20.3.17

la storia di Veronica Puggiioni dalla depressione al canto


da l'unione sarda  CRONACA » CAGLIARI 20\3\2017  12:21 - ultimo aggiornamento alle 12:53

"Io, miracolata da padre Puggioni": la storia di Veronica, dalla depressione al canto


Veronica Pisano
Diventare una cantante era il suo sogno più grande: "Fin da piccola - racconta Veronica Pisano, cagliaritana - ogni occasione in cui stavo con la mia famiglia era contornata da momenti di canto, fino a quando tutti i miei sogni si sono infranti".A "salvarla" da una depressione profonda è stato un "miracolo", come lo definisce, da parte di padre Giovanni Puggioni."I miei genitori si sono separati, e questo ha determinato il tracollo economico e affettivo della famiglia. Sono passata da una situazione agiata a una di povertà e sono caduta in uno stato di solitudine e sconforto".Tra i suoi ricordi di fine anni Novanta, l'immagine di sua madre "distrutta dal dolore e dalla disperazione nell'impossibilità di provvedere al sostentamento mio e della mia sorellina"; pensieri cupi, "non riuscivo a vedere il mio futuro", accompagnavano Veronica ed era sopraggiunta "una brutta depressione, per cui credevo che la soluzione migliore fosse fuggire da questo mondo".
Poi qualcosa è cambiato, "mi sono guardata intorno e mi sono resa conto che tante persone avevano più bisogno rispetto a me, e ho iniziato a frequentare l'associazione onlus Operazione Africa di padre Giovanni Puggioni".
Veronica ha riscoperto così "l'impegno e la forza di vivere aiutando il prossimo. Padre Giovanni è stato capace di leggermi nel cuore, spalancando una finestra sulla mia vita futura, profetizzando la mia carriera di cantante".
A vent'anni Veronica ha cominciato a studiare canto e la "profezia" del sacerdote si avvera nel 2014 "con l'incontro con il chitarrista e compositore Maurizio Gastaldi".
"Voglio raccontare questa mia esperienza per tutte le persone che si sentono sole e vittime dello sconforto - spiega Veronica - La vita, anche se a volte è ingiusta e ingrata, merita di essere vissuta perché il futuro ci riserva cose bellissime".


Veronica Pisano: "Volevo dire addio, Padre Puggioni mi ha salvato"

La bravissima cantante sarda Veronica Pisano racconta su Cagliari Online la sua storia più sofferta: "Nel 1997 per problemi familiari, senza soldi nè amici, pensai di buttarmi dalla finestra:Padre Puggioni con una profezia mi salvò: mi disse che sarei diventata una cantante. Vorrei dire a tutti i giovani che in questo momento si trovano nel buio e soli, di avere pazienza, che tutto arriva prima o poi, anche la felicità"

Autore: Redazione Casteddu Online il 13/03/2017 16:22 
Veronica Pisano: "Volevo dire addio, Padre Puggioni mi ha salvato"
Nel 1997 si separarono i miei genitori, morirono i miei nonni paterni e mia madre perse il lavoro. All' inizio non mi rendevo conto, ma ero sempre più triste. Solo la musica e la speranza che sarei diventata una cantante mi consolava. A 19 anni in preda alla disperazione pensai di buttarmi giù dalla finestra; non avevo amici, ne soldi, ne più una famiglia unita. Mi sentivo sola e in preda alla disperazione.L' anno successivo , nel 1999 conobbi Padre Giovanni Puggioni, che mi raccontò i miei pensieri cattivi, nonostante non gliene avessi mai parlato,mi predisse il futuro ,dicendomi che sarei diventata una cantante, avrei inciso dei dischi e avrei imparato e cantato in un' altra lingua. Dopo quel colloquio andai via felice e iniziai a studiare francese e spagnolo. Ma niente, più passavano gli anni e più perdevo la speranza. Nel frattempo studiavo canto. Nel 2011 mi sono iscritta alla Scuola Civica di Musica di Cagliari in Canto Moderno, nello stesso anno ho conosciuto Maurizio Gastaldi (chitarrista e compositore ), improvvisamente è nata in me la voglia di ascoltare musica sarda. Nel 2014 nasce la nostra collaborazione fino ad oggi, con due album in attivo e un singolo. Se Padre Giovanni Puggioni quel giorno non mi avesse consolato a quest' ora non sarei qui a raccontarlo. Vorrei dire a tutti i giovani che in questo momento si trovano nel buio e soli, di avere pazienza, che tutto arriva prima o poi, anche la felicità. 













merita di essere vissuta perché il futuro ci riserva cose bellissime".

19.3.17

Laura Boldrini 'cicerone' a Montecitorio per la brillante neolaureata sardo-marocchina a cui era stato impedito l'accesso


l'antefatto
http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2017/03/studentessa-modello-premiata.html




Laura Boldrini "cicerone" a Montecitorio per la brillante neolaureata sardo-marocchina
Roma. La presidente della Camera ha voluto far visitare il Parlamento a Ihlam Mounssif dopo aver saputo che la 22enne premiata dalla fondazione Italia-Usa attraverso i capigruppo alla Camera non è stata ammessa ad assistere ai lavori dell'Aula perché aveva il passaporto extracomunitario










speriamo che non sia le solite scuse tanto per fare e non si riduca a chiacchierare e distintivo come sanno fare i nostri politicanti

L’amara “festa” del papà di chi cerca il corpo del proprio figlio Il disperato appello del padre di Stefano Masala e la sua rabbia all’udienza per l’imputato accusato di avere ucciso il giovane di Nule

a  chi mi accusa  di  riportare  solo o per la maggior parte   storie    del nord  est   ecco una  storia   sarda  

 la  nuova sardegna del 19\3\2017
 da la  nuova  sardegna 

L’amara “festa” del papà di chi cerca il corpo del proprio figlio
Il disperato appello del padre di Stefano Masala e la sua rabbia all’udienza per l’imputato accusato di avere ucciso il giovane di Nule

di Gianni Bazzoni





marco masala

Si può stare in silenzio, lontano da tutti. Sbattere ogni cosa che ti capita per le mani e considerarsi devastato in maniera così violenta da sentire troppo fragili le fondamenta umane. Oppure si può decidere di non contenere la rabbia, di non fermarsi e parlare sempre. Anzi, di urlare il nome del proprio figlio, reclamare giustizia in ogni posto, anche nelle aule dei Tribunali dove periodicamente passano coloro che possono sapere qualcosa e - con la loro testimonianza - restituire a un padre almeno il diritto di dare sepoltura a quel figlio che nessuno sa più dove sia.
Marco Masala, padre di Stefano, il giovane di Nule scomparso nel nulla il 7 maggio del 2015, ormai ha deciso di andare avanti così. Puntando il dito e urlando, lanciando sfide a chi - secondo lui - non ha detto la verità e può chiarire il mistero che lega la sparizione di Stefano all’omicidio di Gianluca Monni, il 19enne ammazzato a Orune. Due vite cancellate in un vortice di follia che è impossibile persino raccontare perché la trama è un buco nero. E le sentenze ancora non ci sono.
É rimasto solo Marco Masala dopo la morte della moglie, la signora Carmela, che ha atteso fino all’ultimo istante il ritorno di Stefano a casa. Oggi è la festa del papà, ma per chi ha perso un figlio è un giorno triste. Ancora di più per chi, come Marco, non sa neppure dove si trovino i resti di Stefano. E anche nel giorno della festa dei babbi, ha diritto di urlare con la forza che ancora gli resta.
«Ditemi dov’è mio figlio», l’ha detto e ripetuto senza abbassare lo sguardo, con il coraggio e la fierezza di chi porta nel cuore e nella mente il sorriso di quel ragazzo buono, indifeso, incapace di intuire il benchè minimo pericolo.
La morte di un figlio è la prova più dura che un genitore possa essere chiamato ad affrontare nella sua vita, un padre e una madre non si aspettano di sopravvivere ai propri figli, e quando succede mancano le parole per dirlo, si perde la dimensione di se stessi, ci si muove persi nel nulla, quasi senza nome. Marco Masala oggi non festeggia il 19 marzo perché tutto si è fermato a quella notte del 7 maggio, quando Stefano è uscito sorridente come sempre, ingenuo e felice. E non è più tornato. In tanti in questi lunghi mesi hanno chiesto “che cosa possiamo fare?”, senza avere risposta. Perché il conforto, gli abbracci e la solidarietà sono atti che possono aiutare quando è possibile condividere il proprio dolore per una storia che è finita. Invece la vicenda
di Stefano è ancora aperta, una ferita profonda che fa troppo male, e questo padre - oggi più degli altri giorni - ha il diritto di urlare con tutta la rabbia che si porta dentro: «Dite dov’è mio figlio». Chi lo sa parli, che sia un figlio o un padre poco importa. Gli altri stiano in silenzio.

Si sposano in Comune e partono col carroattrezzi

ne avevo letto e sentite tante ma questa mi mancava . L'amore fra fare follie è proprio vero . Ecco la storia di Michele Marzocchi ed Elena Colombini . Michele conobbe Elena quando la soccorse dopo un incidente stradale. Fu amore a prima vista. E nel giorno delle nozze hanno voluto usare il mezzo "galeotto" per ricordare quel loro primo incontro


Si sposano in Comune e partono col carroattrezzi
Il sogno di Michele Marzocchi ed Elena Colombini si è avverato. Alla fine del rito civile in Comune che li ha resi marito e moglie, ad aspettarli non c'erano solo gli invitati...



GROSSETO 
C'è la coppia che vuole sentirsi vip per un giorno e affitta la limousine, quella più tradizionalista che punta invece sulla carrozza trainata dai cavalli e la coppia sportiva che opta per una rombante due ruote. Ma finora nessuno aveva mai scelto di andare al proprio matrimonio... a bordo di un carroattrezzi.Una scelta d’amore, quella di Michele Marzocchi, 28 annni di Grosseto, e di Elena Colombini, 29 anni di Paganico, che va ben oltre l’attività professionale dello sposo, titolare della nota ditta di soccorso stradale Pronto Marzocchi con sede in via Smeraldo a Grosseto. Michele è un giovane che sui carroattrezzi ci è letteralmente cresciuto: prima di lui il titolare della ditta era il babbo Roberto che rimase vittima alcuni anni fa (era la notte dell’Epifania del 2010) di una gravissima aggressione a seguito della quale è rimasto invalido. Proprio dopo quei fatti drammatici raccontati anche dalle cronache del Tirreno Michele ha preso le redini della ditta dal babbo facendo del soccorso stradale il suo lavoro a tempo pieno. Ma non è solo questo il motivo della sua scelta così poco canonica.«Ho conosciuto Elena nel 2010 – racconta Michele – perché ebbe un incidente stradale. Lei non si fece nulla per fortuna ma servì l’intervento del carroattrezzi per portare via l’auto». A guidare il mezzo era proprio Michele. Insomma, parafrasando Dante, “galeotto fu il carroattrezzi”.A quel primo incontro in una circostanza non certo fortunata segue un appuntamento per un caffè per conoscersi meglio. Da quel momento Elena e Michele non si sono più lasciati fino alla decisione di convolare a nozze con rito civile. «Domattina (stamani) ci sposiamo in Comune», dice emozionato Michele. «Ho chiesto che fosse l’assessore Fausto Turbanti a celebrare il rito. Ho voluto lui non solo perché lo conosco ma anche perché ha tra le sue deleghe quella alla Polizia municipale con cui per lavoro mi trovo a collaborare tutti i giorni».Data la concomitanza della manifestazione Primavera per la vita in programma oggi e domani tra piazza Duomo e piazza Dante, il carroattrezzi non potrà arrivare sotto il municipio come avrebbe sognato Michele ma sosterà di fronte all’hotel Bastiani in piazza Gioberti per tutta la durata della cerimonia. «Ringrazio la Municipale che ha fatto di tutto per potermi accontentare in questo mio sogno», dice Michele. «Hanno studiato possibili alternative ma la manifestazione in piazza non consente di fare altrimenti».In vista delle nozze Michele ha fatto riverniciare e tirare a lucido il carroattrezzi e ieri sera, al termine di una normale giornata di lavoro tra interventi sulla strada e in officina, lo ha addobbato di tutto punto. «Arriverò da solo col mezzo entrando da Porta Corsica – dice – e dopo la cerimonia e le foto di rito con lo stesso carroattrezzi porterò Elena, che a quel punto sarà finalmente mia moglie, al banchetto nuziale organizzato alla Tenuta dell’Uccellina al Collecchio».


Poi    alla   fine   sempre  secondo http://iltirreno.gelocal.it/grosseto/cronaca/ Il sogno di Michele Marzocchi e Elena Colombini si è avverato. La mattina di sabato 18 marzo il rito civile in Comune che li ha resi marito e moglie e ad attenderli al termine della cerimonia non solo parenti e amici ma anche un bel carroattrezzi tirato a lucido e addobbato per l’occasione con tulle bianco e fiocchi gialli.
Lo sposo, Michele Marzocchi, 28 anni, è il giovane titolare della ditta di soccorso stradale Pronto Marzocchi di via Castiglionese a Grosseto e come aveva annunciato al Tirreno ha scelto un mezzo davvero singolare per i suoi spostamenti nel giorno più bello. Una scelta d’amore, la sua, perché è stato proprio un carroattrezzi il motivo del primo incontro tra Michele e Elena. Nel 2010 la sua futura fidanzata e oggi moglie chiamò infatti la ditta Marzocchi dopo un incidente stradale per far portare via la sua auto. La circostanza non era delle più fortunate ma Cupido quel giorno ha scoccato la sua freccia e così da quel primo incontro è nata una bella storia d’amore, coronata ieri dal sì.
Per questo i due giovani sposi hanno voluto per la loro cerimonia il mezzo che li ha fatti incontrare. Dopo le foto di rito in centro storico Michele ha aiutato la bella Elena a salire sul carroattrezzi con il quale poi hanno raggiunto la Tenuta dell’Uccellina per il banchetto nuziale.

Studentessa modello premiata a Montecitorio, ma non entra perché immigrata il caso Ihlam Mounssif, 22 anni.

Cara Laura Boldrini   non   limitarti  solo  ad una operazione  di  facciata   , per  far  vedere  ai media   che  si tratta  di  un equivoco ,  ma   agisci  ed  adoperati   che tale  indecenza  non si ripeta  più   e tali discriminazioni ( questa   riportata   sotto è solo la punta  dell'iceberg  ) presenti    anche  nelle  nostre leggi    cessino  e  vengano abolite  .


da   la  repubblica  del  19 marzo 2017


Studentessa modello premiata a Montecitorio, ma non entra perché immigrata
Ihlam Mounssif, 22 anni, vive in Italia da quando ne aveva due: ha ricevuto il riconoscimento nell'aula dei gruppi parlamentari, ma non ha potuto assistere alla seduta della Camera perché ha passaporto del Marocco  


di CRISTINA NADOTTI

ROMA - Italiana per ricevere un premio ai nostri migliori neolaureati e per rappresentarci alle simulazioni dell'Assemblea delle Nazioni unite del Rome Mun 2017, ma extracomunitaria per una delle commesse della Camera dei Deputati. Quanto è successo giovedì scorso a Ihlam Mounssif, nata in Maroccco 22 anni fa ma italianissima, anzi "sarda" come ama definirsi, è paradossale.

                                                Ihlam Mounssif

Ihlam era a Montecitorio, nell'aula dei gruppi parlamentari, per ricevere il premio che la fondazione Italia-Usa destina ai neolaureati più brillanti nelle discipline di interesse dell'ente. Laureata in scienze politiche, indirizzo relazioni internazionali con 110 e lode Ihlam racconta con orgoglio: "Eravamo ben cinque sardi ad essere premiati e finita la cerimonia volevo visitare il simbolo della nostra democrazia, un'occasione da non perdere visti i miei studi". Insieme a un'amica è quindi andata all'ingresso principale di piazza del Parlamento, dove dietro presentazione di un documento e compilazione di un modulo è possibile essere ammessi ad assistere alle sedute. "La commessa - racconta la giovane - dopo una breve consultazione telefonica mi ha detto che poiché ho il passaporto di un Paese extraeuropeo non potevo entrare, specificando che la regola non riguarda me in quanto marocchina ma anche i cittadini americani. Ci sono rimasta malissimo, la mia amica ha deciso a quel punto che non sarebbe entrata neanche lei. Per quanto mi riguarda - osserva - è stata una delle tante ingiustizie e assurdità del nostro Paese, che non ci riconosce come cittadini, è la prova che la legge va approvata al più presto. Sono arrivata in Sardegna dal Marocco quando avevo due anni, mi sono laureata a Sassari, amo l'isola dove vivo con la mia famiglia. Credo in un'Italia migliore e sogno di rappresentarla. Non sopporto più che la mia vita e quella di tanti come me dipendano dalla decisione di una classe politica che inspiegabilmente vuole ignorarci".
Quanto accaduto non è stato però ignorato dalla presidente della Camera Laura Boldrini, che saputo da Repubblica della storia di Ihlam, ha subito chiesto di verificare l'accaduto. La Camera sta così accertando sulla base di quale disposizione del regolamento è stato negato l'accesso alla giovane.
Intanto,però, già questa mattina Ihlam sarà ospite della presidente Boldrini in occasione di "Montecitorio porte aperte". "Non vedo l'ora - ha detto ieri Ihlam - sarò nel luogo dove si esprime al massimo la nostra Costituzione



ecco quindi che mi auto marzullo cioè mi faccio la domanda e mi do la risposta

mi chiedo ma che senso ha premiare ed elogiare anche gli immigrati diu seconda generazione cioè italiani a tutti gli effetti se poi li si discrimina ? forse li si vuole usare come trofeo da esibire per farsi vedere ipocritamente politicamente corretti

18.3.17

daniele carbini il mugnaio filosofo

da leggere  prima    del post  se   non si hanno    studi  filosofici


L'immagine può contenere: 1 persona, barba, occhiali e primo piano
Molti di voi  mi dicono  che pubblico  solo storie  prese  da  i giornali  e\o dai vari siti online, ma nessuna  di mia o  trovata  da me 
Ebbene oggi  saranno accontentati . Nel  post   d'oggi racconto ovviamente sotto  forma  d'intervista \ chiacchierata la storia    del compaesano  Daniele  Carbini  ( foto a  destra  presa  dal  suo facebook   ) Un ragazzo   che  dopo la  laurea  in filosofia  110\ 110   con una   la tesi  su  Nietzsche: filosofia e pittura :
Il testo si pone l'obiettivo di mostrare come la filosofia sia uno strumento di fatto artistico ad uso della mente.
Il saggio analizza la filosofia nietzschiana al fine di mostrare come la conoscenza non sia altro che un mondo linguistico ed artistico.
Vengono messe in evidenza correlazioni e stringenti affinità di pensiero (a conferma della premessa) tra il pensiero di Nietzsche e diversi pittori (e le loro opere) quali kandinsky, Van Gogh, Pollock.
Infine, si mostrano affinità di pensiero tra Nietzsche, Wittgenstein, Lao-tzu, Chuang-tzu ed il pensiero orientale in senso più largo (ovvero taoismo, buddhismo, zen e buddhismo ch'an) e come, in definitiva, il pensiero che ne esce fuori sia una dichiarazione della filosofia come arte.






ed una decennale esperienza nel settore Informatica - Telecomunicazioni fatta iniziando da semplice programmatore per poi scalare tutti i passi fino ad arrivare infine ad architetto del software decide dal gennaio gennaio 2006  (  nel    momento in cui la  ditta  familiare     compiva   30 anni di vita  ) di  abbandonare Roma e la sua carriera di professionista di progettazione del software   e  per dedicarsi, insieme al resto della famiglia, all'attività molitoria, assicurando un segno di continuità e innovazione tecnologica, nel pieno e assoluto rispetto della tradizione  ormai  quarantennale   . La ditta  si occupa di farina e grani  qui  la loro storia  e qui la loro pagina facebook ) che produce sfarinati di GRANO DURO di alta qualità artigianale, ottenuti dalla macinazione dei migliori grani sardi che vengono acquistati direttamente dai produttori .
Infatti dalla pagina facebook


Nessun testo alternativo automatico disponibile.
Il semolato di grano duro (senza estrazione di semola) del Molino Carbini Nicola è un prodotto di alta qualità artigianale.
Da sempre l’azienda ha focalizzato la sua attenzione su un prodotto senza compromessi in merito alla sua qualità e tipicità. Per questo motivo il prodotto è da considerarsi unico nel suo genere.
In genere le industrie molitorie da un chicco di grano estraggono i sottoprodotti (cruscami e farinacci, principalmente usati nel comparto zootecnico), il semolato, la semola e la farina di grano duro. Ognuno di questi viene poi venduto al mercato separatamente e indirizzato ad usi molto specifici. Il Molino Carbini invece ha scelto, fin dai suoi inizi, di realizzare un prodotto che esclude solo i sottoprodotti e di offrire alla clientela un prodotto a «corpo unico», cioè semola e semolato vengono tenuti insieme, offrendo una ricchezza di sapore ineguagliabile nelle altre soluzioni. Questi risultati però non sarebbero possibili se alla base non vi fosse un’accurata scelta della materia prima, il grano, selezionato e raccolto nei migliori campi della Sardegna, il quale offre un gusto ed un sapore tra i migliori e più rinomati al mondo.In uno scenario mondiale completamente aperto e globale, il Molino Carbini Nicola ritiene che la migliore promozione di un prodotto sia data della sua assoluta tipicità, legata alle tradizioni culturali del proprio territorio, diventandone elemento identitario. Consumare il semolato del Molino Carbini è riscoprire i reali sapori della Sardegna in ogni pane, pasta o dolce che andrete a realizzare. Il Semolato di grano duro (senza estrazione di semola) del Molino Carbini Nicola è ideale per realizzare pani tipici, paste fresche e dolci tradizionali. esaltandone gusto e profumi.
 ed  ora     vai  con la  storia intervista



 ti senti  più'  mugnaio o filosofo  ?
non vi è distinzione reale tra le due cose. la filosofia è attività molto pratica e concreta. la mia attività di mugnaio, come qualunque altra attività che ho svolto, non è che una possibile declinazione di quello che è il mio pensiero filosofico. non ha importanza ciò che fai ma come lo fai e quanto è in corrispondenza con il tuo pensiero. la filosofia ridotta a mera teoria a sé stante è vuoto esercizio intellettuale che non serve a nulla e che tradisce l'amore per la filosofia stessa.

come mai   non hai  coltivato , magari insegnando o  scrivendo  libri   tematici   come fanno altri  laureati  in filosofia  ?
in verità mi farebbe piacere trovare il tempo per organizzare le mie riflessioni e realizzare un testo dall'aspetto organico, ordinato. In verità scrivo molto, in modo disordinato e spesso dettato dall'urgenza del presente. Uso molto i social, perchè amo stare in mezzo alla gente e con essa la condivisione ed il confronto. Non amo i club esclusivi degli intellettuali, amo l'umanità e di essa voglio farne parte. Mai scelto di fare l'insegnante, non è nelle mie corde, non amo i programmi nozionistici e ripetitivi. Mi capita di fare lezioni private. Scrivo diversi articoli per testate di cultura e di informazione su internet. Nel 2004 è stato pubblicato un mio romanzo e ho pubblicato in diversi periodici.
 cosa  è per  te la  filosofia   e  che collegamento ha   ,  visto che  ci hai fatto una tesi  in merito  , con l'arte   e  con la musica  (  vedi   esempio   lavori di  cristian  porcino  o  quelli  di Giuseppe  Pulina )?
ti rispondo con un famoso aforisma di Nietzsche, "l'arte vale più della verità". Vi è sempre un processo creativo, che va al di là del mero fatto oggettivo. La scienza stessa è creativa, senza questo impulso sarebbe ferma. Il motore creativo dell'umano è l'essenza dell'evoluzione dell'innovazione. Non può esserci arte se non è accompagnata dalla passione, dall'amore di realizzare ogni cosa.
Secondo    te  come  è stato proposto qui  . insegnare  filosofia  ai bambini  dalle  elementari    va bene  o no  ? 
Quest'ultimo Natale ho regalato ai miei nipotini Sofia, Alice e Nicola, che frequentano tutti le elementari, il libro di Platone per bambini. Non conosco risposta migliore di questa.

 Durante   i tuoi  viaggi ,  soprattutto    quelli  che  fai su  è  giù per   la  sardegna  ,   ti  è mai  capitato  per parafrasare  la strada  dei Mcr  ( qui  il  testo originale)

Di tutti i poeti e i pazzi \che hai  incontrato per strada \hai tenuto una faccia o un nome\
una lacrima o qualche risata\e ascoltare  le voci dei matti \incontrato la gente più strana \e imbarcare   compagni di viaggio   di  cui qualcuno è rimasto\ qualcuno è andato e non s’è più sentito \   e  magari rincontrarlo     lungo  la strada  \Di tutti i paesi e le piazze \dove hai  fermato il furgone 
hai  perso un minuto ad ascoltare \ qualche ubriacone \le strane storie dei vecchi al bar   >> 
nei miei viaggi quotidiani vivo ogni momenti significativi di umanità e spesso ritrovo la declinazione pratica di molte teorie filosofiche. Ci sono dettagli che fanno la differenza. I dettagli, che spesso trascuriamo sono spesso la chiave che ti aprono la radura.
se   si  o   anche  no   hai trovato   qualche altro  " filosofo  ?
incontrare filosofi nel senso tecnico del termine è difficile. bisogna partire dalla premessa di cosa si considera per filosofia e cosa si considera filosofo. la filosofia è un mestiere? o è uno strumento del pensiero?

 qual  è  l'episodio   più curioso che  ti è  capitato   durante i  tuoi viaggi   

 quello più bello
 quello più brutto
non ho una risposta a queste domande.
 Visto  il proliferare  di  filosofi copia - incolla  ed   da  salotto  (  ogni  riferimento  a persone  e fatti  è puramente    casuale  😀😆 ), io  che   consideravo   la  filosofia  qualcosa  d'astratto  riferendomi a questa  vecchia  canzone  anarchica  \  libertaria  :

 (....) La casa è di chi l’abita
e un vile è chi lo ignora,
il tempo è dei filosofi
il tempo è dei filosofi.
La casa è di chi l’abita
e un vile è chi lo ignora,
il tempo è dei filosofi,
la terra di chi la lavora.  (... qui il resto del testo )  
tesi poi  poi rimessa  in discussione    dall'aver  imbarcato    su  Facebook  e  sul mio blog  alcuni  filosofi  ,    ti  chiedo   si può  ancora   parlare  di filosofia   ?
Quindi  filosofia  non accademica , come sembra dai  tuoi  scritti   sui  social   ( facebook   , twitter )    ed   dai tuoi interventi   da moderatore  durante le presentazioni letterarie    tenute  dalla ormai ex libreria     max 88 ,  o  filosofia  accademica  ?
su facebook si sente l'esigenza di emergere. da un certo punto di vista è la celebrazione edonistica dell'ego, dove ognuno vuole distinguersi dalla massa e avere successo all'interno del proprio contesto. in molti vogliono far vedere che sono qualcosa e non niente. se vogliamo è anche comprensibile come esigenza: essere confusi nella massa, essere insignificanti e non considerati è un qualcosa che può fare stare male. da qui nasce il desiderio di mostrarsi e di dimostrare di avere una sostanza che merita attenzione. insomma si cerca di emergere per far vedere che c'è qualcosa di interessante che dovrebbe attirare l'attenzione di chi legge. diciamo che sarebbe più saggio immergersi e piegare la schiena, darsi una formazione seria. a quel punto si emergerà in modo naturale e si brillerà di luce propria.di filosofia si deve parlare sempre, è necessaria e fondante. la filosofia è il cuore di ogni conoscenza. non esiste materia o argomento che non abbia il proprio fondamento nella filosofia. La filosofia è il graal della conoscenza e della comprensione. ma la filosofia andrebbe mostrata più che discussa.



cristiani in un paese islamico come la tunisia


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non è completamente vero che i cristiani nei paesi islamici sono discriminati e perseguitati . L''esempio della Tunisia 
 La  facoltà di  scienze politiche  di cagliari   è  all'avanguardia  del  confronto   e del dialogo  con il mondo  islamico  e   su  tematiche   dell'immigrazione    vedere  :

   Infatti si è tenuto       (  locandina  sotto a  sinistra  presa  da  http://www.unica.it/pub/7/show.jsp?id=34928&iso=-2&is=7  sito  della  facoltà di  cagliari    )     tenuto   alla facoltà di scienze politiche  di Cagliari il    16\3\2017  un convegno "  Islam e  cristianesimo  - esperienza  della  chiesa cattolica  in Tunisia     che  ha  visto    la  testimonianza   dell'arcivescovo di Tunisi  , Ilario Antoniazzi,

Redazione ANSA CAGLIARI 16 marzo 2017 19:10 NEWS

                                                                   FOTO© ANSA



I cristiani in Tunisia? Difficile contarli, al minimo segnale di pericolo scappano via e le chiese si svuotano. Allarmismo ingiustificato, però: dopo un attentato non si smette di andare in Francia o in Germania, mentre in Tunisia sono spariti. Parola dell'arcivescovo di Tunisi Ilario Antoniazzi, ospite a Cagliari della tavola rotonda su "Islam e Cristianesimo. L'esperienza della Chiesa cattolica in Tunisia", organizzata dal Dipartimento di Scienze Sociali e delle Istituzioni dell'Università di Cagliari, dall'Arcidiocesi di Cagliari e dalla Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna.
"Quanti sono i cristiani in Tunisia? Una domanda che non si deve mai fare - scherza il vescovo - loro vengono e partono senza avvertire. Poi, basta che sia messa una bomba anche a duecento chilometri, e le chiese, che prima erano piene, diventano vuote perché i fedeli (i cristiani in Tunisia sono tutti stranieri, ndr) sono scappati in aereo. I turisti? Non ce ne sono più. Ed è un errore: il Paese è tranquillo, uno dei posti più sicuri del nord Africa, l'ultimo attentato risale a due anni fa". I limiti della Chiesa in Tunisia? "La condotta della Chiesa è governata da un accordo, che si chiama Modus Vivendi - spiega l'alto prelato - stipulato nel 1964 tra Vaticano e Governo.Ci sono dei limiti: ad esempio non si può parlare di Vangelo con i tunisini, non si possono ricevere donazioni. Ma questo accordo ci dà certezze: la sicurezza di poter restare. Conoscendo i nostri limiti e rispettandoli non abbiamo problemi, nè con la polizia nè col governo.
Oggi constatiamo che siamo molto più richiesti che in passato per parlare dei problemi della Tunisia: terrorismo, guerre, violenza, pace. Abbiamo molto da dire - conferma mons. Antoniazzi - sopratutto tramite il servizio sociale sui prigionieri e sui migranti. La Caritas sta facendo un grande lavoro: siamo rispettati, anche se limitati dal Modus vivendi".
Mai intimidazioni, "la Chiesa - assicura l'arcivescovo - vive serenamente". La conferma arriva anche da Abderrazak Sayadi, docente di Letteratura francese e Religioni comparate, coordinatore del Master in Studi comparati dei fatti religiosi e delle civiltà dell'Università della Manouba (Tunisi). "La situazione si sta stabilizzando - spiega - ma dobbiamo essere vigili: dobbiamo far passare l'idea tra i giovani che il pluralismo religioso è fondamentale per la transizione democratica".
Segnalata durante i lavori la pubblicazione del saggio "Una testimonianza silenziosa. Storia della Chiesa cattolica in Tunisia dal Trattato del Bardo alla rivoluzione dei gelsomini" (Aracne, Roma 2016) di Maria Chiara Cugusi, dottore di ricerca in Storia, istituzioni e relazioni internazionali dell'Asia e dell'Africa moderna e contemporanea (Università di Cagliari).


chi lo dice che per essere sexy bisogna essere magre ? Maria Grazia, una nuorese "curvy" sull'edizione web di Playboy

ecco un esempio di  donne  che  mi piacciono non  Quelle   siliconate  o  completamente  rifatte  (  vedi   il post  : ROSSANA AGUECI RIFATTA DA CIMA FONDO 

Ora    dopo   l'iniziale   successo      vedere   L'INTERVISTA  sotto   rilasciata  da   un  tv  locale   e   presa dalla  sua pagina  facebook  https://www.facebook.com/Maria-Grazia-Loddo-curvy-model-781740775187355/


Ora   è    sull'edizione   web di playboy    infatti  si legge  su  l'unione sarda  del  18\3\2017 CRONACA » NUORO




Maria Grazia, una nuorese "curvy" sull'edizione web di Playboy

Oggi alle 07:24

Maria Grazia Loddo
Una volta venivano chiamate "taglie forti". Oggi si chiamano "curvy": letteralmente formose, morbide, prosperose. Non necessariamente grasse, anzi: "Una ragazza come me ne è l’esempio. Ho delle rotondità fisiologiche, ma niente di più".
Parola di Maria Grazia Loddo Frogheri, classe 1977, mamma di Nuoro e papà di Lanusei, scelta come modella per l'edizione web italiana della rivista Playboy.

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17.3.17

che strano paese l'italia CI VOLEVA UN REMAKE PORNO DE “LA CIOCIARA” PER RICORDARE LE “MAROCCHINATE” ?

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questo articolo   riportato  sotto  del sito  di dagospia  conferma    quanto dicevo precedentemente  nel post   Si   chiede  la memoria condivisa  ma  ancora  il paese    non fa i conti  con il passato ed  è divisa  sul    proprio passato ..... 

– PIU’ DI 60 MILA DONNE VENNERO VIOLENTATE DALLE TRUPPE ALGERINE E MAROCCHINE FRANCESI CHE CACCIAVANO I NAZISTI DALL’ITALIA – STORIE DI ATROCITA’, STUPRI, VIOLENZE DI GRUPPO NEL SUD – LA STORIA DEL PARROCO VIOLENTATO E LASCIATO MORIRE LEGATO AD UN PALO – DE GAULLE SAPEVA…








– PIU’ DI 60 MILA DONNE VENNERO VIOLENTATE DALLE TRUPPE ALGERINE E MAROCCHINE FRANCESI CHE CACCIAVANO I NAZISTI DALL’ITALIA – STORIE DI ATROCITA’, STUPRI, VIOLENZE DI GRUPPO NEL SUD – LA STORIA DEL PARROCO VIOLENTATO E LASCIATO MORIRE LEGATO AD UN PALO – DE GAULLE SAPEVA…




la ciociara versione hardLA CIOCIARA VERSIONE HARD
Il fatto che un regista italiano di film porno abbia potuto girare una pellicola hard su una delle pagine più mostruose vissute dalla nostra popolazione civile durante la Seconda guerra mondiale, offre la caratura di quanto questi misfatti siano stati rimossi dalla coscienza morale collettiva. L’episodio del remake porno de La Ciociara di Vittorio De Sica, che ha suscitato un’interrogazione parlamentare e una lettera pubblica al premier Gentiloni, offre piuttosto l’occasione di raccontare, documenti alla mano, tutta la verità relegata per oltre settant’anni nei sotterranei della storia, indicando i numeri reali, i colpevoli e i personaggi di primissimo piano - tra cui lo stesso Charles De Gaulle - che ne furono i diretti responsabili.
“Marocchinate”: con questo termine si sono tramandati gli stupri di gruppo, le uccisioni, i saccheggi e le violenze di ogni genere perpetrate dalle truppe coloniali francesi (Cef), aggregate agli Alleati, ai danni della popolazione italiana, dei prigionieri di guerra e perfino di alcuni partigiani comunisti. La storiografia tradizionale, le poche volte che ne ha trattato, ha circoscritto questi orrori a qualche centinaio di episodi verificatisi nell’arco di un paio giorni nella zona del frusinate. Le proporzioni, tra numeri e gravità dei fatti, furono di gran lunga superiori. E a breve – lo annunciamo in esclusiva - sarà aperto un procedimento penale internazionale, ai danni della Francia, per iniziativa di un avvocato romano.
marocchinate1MAROCCHINATE1

1. COS’ERA IL CEF 
Nel 1942, gli americani sbarcano ad Algeri e le truppe coloniali francesi del Nord Africa, fino ad allora agli ordini della repubblica filonazista di Vichy, si arrendono senza sparare un colpo. Il generale Charles De Gaulle, fuggito dalla Francia occupata dai tedeschi e capo del governo francese in esilio “Francia libera”, allora, attinge a questo personale militare per creare il Cef: Corp Expeditionnaire Français, costituito per il 60% da marocchini, algerini e senegalesi e per il restante da francesi europei, per un totale di 111.380 uomini ripartiti in quattro divisioni.Vi erano però dei reparti esclusivamente marocchini di goumiers (dall’arabo qaum) i cui soldati provenivano dalle montagne del Riff ed erano raggruppati in reparti detti “tabor” in cui sussistevano vincoli tribali o di parentela diretta. Erano in tutto 7.833, indossavano il caratteristico burnus arabo, vestivano una tunica di lana verde a bande verticali multicolori (djellaba) e sandali di corda. Erano equipaggiati non solo con le armi alleate (mitra Thompson cal. 45 mm e mitragliatrice Browning 12.7 mm) ma anche con il tipico pugnale ricurvo (koumia) con il quale, secondo una loro antica usanza, tagliavano le orecchie ai nemici uccisi per farne collane e ornamenti (in particolar modo i tedeschi ne fecero le spese).
marocchinate Reparto di goumiersMAROCCHINATE REPARTO DI GOUMIERS

Il loro comandante era l’ambizioso generale Alphonse Juin, nato in Algeria che, da collaborazionista dei nazisti, era passato alle dipendenze di De Gaulle. 

2. PRIMI IMPIEGHI, PRIME VIOLENZE 
Gli stupri delle truppe marocchine cominciano già nel luglio ’43, con lo sbarco alleato in Sicilia. Gli 832 magrebini del 4° tabor aggregato agli americani che sbarcano a Licata, compiono saccheggi e violentano donne e bambini presso il paese di Capizzi, vicino Troina. Come riporta lo storico Michelangelo Ingrassia, i siciliani reagirono uccidendone alcuni con doppiette e forconi.  

marocchinate. madre ciociaraMAROCCHINATE. MADRE CIOCIARA
3. I MAROCCHINI AGGIRANO CASSINO RISALENDO I MONTI 
Come noto, gli Alleati, risalendo l’Italia senza troppe difficoltà, si impantanarono a Cassino, sulla Linea Gustav, dove i tedeschi opponevano una tenacissima resistenza. Fu il generale Juin, sin dall’inizio, a proporre ai colleghi statunitensi Clark e Alexander l’aggiramento del caposaldo nemico. Dopo tre battaglie sanguinosissime e prive di risultato gli Alleati avallarono la proposta di Juin il quale aveva scoperto che il monte Petrella, a est di Cassino, era stato lasciato parzialmente sguarnito dai tedeschi. In quelle zone, solo le sue truppe marocchine di montagna avrebbero potuto farcela. Infatti, con l’operazione “Diadem” (l’ultimo assalto collettivo degli Alleati) i goumiers riuscirono a sfondare la Linea Gustav e, attraversando l’altipiano di Polleca, si lanciarono verso Pontecorvo. 
marocchinate. civili in ciociariaMAROCCHINATE. CIVILI IN CIOCIARIA

Kesselring, comandante tedesco in Italia, per tamponare lo falla, inviò i suoi Panzegrenadieren insieme a reparti italiani della Rsi, (Gnr di Frosinone) i quali, dopo accaniti combattimenti, dovettero soccombere. E’ accertato che gli ultimi soldati tedeschi rimasti a Esperia si suicidarono gettandosi da un burrone per non finire decapitati come altri loro commilitoni catturati. Questo avveniva mentre i marocchini cominciavano a violentare moltitudini di donne, uomini e bambini sull’altopiano di Polleca.

4. LA POPOLAZIONE NON COMPRENDE IL PERICOLO 
Sebbene siano conosciuti i manifesti della propaganda fascista (alcuni disegnati da Gino Boccasile) che mettevano generalmente in guardia la popolazione dalle truppe di colore alleate, il partigiano e storico ciociaro Bruno D’Epiro racconta che già prima della battaglia di Esperia un ricognitore tedesco aveva lanciato sui monti Aurunci volantini che incitavano la popolazione a fuggire dalle prevedibili violenze delle truppe nordafricane.

Alberto MoraviaALBERTO MORAVIA
Molti bambini furono evacuati dalla Guardia Nazionale Repubblicana e inviati nelle colonie di Rimini, ma la maggior parte della popolazione ciociara, stanca della guerra, si limitò ad aspettare, con rassegnato distacco, il passaggio dei liberatori. Scriveva Renzo De Felice che “l’8 settembre aveva fatto perdere agli italiani qualsiasi volontà di partecipare attivamente alle vicende belliche”. Alberto Moravia, all’epoca sfollato nel frusinate, ne “La Ciociara”, descrive bene questo sentimento di rassegnata apatia facendo dire alla protagonista: ”Per noi bisogna che qualcuno vinca sul serio, così la guerra finisce”.

5. COMINCIA L’INFERNO 
Alla ritirata dei nazifascisti, vari paesi della Ciociaria vennero occupati dai franco-coloniali del Cef. Questo fu l’inizio di un assurdo calvario. Ad Ausonia decine di donne furono violentate e uccise, e lo stesso capitò agli uomini che tentavano di difenderle. Dai verbali dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra risulta che anche “due bambini di sei e nove anni subirono violenza”. A S. Andrea, i marocchini stuprarono 30 donne e due uomini; a Vallemaio due sorelle dovettero soddisfare un plotone di 200 goumiers; 300 di questi invece, abusarono di una sessantenne. A Esperia furono 700 le donne violate su una popolazione di 2.500 abitanti.

marocchinate2MAROCCHINATE2
Anche il parroco, don Alberto Terrilli, nel tentativo di difendere due ragazze, venne legato a un albero e stuprato per una notte intera. Morirà due anni dopo per le lacerazioni interne riportate. A Pico, una ragazza venne crocifissa con la sorella. Dopo la violenza di gruppo, verrà ammazzata. A Polleca si erano rifugiati circa diecimila sfollati, per lo più donne, vecchi e bambini in un campo provvisorio. Qui si toccò l’apice della bestialità.
Luciano Garibaldi scrive che dai reparti marocchini del gen. Guillaume furono stuprate bambine e anziane; gli uomini che reagirono furono sodomizzati, uccisi a raffiche di mitra, evirati o impalati vivi. Una testimonianza, da un verbale dell’epoca, descrive la loro modalità tipica: “I soldati marocchini che avevano bussato alla porta e che non venne aperta, abbattuta la porta stessa, colpivano la Rocca con il calcio del moschetto alla testa facendola cadere a terra priva di sensi, quindi veniva trasportata di peso a circa 30 metri dalla casa e violentata mentre il padre, da altri militari, veniva trascinato, malmenato e legato a un albero.Gli astanti terrorizzati non potettero arrecare nessun aiuto alla ragazza e al genitore in quanto un soldato rimase di guardia con il moschetto puntato sugli stessi”. Riportiamo solo alcune di queste atrocità per fornire un’idea di massima. 

gourmier marocchini marocchinateGOURMIER MAROCCHINI MAROCCHINATE
6. MALATTIE VENEREE, ORFANI E SUICIDI 
I comuni coinvolti nel Lazio furono anche Pontecorvo, Campodimele, S. Oliva, Castro dei Volsci, Frosinone, Grottaferrata, Giuliano di Roma e Sabaudia. Migliaia furono le donne contagiate da sifilide, blenorragia e altre malattie veneree, e spesso contagiarono i loro legittimi mariti. Così come migliaia furono quelle ingravidate: il solo orfanotrofio di Veroli, accoglieva, dopo la guerra, circa 400 bambini nati da quelle unioni forzose. Molte delle donne “marocchinate” furono poi scansate dalla comunità, a causa dei pregiudizi di allora, ripudiate dalle famiglie e, a centinaia, finirono suicide o relegate ai margini della società. Una scia di sofferenze fisiche e psicologiche, quindi, che si trascinò per decenni. 

7. COLPEVOLI ANCHE I SOLDATI FRANCESI BIANCHI 
Non solo truppe di colore. Da documenti dell’Archivio Centrale dello Stato, risulta che anche i francesi bianchi parteciparono alle violenze: a Pico furono, infatti, violentate 51 donne (di cui nove minorenni) da 181 franco-africani e da 45 francesi bianchi. Dato questo episodio e considerando che francesi europei costituivano il 40% di tutto il Cef, risulta limitativo addossare la responsabilità delle violenze ai soli goumiers marocchini. Anche gli americani sapevano di questi fatti: solo in un paio di casi tentarono debolmente di frenare i goumiers. Scrive Eric Morris in “La guerra inutile” che, ancora vicino a Pico, gli uomini di un battaglione del 351° fanteria americana provarono a fermare gli stupri, ma il loro comandante di compagnia intervenne e dichiarò che “erano lì per combattere i tedeschi, non i goumiers”.

8. I COMANDANTI NON INTERVENGONO, FINO IN TOSCANA 
marocchinateMAROCCHINATE
Massimo Lucioli, co-autore, insieme a Davide Sabatini, del primo completo studio sulle marocchinate “La ciociara e le altre” (1998), spiega: “Dato il coinvolgimento dei bianchi, non presenti nei reparti goumier, si può affermare che i violentatori si annidavano in tutte e quattro le divisioni del Cef. Forse anche per questo, gli ufficiali francesi non risposero ad alcuna sollecitazione da parte delle vittime e assistettero impassibili all’operato dei loro uomini. Come riportano le testimonianze, quando i civili si presentavano a denunciare le violenze, gli ufficiali si stringevano nelle spalle e li liquidavano con un sorrisetto”.

Questo atteggiamento perdurò fino all’arrivo in Toscana del Cef. Qui ricominciarono le violenze a Siena, ad Abbadia S. Salvatore, Radicofani, Murlo, Strove, Poggibonsi, Elsa, S. Quirico d’Orcia, Colle Val d’Elsa. Perfino membri della Resistenza dovettero subire gli abusi. Come testimonia il partigiano rosso Enzo Nizza: ”Ad Abbadia contammo ben sessanta vittime di truci violenze, avvenute sotto gli occhi dei loro familiari. Una delle vittime fu la compagna Lidia, la nostra staffetta. Anche il compagno Paolo, avvicinato con una scusa, fu poi violentato da sette marocchini. I comandi francesi, alle nostre proteste, risposero che era tradizione delle loro truppe coloniali ricevere un simile premio dopo una difficile battaglia”.

9- 50 ORE? IL PROCLAMA DI JUIN 
marocchinate La CiociaraMAROCCHINATE LA CIOCIARA
Infatti, un comunicato attribuito al generale Juin ai suoi uomini, recita: ““Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c’è un vino tra i migliori del mondo, c’è dell’oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto è promesso e mantengo. Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete”.

L’autenticità di questo proclama è stata spesso messa in dubbio, ma Juin, come si legge nei trattati giurisprudenziali dell’epoca, poteva riferirsi legittimamente a una antica norma del diritto internazionale di guerra che prevedeva il “diritto di preda bellica”, tra cui lo stupro. Tant’è che le vittime furono, in fretta e furia, dopo la guerra, risarcite con minimi compensi economici solo attraverso un procedimento amministrativo, invece che dopo un regolare processo penale. Gli indennizzi furono erogati prima dai francesi e poi dallo Stato italiano. Con ottime probabilità, il proclama di Juin è, quindi, da ritenersi autentico. 

marocchinate De GaulleMAROCCHINATE DE GAULLE
Secondo Lucioli, questo discorso fu poi diffuso ad arte per limitare nello spazio-tempo le violenze che, de facto, durarono ben più di 50 ore: dal luglio ’43 all’ottobre ’44 quando i franco-coloniali lasciarono l’Italia e si imbarcarono per la Provenza ancora occupata dai nazisti. Solo nell’imminenza del ritorno in Francia, alcuni dei violentatori furono puniti.

Un partigiano della brigata rossa “Spartaco Lavagnini” ricorda: “Sei marocchini vennero fucilati sul posto perché avevano violentato una donna. Il capitano (francese n.d.r.) ebbe a dirmi: “Questa gente sa combattere benissimo, però meno ne riportiamo in Francia, meglio è”. Poco prima che i marocchini toccassero il suolo provenzale, i loro comandanti, quindi, avevano deciso di riportarli severamente all’ordine tanto che non si registrarono mai violenze ai danni di donne francesi.

Una volta in Germania meridionale, invece, potranno dare nuovamente sfogo ai loro istinti sulle donne tedesche, come riportano alcuni recenti studi. Segno, quindi, che le efferatezze di queste truppe avrebbero potuto essere certamente controllate e disciplinate. 

marocchinate Il generale Alphonse Juin comandante del CefMAROCCHINATE IL GENERALE ALPHONSE JUIN COMANDANTE DEL CEF
10. LE RESPONSABILITÀ DI DE GAULLE 
Un fenomeno di queste dimensioni che si è protratto per dodici mesi, in mezza Italia, che ha interessato un numero elevatissimo di persone, non poteva essere sottaciuto o nascosto ai comandanti. “E’ evidente – continua Lucioli - che vi sono responsabilità a livello gerarchico-militare e politico mai indagate. Innanzitutto, i generali di divisione del CEF : Guillaume, Savez, de Monsabert, Brosset e Dody i quali, non solo non hanno impedito le violenze, ma le hanno incentivate: prima dell’attacco in Ciociaria, infatti, le truppe coloniali erano state tenute consegnate in recinti di filo spinato, lontano dai loro bordelli, evidentemente, per aumentarne l’aggressività.

Ma il principale responsabile della barbarie è da ricercarsi, per un principio di responsabilità gerarchica, nel comandante in capo di Francia libera, Charles De Gaulle, che – è provato – durante il culmine delle violenze, si trovava, insieme al suo Ministro della Guerra André Diethelm, proprio a Polleca presso il casolare del barone Rosselli, eletto a quartier generale avanzato del Cef. Vi sono fotografie inoppugnabili e anche un suo discorso che tenne, in loco, in quei giorni. Le violenze accadevano, quindi, sotto ai suoi occhi”. 

Va anche ricordato che, quando alcuni marocchini a Roma violarono due donne e le gettarono poi da un treno in corsa, uccidendole, l’”Osservatore romano” e “Il Popolo” aprirono una accesa polemica, denunciando chiaramente le violenze che si verificavano ovunque i marocchini si fossero accampati. A questi rispose il giornale delle truppe francesi in Italia “La Patrie”, minimizzando l’accaduto. Ancora una volta, quindi, De Gaulle non poteva non sapere. Impossibile pensare, anche, che i comandanti alleati ignorassero quegli eventi.
LA CIOCIARALA CIOCIARA

11. I NUMERI DELLE VITTIME 
Emiliano Ciotti, presidente dell’Associazione Vittime delle Marocchinate, fornisce i numeri di questo massacro: “Nella seduta notturna della Camera del 7 aprile 1952 la deputata del PCI Maria Maddalena Rossi denunció che solo nella provincia di Frosinone vi erano state 60.000 violenze da parte delle truppe del generale Juin. Dalle numerose documentazioni raccolte oggi possiamo affermare che ci furono 20.000 casi accertati di violenze, numero del tutto sottostimato; diversi referti medici dell’epoca riferirono che un terzo delle donne violentate, che si erano fatte medicare, sia per vergogna o per pudore, preferì non denunciare.

Facendo una valutazione complessiva delle violenze commesse dal Cef, iniziate in Sicilia e terminate alle porte di Firenze, possiamo quindi affermare con certezza che ci fu un minimo di 60.000 donne stuprate, ognuna, quasi sempre da più uomini. I soldati magrebini, ad esempio, mediamente violentavano in gruppi da due o tre, ma abbiamo raccolto testimonianze di donne violentate anche da 100, 200 e 300 uomini. Oltre alle violenze carnali , vi furono decine di migliaia di richieste per risarcimenti a danni materiali: furti, incendi, saccheggi e distruzioni”. 

12. LA RIMOZIONE STORICA 
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Nonostante le pubblicazioni del professor Bruno D’Epiro, cittadino di Esperia che fu il primo, a livello locale, a interessarsi in maniera organica a questi misfatti, a parte qualche articolo successivo e qualche raro documentario, la storiografia nazionale ha lasciato pressoché unicamente al film di Vittorio De Sica “La Ciociara”, il difficile ruolo di trasferire al grande pubblico qualcosa sulle marocchinate. Fino agli anni ’90, poi, come scriveva al sindaco di Esperia lo storico belga Pierre Moreau, nulla del genere era mai apparso sulla letteratura storica in lingua inglese, francese e olandese. La memoria di queste aberrazioni è, tuttavia, ancora una ferita aperta nei luoghi che furono colpiti. Nel 1985, a Esperia, fu organizzata una manifestazione di riconciliazione tra tutti i reduci della guerra. Solo i francesi non furono invitati, in quanto espressamente “non graditi”. Il cimitero di guerra di Venafro, che ospita i caduti del Cef, sovente, ancor oggi, vede la propria insegna marmorea imbrattata di vernice da mani ignote. 

13. IL PROSSIMO PROCEDIMENTO LEGALE AI DANNI DELLA FRANCIA 
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L’avvocato romano Luciano Randazzo, già noto per aver fatto riaprire casi riguardanti le Foibe e l’esecuzione di Mussolini, dichiara: “Anni fa assistetti una povera signora che, durante la guerra, era stata “marocchinata” ed ebbi modo di conoscere da vicino quei drammi: era tutta povera gente. Nel 2003, una tv francese mi intervistò, valutando se si potesse intraprendere un’azione legale verso l’Associazione d’arma dei goumiers “Koumia”. Fino ad oggi, cosa ha fatto lo Stato italiano per chiedere i giusti risarcimenti ai francesi? Nulla. Ecco perché, a breve presenterò un ricorso presso il Tribunale Militare di Roma e presso la Corte internazionale, ai danni della Francia”.  La storia delle marocchinate non è ancora chiusa.