23.4.17

Bikini e guantoni la modella-pugile mette ko i pregiudizi e Eugenia Dubini fondatrice della casa editrice indipendente NN scopritrice di nuovi talenti o scrittori internazionali snobbati in italia

in sottofondo   Run baby run  di Sheryl Crow, contenuta nell'album d'esordio Tuesday Night Music Club del 1993.


  due  storie   di  donne   con le  palle  ... ehm    coraggiose   tratte  da D  di repubblica la prima  e  da repubblica  la seconda  


La  prima   è qiuella  di  Mia Kang, 28enne di New York,la modella-pugile mette ko i pregiudizi

Mia, la modella-pugile mette ko i pregiudizi
Foto: @missmiakang

Fisici scolpiti, sguardi intensi e una bellezza che tutto lascia immaginare eccetto che una modella in bikini per Sports Illustrated non ami il suo corpo. Eppure nel passato di Mia Kang, 28enne di New York, c'è anche un rapporto conflittuale con il suo fisico: vittima di bullismo da bambina, perché in sovrappeso, e discriminata come modella perché di razza mista (le sue origini sono per metà inglesi e per metà coreane). Mia, che oggi fa parte delle modelle scelte dalla celebre rivista per l'edizione Swimsuit 2017, lavora nel settore della moda da quando aveva 13 anni e non si è mai sentita realmente accettata per ciò che è. "Mi dicevano di stirare i capelli e non prendere sole per sembrare più asiatica, o di arricciare i capelli e sorridere aprendo gli occhi per sembrare più caucasica", racconta in un'intervista a Vogue. Poi, la svolta nel 2016 quando, durante una vacanza in Thailandia, Mia scopre il Muay Thai (boxe thailandese). Una disciplina che ama da subito, perché è soprattutto un gioco di strategia e concentrazione. Grazie allo sport la modella-boxeuse riscopre il rispetto e l'amore per il suo corpo. Quando non è davanti ai riflettori Mia indossa i guantoni, sale sul ring e combatte. Ma la sua è una battaglia rivolta anche all'industria della moda, che lei vorrebbe più inclusiva e aperta a modelle con corpi sani e forti. 

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Una nuova generazione di donne esempi di una bellezza raggiungibile attraverso lo sport e la corretta alimentazione. Grazie allo sport la modella-boxeuse riscopre il rispetto e l'amore per il suo corpo. Quando non è davanti ai riflettori Mia indossa i guantoni, sale sul ring e combatte. Ma la sua è una battaglia rivolta anche all'industria della moda, che lei vorrebbe più inclusiva e aperta a modelle con corpi sani e forti. Una nuova generazione di donne esempi di una bellezza raggiungibile attraverso lo sport e la corretta alimentazione
(di Marisa Labanca)A maggio la modella-boxeuse sarà in Thailandia per affrontare il suo primo campionato professionale di Muay Thai e Sports Illustrated ha deciso di seguirla per raccontare la sua sfida in un documentario video esclusivo, dagli allenamenti ai combattimenti sul ring. Modella, pugile, ma non solo. Con una laurea in Finanza e Diritto Finanziario, conseguita alla University of London, Mia invita le adolescenti a non abbandonare l'istruzione, perché è ciò che resterà quando le luci del successo si spegneranno




la seconda di Eugenia Dubini fondatrice della  NN, la casa editrice coraggiosa che ha scoperto Kent Haruf che in due anni è riuscito a conquistare la vetta delle classifiche grazie allo scrittore americano, mai valorizzato prima in Italia


NN, miracolo in libreria: la casa editrice coraggiosa che ha scoperto Kent Haruf
Intervista alla fondatrice del marchio editoriale indipendente che in due anni è riuscito a conquistare la vetta delle classifiche grazie allo scrittore americano, mai valorizzato prima in Italia


18 aprile 2017


Eugenia Dubini 


È STATA la scrittura di Kent Haruf a farla innamorare. “La voce, le sue storie, la fiducia che traspare dai suoi libri, erano proprio quello che ci serviva per iniziare, per tuffarci nella nuova avventura". Parla Eugenia Dubini, in passato traduttrice ed esperta in comunicazione, publisher di NN, nomen nescio, "sconosciuto” il marchio editoriale indipendente che in due anni è riuscito a conquistare la vetta delle classifiche grazie a Kent Haruf, valente scrittore americano recentemente scomparso. Un miracolo editoriale, quello che da sempre sognano gli addetti ai lavori, puro ossigeno per chi crede nei libri e tenta una sfida che sembra impossibile. Eppure, secondo Egenia Dubini, fondatrice della NN nel 2104 con Edoardo Caizzi e Alberto Ibba, la loro è stata fin dall’inizio un’avventura elettrizzante, con un lieto fine che si sta rivelando solo un inizio. Un colpo di fortuna, ma anche il risultato di passione e di ricerca. Un percorso certamente aiutato dal passaparola dei lettori, (fenomeno da tutti rincorso e mai prevedibile), ma anche da un efficiente lavoro creativo di marketing e comunicazione portato avanti con costanza ed entusiasmo.
C’è da chiedersi come Kent Haruf, tra i più grandi scrittori americani, fosse rimasto tanto a lungo trascurato in Italia ma nulla avviene per caso. E competenza e ottimismo hanno fatto la loro parte. Una volta “scoperto”, la NN ha dato ad Haruf una casa sicura e incondizionata fiducia; l’abilità di un traduttore perfetto, Fabio Cremonesi, sostegno e affetto nel lancio dei libri. Prima è stata pubblicata la trilogia di Holt (la cittadina inventata in cui sono ambientate tutte le storie): Benedizione, Il canto della pianura, Crepuscolo, che i lettori hanno cominciato ad apprezzare e premiare con la loro attenzione. Fino a Le nostre anime di notte (uscito postumo, poco dopo la morte di Haruf) che è subito “volato in vetta”. Gli altri suoi libri avevano conquistato i lettori passo dopo passo, “proprio come lui con i suoi libri; ci metteva anni per scriverne uno…”, nota Dubini “invece Le nostre anime di notte è atterrato in cima alla montagna, subito, alla prima settimana di uscita, è rimasto al top per oltre un mese ed è ancora in classifica”.
Molti sono i progetti della NN per il futuro, sempre con la stessa linea editoriale “raccontare il mondo contemporaneo, ricercare l’identità nel nostro tempo, la confusione di ruoli che uomini e donne vivono ogni giorno”. E tante le iniziative: è stato appena lanciato un blog, Sabotino14, sono alla messa a punto corsi NN, fiere, nuovi autori, appuntamenti con librerie e gruppi di lettura e un format per portare i reading in città. Nuovo autore di punta Tom Drury, con La fine dei vandalismi. Anche la sua trilogia di Grouse County non era mai stata pubblicata in Italia.

La vostra è una giovane casa editrice indipendente, eppure avete già scalato le classifiche. Come ci siete riusciti?
NN è in libreria solo da due anni. Il 19 marzo 2015 siamo usciti con i primi due titoli: Benedizione di Kent Haruf e Sembrava una felicità di Jenny Offill. I libri di Haruf sono stati anche i primi che abbiamo acquisito, come diritti intendo. Era il 2014, prima dell’estate, e stavamo costruendo il progetto e leggendo moltissimo, ma non avevamo ancora incontrato un autore che ci facesse innamorare. Le parole di Haruf, la sua voce, le storie di Holt, la fiducia che traspare dai suoi libri, al di là di tutto, erano anche quello che serviva a noi per iniziare, per tuffarci in questa nuova avventura.Il successo dei suoi libri si è propagato, e senza togliere nulla al merito che abbiamo avuto nel creare e alimentare questo fuoco, è successo quello che accade talvolta e che è imprevedibile, il famoso passaparola, un lettore ne germoglia un altro e così via. Abbiamo sostenuto questo movimento, con tutte le azioni che ci venivano in mente, ed è stato anche un bellissimo modo per sperimentare nella comunicazione e nel marketing. Però non siamo stati soli, abbiamo avuto sempre accanto i librai e i promotori, in un’ottica di collaborazione e di sostegno. E i lettori di Haruf sono stati anche tanti scrittori, giornalisti, che arrivati al libro ne hanno voluto scrivere. Ma la differenza forse l’ha fatta proporre questo autore oggi e qui, dargli una voce (tutto merito di Fabio Cremonesi) e una casa, e sostenere questa proposta nel tempo, ascoltare le risposte dei lettori, costruire un percorso di lettura e crederci fino in fondo. Ma non credo che Le nostre anime di notte abbia scalato le classifiche. Ai miei occhi quel libro è proprio volato in vetta. Mentre Kent Haruf conquistava i lettori passo passo (così come una parola dopo l'altra aveva fatto con i suoi libri – ci metteva anni e anni a scriverne uno) Le nostre anime ha fatto un percorso diverso, è proprio atterrato in cima alla montagna, subito, alla prima settimana di uscita, e ci è rimasto per più di un mese, oggi che scrivo è ancora ai primi posti. E questo perché era un libro atteso dai suoi lettori, non li ha delusi e tramite loro sta andando a trovarne altri. Forse anche perché lì dentro c’è un messaggio necessario, e necessario soprattutto oggi: puoi sempre darti un’altra occasione per essere felice, se trovi in te stesso un po’ di coraggio.
Perché avete chiamato la casa editrice NN?

Raccontare il mondo contemporaneo, la ricerca dell’identità nel nostro tempo, la confusione di ruoli che uomini e donne vivono ogni giorno: questo è il filo conduttore delle nostre scelte editoriali. E questo progetto ha inizio dal nome: NN, nomen nescio, nome sconosciuto, che era l’acronimo usato sulle carte d’identità in Italia se tuo padre ti negava il cognome, o era semplicemente ignoto, scrivevano figlio o figlia di NN. Dare risalto a questo nodo, a questa confusione etica in cui siamo immersi: il progetto ha trovato come per magia il suo nome, quello che lo incarnava in modo perfetto. Dico per magia perché è successo per caso. Un giorno Edoardo Caizzi stava chiudendo una conversazione telefonica e ha detto: ti devo lasciare perché ho un pranzo con quelli della casa editrice senza nome. Gaia Mazzolini ha chiesto: ma come si chiamavano i senza nome sulle carte d’identità, non era NN? E Alberto Ibba e io ci siamo guardati e abbiamo capito al volo che era quello giusto, era il nostro nome. Mi avevano sempre detto che il nome è la cosa più importante di un progetto, e in questo caso ne ho avuto la riprova. Perché una volta individuato NN, tutti i tasselli, le idee, le azioni e le decisioni si sono composti in un mosaico. Le scelte, la veste grafica, la costruzione del catalogo, la casa, tutto.
In breve la vostra avventura nel difficile scenario editoriale. Prossimi progetti?

Lo scenario editoriale è difficile da tantissimo tempo, ma per noi la sfida rimane nella presenza e nella proposta, nella qualità, nella comunicazione, nell’attivazione di un discorso e di una o più comunità. Nel 2015 si parlava di identità degli editori in via di scomparsa e di lettori inesistenti, ma si leggevano anche segnali diversi. Si stava rivoluzionando la lettura, il modo di leggere, di leggere insieme, di comunicare i libri, di sentirsi lettori. Abbiamo ancora oggi fiducia in questa intuizione. Ci sono tantissimi progetti in fase di elaborazione, abbiamo appena lanciato un blog, Sabotino14, e stiamo mettendo a punto i corsi NN, poi ci sono le fiere, gli autori in arrivo, le letture, i progetti con le librerie e i gruppi di lettura, un nuovo format per portare i reading in città. Tutti i progetti sono legati tra loro e sono legati ai libri, quelli in uscita e quelli già in catalogo. Come dicevamo NN è la ricerca di identità, ma se il tema dell’identità è il tema della letteratura per eccellenza, seguirlo per proporre i libri, al di là dei generi e della nazionalità degli scrittori, ci sembra una cosa diversa, un diverso modo di parlare ai lettori, un percorso di lettura in sé. È un’identità di editore che si mette in relazione con un’altra identità, quella del lettore. Per questo il nostro catalogo è costruito in serie e non in collane. Ogni anno la ricerca di identità viene approfondita con un tema specifico, le relazioni, il passato, gli alleati, gli aggettivi. Questi percorsi partono da Kent Haruf e Jenny Offill per arrivare a tutti i libri, fino a Il salto di Sarah Manguso e Bull Mountaindi Brian Panowich, gli ultimi usciti. E a La fine dei vandalismi di Tom Drury, che da pochi giorni è in libreria. La sua trilogia di Grouse County non è mai stata pubblicata in Italia, ma noi ce ne siamo innamorati. E stiamo per conoscere l’autore, perché è stato invitato a Tempo di Libri e farà un tour in Italia. Nella seconda parte dell’anno proporremo Jenny Diski, la nuova puntata dei gialli di Giorgio Serafini Prosperi, i racconti di Megan M. Bergman. E i primi libri di una nuova serie, che si chiamerà Crocevia ed è curata da Alessandro Zaccuri. Non proseguo l’elenco, ma questo insieme di cose, corsi, serie, fiere, letture, progetti e libri, sono per noi un unico grande progetto futuro, una bellissima avventura che condividiamo ogni giorno con i lettori.

22.4.17

Un 25 aprile per i bambini

stavolta voglio  iniziare  nel riportare  una storia     dalla fine    . con il commento di  
Non ho vissuto gli anni terribili della guerra e spero di non dover viverli mai e così per tutto il mondo,però ho visto l'effetto che ha avuto sui miei genitori,nonni,zii per farmi capire che bisogna sempre lottare e spiegare come si sono svolti i fatti e le premesse che hanno portato a questo disastro e rovina e quanto sangue si è dovuto versare per porre il rimedio perché tutto questo non si ripeta mai più,ma come si può vedere nell'essere umano(?) predomina sempre quell'ignoranza-irrazionalità e nei potenti quella sete di potere e del business che ci riporta inevitabilmente alla condizione disumanizzante determinata da guerre,profonde ingiustizie sociali,sfruttamento che da millenni dominano il pianeta;buon 25 aprile perché non sia la solita festa privata del suo vero significato,ma che possiamo riconoscerci perché sia sempre

a  questo fatto





Un 25 aprile per i bambini


La mia amica Simona Zinanni, che insegna alle elementari di Cuvio (Varese), mi ha raccontato che qualche giorno fa dei bambini hanno chiesto perché il 25 aprile è festa e si sta a casa. Simona, allora, ha preso l'iniziativa e ha chiesto di poter mettere insieme le due quinte della scuola. "La seconda guerra mondiale", mi ha spiegato, "non rientra nel programma delle elementari, così ho dovuto fare una breve premessa per inquadrare il periodo". Poi ha proiettato sullo schermo il girotondo dei bambini di Sant'Anna di Stazzema (nella foto in alto) e ha letto la storia di uno di quei bambini, la storia di Enio Mancini (nella foto), sopravvissuto alla strage del 12 agosto 1944 grazie a un giovanissimo soldato tedesco dagli occhi azzurri che non uccise, sparò in aria e fece scappare le donne e i bambini che gli erano stati affidati. "L'ho scelta", mi ha spiegato la mia amica, "perché mi sembrava particolarmente adatta ai bambini perché non si limita a raccontare la tragedia ma lascia anche un segno positivo sulla speranza di trovare umanità e pietà anche nei nostri nemici".
L'effetto è stato immediato. "Dopo poche righe la classe era come ipnotizzata. Alla fine della lettura è partito un applauso commosso. Credo che questi alunni abbiano capito perché il 25 aprile è una festa e non lo dimenticheranno tanto facilmente!".
Ecco. Facciamo tutti così, facciamo come Simona. Scegliamo una storia, un evento particolare, una persona, un gesto... E raccontiamolo. Ai bambini che abbiamo intorno, ai giovani, a chiunque pensiamo possa essere utile.
Utile a dare sempre più sostanza a una festa che rischia di perderla e che sta anche diventando una triste occasione in cui si si divide e ci si conta. Utile a creare una memoria della nostra comunità che sia forte e condivisa. Utile a guardare in avanti sapendo bene il sangue e il dolore che sono serviti per arrivare fin qui.


La riparazione del dolore la storia di Antonio Butti, chirurgo



anche se di solito concita De gregorio usa troppo il cuore e poco la mente stavolta nell suo ultimo intervento sula sua repubblica di repubblica d'oggi

<< Ho conversato a lungo con Antonio Butti, medico chirurgo, ci siamo scritti, scambiati foto, ho ascoltato la sua storia, ho letto il libro che ha scritto. E’ una bellissima storia d’amore, di cura – anzi di Cura, con la maiuscola – di riparazione del dolore. Anche il suo libro lo è, così come i frutti che ne nascono e la consolazione che genera. E’ una storia personale e politica, mi viene da dire usando un linguaggio di altre epoche. E’ il punto in cui la propria storia individuale genera azioni che riverberano nelle vite degli altri. La Cura della comunità, questo è la politica [ da non confondersi con la politika \ politica dei palazzi ] . Lascio che sia lui a raccontare.>> mi ha commosso perchè . Nel dolore ci si conosce, si cresce e si riesce ad andare oltre se stessi.





infatti
                                               Antonio Butti con la moglie Marcella
Quando lessi su Repubblica la sua recensione del libro "Quando il respiro si fa aria" del collega Paul Kalanithi fui colpito dal dramma, vissuto con sereno coraggio, dall'autore. Consapevole di quello che avrei provato, dopo un’esitazione di qualche tempo, ho letto il libro. Come mi aspettavo ha riaperto in me ferite malamente nascoste perché anche io e mia moglie Marcella ci siamo trovati a convivere con l'incombente, minacciosa compagnia di sorella Morte. Mi chiamo Antonio Butti, ho 78 anni, mi sono laureato in Medicina e Chirurgia all'Università Statale di Roma nel 1964, allora non si chiamava "La Sapienza", sono un chirurgo, ex professore presso l'Università Cattolica Policlinico Gemelli dove si è svolta tutta la mia attività clinica e di insegnamento, dall'ottobre 1965 a luglio 2005, data in cui sono andato in pensionamento anticipato a causa della malattia di mia moglie"."La sua perdita, avvenuta il 13 luglio 2007, mi ha gettato in uno stato di disperazione che mi ha spinto a raccontare ogni giorno a Marcella il dolore della mia sopravvivenza e lo svolgersi della mia vita dimezzata, mi è sempre sembrato un modo per riempire il distacco e sentirla accanto a me. Ne è scaturito un libro che ho concluso nel 2014. E' stato accettato e pubblicato, senza alcun mio onere, nel marzo 2016, nella collana L'Erudita di Giulio Perrone Editore. Nel libro, oltre a narrare il dopo, racconto come io e Marcella abbiamo vissuto da medici: sì, anche Marcella era medico. Poi i giorni della tribolazione, dalla diagnosi alla fine. Il titolo del libro è "Dall'altra parte del vetro".Lo considero un atto di Amore verso Marcella, amore che vorrei gridare al mondo per quanto continuo a esserne innamorato. Tutti i proventi delle vendite, ho deciso, vanno a sostegno del piccolo blocco operatorio che ho organizzato nella missione canossiana Josephine Bakhita, ad Agoenive, in Togo, dove vado ad operare due volte l'anno, ormai dal 2010. Partirò per la prossima missione il 28 di questo mese. In quel piccolo ospedale spicca una bella targa con la dedica a Marcella. Leggere la sua recensione sul libro del dottor Kalanithi e pensare di scriverle è stato tutt'uno. Ho pensato che avrebbe compreso la storia di Marcella e la mia, come da un dolore così grande possa nascere la forza di mettersi al servizio di chi non ha nulla, per questo vivere ancora.Ho esitato molto prima di decidermi a inviarle questa mail, è stata chiusa nel mio computer per molto tempo e non sa quante volte il dito è stato sospeso esitante sul tasto "invio".  Sa cosa mi ha infine dato il coraggio di superare ogni mia reticenza ? La forza del mio amore e lo sguardo e i sorrisi dei "miei" bambini togolesi
La morte fa  come dice  il commento  di

Grazia Orlando
6 ore fa
La morte fa parte della vita come il dolore che Essa ci "concede" di vivere e provare. La mancanza della persona che ci ha lasciato sarà sempre una ferita profonda nel nostro animo, ma quale cosa più bella, pur convivendo e non negando il dolore, avere la capacità di non lasciarsi andare al nostro egoismo, che ci vuole chiusi nella nostra sofferenza, e sviluppare amore, la forma più alta che la vita ci ha donato?







Giorgio Fernandez: "Attraversai a piedi l'Italia del '44, tra le barbarie naziste" ed altre storie di chi ha lottato per creare la nostra costituzione



vedi anche




In un periodo  di  rigurgiti di offese  e   del solito refrain  negazionista   di marca  fascista  e neofascista   come quela  di  casa  pound   



CasaPound, pronta la parata nazifascista del 25 aprile: dossier dell'Anpi Milano in questura. "Ora basta"

Da anni il raduno nel Campo 10 del cimitero Maggiore per omaggiare i caduti di Salò nel giorno della Liberazione. Un anno fa erano scattate del denunce per apologia del fascismo, appello al sindaco Sala

di PAOLO BERIZZI  repoubblica  del 07 aprile 2017



Il 25 aprile 2017 potrebbe segnare uno spartiacque nella memoria futura di Milano, città medaglia d'oro della Resistenza. Dopo quattro anni, la scia di cortei e parate nazisfasciste organizzate provocatoriamente proprio nella giornata della Liberazione dai gruppi di estrema destra Lealtà e Azione e CasaPound al Campo 10 del cimitero Maggiore, potrebbero subire uno stop. Lo chiedono, al prefetto e al questore, l'Anpi milanese e una serie di associazioni antifasciste: "Basta con questi vergognosi oltraggi alla storia. È ora di vietare il corteo e mettere fine alle provocazioni". Un esposto, con tanto di dossier fotografico, è stato presentato in questura e prefettura dal presidente dell'Anpi provinciale, Roberto Cenati. "Ogni mattina del 25 Aprile, dal 2013, assistiamo alla provocazione di Lealtà e Azione che organizza una parata nazifascista al campo 10 del Musocco".


Per sottolineare lo "sfregio" è stato ricordato quello che successe l'anno scorso: "In 300 marciarono in formazione militare, con tanto di saluti romani, e furono denunciati dalla Digos per apologia di fascismo". Un appuntamento diventato ormai rituale, per l'estrema destra milanese e lombarda, quello al Campo 10. I cortei dei naziskin coi saluti romani, il tricolore, le aquile della Rsi. Le parate per ricordare i caduti repubblichini e i drappi di Salò issati illegalmente sulle tombe. A nulla sono servite le denunce di questi anni: per questo, in occasione della prossima giornata della Liberazione, il fronte antifascista oltre a chiedere formalmente a questore e prefetto di vietare il corteo dei "neri", ha organizzato una mobilitazione proprio al cimitero Maggiore. "Invitiamo i milanesi a portare un fiore ai partigiani sepolti al campo della Gloria", dice Antonella Barranca, Anpi, Municipio 8. All'iniziativa hanno già aderito, oltre all'Anpi, Cgil, Aned (l'Associazione ex deportati campi nazisti), Arci, Memoria antifascista, Rete della conoscenza Milano, Csoa Lambretta, Zam e Cs Cantiere.

25 aprile a Milano, i garofani dei partigiani contro i saluti fascisti


Un appello è stato rivolto anche al sindaco Giuseppe Sala: Roberto Cenati gli chiede di intervenire "spendendo parole di indignazione contro queste manifestazioni chiaramente provocatorie e di stampo nazifascista". Non soltanto quella del 25 Aprile. "Il 23 marzo - racconta Cenati - c'è stata una manifestazione di reduci di Salò al Monumentale per celebrare l'anniversario della nascita dei fasci, accompagnata da un silenzio assoluto".
Se è vero che da parte delle istituzioni in questi anni non c'è stata proprio una risposta convinta, è anche vero che era stato il sindaco Sala, il primo novembre scorso, a prender ricordare i caduti repubblichini: "L'amministrazione ritiene opportuna una riflessione che porti, a partire dall'anno prossimo, ad un aggiornamento dell'elenco di questi luoghi" scelti per le onorificenze alla memoria. Se e come il pensiero del sindaco orienterà questura e prefettura anche sul 25 aprile dei neofascisti, lo vedremo nei prossimi giorni. Lealtà e Azione, intanto, ha confermato il corteo.

Aggiungi didascalia
in cui  si    mette   ( magari sono quegli stessi ipocriti  che  chiedono rispetto per  i loro  orti o  chiedono  una memoria condivisa   ) nel ricordo  i  morti per la dittatura    con quelli    morti   per  la  libertà .
Ben   vengano   iniziaticve come 'La Battaglia', (  copertina   a sinistra  ) ed è un fumetto inedito che racconta le gesta di Giordano Sangalli, partigiano di Tor Pignattara, ucciso a 17 anni dai nazisti sul Monte Tancia. Il fumetto è stato realizzato - in occasione delle celebrazioni dei 90 anni di Tor Pignattara - da Nikolay Pavlyuchkov, un ragazzo di origine russa del quartiere, che ha partecipato al workshop Nuvole Resistenti curato dal fumettista Alessio Spataro per la Scuola Popolare di Tor Pignattara. Il workshop ha consentito a 5 ragazzi di poter apprendere i segreti e le tecniche del racconto a fumetto e conoscere la storia dei partigiani del proprio territorio. Nikolay è stato selezionato fra i partecipanti e con l’aiuto di Alessio Spataro per la parte artistico narrativa e con la consulenza scientifica della storica Stefania Ficacci ha realizzato un breve racconto sugli eventi a cavallo della cosiddetta Pasqua di sangue del 1944.
'Vite partigiane': domani su Robinson uno speciale sul 25 aprile
Cosi  come      quella  di repubblica  (   trovate  sopra     l'url dello speciale  con tutte le testimonianze  in continuo aggiornamentio )    che  n vista del 25 aprile  ( quest'anno  è  particolare  perchè sono  70  anni    che   è stata scritta la nostra  costituzione    ) Repubblica ha pensato di raccogliere i racconti di chi è stato protagonista della guerra di Liberazione. In città o in montagna, come combattente o come staffetta. Perché la memoria passa anche dalle storie di questi eroi normali

Io nel post  d'oggi    riporto  proprio dallo speciale di repubblica    tre  testimonianze    che sencondo me   è la sintesi  (  anche  se  ciascuno ha  una storia  diversa     di  come  ha vissuto quell'eperienza  e di come  ci   è arrivato  ,  le sofferenze    fisiche  e psicologiche   quando     , vedere  tutti a casa  film del 1960 diretto 
da Luigi Comencini, sceneggiato dal regista stesso insieme a Marcello Fondato e alla coppia Age & Scarpelli  o  - ne  ho riportato   la storia  tempo di fa  -   di  La storia di Uber Pulga, un 'Partigiano in camicia nera'
  dopo       gli eventi del  24\25 luglio e  del  8 settembre  ha dovuto  rimettersi  indiscussione  e  si  è trovato  " sbandato   "  ed  ha    saputo    e  dovuto  usare  


 [----] 
La facoltà di non sentire
La possibilità di non guardare
Il buon senso la logica i fatti le opinioni
Le raccomandazioni
Occorre essere attenti per essere padroni
Di se stessi occorre essere attenti
La mia piccola patria dietro la Linea Gotica
Sa scegliersi la parte
Occorre essere attenti per essere padroni
Di se stessi occorre essere attenti
Occorre essere attenti occorre essere attenti
e scegliersi la parte dietro la Linea Gotica
Comandante Diavolo Monaco Obbediente
Giovane Staffetta Ribelle Combattente
La mia piccola patria dietro la Linea Gotica
Sa scegliersi la parte... 
 [----] 
Linea  Gotica -   Csi   tratta  dall'omonimo  album del 1996 

  Ed  adesso  i racconti del  post    d'oggi   ho scelto  fra le tante  di repubblica  tre , che  secondo  me  , sono   fras le più significative  e che descrivono    e  sintetizzano meglio  quel periodo   storico  che  ancora  divide  .

la prima

E'  il racconto \  testimonianza   un antifascista palermitano che - finito nell'entroterra ligure per le vicessitudini della guerra - decide di tornare a piedi nell'isola. E oggi racconta quel viaggio nei territori occupati dai nazisti e attraverso la linea gotica.
"Il fascismo fu una follia, da ragazzo fui picchiato e malmenato, subii per anni la dittatura". Era Roma il 25 luglio, ma non poté tornare subito in Sicilia occupata dai nazisti   Così si rifugiò in Liguria da una nonna, ma nel 1944 finì nel mirino dei fascisti perché aveva raccontato in una lettera di un eccidio di partigiani. Riuscì a scappare prima di essere interrogato e si incamminò: "Non avevo da mangiare né vestiti, le ferrovie erano bloccate, dovetti camminare". L'incontro con le pattuglie naziste, l'arrivo delle truppe di liberazione e la vista "delle coste siciliane

La  seconda 

Nina Bardelle, 90 anni, ricorda la resistenza a Genova. "Mi trovai nelle sap grazie a un incontro sul tram. Alcuni medici ci insegnarono come curare i partigiani". Conclude: "La storia italiana non dovrebbe mai dimenticare la resistenza"  Infatti




Nina Bardelle, la partigiana Fioretto: "La mia Resistenza curando i feriti e sabotando i tedeschi"
Il racconto di una sappista genovese. Operaia in Ansaldo, figlia di un antifascista, del 25 aprile ricorda le bandiere. "Di tutti i colori"

"Il 25 aprile le bandiere erano di tutti i colori, perché la libertà l'abbiamo voluta tutti" ricorda Nina Bardelle, novant'anni fieri, nella sua casa di Rivarolo, sulle alture della Valpolcevera a Genova.


La sappista Fioretto: "Mio papà rovinato dai fascisti, fui partigiana dentro la fabbrica"

Lei, a 17 anni, con il nome di Fioretto ha iniziato la sua attività nelle Sap, le Squadre di Azione Partigiana: prima imparando a curare i feriti, poi, nella grande fabbrica dove lavorava, l'Ansaldo, ad aiutare gli operai che nascondevano le armi sottratte ai tedeschi, magari. Fino ad osare veri e propri sabotaggi, come far cadere l'acqua sporca della mensa sui proiettili costruiti per l'esercito tedesco, e rischiando anche la vita.
Ma anche accompagnando qualche giovane componente delle bande ribelli ad allontanarsi dal luogo di un'azione, garantendogli la fuga e magari un letto dove dormire, a casa dove il padre, da sempre antifascista e perseguitato, non faceva domande. "Io volevo in qualche maniera ricompensarlo per quello che aveva sofferto lui", racconta Nina. Che ora porta la sua storia tra i bambini, nelle scuole.




 Ultima

La resistenza a Bologna raccontata da chi ha combattuto e difeso i compagni. Il ricordo commosso di Irma Bandiera da parte del 'Biondino', che la riconobbe dopo le torture e l'uccisione da parte dei tedeschi. E le operazioni contro i tedeschi in quei 20 mesi fino all'arrivo degli alleati
Gastone Malaguti, partigiano a Porta Lame: "Una guerra, ma noi non abbiamo torturato nessuno"Classe 1926, oggi Gastone Malaguti ha 91 anni. Ma ne aveva 28 nel 1943, quando iniziò a combattere con la settima brigata Gap Garibaldi. Un ricordo lucido di quei mesi, tanti nomi che si affastellano e una consapevolezza a cui aggrapparsi: "Ucciso sì, ma noi non abbiamo mai torturato nessuno"Malaguti c'era. Classe 1926, oggi ha 91 anni. Ma ne aveva 18 quell'anno. Settima brigata Gap Garibaldi. Nomi di battaglia ne ha cambiati molti: prima Gaston ("ma non funzionava molto, troppo simile al mio vero nome", dice divertito), poi Gas, per arrivare a Biondino quando un partigiano che usava quel nome morì, fino a Efistione, riferimento al braccio destro di Alessandro Magno per il suo ruolo da gappista. Efistione, un nome che gli è rimasto dentro e ancora oggi lo usa per il suo indirizzo e-mai




Gastone Malaguti, partigiano a Porta Lame: "Una guerra, ma noi non abbiamo torturato nessuno"
Gastone Malaguti in una foto dei giorni della Liberazione 























Ride spesso e racconta. Volti e nomi che non ci sono più, a volte da più di 70 anni. Una vita ricca dopo la resistenza, nel sindacato, in giro per l'Italia e non solo.
Si rabbuia solo due volte, nel corso della nostra conversazione. La prima quando pensa alle vittime, anche sull'altro fronte. "Certo che di persone ne abbiamo uccise, ma eravamo in guerra". Ma quello che più si vede che l'ha segnato è la sorte delle donne, le staffette partigiane, che finivano nelle mani dei nazifascisti. "Le torturavano, poverine. Non posso
raccontare come le riducevano, quello che facevano. Non posso. Noi abbiamo ucciso, certo ma non abbiamo mai torturato nessuno, mai". Ecco, questa è la cosa a cui tiene di più. "Non abbiamo mai torturato nessuno". E quello sguardo che fino a poco prima guardava ai ricordi di 70 anni prima si rivolge all'Italia di oggi. Ai casi di cronaca, alla legge ferma in parlamento. "È assurdo che ancora oggi non abbiamo in Italia una legge sulla tortura"

20.4.17

In nome del popolo Italiano vi ricorda qualcosa oltre le frasse espressa dai giudici che leggono le sentenze ed il film omonimo del 1971?

N.B
L  so che  dovrei usare  parole mie  , ma spesso  ( più di quanto   s'immagini )   capita  che  qualche  compagno\a  di strada  \  di viaggio,ma   anche no  ,  arrivi  prima di  te   e  lo esprimo meglio 


concordo con quando  scroiv e sulla  sua bachec a di facebook  Giampaolo Cassitta quando dice : << C'è gente che in nome dell’antica purezza e dell’orgoglio nazionale chiede di boicottare i negozi stranieri e scrive dei manifesti davvero imbarazzanti. In quei manifesti c’è tutta l’ignoranza, la protervia, la piccolezza, il razzismo insito e mai del tutto sopito di chi, davvero, pensa agli uomini in termini di “razza” e prova a utilizzare anche la parola popolo: “Aiuta il tuo popolo”. C’è da chiedersi dove queste Risultati immagini per leggi razziali italianapersone abbiano vissuto in questi ultimi anni. Se per caso siano stati ibernati e non abbiano capito che il “popolo” è divenuto in un mondo totalmente globalizzato un’accezione completamente diversa da quelle che essi immaginano.>> riferendosi alla notizia del nuovo squadrismo avvenuto a Roma qualche tempo fa

Infatti   egli    è ancora  più  incisivo e  più  chiaro   in questo articolo    ripreso   oltre  che    sulla  nuova  sardegna del  20\4\2017   sul  suo   sito  http://www.giampaolocassitta.it/


                                      
In nome del popolo italiano ? 




Provate questo gioco: controllate dove è stato prodotto il vostro smartphone, le vostre scarpe alla moda, le calze, le camicie, probabilmente anche le cravatte, i jeans, alcuni abiti firmatissimi, le macchine fotografiche, televisori, forni a microonde, magliette, palloni, zaini. Provateci e vi renderete conto che il made in Italy rappresenta una cifra davvero minimale. Ma vi renderete conto che anche il made in Eu, ovvero il prodotto europeo, rappresenta una piccola quota.
Tutto è fortemente delocalizzato nei paesi dell’Est e, soprattutto, nell’area cinese e asiatica. Importiamo anche molte cose dal Brasile e dal Messico firmate da stilisti italiani. E siamo felici, orgogliosi che la nostra moda, i nostri brand siano apprezzati all’estero, ma non ci rendiamo conto che sono addirittura manufatti fuori dal mercato europeo. Non è una novità. E’ il mercato, bellezza.
Cose note e discusse da persone molto più informate e preparate di me. Infatti voglio parlare di un altro aspetto che però mi obbligava a questa premessa: c’è gente che in nome dell’antica purezza e dell’orgoglio nazionale chiede di boicottare i negozi stranieri e scrive dei manifesti davvero imbarazzanti.
In quei manifesti c’è tutta l’ignoranza, la protervia, la piccolezza, il razzismo insito e mai del tutto sopito di chi, davvero, pensa agli uomini in termini di “razza” e prova a utilizzare anche la parola popolo: “Aiuta il tuo popolo”. C’è da chiedersi dove queste persone abbiano vissuto in questi ultimi anni. Se per caso siano stati ibernati e non abbiano capito che il “popolo” è divenuto in un mondo totalmente globalizzato un’accezione completamente diversa da quelle che essi immaginano. Ma il cartello dice altro: “Boicotta i negozi stranieri. Sostieni le attività commerciali italiane del tuo quartiere.
E qui ho sorriso.
Il gruppo di “Azione frontale” –  pare una sigla di ultradestra nata dalle costole di “Forza Nuova”-  ha sistemato questi cartelli in un quartiere popolare  e multietnico di Roma, variegato e ben disposto alle miscelazioni delle culture. Scrivere “il tuo popolo” in un luogo dove la popolazione è equamente divisa e stratificata in nazionalità diverse è davvero esilarante, ma pretendere di boicottare i negozi stranieri e sostenere solo le attività commerciali gestite da italiani è comunque azzardato per una serie di motivi: perché dovremmo farlo? Chi mi garantisce, per esempio,  che l’italiano paga le tasse e non mi truffi? Chi può sostenere che la qualità di ciò che vende l’italiano è migliore di quella venduta in un altro negozio?
Il bellissimo film di Ettore Scola “Concorrenza sleale” racconta  la storia di due commercianti romani ai tempi del fascismo. Uno di essi era ebreo. La lotta era quotidiana è basata sulla qualità della merce. Quando il fascismo promulga le leggi razziali e l’ebreo è costretto a chiudere il negozio, il suo collega romano si ribella perché ritiene che proprio quella legge  sia concorrenza sleale.
Già, la sana concorrenza che oggi è legata solo al prezzo più basso e non importa dove e come è prodotta. Comprare “italiano” aiuta senz’altro l’economia del nostro paese che è però incardinato in un contesto europeo o mondiale.
Il problema di questi strani incantatori di serpenti vacilla davanti alla coerenza che non riescono, neppure per un attimo a mantenere.
Chi ha scritto il manifesto probabilmente ha una moto giapponese, stivali americani, sciarpe irlandesi e fuma sigarette di multinazionali statunitensi.
Una volta ricordo una discussione con un conoscente che si dichiarava indipendentista sardo convinto: mangiava hamburger e vestiva come uno sceriffo. Almeno il maialetto, per un minimo di coerenza, lo poteva prevedere nel suo strano menu.

Donne smettete di aver paura delle altre donne

fonte originale 
http://invececoncita.blogautore.repubblica.it/lettere/2017/04/19/
Alessandra Leoni solleva quesiti che hanno a che fare con maschilismo e parità fra i sessi
L'immagine di profilo twitter di Alessandra Leoni
L'immagine di profilo twitter di Alessandra Leoni
Questa storia ce la racconta Alessandra
Cara Concita,
Leggo con molto piacere il tuo spazio su Repubblica e pensavo di raccontarti la mia storia. Più che una storia, è un percorso fatto di domande.Ho 28 anni, a volte me ne sento 16 per l'entusiasmo che metto in ogni cosa che faccio, a volte me ne sento 40... Siccome sono una persona a cui non piace perdere tempo ed energie nel crearsi maschere, compromessi (anche se giustamente a volte vanno fatti), con quelle poche persone con cui riesco a intrecciare una relazione (amicizia, amore, passione, affetto) stabile ho fatto una scelta chiara. Essere schietta, trasparente, svelarmi per come sono. Posso parlare tranquillamente di tutto quello che mi può circondare, fino ad arrivare ad argomenti... che per le donne sembrano essere tabù. Perlomeno se si osa parlarne apertamente.Parto subito con una domanda: perché se parlo di sesso con gli uomini, apertamente - così come loro ne parlano apertamente - le donne mi additano come troia? Perché mi vedono come una minaccia? Anche le altre sono fatte di carne, di desideri, suppongo. Io ne parlo, parafrasando Marlene Dietrich, come un dato di fatto, non come un'ossessione vergognosa da reprimere. Il tempo dei bambini nati sotto i cavoli mi sembra finito da un pezzo. E gli uomini apprezzano la mia solidarietà e la mia sincerità. L'abito della donna "dolcemente complicata", paranoica, mutevole, che dice "niente" e invece vuol dire "tutto" mi sta di uno stretto che neanche si può immaginare. Ciò non mi fa sentire "meno donna".Corollario a questa domanda: perché ancora oggi, se parlo con un uomo e ho un rapporto disteso e onesto, solidale, la sua donna (che sia essa fidanzata, convivente, compagna, morosa, frequentazione, moglie) mi piomba addosso e mi scrive di non avvicinarmi mai più a lui, di non cercarlo perché lui "è già impegnato"? Che poi, io veramente non sopporto questa prassi del controllare il cellulare, la posta elettronica, le conversazioni del partner. O dello stare addosso. Se una persona ha le sue insicurezze, deve lavorare su se stessa e non vedere come minaccia tutto ciò che è fuori di lei. Questo è quello che ho imparato (a mie spese, soprattutto).Corollario numero 2: se un mio partner, anche dopo una lunga storia assieme, un lungo percorso di condivisione, dovesse arrivare un giorno e dirmi che "è finita" perché ha trovato un'altra con cui si sente meglio, che in quel momento storico della sua esistenza lo completa, chi sono io per fermarlo? In primis, voglio la sua felicità. Perché devo aggrapparmi alla sua caviglia e implorarlo di non lasciarmi? Perché devo avere necessariamente paura di rimanere sola? Ciò che non uccide, fortifica. E accettare qualcosa che finisce mi ha fatto conservare ricordi bellissimi e un grande affetto e amicizia verso queste persone che sono uscite dalla mia vita sentimentale, non dalla mia vita in senso assoluto. E ho sbagliato ad aggrapparmi alle persone a suo tempo, perché con quelle non ho più rapporti, e mi dispiace davvero molto.Ciò fa di me una persona cinica, egoista, narcisista (tutte cose che mi sono sentita dire)? Non credo. Mi rende una persona libera a posto con la propria coscienza. Odio l'ipocrisia che costringere le persone a fare qualcosa che non si sentono più. Ci si fa male in due e i danni sono maggiori dei benefici.Altra domanda: perché, invece, se io non esprimo invidia verso una mia simile, ma semmai le dimostro apertamente la mia stima, con qualche apprezzamento, passo per la lesbica di turno? Io ho i miei pregi, i miei difetti, e me li tengo. Se una donna è bella, glielo dico. Se ha talento in qualcosa, glielo dico. Se ha un'ambizione, un desiderio, un'aspirazione, la incoraggio a uscire dallo steccato, dai limiti, e provare a dare un senso a quell'ambizione. Perché dovrei essere un uomo? Mi piace truccarmi, vestirmi femminile (anche se ci sono dei giorni dove sembro una scappata di casa), mi piace valorizzare il mio corpo. Ripeto, sono una donna che non ha paura di dire quello che pensa. Forse è questo che fa paura. Il dire quello che si pensa.Ma io penso anche che il tempo delle maschere, dei troppi compromessi, del quieto vivere, dello "eh ma", "eh ma se", "eh se solo potessi, ma", sia finito. Ho un invito da fare che mi viene dal cuore. Donne, smettete anche di avere paura delle altre donne, di quelle diverse dal modo di pensare a cui ci hanno abituato. Smettete di pensare che dovete essere sempre il "gentil sesso", quello debole, quello che va difeso e che è incapace di difendersi. Smettete di attaccare quelle che riescono a correre e a camminare da sole, quelle che hanno lavorato duramente su loro stesse per liberarsi di ciò che le faceva stare male. Scoprirete che siete in grado di farlo anche voi. Ci vuole del tempo, ma scoprirete che non è buttato via. Invidiare, sparlare, attaccare, invece, è una grossa perdita di tempo. E io non voglio più perdere tempo - l'ho deciso da molto. E' brutto sentirsi dare delle "troie", degli "uomini mancati" o delle lesbiche, solo perché siamo noi stesse.
Alessandra Leoni

Mosul, il violinista che sfida l'Isis: torna a suonare nella città in guerra

"La musica è una cosa bellissima". E' il messaggio che Ameen Mokdad, musicista iracheno vuole lanciare al mondo. "Contro ogni terrorismo o ideologia che limita le libertà". Quando nel 2014 l'Isis prese il controllo della città di Mosul, la musica venne immediatamente vietata perché considerata peccaminosa. I miliziani irruppero nella casa del giovane e confiscarono tutti i suoi strumenti. Ora che l'esercito iracheno ha ripreso il controllo dell'area Ameen ha deciso di tornare nella sua città natale organizzando un piccolo concerto con il suo violino tra le rovine della moschea di Giona, sito caro tanto ai musulmani che ai cristiani. L'evento, pubblicizzato attraverso i social network, ha attirato alcuni curiosi. "La gente ama la musica", afferma il ragazzo. Nel breve video di tanto in tanto il rumore degli spari si mescola alle note del violino Ameed, ricordando che la lotta in città non è ancora terminata e che i combattimenti tra esercito regolare e miliziani continuano

19.4.17

La nemesi del fondamentalismo libertario. Reportage dall’Olanda

Il rock metallico sovrasta il rumore delle rotelle in piena velocità sull’impiantito di legno. Solo il tonfo dello skateboard che ricade al suolo dopo il fulmineo volo si distingue dal sottofondo musicale. Le linee ondulate orizzontali di sezioni cilindriche e di piani inclinati combinano strane armonie con gli archi ad ogiva sui lati della navata centrale e con quelli che si succedono prospetticamente verso il fondo dell’abside. Il bianco e beige delle attrezzature stridono col rosso cupo dei mattoni a vista e col mosaico ingrigito dell’abside: lo Spirito Santo che procede dal Figlio sulla croce e discende sulla Madonna e sugli apostoli. Sulla parete opposta un telone dipinto a olio viola e blu reca i tratti di un’ingenua figura demoniaca. Figure sottili con casco e ginocchiere saettano longitudinalmente prima di cadere o di frenarsi. Spicca la stazza corpulenta di Amy, un transessuale 28enne che fa anche il volontario per tenere aperta questa struttura: «Vengo qui a pattinare un paio di volte alla settimana. Mi piace l’ambiente perché ha carattere e per le sue linee, ma pattinerei anche in un velodromo moderno. No, non vado più in chiesa. Ho smesso perché c’era troppa gente che non accettava le mie scelte di vita».
Dal gennaio 2012 la chiesa cattolica di san Giuseppe ad Arnhem è stata trasformata in una pista per skateboard. Anticipando o seguendo lo stesso destino di centinaia di chiese cattoliche e protestanti in tutta l’Olanda, era chiusa al culto dal 2005. Costruita nel 1928 e dotata di 888 posti a sedere, aveva servito la comunità di immigrati cattolici che dal sud si era trasferita in questa regione protestante dell’Olanda in cerca di lavoro dopo la Prima Guerra mondiale. Al tempo in cui si decise la chiusura, 15 fedeli frequentavano l’unica Messa domenicale.
«Non ho mai incontrato nessuno che si lamentasse dell’uso che facciamo della chiesa», dice fra un sorso e l’altro della sua lattina di Heineken Collin Versteegh, il 49enne che ha avuto l’idea. «Il parroco e il consiglio parrocchiale ci hanno dato il via libera a condizione che pagassimo la tassa comunale sugli immobili, che da sola si porta via tutti i profitti. Spesso vengono qui vecchi parrocchiani a dare un’occhiata: tanta nostalgia da parte loro, ma nessuna amarezza». Le chiese cattoliche aperte al culto sono scese da 1.740 a 1.513 nel giro di un decennio, ma molte di più ne saranno chiuse nel futuro prossimo. «Prevedo che chiuderemo un terzo delle chiese attuali entro il 2020, e due terzi entro il 2050», dice a Tempi l’arcivescovo di Utrecht, il cardinale Wim Eijk. Le parrocchie cercano di affittare o vendere le strutture.L’imponente complesso di ex scuole parrocchiali annesse alla chiesa di san Giuseppe è diventato la sede della tivù pubblica regionale, solo l’asilo infantile ha mantenuto la destinazione d’uso. «Ma non ci sono più le suore, e non è più una scuola cristiana. In Olanda abbiamo abolito la religione!», se la ride Collin Versteegh. Il buontempone esagera, ma non troppo: secondo l’edizione 2016 del rapporto “Dio in Olanda”, che da cinquant’anni analizza il rapporto degli olandesi con la fede religiosa, l’anno scorso solo un 14 per cento di loro dichiarava di avere fede in un Dio personale, contro un 24 per cento che si professa ateo e un 34 per cento agnostico. Il rimanente 28 per cento afferma di avere una visione “spiritualista” della vita. Cattolici e protestanti di tutte le denominazioni iscritti come tali nei registri ecclesiastici erano rispettivamente il 40,5 e il 36 per cento di tutta la popolazione nel 1970; oggi sono il 23 e il 10 per cento.
La conversione degli immigrati
Ma una religione l’Olanda contemporanea ce l’ha eccome, ed è quella dell’individualismo libertario. Chi, come gli immigrati, non nasce dentro a questa religione, è chiamato ad accedervi attraverso l’integrazione, che altro non è se non ciò che in ambito religioso si chiamava un tempo conversione. Forze politiche apparentemente contrapposte come il Partito per la libertà di Gert Wilders sovranista, anti-immigrati e anti-islam, i liberal di D66 (un incrocio fra il Partito democratico americano e il Partito radicale italiano) e i Verdi di sinistra di GroenLinks (questi sono i tre partiti che il 15 marzo scorso hanno guadagnato più seggi rispetto alle elezioni precedenti) condividono in realtà la stessa antropologia centrata sull’autonomia morale dell’individuo, rivendicano le stesse libertà per quanto riguarda aborto, eutanasia e matrimonio fra persone dello stesso sesso.
L’unica ma fondamentale divergenza riguarda la conversione degli immigrati e dei loro figli ai valori olandesi: da imporre con le buone o con le cattive vietando tutto ciò che si oppone a quei valori, a cominciare dall’islam secondo Wilders e molti altri olandesi che pure non lo hanno votato; da attendere con fiducia rimuovendo gli ostacoli economici e psicologici secondo i progressisti di tutte le sfumature, fideisticamente certi che lo stile di vita secolarizzato esercita di per sé un’attrazione irresistibile.
Una definizione brutale ma perfetta dell’identità olandese contemporanea la potete ascoltare dalla bocca di Ebru Umar, la giornalista olandese di origine turca entrata in rotta di collisione col governo Erdogan e con la maggior parte della comunità turca in Olanda (di più su di lei all’articolo alle pagine seguenti): «Essere olandesi vuol dire essere un individuo che ha un’opinione su tutto e te la dice in faccia anche se non ti piace, essere un liberal, uno al quale non importa nulla della religione in cui credi e del modo in cui fai l’amore, basta che lo lasci in pace, essere olandesi vuol dire pretendere la stessa libertà illimitata per sé e per gli altri». Una definizione critica la potete ascoltare dalla bocca del cardinal Eijk: «La nostra è la società dell’individualismo esagerato. L’individualista è una persona autoreferenziale, convinta di avere non solo il diritto ma il dovere di costruire da sé il proprio essere e i propri valori etici. Non cerca punti di riferimento negli altri, in realtà e strutture che lo trascendono, ma solo in se stesso».
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Una definizione da scienziato sociale l’ascoltate da Kim Putters, direttore dell’Scp (l’Ufficio per la pianificazione sociale e culturale, istituzione pubblica che è la somma di quello che in Italia fanno l’Istat e il Censis) e per dieci anni senatore del partito laburista: «Cosa vuol dire essere olandesi lo abbiamo chiesto agli olandesi stessi, e sono emersi tre fattori: l’orgoglio per il benessere e la proiezione mondiale dell’economia nazionale; l’attaccamento alla libertà individuale sotto tutte le sue forme; il welfare state come lo strumento più idoneo per prendersi cura di ogni membro della società. Oggi cresce l’ansia perché si avverte che tutto questo è in pericolo. Gli olandesi sono orgogliosi di essere stati uno dei primi paesi al mondo che ha introdotto il matrimonio fra persone dello stesso sesso, e quando settimana scorsa una coppia omosessuale è stata aggredita da un gruppo di minorenni marocchini nella città di Arnhem in tutto il paese ci sono state manifestazioni di solidarietà, ma anche la presa di coscienza angosciata che il nostro modello di vita è attaccato dall’esterno e dall’interno».L’Olanda è ancora il paese del Partito per gli animali, che esige l’obbligo di anestesia non solo per gli animali macellati nei mattatoi, ma anche per i crostacei prima di essere immersi nell’acqua bollente; è il paese dove la stampa dà risalto alle proteste della principale organizzazione per i diritti lgbt che denuncia le politiche dei comuni che rendono inaccessibili le aree pubbliche frequentate dagli appassionati del sesso all’aperto («meglio metterci più piante, che permettano di infrattarsi meglio»); è il paese che prende sul serio la proposta di riforma della legge pro-eutanasia avanzata da D66: chiunque abbia compiuto almeno 75 anni dovrà avere il diritto di porre fine alla sua vita assistito dallo Stato se lo desidera e dichiara «concluso il proprio percorso vitale». Ma non è più solo questo.
Diffamazione e discriminazione
È anche il paese dove un consigliere comunale di origine turca di Rotterdam sospettato di simpatie per il fallito golpe in Turchia del luglio scorso si dimette per le intimidazioni dei suoi connazionali residenti in Olanda e per la campagna diffamatoria contro di lui della stampa turca, senza che nessuno prenda convintamente le sue difese. È il paese dove una Ong cristiana protestante, il Transatlantic Christian Council che fa lobbismo contro l’ideologia gender alle Nazioni Unite e all’Unione Europea, deve fare ricorso in tutti i gradi di giudizio per vedere riconosciuto il diritto alla detrazione fiscale per chi fa donazioni all’ente, essendo stato inizialmente giudicato inaccettabile che il «rafforzamento del sistema legale» oggetto delle sue attività fosse centrato sui valori cristiani. Per poter esercitare un diritto pacificamente riconosciuto a qualunque organizzazione gay, Henk Jank van Schothorst, padre di sei figli, ha dovuto sobbarcarsi 30 mila euro di spese legali delle quali lo Stato ha rimborsato solo 3 mila euro.
L’Olanda è un paese dove un numero crescente di social media denunciano xenofobia e islamofobia (la pagina Facebook Meldpunt Islamofobie en Discriminatie, il sito internet dutchturks.nl, ecc,), a volta pretestuosamente ma a volte anche fondatamente, seppure in forma aneddotica. Dutchturks recentemente raccontava la storia di un concessionario d’auto usate di origine turca contattato via email da un potenziale acquirente che intendeva accertarsi se il veicolo in vendita avesse avuto un proprietario turco. In tal caso, secondo costui, il libretto delle revisioni periodiche era certamente falsificato e inattendibile.
Dal 15 marzo scorso l’Olanda è anche il paese di Denk, il partito pro-immigrati contiguo all’Akp di Erdogan che ha conquistato 3 seggi e che propone il seguente programma: un corpo di polizia di mille agenti incaricato esclusivamente dei reati a sfondo razziale, corsi di rieducazione obbligatori per coloro che sono condannati per reati di razzismo e loro esclusione dai posti di lavoro nella funzione pubblica, eliminazione di tutta la toponomastica legata al passato colonialista dell’Olanda, quote di assunzione del 10 per cento per gli immigrati nelle imprese, corsi di turco e di arabo in tutte le scuole pubbliche. Kim Putters ammette che la questione è complicata: «Un problema di discriminazione c’è: i figli di immigrati tendono ad avere un buon rendimento scolastico, ma faticano più degli olandesi autoctoni a trovare un’occupazione. I datori di lavoro tendono a privilegiare i curriculum degli olandesi autoctoni su quelli degli immigrati, soprattutto marocchini».
La resistenza del populismo
La questione marocchina è paradossale, perché mette in discussione una delle certezze della religione individualista olandese. I marocchini (numericamente equivalenti ai turchi, entrambe le comunità contano circa 400 mila unità) sono più integrati dei turchi: sono più secolarizzati di loro e parlano meglio l’olandese. Eppure il 70 per cento dei marocchini ha problemi con la legge prima del compimento del trentesimo anno di età per reati contro il patrimonio o a sfondo sessuale, mentre il tasso di criminalità dei turchi è identico o inferiore a quello degli olandesi autoctoni. A proteggere i giovani turchi da passi falsi non è l’integrazione, ma il suo contrario: la coesione familiare, l’introversione del gruppo, il relativo isolamento dal resto della società.
Morale della storia secondo Kim Putters: «I giornali stranieri hanno scritto che il voto olandese ha sconfitto il populismo, e tutta l’Europa deve essere grata all’Olanda. Non è così. I motivi di preoccupazione, i sentimenti negativi, le ragioni del pessimismo sono ancora tutte presenti. Se il nuovo governo non riuscirà a farsi carico di tutte queste preoccupazioni, la polarizzazione politica aumenterà. Il populismo non è stato affatto sconfitto».
@RodolfoCasadei Tempi.it 17/4/2017

dittattura di presidi secondo la buona scuola di renzi Modena, una maestra di scuola elementare è stata sanzionata dalla preside perché "troppo permissiva" a lavoro. Dopo una perizia psicologica, la docente ha ottenuta una nuova idoneità al lavoro

stranerzza ci s'indigna per una donna che allatta ma si volta lo sguardo per le cose serie


Questa foto ha scatenato una bufera su Instagram
La foto in cui allatta il suo Tagir ha prodotto indignazione tra i followers di Aliya Shagieva, figlia del presidente del Kirghizistan.


Fonte: Instagram


Uno scatto quasi innocuo, almeno per la nostra sensibilità, sta invece provocando delle reazioni assai più accese del previsto in Kirghizistan. A suscitare così tanto clamore è stata Aliya Shagieva, figlia del presidente che ha deciso di pubblicare sul suo profilo Instagram una immagine in cui allatta il suo bambino.
Il 75% della popolazione del Paese è musulmana: questo atteggiamento da diva, nella percezione dei followers è distante dalla cultura locale. In particolare, sono finite un paio di foto in cui la figlia “ribelle” del Presidente, Almazbek Atambayev, allatta a seno nudo il suo Tagir.
Qualche settimana fa, sempre sul suo profilo Instagram, Aliya, aveva già suscitato scandalo: la figlia del premier aveva attirato numerose critiche con una fotografia in cui posava in bikini con il pancione scoperto ben in vista.
Per nulla intimorita dalle accuse, la neomamma ha risposto a chi l’ha criticata che il seno della donna ha la funzione di allattare: “Da troppo tempo la gente ha dimenticato il vero scopo del seno femminile e lo ha trasformato in un oggetto che serve a soddisfare gli occhi degli uomini. La società ha fatto diventare il seno un oggetto sessuale“, ha scritto sul suo profilo, ora irraggiungibile.
Inoltre, ha annunciato che continuerà la sua coraggiosa battaglia per promuovere la parità di genere: “Le norme e le idee possono cambiare a seconda della cultura, del tempo e di tanti fattori – ha replicato la figlia di Atambayev, che governa in modo autoritario il Kirghizistan – Inizieremo a sentirci un po’ meglio se ci sbarazzeremo di luoghi comuni e stereotipi di genere”.