7.4.14

Terni come in Cile, un prof si ribella alla polizia in classe Parla il docente, Franco Coppoli. Cani antidroga nelle aule. Un'operazione dal sapore cileno che frutta il ritrovamento di 5 grammi di hashish.


Ogni commento  alla  storia  che  riporto sotto e  superfluo  . 

Marina Zenobio - Popoff Globalist



Il professore Franco Coppoli, militante dei Cobas e insegnante di Lettere presso un istituto per Geometri a Terni, rischia di essere oggetto di un serio provvedimento disciplinare da parte dell'Ufficio scolastico provinciale dell'Umbria, per aver impedito l'accesso in classe, durante la sua ora di lezione, di una quadra di poliziotti con cani al seguito che pretendeva di effettuare un controllo antidroga. Il gravissimo fatto, che ha riguardato anche altre quattro scuole del ternano, è avvenuto lo scorso 26 marzo ma se ne è avuta notizia solo ieri. 
In una intervista rilasciata a Radio Onda d'Urto il professor Coppoli racconta che aveva finito di spiegare la II Guerra Mondiale e stava interrogando quando la porta della classe si è aperta: «ho avuto un flash, ognuno ha le sue immagini mentali ma a me è venuto in mente il Cile» racconta e prosegue «il cane lupo stava per entrare, tenuto al guinzaglio sì, ma molto dinamico, dietro tre poliziotti che dicono "dovete uscire dalla classe, controllo antidroga"». Il professore pensa che non è possibile, la polizia dentro la scuola? La polizia che interrompe una lezione, una attività didattica... ma ha la prontezza di reagire e chiedere « ma avete un mandato del giudice, di un magistrato?» La risposta è negativa, è il preside che li avrebbe autorizzati, ma comunque si bloccano sulla porta mentre Coppoli si riprende dallo shock e gli dice: «la preside può autorizzarvi a entrare dentro la scuola per controllare bagni e corridoi ma dentro la mia aula, quando faccio lezione io, non entrate. Io vi nego assolutamente il permesso di entrare, sono in questo momento un pubblico ufficiale che sta effettuando un servizio pubblico, se voi provate a entrare qui dentro vi denuncio per interruzione di pubblico servizio, voi non siete assolutamente autorizzati ad entrare». Sono seguiti attimi di tensione, il dirigente della squadra ripete di voler entrare ma, comunque, di fronte alla determinazione del professore, ci rinuncia. 
Nelle altre classi, pero, gli insegnanti non hanno la stessa prontezza di Coppoli e entrano cani e poliziotti, interrompendo lezioni, compiti in classe, interrogazioni «hanno interrotto l'attività didattica obbligando di fatto i docenti a uscire dall'aula insieme agli studenti che dovevano sfilate davanti ai cani, poi i cani entravano in classe e intervenivano all'interno della classe, tra i banchi, annusando giacconi e zaini. E' una cosa gravissima - continua il professore ai microfoni di Radio Onda d'Urto - perché è stato violato lo spazio educativo... come Cobas leggiamo, questa operazione, come disciplinamento dei ragazzi, oltre che intimidazione chiara sia alle istituzioni scolastiche che ai lavoratori della scuola, ma soprattutto ai ragazzi». Quei ragazzi e quelle ragazze con cui parla di libertà e diritti, affinché un giorno possano rivendicare i loro di diritti, in un posto di lavoro, in una piazza o in un contesto collettivo. 
Coppoli non crede che siano stati i presidi a richiedere l'intervento antidroga, piuttosto è la questura che avrebbe chiesto di intervenire, a fare pressione e i presidi, secondo il professore «non hanno né lo spessore né la voglia di opporsi a queste richieste e quindi hanno legittimato l'intervento».
Il professore, però, va oltre il racconto del fatto e ricorda che, solo a febbraio, la Corte Costituzionale ha smontato l'impianto della legge Fini-Giovanardi, che parificava droghe pesanti e droghe leggere, dichiarandone l'incostituzionalità. «Proprio un mese dopo che la Corte Costituzionale ha detto che l'istanza repressiva rispetto a eventuali sostanze leggere, parliamo di hashish e marijuana, è di fatto incostituzionale, la polizia interviene dentro le scuole per controllare se ci sono, sostanzialmente, spinelli». 
Alla fine dell'operazione antidroga in tutte e quattro le scuole ternane oggetto dell'operazione, il bottino è stato di 20 dosi, più o meno 5 grammi tra hashish e marijuana. «Ci chiediamo - continua Coppoli - la spesa di questa operazione, ci chiediamo il senso profondo e, soprattutto, se fossero intervenuti magari in parlamento, in un consiglio di amministrazione di una azienda o di una banca probabilmente avrebbero trovato ben oltre le 20 dosi, magari di cocaina o di altre sostanze». Però l'importante è creare nei media, nel territorio l'emergenza, il problema della droga, della tossicodipendenza, senza discernimento, e poi agire in maniera repressiva. Allora, quanto avvenuto nelle scuole di Terni, è ancora più grave «perché - dichiara Coppoli - se anche trovi un ragazzo con una canna dentro una scuola, l'intervento della polizia significa rovinarlo, una denuncia penale o comunque un intervento amministrativo. La scuola invece serve proprio a capire eventuali problemi per poi intervenire; ma non con l'ottica della repressione, dei pastori tedeschi dentro la scuola. La scuola interviene con una funzione e una pratica educativa, non con la polizia, non con i cani antidroga, non con la repressione. Perché in questa maniera abdica al suo ruolo fondamentale, quella appunto di instaurare una relazione educativa con i ragazzi. In questa maniera, invece, ancora di più i ragazzi si staccano dalla scuola, dalla scuola pubblica - io dico scuola pubblica per dire quella costruita dal basso, dagli insegnanti, dai lavoratori della scuola, dagli stessi studenti - e di conseguenza la scuola diventa un luogo nemico, un luogo in cui sostanzialmente la polizia interviene in maniera indiscriminata».
Ora il professore Franco Coppoli è in attesa di una contestazione di addebito da parte dell'Ufficio provinciale umbro per non aver permesso a poliziotti e cani antidroga di entrare nella sua classe. Aspetta "curioso" di sapere cosa gli contesteranno, di aver difeso la scuola nella sua valenza educativa? Di aver difeso quello spazio contro una ingerenza inaccettabile? Chiaramente si dichiara disposto a rivendicare fino in fondo la sua azione. Anzi, chiede ai colleghi di fare altrettanto, «di fermare questa deriva di distruzione, anche simbolica, sopratutto simbolica, della scuola e dei locali dell'eduzione. Sono convinto di essere nel giusto, e non solo da un punto di vista legale, che mi interessa relativamente, ma soprattutto da un punto di vista educativo che è quello che mi interessa di più».

6.4.14

l procuratore Fiordalisi tribunale di tempio pausania : «La criminalità si sta strutturando» I segnali inquietanti di una deriva mafiosa


cercando  dei  vecchi  giornali  da mettere   sopra  le  talee  di   erba  barona  cioè il  Thymus herba-barona  Loisel  ., Famiglia: Labiatae    qui  ulteriori dettagli

ho trovato ,  questo articolo  della nuova   sardegna  (  non ricordo  la data precisa   ,  cmq  ultimi   giorni di marzo  )  in  cui  si commentava    l'episodio avvenuto qualche  giorno  fa  

Bomba in auto nel centro di Lanusei: il bilancio è di un morto e diversi feriti

Nell'attentato è rimasto ucciso un 49enne ai domiciliari per una truffa


qui e  nel  video  di tgcom24     maggiori dettagli  




l procuratore Fiordalisi: «La criminalità si sta strutturando» 
I segnali inquietanti
di una deriva mafiosa
di Piero Mannironi

Se il metodo può essere associato a un sintomo, allora il ricorso a un'autobomba per uccidere rappresenta molto di più di un indizio per certificare la diagnosi di un nuovo morbo criminale. Perché nella sintassi della malavita i modi sono la rappresentazione di un'identità, la dimostrazione di una sanguinosa efficienza e perfino la spettacolare affermazione di una potenza. Che deve intimorire socialmente, esprimere una volontà di terrorizzante dominio. L’autobomba di ieri mattina a Lanusei è dunque questo. È il linguaggio nuovo di un incubo nuovo. La discriminante che segna un'evoluzione criminale temuta e in qualche modo già percepita. Nel giugno del 2006 l'allora procuratore della Repubblica di Lanusei, Domenico Fiordalisi, calabrese e profondo conoscitore di una realtà labirintica come la 'ndrangheta, parlò di alcuni segnali che portavano a non trascurare possibili degenerazioni della malavita ogliastrina. E cioè la formazione di un clima nel quale si possono leggere alcune analogie con aree ad alta concentrazione mafiosa. Qualcuno, semplificando, aveva interpretato le parole del magistrato come l'affermazione della nascita di una mafia autoctona. Ma il ragionamento era molto più articolato e sottile. I timori del procuratore. Diceva Fiordalisi: «Proliferano reati come l'estorsione e l'usura e la gente subisce senza reagire, senza parlare. E' l'omertà che nasce dal grande potere di intimidazione di alcuni gruppi criminali. E noi, nelle nostre indagini, percepiamo nelle persone offese e nei testimoni, il terrore per questi gruppi. Realtà che stanno arrivando a una loro strutturazione e che meritano di essere investigate e analizzate con maggiore attenzione». E proprio il riferimento ai gruppi in «fase di strutturazione», ai quali fece riferimento Fiordalisi, può essere un punto di partenza per cercare di capire cosa si nasconde dietro lo spettacolare omicidio di Lanusei o l'analogo tentativo messo a segno a Ilbono lo scorso anno. Ma per arrivare a questi ambienti che si muovono seguendo tecniche mafiose è necessario riprendere il filo dell'evoluzione criminale ogliastrina, partendo da un panorama umano e culturale caratterizzato da una eccezionale capacità di modificarsi. Dolce e disperata, aspra e generosa, l'Ogliastra è una terra di luci e di ombre, di sentimenti trasparenti, ma anche capace di contenere nella sua anima più profonda gli abissi più cupi e roventi della violenza. Nelle pieghe segrete delle sue contraddizioni c'è l'enigma di questa regione, storicamente marginale, nella quale si perpetua uno scollamento fisiologico tra cultura legale e un vissuto comunitario rabbioso e, a volte, perfino feroce. Laboratorio della malavita. Terra vulnerabile, quindi. Fragile. Perché capace di metabolizzare naturalmente il nuovo e capace di adattarsi ai cambiamenti. Anche quelli che segnano derive criminali profondamente diverse da quelle della tradizione. Per esempio: l'aristocrazia criminale segnata da uomini come Piero Piras, Pasquale Stochino, Adolfo Cavia e, Attilio Cubeddu è una dimensione ormai perduta. Legata intimamente al mondo dei sequestri di persona, si è dissolta. Ma l'Ogliastra era e resta un calderone ribollente, un laboratorio di alchimie possibili della violenza. E così ecco subito le sperimentazioni di nuovi know-how criminali. Prima i sequestri-lampo, con i rapimenti di un direttore di banca di Tortolì nel novembre 1999 e di una direttrice delle poste di Villagrande, nel dicembre dello stesso anno. Strada quasi subito abbandonata perché resa impraticabile dalle contromisure attuate dagli istituti di credito e dagli uffici postali. E allora ecco moltiplicarsi le rapine. Soprattutto quelle ai furgoni portavalori. L’ascesa di Arzu e di Ladu. Le tattiche vengono subito affinate e diventano quasi una sapienza. Tanto da essere addirittura esportate nella penisola. Gli uomini emergenti di questo periodo sono Raffaele Arzu di Talana e Marcello Ladu di Villagrande Strisaili. Proprio l’avventura violenta di quest’ultimo, diventa la prova di un teorema fino ad allora indimostrato. E cioè di quel fenomeno che sociologicamente viene definito di contaminazione culturale. Ma contaminazione è una parola inadeguata. Perché il dialogo tra mondi criminali lontani, come quello ogliastrino e quello strutturato delle mafie, è l’incontro tra due corpi malati. I canali d’incontro sono come bui cunicoli nascosti dove si scambiano favori, si stabiliscono patti e solidarietà e si organizzano traffici lucrosi. Più che di contaminazione è quindi più corretto parlare di sinergie. Certo, la risultante è che questi scambi criminali portano a un’evoluzione, alla semina di spore velenose che trasformano progressivamente il Dna rurale della criminalità ogliastrina. Le rapine ai portavalori. Marcello Ladu, allevatore di Villagrande Strisaili, emigra nel Salento alla fine degli anni Novanta. Qui conosce Vito Di Emidio, detto "Bullone", boss selvaggio e spietato della Sacra Corona Unita. Un rapporto dal quale nascono imprese violente, come la sanguinosa rapina a un furgone portavalori il 6 dicembre del 1999 a Copertino, vicino a Lecce, nella quale vengono massacrati a colpi di kalashnikov tre vigilantes. È la tecnica ogliastrina degli assalti che qui diventa addirittura un’operazione di guerra. Di Emidio, dopo la sua cattura drammatica, diventa collaboratore di giustizia e rivela il ruolo importante di alcuni banditi ogliastrini nel traffico internazionale di droga. Più esattamente in quello che ha originato l'inchiesta denominata "Operazione Aurora", conclusasi nell’aprile del 2001 con una valanga di anni di carcere. La droga in quel periodo diventa centrale nel business criminale. Si crea un vero e proprio sistema di coltivazioni di marijuana. L’Ogliastra diventa una sorta di Rif sardo.Nel 2002, intanto, il processo per le bombe di Barisardo si chiude con una sentenza di condanna che certifica l’esistenza di un’associazione per delinquere di tipo mafioso. La pista dei kalashnikov. Sempre in quegli anni compaiono in Ogliastra i micidiali fucili mitragliatori kalashnikov. Secondo alcuni pentiti e confidenti pugliesi arrivano dalle mafie kosovara e montenegrina, grazie alla mediazione della Sacra Corona Unita. Ma c’è anche un traffico di armi, sempre kalashnikov, sul quale hanno indagato i carabinieri, che porta alla Calabria e alla ’ndrangheta. Che la mafia calabrese avesse programmato uno sbarco in Ogliastra era emerso nel 1993. Un sindacalista aveva presentato una denuncia alle procure di Roma, Cagliari, Palmi e Milano contro la Finam, la Finanziaria agricola per il Mezzogiorno. Secondo il sindacalista, le ’ndrine controllavano la Finam, che volevano usare come cavallo di Troia per espandere la propria influenza in altre regioni, usando il grimaldello della forestazione produttiva. In quegli anni di Tangentopoli l’esposto però si perse e non ebbe sviluppi d’inchiesta. I piani della ’ndrangheta. Un particolare curioso: nella denuncia si sosteneva che la ' ndrangheta, oltre a voler controllare la forestazione nell’isola, voleva far chiudere la Cartiera di Arbatax per utilizzare quegli 80 ettari sul mare per un colossale investimento di edilizia residenziale turistica. C’è dunque una lunghissima serie di tracce, che sembra portare ai santuari delle mafie. Quanto questi contatti hanno influenzato la malavita ogliastrina? Quanto l’hanno cambiata? L’auto-bomba di Lanusei può essere una prima risposta.

gite di primavera [ il 30 marzo 2014 Muse Man di Nuoro mostra di Robert Capa e fonte di Su tempiesu Orune ]






Il 30 marzo ho fatto una gita con il gruppo ( qui la pagina facebook aperta ) a Nuoro e Orune,  loro  famiglie  e  partner  comprese    . Lo scopo era vedere si il Museo Ciusa sia la mostra di Robert Capa al man . Per poi la sera il pozzo sacro di U tempiesu ad Orune . Alla fine ( salvo alcuni che hanno voluto fare a modo loro saltando il ristorante e mangiando un panino ) si è visto solo il man e il pozzo sacro .


Per chi capitasse al Ciusa di uoro ( maggiori informazioni per la logistica e i biglietti nel link sopra ) e vuole vedersi la bella mostra , oltre le collezioni di Ciusa , di Stanis Dessy, sotto maggiori dettagli  presi dal sito  del museo tribu\  ciusa  



                             STANIS DESSY, maestro del colore e delle tecniche

                                       20 Dicembre 2013 11 Maggio 2014






Venerdì 20 dicembre, alle ore 18:00, al TRIBU Spazio per le Arti - Museo Francesco Ciusa di Nuoro si inaugura, alla presenza del Sindaco di Nuoro Alessandro Bianchi e dell'Assessore alla Cultura Leonardo Moro, la mostra Stanis Dessy, maestro del colore e delle tecniche.

La mostra si propone di rileggere l’opera di Stanislao Dessy (Arzana 1900 - Sassari 1986) in una prospettiva antologica e originale. Se si è generalmente concordi nel considerare Stanis Dessy uno dei protagonisti indiscussi del risveglio artistico sardo del primo Novecento, con una fortuna critica che non gli è mai venuta meno nel tempo, è pur vero che questa mostra oltre a presentare diversi inediti, alla consueta scansione cronologica affianca una differenziazione per generi artistici che mette in risalto l’estrema versatilità dell’artista e la sua insaziabile propensione alla sperimentazione.
Un utile approccio didattico dunque, per capire la grande perizia tecnica di un maestro capace di spaziare dal disegno alla xilografia, dalle diverse prassi calcografiche all’acquarello, dall’olio alla scultura, ma senza perdere di vista quella lettura critica che privilegia l’individuazione di due fasi ben distinte nell’opera dell’artista: da un lato gli anni della sperimentazione, dal 1918 al 1928, dall’altro gli anni della maturità, dal 1930 in poi. I due periodi, diversi per qualità e quantità, trovano nell’incisione sia xilografica sia calcografica un elemento unificante e coerente. L’esposizione è ulteriormente percorsa trasversalmente da alcuni nuclei tematici che nel tempo hanno caratterizzato la produzione pittorica dell’artista, soprattutto gli autoritratti e i ritratti della moglie Ada e dei figli.
Essendo stato il TRIBU sede del vecchio Tribunale di Nuoro, in un omaggio alla sede, in mostra è presente la vasta tela della Giustizia, raro dipinto del 1940, realizzato e mai collacato nella Sala delle Assise del Tribunale di Sassari.
Una mostra nella mostra...
Uno spazio all'interno del percorso espositivo è dedicato al lavoro di Paola Dessy, figlia di Stanis essa stessa artista, colonna del gruppo avanguardista sassarese, che dagli anni Sessanta ha intrapreso una ricerca che l'ha vista coinvolta non solo nella pittura ma anche nelle arti applicate, in particolare nella ceramica.





Organizzazione: Associazione Stanislao Dessy, ILISSO Edizioni.

Allestimento: Antonello Cuccu
Catalogo: Ilisso Edizioni, testi di Caterina Limentani Virdis

Ma  ora  ritorniamo a   noi .

Questa mostra mi ha permesso  di  conoscere  anche un Robert Capa, diverso  dai suoi reportage  testimonianza di  cinque diversi conflitti bellici: la guerra civile spagnola (1936-1939), la seconda guerra sino-giapponese (che seguì nel 1938), la seconda guerra mondiale (1941-1945), la guerra arabo-israeliana (1948) e la prima guerra d'Indocina (1954). E  di dibattiti politici  dell'epoca  : il discorso di Leon Trotsky, foto  realizzate senza autorizzazione
a Copenaghen nel 1932 , i  tumulti delle lotte operaie e del fronte popolare  nelle  elezioni  francesi del  1936
Capa documentò inoltre il corso della seconda guerra mondiale a Londra, nel Nordafrica e in Italia, lo sbarco in Normandia dell'esercito alleato e la liberazione di Parigi.Infatti non sapevo che  : 1)  avesse fatto  delle   foto  i ritratti realizzati al gotha  del cinema  a  e dell'arte  dell'epoca   ( da Gary Cooper a Ingrid Bergman, sua amante, da Truman Capote a John Huston, fino alle celebri immagini di Matisse e dell’amico Pablo Picasso.  dalle  classiche pose  , quasi intime  e  conviviali     ., 2  )  che  avesse  collaborato come  fotografo  ecome attore  in :   I 400 milioni documentario di Joris Ivens (1939) - direttore della fotografia ., Tentazione (Temptation) di Irving Pichel (1946) - attore .,  Notorius, l'amante perduta (Notorious) di Alfred Hitchcock (1946) - fotografo di scene ., Il tesoro dell'Africa (Beat the Devil) di John Huston (1953) - fotografo di scene .
Un  Capa che  riesce   a fare il carpe diem   dell'nimo delle persone e  degli eventi   . Un vero peccato che  sia morto prematturamente   a  41  anni nella guerra  d'indocina  . Lo so  che   gli eventi si vicono  e  non , se non a posteri  con un velo di nostalgia,  si raccontano    con Se o con Ma  , ma  mi  viene in  mente  questa  elucubrazione   chi sà come  Capa  avrebbe racontato  il vietnam . il 68-77 , l'89-92 . Sarà  perchè  a volte mi piace  fantasticare  \ imaginre  come un artista   ( ma  anche no )  avrebbero raccontato   ciò che accadese  fossero ancora  vivi  .
Una  mostra stupenda  ed istruttiva  .  Che  può essere   riassunta da  questa  frase  contenuta  sulla  parete  d'ingresso  alla sezione   delle foto parigine 




non riporto  le  foto della mostra  perchè  :  1) ho fotografato " clandestinamente "    solo le  più note  e quelle  che mi ricordano  la mia infanzia e lamia  gioventù  , cioè  il  volontario repubblicano colpito a  morte  dellla  guerra civile   spagnola  , il vecchio   che  indica  al solfdato americano appena sbarcato in sicilia  la  strada  da seguire  o  dove  si  sono  ritirati i tedeschi  , ecc  .   Foto      che potete trovare  in rete  oppure insieme ad  altre    su questo libro , che riporto sotto  a destra   (  che  poi   è salvo  4\5  in  più  il catalogo delle  foto in mostra  ancora  fino  al 18 maggio )  , chi le  vuole  le  trova  qui  in un mio post  su facebook  ., 2)   perchè ho fatto  sto cercando di fare   mio il consiglio di un amico  fotografo

Entrate in punta di piedi....non portate la macchina fotografica...godetevi appieno ogni singola immagine che Capa col suo lavoro ci ha donato .



Ci saranno scatti che vi emozioneranno , altri che vi turberanno....alcuni che non capirete perché magari necessitano di un po' di tempo per essere metabolizzati...visto l'argomento trattato! L'autore comunque , anche se ignaro, avrà raggiunto il suo scopo...quello di donare a ogni uno di voi un emozione. Il suo lavoro acquisterà un significato ancora diverso ma non per questo meno importante...
Buona mostra a tutti!






Dopo un   pranzo   mediocre  e  dal conto  un po' esagerato   per  la   quantità  non per  la qualità    ci siamo riuniti  e  ci siamo diretti alla  fonte  sacra   vedere  foto  sotto  )    ,  su tempiesu    :  

 http://www.sutempiesu.it/  riferimenti per  tenervi aggiornati    da cui    ho  preso le  news  sotto

  Esso si  raggiunge

1. Uscita Nuoro, poi seguire direzione Nuoro-centro o Nuoro-ospedale, infine innesto per la SS 389 Bitti-Orune (km 25).
2. Dalla SS 131bis: uscita diretta per Orune, poi SP 51 (km 12): percorso consigliato.


Loc. Sa costa ‘e sa binza, 08020 Orune (NU), SARDINIA
Coordinate GPS: 40° 24' 41" N - 9° 24' 34" E

Dal paese di Orune, seguire le indicazioni per ‘Fonte sacra Su Tempiesu’. La strada conduce direttamente al Centro Servizi della Cooperativa L.A.R.Co.


Dal Centro Servizi, dove è possibile parcheggiare l’auto, per raggiungere il monumento si percorre un Sentiero Botanico di 800 mt. in discesa (15 min).   Ne  vale  la pena  per  il suggestivo  panorama  che   si


vede  immerso  nel  bosco  e  nel verde  Per ritornare alla struttura ricettiva è necessario risalire per altri 800 mt. lungo un Sentiero Faunistico (30 min).
Ora  durante il percorso dal  centro servizi  alla  fonte   non ho scattato foto : 1) perchè non ero ispirato  , cioè mi sembravano i soliti paesaggi  sardi   visti e stra visti   sia dal vivo  che in foto  poi me  ne  son pentito  .perchè   come dice  Roberto Grafffi e  Franco Pampiro   mai dare  niente  di scontato  e   tutto  cambia  basta  osservare  senza  fissarsi  inschemi rigidi e  prestabiliti  2)  paura  di rimanere  i solato dal  gruppo  e odi far  aspettarte  gli altri  mentre  io  cercavo  di prendere  i parametri  ( diaframmi , tempi , ecc ) per  non  scattare  in automatico  .  Ecco quindi  che  riporto  foto  di due  miei   "  colleghi  "  del  corso    di   :   Giuseppe Goddi (  la  prima  )  ,


                                                            Giuseppe  Goddi

Antonio Asara

Ottima  la guida  


per  il monumento   ecco le mie  foto  (  non  complete perchè   c'erano sempre  davanti  gente  del gruppo  o loro   figli   ,  e perchè  la legge  sula privacy e  sula legge  della  pedofilia  non si  posso  divulgare  tali foto   anche se  poi  internet  specie  faceboook n'è  pieno  )  e


  e quelle  di  alcuni  mie colleghi di corso

                                                             tore  addis



                                                                Nicola  angioi



ecco invece le mie  





COSA HO IMPARATO A NUORO E ORUNE
  • Ho imparato che ci sono genitori che non nascondono gli orrori  della guerra, spiegano ai figli anche le immagini più drammatiche  come quelle  dei cadaveri  su un spiaggia  della Normandia  dopo lo sbarco  anglo -americano  o  altre  per far si che da adulti possano apprezzare la pace.
  • Che ci sono bambini e ragazzi che non vivono in un mondo virtuale, 
  • che sono curiosi e che sanno ascoltare le storie degli antenati.
  • Che c' è una nuova generazione di fotografi in erba molto bravi.
  • Che le storie arcaiche affascinano.
  • Che è emozionante la storia di Robert Capa, che ci sono uomini a cui agi e bella vita non riescono  a spegnere il fuoco delle passioni e a tenerli lontani da ciò che loro considerano una missione.
  • Che ci sono uomini che tutto hanno visto, ma non riescono a dimenticare la donna della loro vita.
  • Che anche nella guerra e nella tragedia si può amare e forse anche più intensamente.
  • Che ci sono fotografi che riescono a documentare la guerra in tutta la sua drammaticità senza però spettacolarizzarla e alla fine vedi tutte come vittime sia vinti che vincitori.
  • Che ci sono uomini che documentano la guerra per far amare la pace.
  • Che per entrare in sintonia e farti coinvolgere da ciò che vedi è preferibile il silenzio.
  • Che a volte è meglio non usare la macchina fotografica e ascoltare i luoghi e le immagini, che i ricordi non sono solo le foto, ma ciò che rimane nel cuore e nella mente. Infatti  a  vote  Non ce' macchina fotografica migliore dei nostri occhi e scheda SD come la nostra mente !!!
  • Che non è vero che viviamo in un mondo pieno di menefreghismo, esiste ancora la solidarietà e c'è gente disposta a sporcarsi le mani per offrire aiuto.
  • Che anche un imprevisto si può trasformare in un momento di ilarità se sei con le persone giuste.
  • Che una domenica passata in compagnia è più rilassante di una passata a casa a guardare la Tv. o a  sminchiare  al pc  

Il giovane centrocampista dell’Atalanta Primavera, Alberto GrassiCalciatore espulso per razzismo sconta la sua pena tra gli immigrati

in  sottofondo  
Francesco De Gregori - La leva calciStica della classe '68


 Su    http://www.dirittiglobali.it   foto  comprese , eccetto la  prima  scatata  con il  mio smartphone direttamente  da  repubblica  cartacea  .  trovo   questa  storia   presa  da  la Repubblica  5 aprile2014

Squalificato per aver detto “vu cumprà” a un avversario ghanese Il giovane centrocampista dell’Atalanta Primavera, Alberto Grassi, ha scelto di fare il volontario per dimezzare la punizione
PAOLO BERIZZI,

SORISOLE (BERGAMO) 
TRENTACINQUE giorni all’alba, e Franti sa che non può sgarrare. Dietro la lavagna della vita sta scoprendo che il centrocampo è popolato da «vu cumprà», però quelli veri. Senza tetto, giovani detenuti, drogati, malati di Aids e emarginati sbarcati a Lampedusa ai quali il reprobo adesso serve da mangiare e porta i vestiti che la gente imbuca nei cassonetti di raccolta. «Ho sbagliato, ma non sono razzista. Mai stato. Il compagno di squadra con cui mi trovo meglio è nero (Bangal, mozambichese, ndr) e mia madre ha tenuto a comunione una ragazza di colore. Che effetto mi fa stare qui? È una grande lezione umana, mi apre gli occhi e la testa», dice contrito mentre nel giorno delle presentazioni prende per mano Daniel che è rumeno e ha perso l’autosufficienza dopo aver tentato il suicidio in carcere inalando il gas di un fornelletto.
Franti è Alberto Grassi, 19 anni, bresciano di Lumezzane (la prima squadra di Balotelli professionista) anche se «ormai mi sento bergamasco dentro ». Centrocampista dell’Atalanta Primavera e dell’Italia Under19. Carriera in ascesa, con un prima e un dopo. Lo spartiacque è un insulto: «Alzati, vu cumprà!». È l’8 marzo: 44’ minuto del secondo tempo di Atalanta — Hellas Verona. Il destinatario dell’offesa è a terra e risponde al nome di Alimeyaw Salifù, ghanese, coetaneo di Grassi che è il mittente. Salifù non sente il garbato invito, l’arbitro sì. Risultato: Grassi espulso e mazzata del giudice sportivo. Dieci turni di squalifica per «insulto razzista». Passano pochi giorni e la punizione viene dimezzata (da 10 a 5 giornate). Grazie all’intervento di un sacerdote. È un prete di trincea, uno di quelli che, fuor di retorica, meritano la fama di «amici degli ultimi». Lui è don Fausto Resmini  (  sotto a destra  ) , cappellano del carcere di Bergamo e presidente del Patronato San Vincenzo. La comunità di don Resmini da vent’anni accoglie sulla collina di Sorisole, a 3 chilometri da Bergamo, disperati da ogni continente: soprattutto ragazzi.
Che c’entra il prete con Alberto Grassi? «Lo conosco da quando viveva alla Casa del Giovane (dove alloggiano i ragazzi delle squadre giovanili dell’Atalanta che vengono da fuori provincia, ndr). Quando lo squalificano gli scrivo una lettera e lo invito a venire da noi a svolgere un servizio socialmente utile», spiega Resmini (l’anno scorso il prete “rieducò” due giocatori degli Allievi che avevano postato su Fb un video blasfemo con al centro un crocifisso). Pronti. L’Atalanta, a cui la squalifica di Grassi era sembrata un’enormità ma che ha appena varato un nuovo codice etico, rinuncia a fare ricorso alla Corte di Giustizia Federale. Che dimezza la pena a Grassi perché il giocatore accetta di pagare dazio qui, nel girone degli ultimi. «È un’esperienza che mi servirà e che mi farà crescere — dice — . So che è una specie di castigo ma io non lo vivo così. Sono qui perché ho fatto un errore. Quel giorno ho detto una stupidata. Salifù mi ha insultato e io ho risposto in quel modo.


Non dovevo farlo». «Percorso rieducativo », lo chiamano. È il “dopo” di Alberto. Per De Amicis sarebbe Franti. Per don Fausto è un «ragazzo che non viene a sostituire qualcuno ma a liberarsi dal pregiudizio». La catarsi può iniziare. Sveglia alle 7.30: Grassi parte da Lumezzane, accompagnato dal padre. Alle 9 è in comunità. I suoi tutor si chiamano Roberto, Paolo e Fabio, sono tre educatori. Si comincia con la distribuzione del vestiario alle persone che vivono per strada e che vengono accolte nei container durante la
notte. Poi Alberto da’ la sveglia ai residenti. Sono i ragazzi che abitano e lavorano all’interno della struttura. Detenuti che scontano la condanna in regime alternativo, rifugiati, ex tossicodipendenti, malati, vittime di tratta. Coetanei scappati dall’orrore e la miseria di terre lontane. Come Tamer, 15 anni, egiziano: 5 mila euro agli scafisti per arrivare a Lampedusa, altri 300 euro per il treno e per conoscere l’indirizzo della Questura di Bergamo che lo manda qui. «Davanti alle storie di questi ragazzi capisci quanto sei privilegiato e quanto ancora hai da imparare dalla vita», dice Alberto. Che gliel’abbiano suggerito o sia farina sua, non importa. Conta di più leggere dentro i suoi occhi quando gli si fa incontro Daniel: il passo incerto, una tuta da meccanico, le parole che non escono. A 21 anni voleva farla finita col gas, si è salvato per miracolo ma adesso è come se avesse 2 anni. «Ha bisogno di assistenza continua, non puoi mollarlo un attimo», spiega don Fausto. Turnano accanto a lui i ragazzi della comunità, ora c’è anche Grassi. Arriva, lo saluta. «Ciao Daniel, come stai? Hai lavorato?», butta lì un po’ imbarazzato. È l’ora del girolaboratori: assemblaggio, serigrafia, rilegatoria. «I miei genitori mi hanno detto che ho sbagliato e che devo stare attento a quello che dico in campo. Io vivo per giocare a pallone, però qui dentro ti dimentichi di tutto, e ti fa solo bene». Famiglia umile, i Grassi di Lumezzane.
Lavoratori, gente onesta, quel figlio che a 16 anni è finito in Nazionale. «Esco sempre con l’amico di Balotelli, figuriamoci se sono razzista ». Per cinque settimane, dalle 9 alle 12, ogni martedì e mercoledì — i giorni in cui non si allena a Zingonia, il quartier generale dell’Atalanta — Alberto non solo sfamerà e vestirà i sans papiers che approdano a Sorisole. Andrà anche sul “campo”. Niente maglietta e pantaloncini. Il campo è la stazione della Autolinee. «Salgo sul camper della comunità e raggiungo quel posto che è la casa degli emarginati. Lì arriva gente disperata che chiede aiuto, cerco di rendermi utile come posso… ». Don Resmini fissa un concetto. «A Grassi chiedo di fare uno sforzo: stare in mezzo a queste persone e aprire lo sguardo. Capirà che cosa vuol dire essere “vu cumprà”… la fatica che si fa a vivere da straniero in Italia». La chiosa finale è un pezzo di contrappasso: il calciatore che si fece volontario. Dice Alberto: «Se prima avevo delle chance di esordire con la prima squadra (in serie A), adesso con questa storia me le sono giocate». Palla al centro. Chissà se finirà davvero così.



chi vivra'  vedrà 

4.4.14

"Certe parole fanno più male dei pugni ma ce l'ho fatta e ho sconfitto il razzismo" Domenico Spada, Di etnia rom , tra gli uomini di punta della boxe italiana a livello mondiale, si racconta. ,

musica  in sottofondo  Giorgio Gaber - Io non mi sento italiano

La sua storia rassomiglia a quella dei primi due film della serie Rocky . Una storia di rabbia , gavetta , lotta contro i pregiudizi e luoghi comuni presenti nel nostro linguaggio quotidiano oltre che mediatico basta vedere i commenti al suo gesto provocatorio   di  qualche  giorno  fa  : <<  Spada: "Salirò sul ring con la bandiera rom, niente tricolore e inno di Mameli".Per il match contro Rubio, valido per il Mondiale dei pesi medi, il pugile romano rinuncia per protesta ai simboli dell'Italia: "E' il terzo mondiale che faccio, e sempre all'estero. Mai una parola da un ministro dello sport, la federazione non sta dalla parte dei professionisti, e neanche la tv ha acquistato i diritti. Che combatto a fare per questo paese? alla  vigilia  dell'incontro di domani   qui maggiori dettagli 
Ora  per chi non avesse voglia di leggersi la  storia  di Domenico Spada  contenuta  in  questo bellissimo articolo intervista  su repubblica  dell'anno  scorso  trova  qui   sotto una sintesi  della   storia  in questione 


"Certe parole fanno più male dei pugnima ce l'ho fatta e ho sconfitto il razzismo"
Domenico Spada, tra gli uomini di punta della boxe italiana a livello mondiale, si racconta. Di etnia rom, mille mestieri, l'ombra della discriminazione sempre presente, ma anche un grande riscatto sul ring e nella vita, con l'apertura di una palestra tutta sua e un possibile futuro da attore. "L'Inno di Mameli che suona per gli altri è anche il mio, darò il titolo del mondo all'Italia" 
Domenico  Spada 
Lo sguardo determinato non lascia spazio a movimenti delle palpebre, tipico di chi guarda avanti, concentrato sull'obiettivo, sempre deciso a saltare gli ostacoli. E Domenico Spada, uno dei pochi pugili in grado di dare lustro al panorama professionistico italiano, di ostacoli ne ha dovuti scavalcare parecchi prima di affermarsi come pugile e come uomo. A febbraio dovrebbe vedersela con il messicano dal pugno di pietra Marco Antonio  Rubio (50 ko su 58 incontri vinti) per il Mondiale ad  interim dei medi : "Rigorosamente all'estero, in Italia è difficile organizzare un match di quel livello, è difficile reperire soldi". In alternativa, il suo manager Franco Cherchi potrebbe offrigli una chance europea contro l'ucraino Maksim Bursak. L'asta per il match è fissata per metà dicembre.

Domenico  spada  a    sinistra  
All'estero. Perché Spada come pugile ha già dato tanto all'Italia, ricevendone in cambio poco. Si è battuto due volte per il titolo del mondo dei pesi medi, non accadeva dai tempi di Vito Antuofermo, il Paisà che fu capace di resistere quindici round all'assalto del 'meraviglioso' Hagler nonostante il volto devastato (ci vollero 33 punti di sutura). Ha perso entrambe le volte ai punti, non senza recriminazioni, contro il tedesco Zbik, ma è dovuto andare nella tana tedesca dove se non si vince per ko è tosta strappare il verdetto. Stesso discorso quando è andato in Inghilterra per l'Europeo: Barker è un bel pugile, ma l'arbitro gli ha dato la possibilità di fare ostruzionismo, poi i tre giudici hanno fatto il resto.

In attesa di cogliere l'attimo fuggente in chiave iridata, Domenico si è anche dedicato a prendere a calci le discriminazioni, lui che è di etnia rom. E non sono stati isolati gli episodi su qualche brutta frase riferita alle sue origini.
"Non mi piace la gente ignorante, irrispettosa delle culture degli altri. Quando sento pronunciata con rabbia, abbinata alla volgarità, la parola 'zingaro', quel tono dispregiativo, non ci vedo più dalla rabbia. Sono parole che fanno più male dei pugni".

Anche perché essere rom non significa essere delinquente...

"Io in vita mia non ho rubato nemmeno un centesimo. Ho preso la licenza media, poi prima di fare la boxe a livello professionistico ho fatto di tutto. Dal pasticciere al muratore, al parrucchiere".

Il parrucchiere?

"Si, ha capito bene, ma non tagliavo i capelli, ero shampista... Ho sempre cercato di aiutare in tutti i modi la mia famiglia. Io, i miei genitori, papà faceva il muratore, e cinque sorelle. Tutti in un appartamento di 40 metri quadrati. Va anche detto che nella nostra cultura, ma questo aspetto sta cambiando, le donne non lavorano. Quindi il peso economico della casa era tutto su me e mio padre. In casa e non in roulotte? Altro luogo comune, nella roulotte non ci ho vissuto un giorno in vita mia".

Si batte contro lo stereotipo del pugile violento, senza cultura, che fuori dal ring non riesce ad affermarsi

"Certo, basta. E' come la questione del rom sul ring. Viene strumentalizzata, l'inno di Mameli che suona per i calciatori è lo stesso che viene eseguito prima di un incontro titolato. La mia famiglia ha dato tanto alla bandiera. Tra i miei cugini Michele Di Rocco è attualmente campione d'Europa, Pasquale Di Silvio è stato
campione italiano, Romolo Casamonica ci ha rappresentato alle Olimpiadi".

Ma torniamo al fatto della strumentalizzazione

"Sì, le cito qualche nome. Il grande Charlie Chaplin, la bella Rita Hayworth, il carismatico Yul Brinner, Andrea Pirlo, Joquim Cortez. Sono tutti di etnia rom, ma nessuno lo sottolinea. Poi magari sali sul ring, e tutti a ricamarci... La mia gente è partita dall'India tanti secoli fa, ma ormai sono 600 anni che siamo in Italia. Mio nonno Alizio ha fatto la Seconda Guerra Mondiale, è stato prigioniero per anni, insomma...".

Ma la grande risposta è l'apertura di una palestra tutta sua

"La Vulcano Gym, a Santa Maria delle Mole. L'ho aperta anche grazie all'aiuto dei miei genitori. Ci vengono pugili amici, ma anche e soprattutto tantissimi amatori. Avvocati, dottori, studenti, tanta gente che vuole mantenersi in forma e ama quel grandissimo sport che è la boxe".

Vulcano è il suo nome di battaglia, chi glielo ha dato?

"Me lo ha dato il padre del romeno Simon. Da dilettante avevo sconfitto il figlio ma lui era rimasto colpito dal mio modo di combattere".

Da dilettante come mai non è andato alle Olimpiadi?

"Avevo vinto il titolo italiano nel 1999, poi feci quattro tornei vincendone tre, battei il campione del mondo juniores, ma al momento delle selezioni per le Olimpiadi di Sydney, il ct di allora, Patrizio Oliva, scelse Di Corcia".

E come andò a finire?

"Di Corcia fu battuto da Simon, proprio lui...".

A proposito di dilettanti, che pensa di Russo e Cammarelle, agli onori della cronaca spesso più di lei?

"Non voglio fare polemica, ma restando dilettanti saranno sempre pugili incompleti. Stanno facendo come facevano i pugili sovietici o come fanno i cubani: prendono lo stipendio dallo stato (azzurri quasi tutti nelle forze armate, ndr) e non passano prof. Certo, vanno alle Olimpiadi e quindi la federazione pugilistica li tutela, ma non va dimenticato che anche noi professionisti quando combattiamo per un titolo le tasse alla Fpi le paghiamo eccome...".

Nuova provocazione. Altri pugili, a nostro avviso non al suo livello, hanno avuto chance più importanti sul ring della Capitale

"Provocazione che raccolgo volentieri. Nella precedente amministrazione comunale, nel mio sogno di combattere per il titolo a Roma, ho avuto quattro anni di promesse puntualmente disattese, chissà perché... (ghigno). Ora spero che con il sindaco Marino cambi qualcosa".

Qualcuno dice che lei ha la faccia d'attore?

"Sicuramente la pensa così Aureliano Amadei, il regista di '20 sigarette'. Con lui ho girato un documentario che si intitola 'L'incontro della vita', stiamo attendendo che possa venire distribuito, questione di fondi".

Dunque le piacerebbe lavorare nel cinema?

"Perché no. In fondo la passione per il cinema è un po' una tradizione di famiglia. Da bambino ho partecipato al film di Sergio Rubini 'Il viaggio delle sposa'. Parecchi miei parenti hanno avuto parti con Sergio Leone, Pier Paolo Pasolini. Sono stati accanto ad attori come Marcello Mastroianni e Alberto Sordi".

Visto che ha sempre denotato una certa precocità, il piccolo Spada è subito salito sul ring?

"No, ma ci ho messo poco per capire la strada maestra, visto che già dai novizi primeggiavo. In precedenza ho provato a giocare a pallone con una società oratoriale, la Juvenilia 88, ma non era cosa per me".

Altra curiosità, Spada nelle vita privata?

"Sto da anni con Claudia che presto sposerò, abbiamo tre figli maschi".

E se uno dei tre volesse diventare pugile?

"Non mi opporrei, anche se mi piacerebbe una società più meritocratica, ma qui non parlo solo di boxe. Vorrei andasse avanti chi lo merita, con le proprie forze. E' una società ideale, lo so. Ma io ci credo".

3.4.14

Dipinse un muro in strada, writer di San Sperate assolto a Milano Il giudice ha stabilito che i graffiti di “Manu Invisible” sono arte e non vandalismo


Il graffito in una strada di Cagliari

Sentenza storica quella depositata qualche giorno fa dal Tribunale di Milano a proposito di street art e vandalismo: il giovane writer sardo Manu Invisible è stato assolto dall’accusa di vandalismo perché il suo graffito realizzato illegalmente in una strada milanese è considerato un’opera d’arte.
Con questa decisione crolla così per la prima volta il pregiudizio che accosta arte di strada e degrado: il giudice dell’VIII sezione del tribunale di Milano ha ricordato che il graffito era realizzato con l’intento di abbellire il muro di una strada periferica, già sporco e in degrado, e soprattutto riconosciuto il valore artistico dei lavori di Manu Invisible.
Il giudice ha assolto con formula piena il giovane di San Sperate che in quegli anni viveva nel capoluogo lombardo. Manu, 23 anni, era stato fermato dalla polizia la notte del 20 giugno 2011 quando dipingeva sul muro di via Piranesi. Il graffito rappresentava un paesaggio notturno milanese ma è rimasto incompleto a causa della denuncia e oggi è quasi completamente cancellato dalle scritte di altri writer.

aggiornamento de4l caso di bullismo ad olbia oggi dovrebbe incminciare a lavorare in officina


fai del bene con il cuore ed senza aspettare niente in cambio, dare vuol dire umanità'..la colpa della povertà e la ignoranza ed indifferenza nostra..


 qui la  vicenda
http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2014/04/olbia-bullismo-al-panedda-spara-in.html
 da la nuova sardegna  , eccetto il video  ,  del  3.4.2014  cronaca di Olbia-Gallura

OLBIA. Comincia oggi la lezione di vita per il ragazzo terribile dell’istituto tecnico Panedda. Questa mattina il 15enne che ha sparato a una compagna di classe con una pistola a pallini, entrerà nell’officina del padre della ragazza di 14 anni ferita. Ieri il dirigente scolastico della scuola di via Mameli, Gianni Mutzu, ha accettato la richiesta dell’uomo, condivisa anche dalla famiglia dell’adolescente turbolento. Il meccanico aveva rinunciato a sporgere denuncia contro il feritore di sua figlia. In cambio aveva voluto dargli una possibilità di riscatto. Dal momento che il ragazzino è appassionato di auto e motori, ha pensato di insegnargli i segreti del mestiere. Una scelta nata dal cuore.Resta invece confermato il provvedimento disciplinare disposto dalla scuola. Dieci giorni di sospensione che mettono a rischio l’intero anno scolastico dell’alunno. 

Ma anche in questo caso il babbo della ragazza ferita ha mostrato tutta la sua bontà. Se il 15enne, per cinque giorni si comporterà bene e dimostrerà di voler provare a essere una persona migliore, il dirigente valuterà se ridurre il tempo della sospensione. Il compromesso è arrivato dopo oltre due ore e mezzo di confronto serrato tra l’uomo e il preside. Alla fine Mutzu ha dato l’ok. Il meccanico dovrà però vigilare sul comportamento del ragazzino e tenere costantemente aggiornata la scuola. Nel caso in cui non mantenesse fede agli impegni, l’accordo salterà.Ieri il padre dal cuore d’oro ha tirato a lucido l’officina. Ha sistemato macchinari e strumenti di lavoro in modo che l’adolescente ospite non si faccia male. "Spero davvero di vederlo in officina questa mattina – commenta il meccanico –. Questa è una occasione per cambiare e io voglio crederci".Rientrerà invece a scuola oggi la ragazzina ferita con i pallini. Michela (nome di fantasia) ha deciso di anticipare il ritorno in classe. Dopo essere stata colpita al polso e alla coscia durante la seconda ora di lezione, la ragazza aveva raccontato l’episodio all’insegnante e poi al dirigente scolastico. Il padre, arrivato subito a scuola, l’aveva accompagnata al pronto soccorso. I medici la avevano visitata e le avevano assegnato due giorni di malattia. Ma Michela ha voglia di voltare pagina, di ricominciare la sua vita fatta di studio, amici e spensieratezza.

2.4.14

quello che sei lo scopri solo quando capisci a cosa hai scelto d'appartenere


Olbia .bullismo al Panedda Spara in classe con la pistola giocattolo ala compGNA e il padre della ragazza non lo denuncia ma gli offre la possibilità di riscattarsi lavorando nella sua officina

un , come dicevo dal titolo , buon gesto  per   sconfiggere i bullismo  . Non solo repressione  
  da la nuova  Gallura  edizione  Olbia-Gallura  del  2\4\2014
di Serena Lullia 

OLBIA Appena 15 anni, ma arriva a scuola con una pistola giocattolo. 
l'istituto panededda  
E spara pallini di gomma contro una compagna di classe. Lei finisce in ospedale, i medici le danno due giorni di cure.
il braccio  della  ragazza
Lui viene sospeso e rischia una denuncia. Ma l’atto di bullismo si conclude con una lezione di vita. Il padre della ragazza non sporge denuncia. Decide di aiutare il ragazzino che ha ferito la figlia di 14 anni. Il babbo di Michela (nome di fantasia) vuole dare al 15enne la possibilità di riscattarsi. La sera, dopo la scuola, lo porterà con lui al lavoro. L’uomo è proprietario di una officina, il ragazzo è appassionato di meccanica. Per il turbolento adolescente una lezione di vita. Molto meno morbida la decisione della scuola in cui frequenta la prima classe. Il tecnico Panedda ha sospeso il 15enne per 10 giorni. Un provvedimento severo, che mette a rischio l’intero anno scolastico. Il ferimento di Michela avviene durante la seconda ora, quando è in corso la lezione. Il ragazzino arriva in classe con una pistola che spara pallini di gomma. L’arma giocattolo è una fedele riproduzione di quelle vere. Lo sparo viene accompagnato da uno scoppio rumoroso. I proiettili sono pallini di gomma spessa. La pericolosità della pistola viene confermata anche dalla polizia. Il primo colpo viene sparato tra la prima e la seconda ora. Michela viene colpita al polso destro. La ragazza reagisce con una occhiataccia e un invito al compagno di classe a non farlo più. Scatta la seconda ora di lezione. La professoressa è in classe. C’è un po’ di confusione, gli alunni sono più di 20. Il 15enne dice a Michela di abbassare la voce perché il tono, a suo dire troppo alto, lo infastidisce. Poi prende la pistola, la sistema sotto il banco e prende la mira.
un immagine  simbolo  
 Il pallino di gomma centra la coscia di Michela. La ragazza non intende sopportare ancora gli atteggiamenti da bullo del compagno. Chiede l’intervento dell’insegnante. Poi va nell’ufficio di presidenza. Denuncia il fatto e come prova del suo racconto porta il pallino di gomma che l’ha ferita. Michela avvisa anche il padre, che si precipita al Panedda. Interviene anche la polizia locale. La ragazzina viene accompagnata al pronto soccorso. I medici, dopo averla visitata, le danno due giorni di cure. Babbo e figlia ritornano a scuola. L’uomo vuole capire bene cosa sia successo, parlare con il dirigente, capire come è possibile che a scuola si possano portare delle armi, anche se giocattolo. Nel frattempo la classe di Michela sta uscendo dal Panedda per l’ora di educazione fisica. Il ragazzino getta la pistola nel cassonetto della plastica e poi cerca di fuggire. Il meccanico lo ferma e prova a parlarci, senza troppo successo. Alla fine della mattinata Michela e il padre si incontrano con la famiglia del ragazzino davanti agli uomini della polizia, in commissariato. Ci sono gli estremi per la denuncia. Ma il babbo di Michela ha un cuore grande. Parla con il 15enne che ha ferito la figlia, prova a fargli capire che il gesto che ha fatto è sbagliato. Il ragazzo scoppia in lacrime, piange, chiede scusa, abbraccia Michela. Da qui la decisione dell’uomo. «La denuncia non servirebbe a nulla e lo rovinerebbe – dice l’uomo –. Non mi piacciono queste cose. So che è un appassionato di meccanica, io ho un’officina. Lo porterò con me dopo la scuola, gli spiegherò il mestiere. E chiederò anche al preside che revochi il provvedimento disciplinare nei suoi confronti». 
Infatti , continua  l'articolo  , La rabbia ha ceduto quasi subito il posto alla ragione, ai sentimenti. Il padre di Michela ha pensato a cosa fosse meglio per i due adolescenti. Una vita davanti, una strada difficile da percorrere, l’adolescenza, piena di grandi cambiamenti. «Non me la sono sentito di sporgere denuncia – racconta l’uomo –. Di certo con quella pistola qualcuno si poteva fare molto male. I poliziotti l’hanno provata. Un’arma grande, molto simile a una vera. Ogni volta che parte il colpo si sente un rumore molto forte, uno scoppio. Impossibile non sentirlo». L’uomo è convinto che la vera lezione per il ragazzino turbolento non sia nè una denuncia, nè la sospensione. Ma i dirigenti del tecnico Panedda, dopo aver valutato la gravità dell’episodio, hanno deciso di applicare una sanzione disciplinare molto severa. Dieci giorni di sospensione. Un provvedimento pesante, che potrebbe compromettere l’anno scolastico del ragazzino. Di certo quanto accaduto ieri mattina apre anche una riflessione. Come sia possibile portare a scuola un’arma, anche se giocattolo.

non so chi è peggio tra trap e neomelodici ( ovviamente senza generalizzare ) "Frat'mio", "Lione", "Amo'": i post che esaltano gli omicidi, a Napoli, e le armi «facili» nelle mani dei ragazzi

Dice: «Gli zingari». Dove hai preso la pistola? «Dagli zingari». E sarà pure vero. E se è vero, certo non lo ha scoperto guardando Gomorra, ...