di Paola Scaramozzino
“Quanto
imbarazzo quando facendo delle pratiche mi chiedevano dove ero nata. A
Pola rispondevo e automaticamente compariva sul computer dell’impiegato
una striscia rossa che evidenziava un errore. Pola, ora si chiama Pula
ed è in Croazia, fa parte delle città che alla fine della II Guerra
mondiale e dopo il trattato del 1947 sono state cedute alla ex
Jugoslavia. E’ come dire che io non sono più italiana”.
Così ci
racconta Anna Maria Mori,foto a sinistra, giornalista, scrittrice, figlia di esuli
Istriani che a questo argomento aveva dedicato già nel 1993 un
documentario, ”Istria 1943-1993: cinquant'anni di solitudine” e poi
“Istria, il diritto alla memoria” del 1997, entrambi trasmessi su
Raiuno. Ci ospita nella sua casa, a due passi dal centro di Roma.
“Per
anni ho cercato di rimuovere quella che è stata una tragedia familiare
che ci ha allontanato da Pola e dal posto dove era nata mia madre ,
Lussinpiccolo, una località oggi della Croazia, situata sull’Isola
chiamata dei Capitani perché c’era una scuola per capitani di lungo
corso della marina mercantile. Mio padre non era istriano ma di Firenze,
eppure si sentiva di appartenere a quel posto. Dopo l’esodo mia madre
non ha fatto che piangere, non si è mai rassegnata”. E come lei chissà
quanti altri profughi si sono portati nel cuore il grande dolore della
perdita non solo di una casa, di un territorio , ma di un’identità. Ci
sono dolori che ti invadono il cuore ma anche la testa, il corpo e così
deve esser accaduto alla madre dell’autrice che racconta la storia della
sua famiglia nel libro “Nata in Istria”, pubblicato nel 2006 dalla
Rizzoli e uscito in questi giorni nell’ edizione tascabile Bur.
Quando si è saputo delle Foibe? “
E’ accaduto come per i campi di concentramento nazisti, all’inizio gli
ebrei stessi non ne parlavano . Dopo il trattato e con l’occupazione dei
45 giorni di Trieste, i titini nelle strade urlavano con gli imbuti
perché non c’erano i megafoni, “Italiani fascisti andatevene” perché per
loro tutti appartenevano a quell'ideologia e non era proprio così. Poi
la gente scompariva di notte. Uomini, donne, bambini. All'inizio forse
non si poteva neanche immaginare che le persone venissero gettate nelle
foibe. E’ stata una pulizia etnica simile a quella perpetuata nei
confronti degli ebrei anche se di dimensioni diverse.
Un orrore evidente
con i ritrovamenti dei poveri resti nelle fosse Carsiche. Quante
persone sono state trucidate? Si può fare solo una stima, 10 mila forse.
Chissà. Ad un cero punto si è capito che era in pericolo la vita di
tutti e solo da Pola sono partiti in 30 mila verso l’Italia che ha
accolto i profughi malissimo.
La sinistra li considerava tutti fascisti e
temeva che, testimoni del regime comunista di Tito, potessero
raccontare che quello non era il “Paese avanzato” che i comunisti
italiani tanto declamavano. Gli esuli sono stati abbandonati e
criminalizzati. La destra li ha in qualche modo difesi e allora anche
coloro che non erano fascisti, alla fine lo sono diventati. Una
situazione imbarazzante anche per il governo di De Gasperi che non si
espresse per non rompere gli equilibri con la Jugoslavia che aveva
tagliato i rapporti con l’ Unione Sovietica. Una situazione davvero
complessa ”.
Istituire la Giornata del Ricordo si può considerare un risarcimento morale per gli esuli e per le vittime delle foibe?“Diciamo
di sì, viene riconosciuto un fatto negato per 50 anni. Il presidente
della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso parole durissime sul
silenzio che c’è stato e che ha riguardato anche l’eccidio di Porzus,
dove partigiani rossi uccisero partigiani bianchi. Fra questi Francesco
de Gregori, zio e omonimo del cantautore e Guido Pasolini, fratello di
Pier Paolo. Diciamo che tutte le storie dell’Adriatico Orientale sono
state in parte taciute”.
Che si prova a ritornare sui posti dove si è nati e cresciuti e sapere che non sono più tuoi?
“La
tua Terra è un po’ come tua madre. C’è un’ appartenenza reciproca,
profonda, la si sente dentro. Non è solo per il posto fisico, ma per
tutto: odori, sapori, paesaggi. E poi per come sono fatte le case, i
tetti a punta, l’architettura austroungarica. E c’è il mare. A Roma ci
vivo da decenni , è una città bellissima, ma non è la mia. Mi sento
fuori posto. Sempre”.
La Storia, le foibe: fra il 1943 e il 1947 sono fatti precipitare vivi e morti, quasi diecimila italiani.La
tragedia delle foibe si svolge in due tempi. Una prima ondata di
violenza esplode subito dopo la firma dell'armistizio dell’ 8 settembre
1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicano contro i
fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano e poi
gettano nelle foibe, le cavità carsiche profonde anche 200 metri, circa
un migliaio di persone. La seconda fase che è quella più cruenta avviene
nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e
l’Istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenano contro gli
italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici,
liberal democratici, socialisti, uomini di chiesa, oltre 40 sacerdoti,
donne, anziani e bambini. È un massacro che testimonia l'odio
politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare
dalla futura Jugoslavia i non comunisti. La persecuzione prosegue fino
alla primavera del 1947 quando viene fissato il confine fra l' Italia e
la Jugoslavia. Ma il dramma degli istriani e dei dalmati non finisce.
Nel
febbraio del 1947 l'Italia ratifica il trattato di pace che pone fine
alla Seconda guerra mondiale: l' Istria e la Dalmazia vengono cedute
alla Jugoslavia. Trecentocinquantamila persone si trasformano in esuli.
Scappano dal terrore, non hanno nulla, sono bocche da sfamare che non
trovano in Italia una grande accoglienza né dalla sinistra, né dalla
destra e dallo stesso governo di De Gasperi.
I profughi
Le
foto datate 1947 più che le parole possono descrivere la disperazione
di uomini, donne, bambini, interi gruppi familiari e anziani costretti a
lasciare quella che era la loro patria per un’altra Italia che provata
dalla guerra, non desiderava altre bocche da sfamare. Al dottor Marino
Micich , figlio di esuli dalmati, direttore dell’Archivio Museo storico
di Fiume, Segretario generale della Società di Studi Fiumani, presidente
dell’Associazione per la Cultura Fiumana Istriana e dalmata nel Lazio,
chiediamo se c’è stato un risarcimento per tanto dolore. “Quando si
parla di vite umane non ci può essere alcun risarcimento. Il
riconoscimento della “Giornata del Ricordo” il 10 febbraio di ogni anno,
è stato un passo avanti notevole dopo che per 50 anni si è negata la
tragedia delle foibe e degli esuli”.
In
Campidoglio è stato firmato proprio alcuni giorni fa un protocollo
d’intesa per la nascita della “Casa del Ricordo”, a via San Teodoro a
Roma.“
Sì, un altro riconoscimento per tutte quelle persone
che hanno dovuto lasciare, case, attività, affetti, ricordi. L’esodo
che fu di 350 mila persone iniziò nel 1945 e si può affermare che si
concluse negli anni ’50. Nel 1947, subito dopo la firma del trattato di
Parigi, ci fu il numero più massiccio di profughi. Partivano con le loro
poche cose imbarcandosi sulle navi verso l’Italia che li accolse
malissimo. Erano considerati cittadini di serie B e la loro tragedia
imbarazzava sia la destra che la sinistra che l’allora governo
democristiano di De Gasperi. Si è preferito ignorarli per decenni.
Addirittura ci furono manifestazioni ostili al passaggio dei treni dei
profughi come quello avvenuto alla stazione di Bologna il 17 febbraio
1947: Un treno che trasporta un folto gruppo di esuli sbarcati il giorno
precedente ad Ancona rimase bloccato per ore sui binari da una protesta
dei ferrovieri bolognesi, che non permettono lo svolgimento di nessuna
operazione di soccorso e di approvvigionamento, costringendo così il
convoglio a proseguire per Parma dove furono poi soccorsi”.
Sono
stati 109 i campi profughi sparsi in tutta Italia e per il 70% situati
al Nord che hanno accolto gli esuli che con il tempo si sono integrati
nel tessuto sociale. Ma la ferita del loro passato è rimasta a lungo
aperta proprio perché per decenni gli è stato negato il riconoscimento
della tragedia vissuta. A Roma esiste ancora oggi il villaggio
Giuliano-Dalmata nato da una vecchia fabbrica dismessa nella zona dell’
Eur. “E’ il quartiere 31 della Capitale – ci dice Micich- e comprende la
zona della Cecchignola e Fonte Meravigliosa. Non dobbiamo dimenticare
che gli esuli non erano tutti triestini, dalmati o fiumani. Fra di loro
anche calabresi e siciliani che erano andati in quelle zone per
lavorare. C’è poi un numero imprecisato di persone che non rientrarono
proprio in Italia ed emigrarono in America e in Australia”.
C’è stato mai un compenso economico per gli esuli?“Un
minimo di 7,8 mila euro che è davvero niente se si pensa che con tutto
ciò che hanno lasciato nei territori diventati poi Jugoslavi si sono
pagati i debiti di guerra. Comunque con il Giorno del Ricordo è stato
restituito a molti almeno la dignità e soprattutto non si è dimenticata
la grande tragedia delle foibe”.
Un silenzio durato quasi 50
anni. Ne parliamo con lo storico Giovanni Sabbatucci. Un silenzio
ingombrante e pesante come un macigno quello che è calato per quasi 50
anni sulle foibe e sui profughi giuliano dalmata . “I motivi sono
diversi – spiega il professore Sabbatucci - il primo è psicologico: si
usciva dalla sconfitta di una guerra e si volevano lasciare alle spalle
tutte le tragedie legate ad essa. Si guardava avanti. Poi il momento era
difficile e altre bocche da sfamare, erano 350 mila i profughi
dell’Istria e della Dalmazia, non erano certo ben accette. Inoltre
c’erano ragioni i ideologiche e di Governo”.
Si può dire che le Foibe imbarazzavano sia la destra che la sinistra?“Sì,
se per questo anche la stessa classe dirigente democristiana con a capo
De Gasperi, preferì tacere sia sulle Foibe che sui profughi considerati
cittadini di serie B. I comunisti temevano da parte loro che gli esuli
potessero raccontare che il territorio da dove erano fuggiti non era
assolutamente il “paradiso comunista” che tanto si declamava . I
neofascisti, dall’altra parte, non erano particolarmente propensi a
raccontare cosa avvenne alla fine della II Guerra mondiale nei territori
istriani dato che fra il 1943 e il 1945 erano sotto l'occupazione
nazista, in pratica annessi al Reich tedesco”.
“ È una ferita
ancora aperta “perché è stata ignorata per molto tempo e solo da poco è
iniziata l’elaborazione”, sostiene il professore Sabbatucci. L’addio
dalle proprie case e dai loro paesi, la cattiva accoglienza in Patria, i
rifugi nelle caserme, in baracche, in villaggi nati in campi sportivi.
Stanze divise con cartoni e coperte usate come tende. Uomini e donne
separati in alloggi diversi, famiglie smembrate. I profughi hanno pagato
più di altri la sconfitta della guerra. Con la legge del 2004, il
Parlamento italiano decreta il 10 febbraio come “La giornata del
ricordo” delle vittime delle foibe.
( ... )
Sylos Labini: in questi ultimi anni stai raccogliendo il testimone di Giorgio Gaber, porti in tournée in tutta Italia i tuoi spettacoli di teatro-canzone. In questi giorni sei in scena con Magazzino 18, uno spettacolo sulla tragedia delle Foibe che è al centro di polemiche secondo me vergognose. Che cos’è il Magazzino 18 e che cosa ti ha spinto a raccontare questa pagina tragica della storia d’Italia?
Cristicchi: Magazzino 18 è un luogo realmente esistente che si trova nel Porto Vecchio di Trieste, un hangar dove venivano messe le merci delle navi in transito; in questo magazzino n. 18 si trovano invece le masserizie degli esuli istriani, fiumani e dalmati, che all’indomani della Seconda Guerra Mondiale furono costretti ad abbandonare le loro terre. Sono oggetti di vita quotidiana – letti, armadi, cassapanche, foto, ritratti – che ci raccontano una tragedia cancellata per tanti anni dalla storia e dalla memoria, io la chiamo “una pagina strappata dai libri di storia”. Ogni oggetto racconta la storia di una famiglia, di un vissuto, di un tessuto sociale strappato e mai più ricomposto. Con questo spettacolo ho cercato di ricomporre la loro storia dimenticata e di raccontarla a chi, come me fino a pochi anni fa, non ne era assolutamente a conoscenza.
Sylos Labini: è una pagina nascosta per 50 anni dai libri di storia, una cosa vergognosa. Come ti spieghi questo dividere ancora i morti in ‘morti di serie A’ e ‘morti di serie B? È vero che hai ricevuto delle minacce perché metti in scena uno spettacolo sulle Foibe?
Cristicchi: lo spettacolo in realtà non è soltanto sulle Foibe, che sono un piccolo capitolo di una storia più complicata. Le persone che mi hanno criticato sono di estrema destra e di estrema sinistra, nessuno si è sottratto alla lapidazione di chi cerca di fare giustizia, di dare voce a chi non l’ha avuta per tanti anni; tutte queste critiche sono arrivate da persone che non hanno nemmeno avuto il buon gusto di vedere lo spettacolo, quindi mi scivolano addosso.
Sylos Labini: non capisco perché ti attacchino sia da destra che da sinistra…
Cristicchi: da sinistra perché è uno spettacolo “da fascisti”, da destra perché probabilmente avrei dovuto essere più incisivo in alcuni particolari di questa storia, quando invece il mio spettacolo vuole tendere a una pacificazione tra le parti e forse invece alcuni esponenti dell’estrema destra non cercano il dialogo. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, non accettano alcune cose e cercano sempre lo scontro. Non ho scritto questo spettacolo con Ian Bernas per creare ulteriori scontri e offese a questa gente.
Sylos Labini: la tua è sempre stata una musica di denuncia, ho sempre i brividi quando ascolto Ti regalerò una rosa. Tornando a un tema che hai affrontato anche in un tuo spettacolo, chi sono oggi i veri pazzi della nostra società?
Cristicchi: probabilmente i veri pazzi sono i sognatori, quelli che credono che oggi si possa rifare una nuova Italia e cambiare un po’ il mondo, con una partecipazione attiva alla vita politica e sociale. I veri pazzi sono quelli che continuano a sognare e che non si lasciano soffocare da tutto quello che sta accadendo in questo momento.
Sylos Labini: che cosa pensi della protesta dei Forconi, che proprio in queste ore stanno paralizzando molte piazze per protestare contro la linea del Governo?
Cristicchi: non ho seguito bene la questione perché in questo momento sono in tournée in Croazia, posso dire che a volte sono delle valvole di sfogo difficili da gestire, ma che ci si deve aspettare… quando le persone sono soffocate a un certo punto esplodono in qualche modo. La mia paura è che questo tipo di manifestazioni possano portare a delle violenze, e quando c’è la violenza si passa sempre dalla parte del torto.
Sylos Labini: tu sei sempre rimasto OFF, anche dopo il successo hai sempre imposto una tua linea artistica e autorale precisa fregandotene del mercato ufficiale, sei perfettamente in linea con il nostro magazine. Che consiglio ti senti di dare ai giovani artisti che cominciano questa carriera e che ci leggono su
ilgiornaleOFF ?
Cristicchi: il consiglio che posso dare è quello di coltivare una curiosità per il mondo senza avere delle ideologie preconcette, di affidarsi all’istinto perché molto spesso ci guida verso mete a cui non avremmo mai pensato, come è successo a me: sono passato dal fumetto alla canzone, poi dalla canzone al teatro e alla scrittura, il 4 febbraio uscirà anche il libro di Magazzino 18, con tutti i racconti che ho raccolto in questi anni. Bisogna mantenere le antenne puntate e presentarsi al grande pubblico con una maturità quasi già acquisita, non arrivare da debuttanti e sentirsi però debuttanti sempre, per tutto il proprio percorso.
C'è voluto un cantante per ridare la parola all'indicibile della nostra storia
di Elisabetta De Dominis
Simone Cristicchi porta in scena Magazzino 18, la tragedia dell'esodo di 350 mila italiani dall'Istria e la Dalmazia. Lo abbiamo intervistato: "Mi piacerebbe arrivare in America"
La nostra origine indicibile ha trovato parola. Indicibile per noi che ne siamo stati privati, indicibile per chi ci ha scacciato e per chi ci ha accolto. Indicibile infine perché questi soggetti agenti hanno fatto di noi oggetti, merce di scambio, guadagno.Dopo 70 lunghi anni, e quante generazioni, finalmente qualcuno ha visto, ha capito, ha parlato. Un cantante, Simone Cristicchi si è fatto cantore, ha errato nel nostro èthos e ha portato in scena la tragedia dell’esodo di 350 mila italiani dell’Istria e della Dalmazia. Il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia Politeama Rossetti ha inaugurato la stagione con la produzione del Magazzino 18.Diretto da Antonio Calenda, questo ‘musical-civile’, di cui sono autori Simone Cristicchi e lo storico Jan Bernas, racconta quello che è avvenuto al confine orientale alla fine della Seconda guerra mondiale. Lo scopre uno sprovveduto archivista romano, inviato dal ministero a redigere un inventario del magazzino 18 del Porto Vecchio di Trieste, dove gli esuli, destinati ad essere accolti in angusti campi profughi in Italia o in procinto di partire per l’America, lasciavano in deposito i loro mobili e oggetti, sperando di rientrarne in possesso nel futuro. Poco a poco, rinchiuso lì dentro, percepirà lo ‘spirito delle masserizie’ che gli narrerà fatti pubblici e sofferenze private.
Ma com’è venuta a Cristicchi questa idea?
“Stavo girando per l’Italia - ci spiega Simone Cristicchi - per una ricerca sulla memoria degli anziani, che poi è diventato un libro: Mio nonno è morto in guerra (Mondadori), quando a Trieste ho incontrato Piero Del Bello, direttore dell’IRCI (Istituto regionale per la cultura istriana), e grazie a lui sono potuto entrare nel magazzino 18 inaccessibile al pubblico. Ho percepito immediatamente la grandezza di questa storia e mi ha stupito che non fosse conosciuta in Italia, che questo magazzino non fosse un museo. Quando sono uscito, ho sentito che tutti quei mobili mi avevano parlato. Ecco, mi è stata regalata questa sedia, guardi sotto la seduta c’è il nome del proprietario: Ferdinando Biasiol e io ho promesso di raccontare. Da quel momento ho iniziato la ricerca sull’esodo insieme a Jan Bernas, che ha scritto Ci chiamavano fascisti, eravamo italiani (Ugo Mursia editore). Ho letto una trentina di testi, sono andato a parlare con tanti esuli e in Istria con i rimasti. Ho lavorato un anno e mezzo sul testo e la stesura delle canzoni. Quella che si chiama proprio Magazzino 18 è visionabile su You Tube”.
Quante pressioni politiche ha avuto?
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Simone Cristicchi in una scena di "Magazzino 18" |
“Ho avuto suggerimenti da schieramenti diversi, non pressioni politiche. Fino all’ultimo giorno mi sono sentito libero di tagliare, ritoccare. Ho fatto leggere ad alcuni il testo in anteprima, non per accontentare tutti, ma per ricevere consigli. Mi pare di essere riuscito nell’intento: è un testo equilibrato che dà voce all’emotività della memoria. Avevo già fatto quattro spettacoli teatrali, ma non mi era mai capitato di interpretare personaggi in maniera così viscerale, forse perché il teatro italiano è un teatro di parola. Per me è stato un onore poter lavorare con una persona di sensibilità come il regista Antonio Calenda che ha ideato questo nuova forma di teatro: il musical mescolato al teatro civile. Vorrei utilizzare questo format per altre storie”.
E’ vero che questo spettacolo è stato rifiutato dai più grandi teatri di prosa italiani: da Milano a Torino, da Firenze a Napoli…?
“Sì, temevano che fosse un testo fascista, poi quando hanno saputo che la rappresentazione è imparziale e di grande impatto emotivo, hanno capito che vuole superare i conflitti. Mi piacerebbe portarla in giro per l’Italia anche l’anno prossimo. Magari arrivare in America… Intanto a dicembre sarò in Istria (Croazia). Vorrei ascoltare e dare più spazio anche ad altre storie, quelle dei rimasti. Un giorno a Montona d’Istria ho visto alla finestra una signora anziana e ancora bellissima. Ha sentito che parlavo l’italiano e mi ha chiesto: “Siete dei nostri?” Mi sono avvicinato e le ho fatto delle domande: si è chiusa nel silenzio e le sono venute le lacrime agli occhi”.
I vecchi di là hanno ancora paura. Come se ci fosse ancora il comunismo che si serviva dei delatori per prelevare e infoibare anche i civili, anche i vecchi, le donne, i bambini. Ora ci sono moltissimi italiani in Croazia, allora sembrava non ne fosse rimasto neppure uno. Certo qualcuno si è mimetizzato: è rimasto nella sua terra rinnegando la sua origine. Soprattutto gli anziani non ce la facevano a lasciare la loro vita: sono morti pochi anni dopo di inedia, di stenti, di dispiacere. Eppure dal 1991, con l’indipendenza, in Croazia l’Italia s’è desta. Nei cuori o nelle tasche dei rimasti? Per 9 milioni di euro l’anno si può dire di essere pure italiani…Si può andare indietro negli anni e cercare di capire come tutto questo odio etnico sia iniziato. L’Austria è stata la grande responsabile della nascita dell’odio razziale per paura dell’autodeterminazione dei popoli dell’impero. Ha fatto la riforma agraria, ha dato le terre a slavi importati sulle coste dall’interno, poi – curiosamente - si è dissolta per mano slava. L’Italia è stata trascinata nella Prima guerra mondiale con la promessa di annettersi le italianissime Istria e Dalmazia. Ha vinto ma non ha saputo negoziare quanto le spettava. Il nuovo regno di Serbi, Croati e Sloveni si è preso quasi tutto, a parte un po’ d’Istria e Zara, ha chiuso le scuole italiane, ha fatto la riforma agraria e ha depauperato i proprietari terrieri. I fascisti in Italia hanno iniziato a italianizzare i nomi della minoranza slava e a privarla delle terre che coltivava. Ma questo non può giustificare le foibe del secondo dopoguerra. Nel frattempo i croati e sloveni hanno scoperto di pagare tasse doppie rispetto ai serbi. Vi risparmio la storia complicatissima del regno di Jugoslavia, dove tutti erano contro tutti armati… Arriviamo verso la fine della Seconda guerra mondiale. E’ l’estate del ’41: gli ustascia, fascisti croati, hanno un grande campo di concentramento a Jasenovac , a sud est di Zagabria, un altro sull’isola di Pago dove fanno esecuzioni di massa per tutta l’estate. Ma oggi sloveni e croati ricordano solo quello di Arbe (Rab), allestito nel ’42 dagli italiani in riva al mare, che era un campo di raccolta di famiglie di partigiani sloveni e di ebrei. Purtroppo avvenne un’esondazione e parecchi detenuti morirono: erano denutriti, malati e non sapevano nuotare. Cristicchi ha portato in scena una bambina che legge una lettera e dice che gli italiani non le davano da mangiare. Nessuno gli ha detto che morivano di fame anche i civili: non c’era da mangiare sull’isola nel ’42. E come si può scordare il campo di concentramento comunista di Goli Otok dove, dopo la guerra, finivano tutti prigionieri politici ai lavori forzati?Ognuno può raccontare la sua storia come vuole, come gli piace apparire, ma la verità è una sola: l’odio etnico è stato solo un comodo movente, quello che ha mosso ad uccidere e depredare - a guerra finita - però è stato l’odio di classe. E’ stata la grande occasione di diventare ricchi e sistemarsi senza fatica. Migliaia di persone sono state trucidate e infoibate per impadronirsi delle loro proprietà. Anche l’ultima guerra, che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia, è stata solo una guerra economica, perché Belgrado gestiva la ricchezza di tutta la federazione.Le colpe sono da ambo le parti, vuole dire questo spettacolo, certo, ma la reazione comunista slava non è stata proporzionata all’offesa fascista italiana. Calenda ha detto che bisogna superare. Sono d’accordo. Ma finora questo è stato chiesto solo agli esuli dell’Istria e ai profughi dalla Dalmazia, quest’ultimi non hanno neppure un magazzino 18 perché sono scappati con i soli vestiti che avevano addosso… Però il sindaco di Arbe qualche anno fa mi disse che ha un magazzino colmo di bei mobili antichi e che vorrebbe fare un museo. Lì andarono per le spicce: impiccarono indifferentemente i possidenti italiani e croati ai pali della luce lungo il porto e saccheggiarono le loro case.Eppure la vergogna di chi ha agito è diventata la vergogna di chi ha subito, a cui è stata ascritta la colpa di aver lasciato la propria terra, non perché in quella terra si moriva, ma perché erano fascisti. Non per salvare la propria cultura, la propria etica, i propri valori, ma perché indegni di vivere in una terra liberata da veri comunisti, che avrebbero fatto una società socialmente giusta. Si è visto. Ancora oggi in Croazia l’ufficio delle confische discrimina se sei di origine italiana o croata, salvo poi non restituirti niente neppure se sei croato perché lì – stranamente - il possesso equivale alla proprietà. Li abbiamo accolti in Europa prima di assicurarci che rispettassero le norme comuni, che ci fosse certezza del diritto.Cristicchi in questo spettacolo è stato esule, ha sentito dentro di sé la sofferenza e l’ha fatta emergere in un racconto accorato ed empatico. Ha legato il suo pubblico con il pathos e il logos, emozione e parola, e - come dicevo all’inizio - ha attraversato il nostro èthos. Che ha un significato più profondo della parola ‘etica’ come regola di comportamento, la quale ne è solo una conseguenza. Nell’antica Grecia significava dimora, patria, terra dell’uomo, il posto da vivere dove tornare dopo aver conosciuto se stesso. Un’esperienza spirituale indicibile che conduceva alla consapevolezza. Un arrivo che era un ritorno nella terra dei padri, le cui norme di vita erano la tua etica e la tua casa, dovunque fossi.Gli esuli e i profughi fisicamente non sono tornati, ma il loro èthos l’hanno portato con sé e non tornerà se non saranno riaccolti.Casa, patria è dove sei accolto. Altri costumi e abitudini di vita albergano di là. La consapevolezza dell’esodo è ancora indicibile, non perché non sia stata narrata da Cristicchi, ma perché a noi non è dato tornare: rappresentiamo la colpa vivente di una grande ingiustizia che essi vogliono dimenticare di aver commesso. Basterebbe aprire le braccia, ma temono la forza del nostro èthos.