18.11.13

Francese di 47 anni scopre di avere 10 fratelli in Barbagia [Da Lione a Orgosolo per conoscere i fratelli 'scoperti' sul web dopo 47 anni reprise ]

 musica  consigliata  Afterhours - Ritorno a Casa


ecco  "la   seconda  puntata  " della  storia  di cui  ho parlato    nel post  precedente  
http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2013/11/da-lione-orgosolo-per-conoscere-i.html

Figlio di un emigrato, ritrova le sue radici grazie a internet Ieri ha abbacciato la “nuova” famiglia, ma il padre è morto 


dalla nuova  sardegna  del 18\11\2013  
di Mattia Sanna 


ORGOSOLO «Mi chiamo Louis, vivo a Lione, ho 47 anni. Mia sorella ne ha 46 crediamo di essere figli di suo marito, Luigi». All’improvviso una donna, madre di dieci figli, scopre che la buonanima (il coniuge è morto lo scorso anno) di figli ne ha messi al mondo altri due nati in Francia da una relazione (precedente il loro matrimonio) con una ragazza. Ieri Louis è arrivato a Orgosolo per conoscere l’allegra tribù che l’ha accolto come un messia. La notizia è di quelle che hanno dell’incredibile, da “C’è posta per te”, costruita per strappare le lacrime, ma è tutto vero. È il primo novembre quando arriva una telefonata a casa di Mariangela Succu, vedova settantunenne di Luigi Garippa, morto lo scorso anno a ottantaquattro anni. Quando alza la cornetta pensa che sia uno dei suoi figli. Invece è un figlio, ma del marito e di un’altra donna.





Si chiama Louis, proprio come la buonanima di Luigi. Parla male l’italiano, comunque con l’aiuto di un interprete prima dice di avere quarantasette anni e che vive a Lione, che se la passa bene, che di professione fa il coiffeur e possiede ben quattro saloni. Dopo la presentazione, con una raffica di parole dice «io e mia sorella Veronique siamo figli di tuo marito». L’anziana donna, madre di otto femmine e due maschi non si scompone eccessivamente perché trova conferma a una storia in cui non aveva mai creduto: il marito Luigi, tornato in Sardegna nel ’71, aveva parlato più volte di due bambini venuti al mondo da una precedente relazione, avuta quando era emigrato. Erano gli Anni Sessanta. Luigi si recò all’estero per lavorare in un’azienda che costruisce forni. Conosce una ragazza, e da quella relazione nascono Louis e Veronique. Ora, sebbene raccontasse questa storia, nessuno in paese credeva a tziu Carbone (così era conosciuto da tutti ad Orgosolo Luigi Garippa), celebre per il suo carattere scanzonato e la battuta sempre pronta. Pensavano si trattasse di una delle sue burle. E invece... Louis si è concretizzato e tzia Mariangela, ospitale e sempre pronta ad accogliere chiunque bussi alla sua porta, ieri l’ha abbracciato. Del resto il desiderio di voler conoscere i propri fratelli per Louis era forte. Dopo anni di ricerche lungo la penisola e tentativi andati a vuoto, la voglia di conoscere le proprie origini era irrefrenabile. Così Louis ha deciso subito di mettersi in viaggio, per arrivare in Barbagia. Veronique arriverà tra non molto. La visita nel paese dei murales è stata preceduta da numerose conversazioni su skype. Durante quei lunghi contatti Louis e Veronique hanno appreso che papà Luigi è venuto a mancare pochi mesi fa, e per loro è stato un dispiacere. Resta la consolazione di ritrovare una grande, grandissima famiglia per due persone che hanno trascorso molti anni in orfanotrofio. Ieri Louis ha fatto il suo ingresso trionfale a Orgosolo accolto da abbracci commossi e calorosi e un ricco pranzo tipico per tributargli il benvenuto. Un’ambiente di festa che, forse, mai si sarebbe potuto immaginare e che lo accompagnerà fino a domani, giorno del suo rientro in Francia. «La felicità è davvero grande – commenta Luisa Garippa, una delle figlie di tziu Carbone – la giornata è stata indimenticabile. L’arrivo improvviso di un fratello e quello imminente di una sorella, dei quali ignoravamo l’esistenza, è per noi un dono grandissimo». Louis, travolto dalla novità, frastornato per l’accoglienza, è riuscito appena a dire «Sono raggiante, ma dopo la trepidazione e le suggestioni di queste ore, ho bisogno di un po' riposo».


e  dall'unione sarda    con alcuni commenti

Orgosolo, dopo mezzo secolo  scoprono due fratelli in Francia

Ignoravano che il loro padre, 50 anni prima, avesse avuto due figli in Francia, terra in cui era emigrato nel 1961. Dieci fratelli di Orgosolo festeggiano per il pezzo di famiglia ritrovato.Il ricongiungimento è avvenuto domenica. Louis, affermato coiffeur nella sua città, ha potuto riabbracciare i suoi fratelli sardi e i parenti mai conosciuti finora. A breve lo raggiungerà anche la sorella Veronique. Il padre Luigi è morto lo scorso anno, all'eta di 84 anni.LA FESTA - Il francese, secondo la cronaca dell'Ansa, è arrivato in Sardegna sabato sera, all'aeroporto di Alghero. Ha trascorso la notte nella cittadina catalana, ospite di una sorella del padre. Ha fatto tardi, perché i racconti sono andati avanti fino alle 5 del mattino. Poche ore di sonno e la partenza per il paese, nel cuore della Barbagia. Ad accoglierlo tutta la famiglia ritrovata. E un pranzo - preparato dalle sorelle - con ravioli e maialetto arrostito. 

Emozionato lui ed emozionati tutti i parenti orgolesi, soprattutto per la straordinaria somiglianza con il papà Luigi. "E' come se avessi avuto dentro di me un vulcano acceso per tutta la vita. Oggi si è spento", ha confessato dopo l'abbraccio con i fratelli e le sorelle in terra di Sardegna.
LA CARRAMBATA - "Mi chiamo Louis, ho 47 anni e sono di Lione. Io e mia sorella Veronique, di un anno più giovane di me, crediamo di essere figli di suo marito". Questa la telefonata ricevuta ad Orgosolo, lo scorso 1 novembre, da Mariangela Succu, 71 anni, che di figli ne ha altri dieci, otto femmine e due maschi, tra i 30 e i 42 anni, vedova di Luigi Garippa. Una storia da "Carramba che sorpresa" raccontata dalla giornalista Maria Giovanna Fossati sul sito di Sardiniapost e poi ripresa dall'Ansa.Superato lo stupore iniziale, la signora Mariangela ha parlato a lungo al telefono con Louis grazie ad un interprete. Poi tutta la famiglia si è messa al lavoro per preparare una degna accoglienza. "Non vediamo l'ora - ha detto una delle sorelle sarde, Luisa alla vigilia della festa - Non ci stiamo dormendo la notte per la felicità. Ci sentiamo tutti i giorni via Skype con entrambi ed è come se ci conoscessimo da sempre".LA FAMIGLIA DIVISA - Una storia che viene da lontano. Luigi Garippa emigra in Francia nel 1961 e trova lavoro in un'impresa che costruisce forni a Lione. Conosce una ragazza e dalla loro relazione nascono Louis, oggi 47enne, e Veronique, di 46. I ragazzi crescono in un orfanotrofio e di loro si perdono le tracce. Nel mentre Luigi torna in paese, ad Orgosolo, dove nel 1971 si sposa. Nasceranno dieci figli e per mantenerli lavora nei campi. I due bambini francesi, intanto, diventano grandi e si mettono alla ricerca del padre naturale. Una zia materna svela il "mistero" e fa sapere che il loro papà è vivo e che è in Sardegna. Il resto lo fa Internet. Sulla rete Louis e Veronique trovano il numero di telefono di Orgosolo e decidono di contattare la famiglia. Il desiderio reciproco di incontrarsi e conoscersi ora diventa realtà.












 


ozierese70
18/11/2013 09:06
quante bugie!
la moglie sapeva benissimo dell'esistenza di questi due figli.....altro che Carramba!! Tutti lo sapevano,ma le favole a lieto fine sono più belle della triste storia di due figli abbandonati.......
melisfa
17/11/2013 17:51
Migranti
Queste sono notizie che riempiono il cuore di gioia perchè quando le famiglie si riuniscono sanno esprimere la felicità della gente e tutto il paese è in festa. Nonostante la lontananza da casa l'amore di Dio ha fatto ritrovare la strada alla gente perchè questa possa vivere in pace ed in armonia con il prossimo.
petrus1
17/11/2013 16:55
..Carramba..
..che sorpresa!!!!

Umberto Palazzo: ‘In Italia il rock è morto’

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  dal ilfattoquotidiano  

 Questo articolo  conferma   quanto diice  l'articolo di letter43  (  vedi primo url  sopra  )    e  non è     si  legge contestualizando i  insieme i  due articoli    con qwuanto dice  il mio utente  facebookiano 

  • Piergiorgio Palese ecco…questo ci mancava… questi del Fatto Quotidiano hanno iniziato una nuova crociata! E vai di metodo Boffo pure contro il rock...

 il fattoquotidiano    di   | 15 novembre 2013

Agitatore di masse, nel senso che su Facebook “le spara” e ciò che ne consegue è vincolato a un ritorno di “like” davvero impressionante. Lo ricordiamo anche per aver messo in scacco la Siae; la
class action da lui promossa per i diritti degli autori cosiddetti minori non è passata inosservata, tanto da smuovere giornalisti e giornali. Ma soprattutto, Umberto Palazzo è un musicista, uno di quelli che ha segnato il territorio nei fantasmagorici anni ’90, quando la musica rock – nel nostro Paese – rilevava l’unico grande fermento degno di essere chiamato con tale effettivo registro.
Ricordate “I Dischi del Mulo?”. Facevano capo alla premiata ditta Ferretti & Zamboni e annoveravano tra gli altri gruppi quali Marlene Kuntz, Ustmamò, Estasia… fino ad arrivare appunto a Umberto ovvero ’Il Santo Niente’. Ora, dopo un disco solista uscito nel 2011, c’è da incensare, “è tornato il Santo”. Lo abbiamo “evocato”.
Allora Umberto, hai finito di fare casino?
Ovviamente non ci penso proprio.
Prendiamola da lontano, queste mie non sono interviste, in verità ci facciamo due chiacchiere. Sul tuo profilo ti definisci una mina vagante nel mondo della musica rock, spiegaci.


Nel mondo della musica rock (e non) ho lavorato per trent’anni un po’ in tutti i ruoli (musicista, gestore di locali, organizzatore di concerti, dj, produttore, fonico, insegnante al conservatorio e in corsi professionali, direttore di produzione, backliner) quindi ho una visione particolarmente dettagliata della faccenda e dei suoi ingranaggi e quello che so non me lo tengo per me, quindi sono spesso critico in maniera più incisiva che altri.
Com’è finita la class action?
L’Europa sta per varare una legislazione unitaria sul diritto d’autore e anche in Italia potrebbe cambiare il piano normativo, quindi, se questo accadesse, l’azione decadrebbe. Bisogna aspettare.
Senti, parliamo della tua roccaforte su Facebook, hai un seguito impressionante
E’ del tutto casuale, sul profilo principale ci sono quasi tremila richieste in attesa, ma non è una cosa che ho voluto io. Le persone mi cercano, qualcuno anche per insultarmi, va detto.
Agitatore, provocatore oppure semplicemente persona intelligente?
Diciamo libero pensatore, magari non sono così intelligente, ma almeno penso sempre con la mia testa.
A volte … rompi anche i coglioni, possiamo dirlo?
E’ un effetto collaterale del pensare sempre con la propria testa e non dare nulla per scontato. I luoghi comuni sono rilassanti, ma a volte sono basati su premesse false o su passaggi non logici. Metterli in discussione genera fastidio, che è una buona cosa: un pensiero nuovo che sta nascendo crea sempre disagio.
Qualcuno dice: Artista serio e preparato ma rosicone, sulla questione mi pare tu abbia espresso un chiaro parere.
Secondo qualcuno gli artisti non dovrebbero parlare della cosa che gli sta più a cuore, cioè dell’arte. Io non solo penso di avere il diritto di dire che un’opera non mi piace o un’operazione non mi convince, ma credo di averne anche il dovere estetico, proprio perché sono un artista. L’arte è una questione di bellezza. Se una cosa la trovo brutta lo dico, soprattutto se la maggioranza dice che è bella. Ma poi chi mi dà del rosicone fa finta di non vedere che spingo in continuazione cose che mi piacciono e che mi sbatto un sacco per molti miei colleghi. Comunque in genere si tratta di fan acritici nei confronti dei loro idoli che si irritano perché metto in discussione i loro articoli di fede. Poi possiamo parlare anche di quelli che “scopano di più”.
Eppure le tue esternazioni – se lette con attenzione – rivelano sempre una chiarezza d’intenti inequivocabile.
Prima di parlare ci penso parecchio, sono una persona estremamente razionale e pratica. Non sopporto quelli che vanno “a sentimento”.
Mixiamo… Le reunion sono un atto dovuto alla musica oppure sono l’ultima esile risorsa di un genere musicale – il rock – morto e sepolto?
Il rock in Italia è morto. Non nel mondo, ma in Italia è una faccenda di vent’anni fa e il rock di vent’ani fa è da museo, non interessa ai ragazzi. Fuori dei nostri confini succede di tutto, ma qui arriva solo una debole eco, filtrata in base alle esigenze di chi tira i fili del gusto, che non è una cosa che si crea autonomamente, ma viene creato da chi fa comunicazione nel settore. Il gusto nel settore musicale in Italia è quanto di più provinciale si possa trovare nel mondo occidentale. Ora s’incazzeranno tutti, ma lo faranno “a sentimento”, senza aver prima guardato i cartelloni dei festival internazionali dove le nostre più grandi band non passano neanche per ipotesi.
E quindi qual è il senso della vostra reunion?
Il Santo Niente non si è mai sciolto. Il Santo Niente ha delle difficolta economiche ad avere una produzione costante, ma non ricordo di averne mai annunciato in un qualsiasi momento lo scioglimento. Ogni tanto mi devo fermare perché non ho fondi e tempo per mandarlo avanti. Ovviamente è un’attività se non in perdita al massimo in pareggio, se non si fosse capito.
Parliamo del disco, o meglio delle recensioni finora uscite. Sembra di capire che sia stato dalle maggiori testate favorevolmente accolto.
Sì, mediamente bene, recensioni sul sette come altri novecento dischi all’anno, ma nessuna intervista e nessun articolo. Una dignitosa invisibilità, diciamo. Per fortuna c’è Internet.
Ma c’è anche chi ne ha parlato male…
Certo, credo che un terzo delle recensioni online siano mezze o complete stroncature.
Chessò, che cosa vorresti dire “al giornalista qualunque” riguardo la sua recensione?
No, non discuto mai le recensioni negative. Una volta ho fatto però l’errore di postarne una, senza criticarla per altro. Non lo farò mai più: i responsabili ne hanno approfittato per creare una polemica che io non volevo che gli ha portato molti click. Perché la rete funziona a click e questo molti non lo sanno.
Qual è stata secondo il tuo parere quella più centrata ma anche quella più errata?
Non c’è un’interpretazione autentica da sostenere, vanno bene tutte, anche le più sbagliate
Recensisci ora tu il disco, devi però essere onesto.
Io adoro “Mare Tranquillitatis”, faccio uscire dischi solo quando ne sono entusiasta, perché nessuno mi può dare delle scadenze, né mi passa anticipi.
Vuoi che ti dica il mio parere?
Umberto: Certo che sì.
Marco: Lo ritengo un disco datato è per questo che funziona.
Facciamo un passo indietro e torniamo ai tempi del consorzio suonatori indipendenti: qualche ricordo.
Facevamo la fame.
Possibile al giorno d’oggi immaginare una situazione come quella?
Fare la fame? Niente di più facile. Scherzi a parte non esistono più budget che lo possano permettere, perché si vende meno di un quinto dei dischi che si vendevano all’epoca
Nella musica tutti copiano tutti a cominciare dai giornalisti che scrivono recensioni zeppe di metafore e citazioni i cui contenuti lasciano il tempo che trovano: “Quello assomiglia a questo, questo assomiglia a quello” non se ne può più. Io per primo non ne scrivo più altrimenti finisco in quell’ingranaggio.
E’ giusto fare dei paragoni, tutti gli artisti hanno qualche fonte d’ispirazione e la creazione è un processo evolutivo lento. Il problema è che il 99 per cento dei paragoni non sono calzanti. Per qualche motivo il critico musicale, a differenza di quello letterario o cinematografico, pensa di poter avere una conoscenza limitata per genere o periodo storico e poter giudicare in base a quella. Non ho mai sentito parlare invece di critici cinematografici che non conoscano il cinema di Kubrick e critici letterari che non abbiano letto Dante.
Mi viene in mente Zappa… sai, no, quello che diceva?
UmbertoQuella frase dell’architettura? Non è di Frank Zappa e comunque non sono d’accordo. Parlare della musica è fondamentale, anzi se ne parla troppo poco secondo me. In effetti nelle recensioni spesso si parla di tutto tranne che di musica. La musica, se non è pura esecuzione, è un sistema di idee, che si possono decodificare e spiegare avendone i mezzi. Il problema è che la maggior parte dei giornalisti non capiscono quali siano le idee che ci sono nei dischi e si fermano alla superficie.
 Progetti futuri? Siamo alla fine Umberto…
Subito un altro disco da solista e un altro con la band. Soprattutto ci tengo a far crescere questo Santo Niente, che è formato da Tonino Bosco, Federico Sergente e Lorenzo Conti, musicisti giovani e dalle grandi potenzialità.
È ora di salutarsi. Non prima di avermi detto i tuoi dischi dell’anno, italiani e non.
The Next Day di David Bowie e per gli italiani Still Smiling di Teho Tehardo e Blixa Bargeld
Fuori le tue nove.
Eccole!
9 canzoni 9 di … Umberto Palazzo
Lato A
Remember to Remember • Jester at Work
Defenestrazioni • Teho Tehard & Blixa Bargeld
Men of Good Fortune • Lou Reed
How Does the Grass Grow • David Bowie
Lato B
Swim and Sleep • Unknown Mortal orchestra
Sheik • ZZ Top
Stoned Starving • Parquet Court
Ores and Minerals • Mazes           
Latch • Disclosure

QUELL'ADDIO AL MIO AMICO


Abbiamo trascorso una vita insieme e mai avrei pensato di essere io a doverti salutare. Mai avrei potuto aspettarmi un dolore così grande, TU il mio amico sincero, il compagno che ha colmato tanta solitudine. Ora ti sono accanto e le mie mani ormai stanche si adagiano ancora su di te, come facevo ieri, quando ogni sera ci ritrovavamo vicini a dividerci quel poco che ci era rimasto.

Eppure non ti sei mai lamentato, ti sei sempre preoccupato di distrarmi con le tue capriole e quando mi sentivo poco bene eri come una sentinella i piedi del mio letto.
Ti guardo mentre la mente confonde i ricordi come una palla impazzita, sei tu qui, che dolorante cerchi ancora il mio sguardo come se fosse l'ultima immagine da portarti via.
Anche io ti guardo amico caro, mentre cerco di trattenere le lacrime che copiose hanno già raggiunto il cuore. Sono qui compagno mio, sono ancora vicino a te a raccontarti di quando la guerra mi ha rubato troppo presto la gioventu', sono qui, come ieri a raccontarti tra malinconia e rimpianto di quell'amore che mi ha lasciato quel buco nel cuore.
Ho vissuto una vita modesta, tutto doveva quadrare, non ci siamo permessi mai neppure una vacanza al mare, ma la tua presenza mi ha fatto vivere di rendita. Sono solo un povero vecchio a cui tu hai donato tanta gioia e affetto. Come farò domani?
Nessuno coglierà mai piu' la mia disperazione, solo TU sei stato la mia famiglia, hai saputo attendere anche intere ore quando a fatica riuscivo a malapena a farti fare un giretto sotto casa per i tuoi bisogni, perchè il freddo mi paralizzava le ossa e a scaldarci erano solo delle vecchie coperte.
Eppure mi hai reso felice, così senza rispondermi ti accostavi a me con quel tuo musetto, quasi volessi ogni volta abbozzarmi un bel sorriso.
Ciao amore mio, non ti dimenticherò mai e se i miei giorni saranno brevi, conterò i minuti per ritornar da te.
Resto qui, sulla mia vecchia sedia a guardare dietro i vetri l'inverno che passa. mentre nel silenzio cerco ancora nella stanza quell'amico che il destino mi ha portato via.

17.11.13

Da Lione a Orgosolo per conoscere i fratelli 'scoperti' sul web dopo 47 anni

Musica  in sottofondo  La canzone del padre - De André

 da repubblica  online  17 novembre 2013

La storia di Louis e Veronique, nati dalla relazione della madre con un sardo emigrato in Francia nel 1961. Pochi anni dopo il padre era tornato in paese dove si era sposato ed aveva avuto altri dieci figli. All'incontro emozione e sorpresa per la straordinaria somiglianza con il genitore



                      Uno scorcio di Orgosolo con il Supramonte sullo sfondo (foto Rafael Brix)


NUORO - "Mi chiamo Louis, ho 47 anni e sono di Lione. Io e mia sorella Veronique, di un anno più giovane di me, crediamo di essere figli di suo marito". Questa è la sostanza della telefonata ricevuta ad Orgosolo, lo scorso primo novembre, da Mariangela Succu, 71 anni, vedova di Luigi Garippa, l'uomo con il quale ha avuto dieci figli (otto femmine e due maschi) che oggi hanno tra i 30 e i 42 anni. Una storia da "Carramba che sorpresa" raccontata dalla giornalista Maria Giovanna Fossati sul sito di Sardiniapost, diretto da Giovanni Maria Bellu.
Il ricongiungimento è avvenuto oggi, ma purtroppo non è stato al completo: Luigi Garippa, infatti, è morto l'anno scorso all'età di 84 anni. Ma Louis, affermato coiffeur a Lione, ha già potuto abbracciare i numerosi fratelli sardi, mentre nei prossimi giorni lo farà anche Veronique.
Superato lo stupore iniziale, la signora Mariangela avevano parlato a lungo al telefono con Louis grazie a un interprete. Poi tutta la famiglia si è messa al lavoro per preparare una degna accoglienza. "Non vediamo l'ora - ha detto ieri una delle sorelle, Luisa - . Non ci stiamo dormendo la notte per la felicità. Ci sentiamo tutti i giorni via Skype con entrambi ed è come se ci conoscessimo da sempre".
Una storia che viene da lontano e ha radici in quell'ondata di emigrazione che nel Dopoguerra spinse molti sardi senza lavoro a lasciare le zone interne e quelle della Gallura per cercare fortuna in Liguria, Savoia e nel sud della Francia. In quel contesto, Luigi Garippa arriva in Francia nel 1961 e trova lavoro in un'impresa che costruisce forni a Lione. Lì conosce una ragazza e dalla loro relazione nascono Louis, oggi 47enne, e Veronique, di 46. I ragazzi crescono in un orfanotrofio e di loro si perdono le tracce, mentre Luigi dopo qualche tempo torna in paese, ad Orgosolo, dove nel 1971 si sposa con Mariangela Succu. Dalla loro unione nasceranno dieci figli.
I due bambini francesi, intanto, diventano grandi e si mettono alla ricerca del padre naturale. E' una zia materna, alla fine, a metterli sulla pista giusta per svelare il "mistero": dà loro il nome del padre e un'indicazione sul paese d'origine, spiegando che il papà dovrebbe vivere in Sardegna. Il resto lo fa Internet. Sulla rete Louis e Veronique iniziano la caccia fino a rintracciare un numero di telefono di Orgosolo. A quel punto fanno la telefonata per contattare la famiglia. Oggi il desiderio reciproco di incontrarsi e conoscersi è diventato realtà con l'aggiunta, all'emozione, di una buona dose di sconcerto: Louis infatti sarebbe identico al padre.
Emozionato lui ed emozionati tutti, soprattutto per questa straordinaria somiglianza. "E' come se avessi avuto dentro di me un vulcano acceso per tutta la vita. Oggi si è spento", ha confessato dopo l'abbraccio con i fratelli e le sorelle orgolesi. Louis era arrivato in Sardegna sabato sera, ad Alghero, dove ha trascorso la notte ospite di una sorella del padre.
Ha fatto tardi, perché già i racconti della zia sono andati avanti fino alle 5 del mattino. Poche ore di sonno poi la partenza per il paese, nel cuore della Barbagia. Ad accoglierlo tutta la famiglia ritrovata. E un pranzo - preparato dalle sorelle - a base di ravioli e maialetto arrosto.

Celestini, avviso ai più distratti: «Una nuova Italia alza la testa». ma che ancora tarda a manifestarsi completamente



di GIORGIO PISANO
Il pizzetto, rigorosamente fuori moda, è da spadaccino d'un tempo ormai lontano. Lo sguardo, acceso e penetrante, quello di un visionario. Ma sotto sotto si vede e si sente la borgata romana dov'è cresciuto e dove abita ancora, con moglie e due figli.Ascanio Celestini, 41 anni, vive di lampi che qualche volta si trasformano in libri, altre volte in copioni per il teatro. Chiedetegli di definirsi e lui non sa cosa rispondere: «Ascolto storie e racconto storie. Tra l'ascolto e il racconto c'è la scrittura».Se frugate tra i testi di drammaturgia contemporanea viene etichettato come attore del teatro di narrazione. Riduttivo. Dentro Celestini c'è antagonismo colto, una mano disincantata che racconta l'eccidio delle Fosse Ardeatine o la dannazione dei matti. Ma c'è anche televisione (con Serena Dandini), brevi squarci di intelligenza catodica.C'è insomma un affabulatore che ha metabolizzato la lezione di Pier Paolo Pasolini e il mondo di quelli che stanno ai margini tutta la vita. Fa il paio con Marco Paolini e la trincea (Dario Fo incluso) che porta sul palcoscenico una storia, una vicenda legata a doppio filo ai giorni che viviamo. Teatro civile, si potrebbe dire, se non gli avessero già dato un altro nome.A Cagliari sabato prossimo per la stagione teatrale dei Cada Die, presenterà il suo ultimo lavoro: Discorso alla nazione.Per capire di chi si tratta e di cosa ci si possa aspettare da uno come lui, basterebbe leggere due righe d'un suo libro, Lotta di classe: io passo attraverso i muri. Attraverso le villette antiladro controllate dagli allarmi antizingaro, protette da inferriate antinegro con vernice antiruggine dove antipatici padroni antisemiti con crema antirughe fanno antipasti antiallergici in bunker antiatomici. Scrittura cruda e felice, spietata e brutale. Si intuisce dal ritratto (stesso romanzo) d'uno zio: c'era qualcosa di tragico in mio zio. Qualcosa che si ritrova solo nelle moltitudini di persone, oggetti o concetti. Ha il fascino delle migliaia di sacchetti dell'immondizia squarciati dagli stormi scomposti dei gabbiani onnivori in transumanza sulla discarica. Emana la stessa disgustosa attrazione, la medesima ripugnante seduzione del pericolo in agguato. È una disgrazia seduta in poltrona, il cinese sulla riva del fiume, ti aspetta per farti inciampare da solo. La ragnatela che si riempie di polvere in attesa che passi la mosca.

Cos'è il teatro di narrazione?
«Un teatro specificatamente di narrazione non esiste. Quasi tutto il teatro è narrazione. Lo è Pirandello, Euripide e Shakespeare. Qualcuno vorrebbe distinguere i miei spettacoli o quelli di Paolini o della Musso da altri ritenuti più tradizionali. Secondo alcuni, più distratti, nel nostro caso non ci sarebbe il personaggio, ma sarebbe l'attore a parlare direttamente al pubblico. Invece io (come tutti, inevitabilmente) interpreto un personaggio per il fatto stesso di trovarmi sulla scena. Ma lo interpreto facendolo passare attraverso la mia biografia. È un teatro biografico».
A teatro per raccontare e non per recitare: qual è il vantaggio?
«Nessun vantaggio. La narrazione non è il contrario della recitazione».
A teatro non va più nessuno e lei si ostina a farlo.
«Si sbaglia. A teatro viene moltissima gente. Curzio Maltese in un articolo di qualche anno fa scriveva: Anche il prossimo anno, come l'ultimo, dodici milioni di spettatori andranno a teatro e nessuno ne parlerà. Dodici milioni sono una quantità enorme, l'equivalente di un campionato e mezzo di Serie A. Il calcio e le domeniche sportive, i giornali specializzati e intere sezioni degli altri, una moltitudine di ore televisive sprecate in processi del lunedì, martedì, etc., radio che non trasmettono altro: il teatro non ha nulla. Perché? Sono i misteri della sottocultura dell'informazione».
A Viterbo l'hanno accolta male: Celestini boia. Ferita ancora aperta?
«No. È stata una ragazzata di qualche giovane di destra. Le contestazioni si fanno mostrandosi in pubblico e cercando il contraddittorio, non con qualche scritta fatta in fretta di notte sui muri».
A proposito: lei ci va a teatro?
«Io vado a teatro anche se ho difficoltà ad andarci visto che la maggior parte delle sere sono occupate dai miei spettacoli. In questi anni ho apprezzato molto il lavoro di Giuliana Musso e Veronica Cruciani, oltre a quello di alcuni maestri come Marco Paolini e Marco Baliani, Mimmo Cuticchio, Giovanna Marini e Dario Fo, e poi gli spettacoli di un vecchio compagno: Gaetano Ventriglia».
I suoi personaggi sono ultrasottoproletari, sporchi, brutti e disperati. Perché li ha scelti?
«I personaggi di cui parlo appartengono alle classi più basse, alle categorie più derelitte. Il mio intento non è fare politica, ma scrivere una storia che racconti l'essere umano. Rappresento loro perché nel loro essere indifesi mostrano in modo più netto l'umanità».




Altri co-protagonisti, i matti: sempre ultimi.
«Un infermiere m'ha detto t'è mai capitato di allontanarti dall'automobile e poi tornare indietro col dubbio di non averla chiusa? Immagina di allontanarti infinite volte e infinite volte tornare indietro con lo stesso dubbio: ecco cos'è il disagio mentale . Tutti viviamo un disagio, ma la maggior parte di noi riesce a gestirlo. Chi non ce la fa è come noi, ma con una debolezza in più».
Hanno fatto bene a chiudere i manicomi e abbandonare tutti i pazienti o quasi?
«Non hanno chiuso tutti i manicomi e non hanno abbandonato i pazienti. La famosa legge 180 è del 1978. Per chiudere l'ultimo manicomio pubblico c'hanno messo più di trent'anni. Non mi pare che ciò significhi chiudere i manicomi da un giorno all'altro, c'è voluto molto tempo. In molti luoghi i servizi territoriali funzionano, ma chiudere il manicomio non significa cancellare il disagio mentale. Bisognava superare quell'istituzione nazista per cominciare a distinguere il disagiato mentale dal lager nel quale veniva rinchiuso. E poi molti manicomi, purtroppo, esistono ancora. Sono quelli privati che spesso fanno soldi anche infilando le mani nelle tasche delle istituzioni pubbliche. Per non parlare dell'orrore degli ospedali psichiatrici giudiziari».
“Siamo fatte di pezzi stonati, nero e fucsia”, dice uno dei suoi personaggi. Per quali donne vale?
«Credo valga per tutti, non solo per le donne».
La lotta di classe è un'alternativa alla guerra civile, dice lei. S'è accorto che è morta da un pezzo?
«La lotta di classe è il conflitto tra le classi sociali. Fin quando ci sono le classi, c'è il conflitto. Il problema è che questo conflitto è combattuto consapevolmente soprattutto dalle classi dominanti e che, purtroppo, tra gli appartenenti alle classi subalterne c'è chi lo combatte contro qualche derelitto che può dominare invece che contro il proprio carnefice. La novità è che incominciano a diventare importanti le battaglie territoriali (No-Tav e molte altre) che hanno spostato l'attenzione dal cittadino all'abitante, rovesciando una maniera di fare politica che partiva da una visione del mondo per cambiare il mondo. Oggi si parte dal mondo per arrivare ad una visione di esso».
La riscossa sarebbe dovuta avvenire con Beppe Grillo.
«Non capisco cosa voglia fare Grillo. Ho l'impressione che voglia convertire i macellai al vegetarianismo e per farlo va a squartare vitelli insieme a loro. È vero che non serve avere le mani pulite se si tengono in tasca , ma non è obbligatorio sporcarsele di sangue».
La salvezza è l'antagonismo?
«Salvezza è un concetto per cattolici e tifosi di calcio».
Si sente tradito dalla sinistra?
«No, mi stupisco del fatto che non si capisca qual è il problema concreto dei partiti. La loro distanza non nasce dal fatto che sono pieni di gente furba e poco perbene. La corruzione e l'esercizio del privilegio hanno radici storiche. Quando i partiti erano tenuti insieme da una visione del mondo l'elettore sentiva di poter delegare il professionista del proprio partito per governare il paese. Sapeva (o credeva) che l'idea del segretario del partito era la sua stessa idea, perché quell'idea veniva da lontano e li avrebbe portati lontano».
E ora?
«Oggi la storia ha schiacciato questo presupposto e l'unico strumento valido nell'occidente del presente (domani, forse, non avrà più senso e dovremo trovarne altri) è quello della democrazia diretta e del superamento della delega. Purtroppo i cambiamenti importanti hanno bisogno di tempo e di impegno».
Un politico da salvare?
«Li salvo tutti e non salvo nessuno. Li salvo tutti perché hanno in mano uno strumento vecchio che non li porterà lontano. Sono ladri che rapinano banche e poi scappano a piedi. Non ne salvo nessuno perché, credendo nella democrazia diretta, penso che la vera politica non ha protagonisti».
Papa Francesco: uomo di marketing, dice qualcuno.
«Anche un cattolico si rende conto che Bergoglio è un testimonial straordinario. Non lo dico per offendere. Leggo sulle pagine, spesso superficiali ma molto popolari, di Wikipedia che per testimonial si intende una terza figura che con il sorriso, la cordialità, la competenza dimostrata e le qualità morali di cui è implicitamente portatore, garantisce personalmente in merito alla bontà del prodotto reclamizzato . È probabile che oltre a queste sue doti pubblicitarie e fascinatorie, Bergoglio sia stato eletto Papa anche per volontà della Divina Provvidenza come credono i cattolici. Ma io non sono cattolico».
Non fa tivù da tanto: come mai?
«Non smanio per fare tivù. Ci vado quando mi chiamano. E generalmente non mi chiamano».
Mai ospite a un talk show: paura di farsi narcotizzare?
«Faccio molto teatro. Questo impegno mi porta a non poter accettare tanti inviti e comunque non parteciperei a trasmissioni nelle quali ci si trova a sgomitare e ad affrontare questioni in maniera superficiale».
Il peggio e il meglio della tivù italiana.
«Non c'è un peggio e un meglio. A volte può esserci una differenza a livello di contenuti, ma linguisticamente è tutta una stessa cosa. La differenza dovrebbe farla lo spettatore».
E i giornali, si salvano?
«Il problema della comunicazione è che s'è trasformata in un unico flusso di narrazione. Inconsciamente lo spettatore o il lettore ha applicato alla prima lo stesso atteggiamento che ha per la seconda. La realtà viene recepita attraverso il filtro del gusto. Diciamo mi piace questo giornale, questa trasmissione come potremmo dire mi piace la pizza Margherita . C'è bisogno di allontanarsi dai media. Se nella realtà non riusciamo ad avvicinarci a decine di argomenti differenti, come possiamo farlo attraverso la mediazione dei giornali, della televisione o addirittura della Rete?»
Salga sulla plancia di comando e dia un'occhiata all'Italia: che le sembra?
«Sono ottimista. C'è un'Italia clandestina che alza la testa senza protagonismo. Che attiva i propri territori senza trasformare le sue battaglie in partiti che vanno a mettere il cappello sulla sedia di qualcuno appena defenestrato. Che mostra di non essere docile. Molte di queste battaglie saranno perse, ma eviteranno che contro questi territori vengano dichiarate altre guerre».
pisano@unionesarda.it

“Target not visible”, e il bombardiere americano cambiò bersaglio Il mostro nucleare e la città salvata dalle nuvoleIl meteo dirottò l'atomica da Kokura a Hiroshima.

film consigliato  emperor  

  dall'unione  sarda  del  16\11\2013




Possono le nuvole salvare la vita a migliaia di persone? Può il sole rendersi complice di uno sterminio, e della distruzione di un'intera città? Sembra impossibile che sia così: invece è accaduto davvero. In estremo Oriente. Le foto scattate da un giovane sergente hanno testimoniato tutto. Lui è morto, adesso. Le sue immagini, invece, no. Continuano a
 due  dragoni tra le  nuvole  1885  di  kano hogai  ( 1828-1888 ) da http://www.pinterest.com/mikebrautigan/kano-hogai/
rimanere un simbolo e un monito. Per ciascuno di noi.
Tra una giornata di sole e le nuvole, in molti sceglierebbero il sole. Lo farebbero quasi tutti. Invece le nuvole hanno salvato Kokura. La hanno risparmiata dall'annichilimento. Dalla distruzione totale. «Il bel tempo decide la città da colpire: non noi» ha precisato a voce alta il comandante durante la riunione finale, scandendo bene le parole.Un fatto vero, incontestabile. Tanto che nel discorso del presidente Truman il nome della città da colpire era stato appositamente lasciato in bianco. Da riempirsi soltanto a missione compiuta. Come a dire: “L'una o l'altra: fa lo stesso…”. Basta che non ci siano le nuvole! Per carità! Le nuvole potrebbero mandare tutto a monte. Rovinare ogni piano. Ed è così, dunque, che il sole, quel giorno d'agosto, si è alleato con la morte. Era un sole splendente: e con la nitidezza della sua luce ha reso la città di Hiroshima un target ideale per la prima bomba atomica. Un sole pieno, appunto. Il cielo sereno. Tutto immobile e perfetto. Una giornata adatta a essere felici.Invece no.Con questo pensiero, loro sono andati a dormire. Non a lungo, per la verità. Alle due di notte, infatti, erano già svegli, pronti per il decollo. È un meraviglioso giorno d'estate: e a Hiroshima non c'è nemmeno una nuvola. Al mercato rionale la frutta e la verdura ravvivano le anime dei passanti con i loro colori accesi, con il loro profumo d'estate. Sono tutti così felici e ottimisti che quando l'aereo della morte sorvola la città le sirene della vedetta antiaerea nemmeno si prendono la briga di suonare l'allarme: “Sarà un volo di ricognizione” pensano. Lo pensa anche la gente. Ma questa volta si sbagliano. Si sbagliano tutti.«Alla fine di questa missione sarete più famosi di Clark Gable» ha detto il generale ai suoi soldati, per motivarli. Lo ha detto come se la notorietà potesse bastare a giustificare tutto. Come se Hollywood fosse davvero importante. Più importante di uno sterminio.Sei agosto 1945. Un giorno livido nella storia dell'umanità. L'inconfondibile ponte a “T” di Hiroshima è ben visibile. La bomba atomica viene sganciata. Basta il pollice di un soldato su un pulsante, e una colossale quantità di energia distruttiva viene improvvisamente liberata. Quarantadue secondi di caduta libera. E poi il nulla: che prende il posto della vita. In un momento soltanto. Fumo. Luce. Cenere. Morte. Un fungo alto venti chilometri che si erge inaspettato. Settantamila persone smettono di esistere istantaneamente. Il nero che, all'improvviso, prende il posto di tutti i colori. I profumi scompaiono. Scompare anche la luce del sole. Eppure, all'imperatore Hirohito tutto questo non basta per arrendersi. È un uomo orgoglioso, lui. E non è abituato a chinare la testa. Dunque continua a studiare crostacei e molluschi nella sua casa dorata circondata da cigni e da rose: mentre tutto, intorno a lui, muore: perché è facile essere coraggiosi con le vite degli altri.6 agosto 1945. Se quel giorno ci fossero state le nuvole a Hiroshima, tutti sarebbero ancora vivi e la città di Kokura, invece, non esisterebbe più. Kokura è proprio una città miracolata. Per ben due volte. Prima dal sole di Hiroshima. Poi dalle sue stesse nuvole che, tre giorni dopo, la hanno salvata dal nuovo attacco.La seconda bomba ha un nome. Si chiama “Fat Boy”. Ragazzo grasso. È un nome stupido: da caserma. Questo del nome, bisogna sottolinearlo, è un fatto davvero sconveniente e di cattivo gusto. Avrebbero potuto evitarlo, i soldati americani. Quegli stessi che il nove agosto del 1945 hanno sorvolato Kokura con l'intento di distruggerla. Di raderla al suolo.Nove agosto 1945. Sono davvero tante le nuvole che, quella mattina, oscurano i cieli di Kokura e sono spesse. Uno scudo magico e improvviso. Apparso misteriosamente dal nulla a proteggere la città. I militari ancora non lo sanno: per loro, questa volta, Kokura è il target principale per il lancio della seconda bomba atomica: voluta con decisione da Truman pur di finire la guerra in fretta e furia: pur di evitare che i russi potessero prendervi ufficialmente parte e domandare, in cambio, una fetta di Giappone incenerito.La bomba atomica è armata. È pronta per essere sganciata. Le previsioni del tempo hanno annunciato cieli limpidi e sole pieno sulla città di Kokura. Invece, quando i piloti la sorvolano, si trovano immersi fra le nuvole. Una nebbia grigia comparsa all'improvviso li costringe a lasciar perdere. Sono le nove e quarantacinque minuti. “Target not visible” “Target not visible”. Tre parole che salvano Kokura dalla distruzione totale. Nagasaki perirà al suo posto. Perché lì, quel giorno, il sole c'è. Ed è proprio una giornata meravigliosa. 156 chilometri tra le due città: una distanza breve: che, però, cambia tutto. Il sole, le nuvole. Mai così importanti. Mai così determinanti per la vita di tante persone.

Nicola Lecca