamo, per usare l’espressione che ha usato lei, feudale. Pasolini è un ottimo esempio, nel senso che diceva quello che pensava. Non è detto che tutto quello che pensava Pasolini fosse giusto, ma era il punto di partenza che era giusto e onesto. L’intellettuale, ma anche il giornalista, non dovrebbe essere legato a gruppi di potere, altrimenti non fa più il giornalista o l’intellettuale. Ad esempio un giornalista dell’Unità degli anni ’50, lì giustamente poiché dichiarato, non faceva il giornalista, ma il propagandista.
Cos'è questo golpe?
"Io so". 


di Pier Paolo Pasolini
dal Corriere della Sera, 14 novembre 1974

Io so i nomi del gruppo di potenti che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci e della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il 1968, e, in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del referendum.


             Brescia,Bologna, Italicus:
Scriveva sul Corriere della Sera: "Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
  Io so i nomi che hanno gestito 
le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974). Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum". Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano) o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli. Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari. 
Il corpo di Pasolini ritrovato dopo il massacro a Ostia


  La paura di Pasolini

Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi. Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.


"Il coraggio intellettuale della verità e la politica
sono cose inconciliabili in Italia"
La poetica di pasoliniana è la realtà in cui viveva, tanto che alcuni l’hanno definito “poeta civile e moralista”. Ma sono “prediche” che piacciono, queste di Pasolini, perché con la sua schiettezza esce dagli schemi, presentandoci quasi un diario politico, culturale, cronachistico e letterario dell’epoca, che vale la pena leggere anche nei nostri giorni. egotismo, non v'è orizzonte, alcuna prospettica. Così, quello che ha fatto Pasolini in quegli anni è grande giornalismo, altro che Montanelli. Un giornalista racconta quel che succede, lo osserva e lo comprende. E Pasolini capiva, intuiva e scriveva, buttando poesia e letteratura nella cronaca e nel racconto. L’autore ha cioè interpretato a suo modo una forma di giornalismo culturale che all’epoca era poco in voga, ma di cui anche oggi avremmo un disperato bisogno: per capire, interpretare e avere il coraggio di mescolare la realtà alla poesia.Nessuno è più disposto a gridare che il Re è nudo. Nessuno è più capace di denunciare nulla. Un'abulia totale come nella "Domenica delle palme" di De André, dove le cicale parlano al nostro posto, incapaci di reagire ad ogni vessazione sociale, culturale e politica. Vedo persone col naso all'insù, ammirare le stelle, fregandosene del marcio su cui camminiamo e indifferenti al rumore di questo motore, gonfi di pregiudizi deteriorati appartenenti ad una società collassata. Tra mele marce, c'è poca scelta. 
Pasolini sulla tomba di Antonio Gramsci


*Infine*

Cosa vedeva Pasolini che gli altri intellettuali non vedevano? Cosa sapeva che numerosi portaborse sapevano ma non dicevano? Vede trame stragiste, servizi segreti deviati, corruzione politica, misfatti compiuti e perpetuati dalla legge. Vede la mutazione antropologica della classe dominante riverberarsi nel linguaggio narcotizzante della televisione e nell’immutata logica del nuovo Potere che ha portato alla cattiva società dei ceti immobili, del finto sviluppo senza vero progresso, delle diseguaglianze senza ascensore sociale, "in un Paese orribilmente sporco e privo di mobilità, stagnante". Vedeva l'Italia di oggi, dei Verdini, dei Lupi, dei Cicchitto, delle Santachè. Lui non lo nomino neppure, tanto è il male che ha fatto all'Italia.
Monumento, ripulito, a Pasolini nel piazzale dov'è stato ucciso ad Ostia