ma allora mi chiedo come definire tali persone , indipendentemente da : l'etnia , dalla nazionalità , dalla cultura e dalla la religione , ec. , che fanno tali cose ?
14.7.17
questi non sono credenti ma bestie e misogni Taglia tutte e cinque le dita della mano a sua moglie: “Le donne non devono studiare”
Questo post è dedicato a : chi non ha ma letto niente di me , o non ha mai letto le faq però si mette ad insuiltare definendomi filo islamico o peggio terrorista o loro amico ( che dal 2001 a quesata parte sta sostituendo l'insulto del secolo scorso , comunista ) solo perchè invitoala coesistenza tolleranza critica e non acritica di chi ha una fede o radici culturali diverse dalle mie
da news.fidelityhouse.eu/
Taglia tutte e cinque le dita della mano a sua moglie: “Le donne non devono studiare"
Studiare può essere una vera seccatura, quantomeno se prestiamo ascolto alle recriminazioni della maggior parte degli studenti del globo .
Certo la scuola può essere divertente sotto determinati aspetti, specialmente per quel che riguarda quello relativo alle relazioni sociali, ma quando si tratta di verifiche e compiti in classe…apriti cielo! Non che da adulti la situazione diventi poi molto più rosea poiché, anche durante percorsi di laurea che abbiamo scelto
e che ci piacciono, saremo costretti a confrontarci con materie o metodi di apprendimento che faticheremo in qualche modo ad assimilare. E’ normale e vale per (quasi) tutti, figuriamoci per coloro che hanno scelto un percorso di studi che non sono mai riusciti ad apprezzare solamente in virtù dello sbocco lavorativo! Ad ogni modo vi sono cose ben più gravi che essere “costretti” a studiare materie obbligatorie, come ad esempio l’essere costretti a non studiare. A non studiare affatto. Se l’essere umano è riuscito a passare dalle caverne ai grattacieli lo deve primariamente alla sua inventiva, alla sua capacità d’astrazione ed alla sua intelligenza, nonché alla trasmissione di nozioni da una generazione all’altra; lo stesso dicasi per l’eredità culturale e per gli studi sociologici ed antropologici, e tutte le varie connessioni biologiche e genetiche del caso. In altre parole, se lo studio non esistesse saremmo ancora all’età della pietra. Ed è ciò che alcuni fondamentalisti religiosi vogliono per le loro donne. Fra questi
v’è Rafiqul Islam, un 30enne originario degli Bangladesh ma trasferitosi negli Emirati Arabi Uniti, il quale è stato arrestato per avere commesso un crimine di una crudeltà semplicemente inaudita. La vittima è stata la 21enne Hawa Akhter,
e la sua colpa era semplicemente quella di voler studiare. Read more at http://news.fidelityhouse.eu/notizie-curiose/taglia-tutte-e-cinque-le-dita-della-mano-a-sua-moglie-le-donne-non-devono-studiare
Fra Rafiqul ed Hawa c’erano stati dei grandi attriti per via di questo motivo, cosa in realtà piuttosto frequente negli Emirati Arabi Uniti ed in Bangladesh, Paesi islamici nei quali la visione retrograda della donna-oggetto è ancora fortemente radicata a livello sociale. Ma la 21enne non avrebbe mai pensato che suo marito sarebbe stato capace di arrivare a farle seriamente del male, probabilmente traviata da un contesto in cui discussioni di quel genere sembrano del tutto comprensibili, nel quale una donna debba lottare con tutte le sue forze per il diritto allo studio. Così lui l’ha convinta a farsi legare e bendare spiegandole che “c’era una sorpresa per lei”; quindi ha preso il coltello.
Rafiqul ha preso la mano destra di sua moglie, oramai immobilizzata ed inerte, e le ha tagliato via una ad una tutte e cinque le dita. Quella era la sua punizione per avere insistito nel voler studiare, dal momento che – essendo Hawa destrorsa – utilizzava proprio quella mano per scrivere gli appunti. E non è tutto, poiché uno dei parenti di Rafiqul, in accordo con lo psicopatico, ha a quel punto raccolto le dita della ragazza e le ha gettate nella spazzatura, in maniera tale che i dottori non potessero essere in grado di riattaccargliele.
Rafiqul è stato poi arrestato dalla polizia del Bangladesh una volta tornato in patria, ed ora affronterà il carcere essendo stato ritenuto colpevole mutilazioni aggravate permanenti. Il 30enne ha raccontato agli agenti di aver commesso quel gesto per gelosia, poiché non poteva accettare che sua moglie potesse vantare un titolo di studio più alto del suo. Le autorità locali hanno rivelato che si tratta solo dell’ultimo di una lunga serie di casi di donne musulmane mutilate dai mariti per motivi analoghi (poco tempo prima un uomo aveva strappato via un occhio a sua moglie, “colpevole” di essersi iscritta alla Canadian University). In quanto ad Hawa, ora sta imparando a scrivere con la mano sinistra ed ha dichiarato di voler terminare gli studi universitari.
da news.fidelityhouse.eu/
Taglia tutte e cinque le dita della mano a sua moglie: “Le donne non devono studiare"
Studiare può essere una vera seccatura, quantomeno se prestiamo ascolto alle recriminazioni della maggior parte degli studenti del globo .
Certo la scuola può essere divertente sotto determinati aspetti, specialmente per quel che riguarda quello relativo alle relazioni sociali, ma quando si tratta di verifiche e compiti in classe…apriti cielo! Non che da adulti la situazione diventi poi molto più rosea poiché, anche durante percorsi di laurea che abbiamo scelto
e che ci piacciono, saremo costretti a confrontarci con materie o metodi di apprendimento che faticheremo in qualche modo ad assimilare. E’ normale e vale per (quasi) tutti, figuriamoci per coloro che hanno scelto un percorso di studi che non sono mai riusciti ad apprezzare solamente in virtù dello sbocco lavorativo! Ad ogni modo vi sono cose ben più gravi che essere “costretti” a studiare materie obbligatorie, come ad esempio l’essere costretti a non studiare. A non studiare affatto. Se l’essere umano è riuscito a passare dalle caverne ai grattacieli lo deve primariamente alla sua inventiva, alla sua capacità d’astrazione ed alla sua intelligenza, nonché alla trasmissione di nozioni da una generazione all’altra; lo stesso dicasi per l’eredità culturale e per gli studi sociologici ed antropologici, e tutte le varie connessioni biologiche e genetiche del caso. In altre parole, se lo studio non esistesse saremmo ancora all’età della pietra. Ed è ciò che alcuni fondamentalisti religiosi vogliono per le loro donne. Fra questi
v’è Rafiqul Islam, un 30enne originario degli Bangladesh ma trasferitosi negli Emirati Arabi Uniti, il quale è stato arrestato per avere commesso un crimine di una crudeltà semplicemente inaudita. La vittima è stata la 21enne Hawa Akhter,
e la sua colpa era semplicemente quella di voler studiare. Read more at http://news.fidelityhouse.eu/notizie-curiose/taglia-tutte-e-cinque-le-dita-della-mano-a-sua-moglie-le-donne-non-devono-studiare
Fra Rafiqul ed Hawa c’erano stati dei grandi attriti per via di questo motivo, cosa in realtà piuttosto frequente negli Emirati Arabi Uniti ed in Bangladesh, Paesi islamici nei quali la visione retrograda della donna-oggetto è ancora fortemente radicata a livello sociale. Ma la 21enne non avrebbe mai pensato che suo marito sarebbe stato capace di arrivare a farle seriamente del male, probabilmente traviata da un contesto in cui discussioni di quel genere sembrano del tutto comprensibili, nel quale una donna debba lottare con tutte le sue forze per il diritto allo studio. Così lui l’ha convinta a farsi legare e bendare spiegandole che “c’era una sorpresa per lei”; quindi ha preso il coltello.
Rafiqul ha preso la mano destra di sua moglie, oramai immobilizzata ed inerte, e le ha tagliato via una ad una tutte e cinque le dita. Quella era la sua punizione per avere insistito nel voler studiare, dal momento che – essendo Hawa destrorsa – utilizzava proprio quella mano per scrivere gli appunti. E non è tutto, poiché uno dei parenti di Rafiqul, in accordo con lo psicopatico, ha a quel punto raccolto le dita della ragazza e le ha gettate nella spazzatura, in maniera tale che i dottori non potessero essere in grado di riattaccargliele.
Rafiqul è stato poi arrestato dalla polizia del Bangladesh una volta tornato in patria, ed ora affronterà il carcere essendo stato ritenuto colpevole mutilazioni aggravate permanenti. Il 30enne ha raccontato agli agenti di aver commesso quel gesto per gelosia, poiché non poteva accettare che sua moglie potesse vantare un titolo di studio più alto del suo. Le autorità locali hanno rivelato che si tratta solo dell’ultimo di una lunga serie di casi di donne musulmane mutilate dai mariti per motivi analoghi (poco tempo prima un uomo aveva strappato via un occhio a sua moglie, “colpevole” di essersi iscritta alla Canadian University). In quanto ad Hawa, ora sta imparando a scrivere con la mano sinistra ed ha dichiarato di voler terminare gli studi universitari.
Trieste, Dipiazza confisca l’anatra e il coniglio al cattivo padrone e ARENA PO L’uomo che ridà la vita ai cavalli abbandonati
Generalment e senmtiamo solo storie di animali abbandonatio e barbaramente uccisoi . Ecco che oggi voglio racontarvi due storie dell'uomo che ha a cuore gli animali
la prima
per maggiori dettagli
L’uomo che ridà la vita ai cavalli abbandonati
Arena Po, l’ex grafico in pensione Tino Zonca ha fondato una onlus pro animali: «Destinati al macello, isolati o feriti: li recupero grazie all’aiuto dei volontari»
Franco Scabrosetti
ARENA PO rifugio dei cavalli abbandonati ad Arena Po
Tino Zonca assieme alla sorella Laura ha creato ad Arena Po un centro che accoglie cavalli abbandonati o destinati al macello. Nei giorni scorsi la struttura, che attualmente ospita una quindicina di cavalli, ha festeggiato i primi cinque anni di attività con una giornata dedicata alle famiglie.Gestiva un’azienda di grafica nel milanese, ma i tanti problemi burocratici, le difficoltà del mondo del lavoro, l’hanno spinto a lasciare e, appena raggiunta l’età per la pensione, a trasferirsi ai piedi delle colline dell’Oltrepo Pavese, dove ora ha creato un centro che accoglie cavalli abbandonati o destinati al macello, garantendo loro una vecchiaia serena.
ARENA PO rifugio dei cavalli abbandonati ad Arena Po
Tino Zonca assieme alla sorella Laura ha creato ad Arena Po un centro che accoglie cavalli abbandonati o destinati al macello. Nei giorni scorsi la struttura, che attualmente ospita una quindicina di cavalli, ha festeggiato i primi cinque anni di attività con una giornata dedicata alle famiglie.Gestiva un’azienda di grafica nel milanese, ma i tanti problemi burocratici, le difficoltà del mondo del lavoro, l’hanno spinto a lasciare e, appena raggiunta l’età per la pensione, a trasferirsi ai piedi delle colline dell’Oltrepo Pavese, dove ora ha creato un centro che accoglie cavalli abbandonati o destinati al macello, garantendo loro una vecchiaia serena.Lui è Tino Zonca che, assieme alla sorella Laura, ha fondato nel 2012 una onlus, l’associazione “Il Rifugio”, in località Pavesa 4/5. Insieme ad un gruppo di volontari, si occupa della cura e della gestione dei paddock. Nei giorni scorsi la struttura, che attualmente ospita una quindicina di cavalli, ha festeggiato i primi cinque anni di attività, con una giornata dedicata alle famiglie.
Tino Zonca con uno dei suoi cavalli |
«Stella è stata la prima ospite e chiarisce perfettamente la nostra filosofia – spiega Laura Zonca –. Trotter di 24 anni, così ci disse il suo vecchio proprietario, ma secondo il nostro veterinario decisamente più avanti con gli anni, è entrata da noi nell’inverno 2009. Abitava proprio di fronte, la vedevamo da sempre, e fece scattare in me e Tino la classica scintilla. L’arrivo di una cavalla più giovane nella sua stalla la mise ai margini: veniva allontanata a suon di morsi e calci dalla mangiatoia. Abbiamo subito pensato che l’animale andasse aiutato e riuscimmo a convincere il suo proprietario, che nei giorni seguenti ci portò i documenti. L’estate successiva era un animale rigenerato e sereno. È morta due anni dopo, quando il suo cuore malato si arrese».
La sorella di Tino, Laura Zonca, con un altro cavallo ospitato dal Rifugio
Da quell’episodio i due fratelli Zonca hanno iniziato a salvare cavalli che altrimenti sarebbero finiti al macello, perché oramai “dismessi” dalle loro attività (corse, lavoro): «Sono ospitati in singoli spazi – dicono – dove possono girare liberamente e hanno a disposizione il cibo. C’è Picasso, con un tumore benigno, poi Lucia che abbiamo recuperato da una stalla nel Piacentino, dove viveva in condizioni precarie tra le mucche. Adesso Lucia è affettuosa ed è la principale attrazione dei bambini che vengono a trovarci».
La gestione della struttura comporta delle spese, ma anche un grosso impegno: « I paddock devono essere puliti regolarmente – sottolineano – , per questo dobbiamo ringraziare Franca, Chiara e Giorgia, tre volontarie che vengono un paio di volte alla settimana, secondo la loro disponibilità
Da quell’episodio i due fratelli Zonca hanno iniziato a salvare cavalli che altrimenti sarebbero finiti al macello, perché oramai “dismessi” dalle loro attività (corse, lavoro): «Sono ospitati in singoli spazi – dicono – dove possono girare liberamente e hanno a disposizione il cibo. C’è Picasso, con un tumore benigno, poi Lucia che abbiamo recuperato da una stalla nel Piacentino, dove viveva in condizioni precarie tra le mucche. Adesso Lucia è affettuosa ed è la principale attrazione dei bambini che vengono a trovarci».La gestione della struttura comporta delle spese, ma anche un grosso impegno: «I paddock devono essere puliti regolarmente – sottolineano –, per questo dobbiamo ringraziare Franca, Chiara e Giorgia, tre volontarie che vengono un paio di volte alla settimana, secondo la loro disponibilità».«Ogni animale mangia un media 15-20 chili al giorno tra fieno, frutta e verdura, per un costo di circa 120 euro al mese. Poi ci sono le visite veterinarie e la somministrazione dei vaccini (80-100 euro) e il lavoro del maniscalco ogni 50-60 giorni (30 euro a cavallo). Insomma costi che sosteniamo grazie alle donazioni di coloro che fanno visita alla nostra associazione. Basta ricordarsi di non buttare pane secco, biscotti vecchi, aglio, scarto di finocchi, mele e carote. Quando li avete, portateli da noi». La struttura è sempre aperta, per ulteriori informazioni basta visitare il sito www.ilrifugiodelcavallo.it
la seconda
Trieste, Dipiazza confisca l’anatra e il coniglio al cattivo padrone
L’AsuiTs segnala le precarie condizioni igieniche dell’alloggio. Un’ordinanza del sindaco toglie al proprietario i due animali
di Massimo Greco
TRIESTE Roberto Dipiazza sulla via della redenzione. Come l’Innominato manzoniano. L’implacabile cacciatore, il cecchino di cinghiali e caprioli volge le spalle - perlomeno temporaneamente - alle discipline venatorie e corre in soccorso di due animaletti, rubricati “di affezione”.Forse l’immagine pasquale di Silvio Berlusconi, colto mentre svezzava un agnellino col biberon, lo ha folgorato sulla via di Damasco.Fatto sta che l’ordinanza, firmata dal primo cittadino lo scorso 3 luglio, appare inequivocabile: no alla restituzione di un’anatra “muta” e di un coniglio al proprietario. Perché questo proprietario faceva vivere il palmipede e il leporide - recita l’atto preparato dall’ufficio zoofilo del Comune - in un alloggio stipato da «un abnorme accumulo di masserizie, suppellettili e cianfrusaglie, in ogni vano, risultando pertanto inagibile».Una frase che l’ordinanza comunale mutua a sua volta da documentazioni trasmesse dalle strutture competenti dell’Azienda sanitaria (Asuits).Considerate allora le condizioni igieniche dell’appartamento e la inadeguata modalità di detenzione sia dell’anatra “muta” che del coniglio, l’Asuits chiede che il sindaco, esercitando le sue prerogative in materia di igiene e sanità pubblica, confischi palmipede e leporide, non restituendoli al proprietario.E Dipiazza acconsente procedendo al ricovero d’autorità. Al momento i due animali sono ospitati in una struttura, di cui l’ordinanza omette volutamente nome e indirizzo, in attesa che il Comune completi l’iter amministrativo «al fine di una loro auspicata adozione». Cioè che si trovi un nuovo padrone, più attento e affettuoso.untuale griglia normativa è riportata nell’ordinanza per motivare l’impegnativa decisione: disagio per l’animale, mancata garanzia di pubblica sicurezza e di igiene pubblica, mancato rispetto di bisogni fisiologici ed etologici. Attenzione però: il proprietario, anch’egli non citato nell’atto, può ribellarsi all’ordinanza di confisca, impugnando il provvedimento di Dipiazza davanti al Tar entro 60 giorni.Oppure presentando ricorso straordinario al Capo dello Stato entro 120 giorni: quindi, in linea teorica, nel giro di quattro mesi il presidente Sergio Mattarella potrebbe vedersi arrivare sul suo tavolo di lavoro al Quirinale il dossier relativo all’anatra “muta” e al coniglio, qualora il proprietario decida di rivolere indietro le creature
Come vivesse, cosa facesse, perché si trovasse un’anatra “muta” (o muschiata) in questo caotico alloggio sono quesiti cui l’ordinanza non dà risposta. Nè è tenuta a darne. Il popolare palmipede ama le zone umide, a contatto con l’acqua.
In genere i detentori apprezzano della “Cairina moschata” - secondo la classificazione di Linneo - l’utilizzabilità alimentare, a cominciare dall’opportunità di produrre “foie gras”: i maschi possono toccare un peso di 7 chili, le femmine la metà. La denominazione “muta” deriva dai suoni gutturali emessi in particolare dal maschio.
Il nostro palmipede vanta origini oltre-atlantiche e venne portato nel Vecchio Continente in seguito ai viaggi dei primi esploratori nel XVI secolo.
In questa parte dell’anno c’è - a vario titolo - una buona dose di attenzione ornitologica da parte degli uffici comunali. Una determina esce dall’Area innovazione - comunicazione - sviluppo economico - turistico stanzia 48.330 euro, Iva compresa, per i lavori di sanificazione del Mercato coperto in via Carducci: obiettivo è la salvaguardia igienico-sanitaria dell’edificio.
Il testo della determina spiega premesse e svolgimento dell’intervento: la recente sistemazione di una rete “ornotecnica” nel soffitto interno della struttura, costruita negli anni Trenta su progetto di Camillo Iona, ha validamente contribuito a «impedire l’appollaiarsi dei volatili e di conseguenza la loro stanzialità nell’edificio».
Già, adesso il problema è risolto: ma resta il pregresso, ovvero il deposito del guano prodotto dai volatili «ad un livello diffuso e generalizzato», precisa la posizione organizzativa Enrico Zuin, autore dell’atto. «Cosa - incalza Zuin - che costituisce severo nocumento ai fini della sicurezza alimentare delle merci circolanti nel Mercato», al punto che la struttura emporiale disegnata da Iona rischia la «non conformità all’esercizio commerciale».
Onde evitare tale disdoro, onde assicurare salubrità e igienicità degli ambienti, onde garantire il pubblico avventore, si rende necessario «azionare senza indugio» tinteggiatura di pareti, travi, colonne, soffitti, pulizia dei banchi, dei chioschi, dei parapetti, dei corrimani, dei finestroni... Intervento che sarà a cura della ditta De.Co.Ma., la quale ha presentato un’offerta economicamente più vantaggiosa rispetto a “Soluzione”.
13.7.17
La parata di spazzacamini a Giavera per le nozze di Jessica e Ivan, L’abbraccio tra ladro e derubato 36 anni dopo il furto
Non sono tanto melenso , ma certe cose mi commuovono . E poi questo è un evento " storico " particolare , infdatti , si tratta di un evento che non si ripeteva da quattro secoli: le nozze tra due colleghi spazzacamini
TREVISO. Volendolo raccontare come un romantico sogno di mezza estate, si potrebbe dire che mancavano solo Bert e Mary Poppins. Giavera, sabato scorso, si è fatta cornice di una riunione di spazzacamini degna di un film di Walt Disney. Cosa li ha fatti scendere dai tetti di tutta Italia per raggiungere la chiesa del piccolo Comune della Marca? Non è stata la tata più famosa del cinema a chiamarli a raccolta, ma un evento che non si ripeteva da quattro secoli: le nozze tra due colleghi spazzacamini. Chi sono? La sposa è Jessica Zanusso, una delle pochissime donne in Italia ad aver scelto questo antico mestiere, lui è il collega Ivan Paruzzolo. L’8 luglio, dopo 12 anni di fidanzamento e 4 di convivenza hanno detto il «sì» che ti lega per la vita. Accanto a loro una ciurma di invitati rigorosamente in abito nero. Uno sgarbo alla sposa? Macché, erano tutti in divisa d’ordinanza, da spazzacamino ovviamente
Un evento storico per la categoria: «L’ultimo matrimonio tra una coppia di spazzacamini è stato celebrato nel Settecento», spiega entusiasta Paolo Zanusso, papà della sposa oltre che presidente nazionale dell’associazione di categoria, l’assocosma. Ecco spiegata la riunione in divisa di gala e l’omaggio agli sposi con tanto di tube alzate. Anche Jessica, reinterpretando il bianco nuziale, ha sfoggiato un cappellino bianco che strizzava l’occhio al suo amato mestiere così antico, ereditato dal padre.
Per trovar notizia di un’unione tra spazzacamini bisogna riavvolgere la storia di quattro secoli, come testimoniano i documenti custoditi al museo di Santa Maria Maggiore, nella piemontese Val Vigezzo. «A settembre faremo una festa proprio al museo con tutti i colleghi per ufficializzare e tramandare l’evento», spiega papà Paolo. Le tube, il rombo delle motociclette (con tanto di giro degli sposi), gli scherzi e le risate sono stati i protagonisti di una giornata indimenticabile. E il viaggio di nozze? Niente balzi tra i camini londinesi, gli sposi hanno scelto una meta tradizionale. Si preparano a partire per qualche giorno in montagna, la luna di miele è rimandata a gennaio: Jessica e Ivan voleranno in Giamaica.
Treviso: ecco Jessica, la ragazza che spazza i camini
Una volta tornati continueranno il loro lavoro, che ha reso famosa Jessica. Innamorata del lavoro del padre, otto anni fa si è iscritta ai corsi professionali per spazzacamino, che si tengono a Udine. Questo lavoro con la modernità si è fatto quasi scientifico, ma non ha certo perso la sua patina, pur nera, di romanticismo. Sui tetti di Londra infatti, insieme a Bert e Mary, per decenni hanno sognato, e continuano a sognare, milioni di bambini.
ne avevo già parlato qui in : Dopo 36 anni riceve le scuse per il furto Lorenzo Alberton, di Cassola, si è visto recapitare una lettera e un assegno provenienti dal Bellunese: «Vorrei conoscerlo» ( è la seconda storia ) e adesso è avvenuto
L’abbraccio tra ladro e derubato 36 anni dopo il furto
Il bassanese: «All’epoca gli avrei tirato un cazzotto, ora sono commosso dalle sue scuse. Il perdono è una cosa meravigliosa»
di Fabrizio Ruffini
BELLUNO
Sono passati 36 anni da quella sera del 13 marzo 1981 in cui Giovanni Tessarolo, bassanese di origine e bellunese di adozione, sfondò il finestrino dell’Alfetta 2000 di Lorenzo Alberton in un parcheggio vicino al ponte di Bassano per rubargli l’autoradio. Ieri i due si sono finalmente incontrati a Belluno e hanno parlato a lungo, rivivendo quei momenti come fossero sempre stati amici: «All’epoca gli avrei tirato un cazzotto sul muso», ha ironizzato Alberton, «ma oggi non posso che essere felice del percorso intrapreso da Giovanni e del gesto commovente che ha fatto per fare i conti con la propria coscienza. Da parte mia c’è solo un gran rispetto e penso che il perdono sia la cosa più bella che una persona possa dare e ricevere».
La notte dei fatti Alberton era appena stato a far visita alla moglie in ospedale, in attesa della seconda figlia che sarebbe nata di lì a qualche giorno, e aveva parcheggiato la propria auto sotto la sala prove dove si esercitava con il coro. Improvvisamente aveva udito un boato e, affacciandosi, aveva visto scappare Tessarolo, allora diciannovenne, con in mano la sua autoradio.
Da allora, tra la gioia per la nascita della figlia e l’impegno per il suo lavoro d’autista, il ricordo di quel furto per Alberton era diventato solo un brutto neo in una vita felice. «Quando è arrivata la raccomandata» ha spiegato Marilena Lorenzin, moglie di Alberton, «ho pensato a una multa, mai avrei immaginato di veder spuntare dalla busta un assegno e una lettera come quella». «Quando mia moglie me l’ha letta non riuscivo a crederci», ha confessato il pensionato bassanese, «ero davvero commosso e ho pensato di dover far sapere a tutti di quel gesto. Sono queste le cose veramente belle della vita. Per quanto riguarda il furto in sé quell’auto non ha avuto fortuna nemmeno in futuro, visto che meno di un anno dopo mi è stata rubata e l’ho ritrovata impantanata nel Brenta».
Il nome di Alberton era stato segnalato a Tessarolo dal tribunale come persona da risarcire per poter vedere ripulito il proprio certificato penale. «Sentivo il peso degli errori fatti in passato». ha spiegato Tessarolo, che oggi lavora come collaboratore scolastico in un istituto di Belluno. «sono riuscito a cambiare la mia vita entrando in comunità e aiutando per 12 anni altre persone cadute nel vortice della droga. Inizialmente non ero felice del clamore mediatico creato intorno alla vicenda, ma ora penso che possa essere un’occasione per mandare un messaggio ai tanti giovani che oggi vivono le difficoltà che ho attraversato anch’io all’epoca. La vita non finisce, quando sbagli e soprattutto nessun tunnel è senza uscita».
Per riparare al torto Tessarolo aveva inviato ad Alberton e ad altri tre derubati una lettera di scuse e un assegno da cento euro, da allora Alberton non vedeva l’ora di incontrare quel ladro pentito: «È una storia bellissima, gli amici scherzavano e mi dicevano di andare a farmi una bevuta con quei soldi, ma io ho sempre rifiutato perché sapevo che il momento giusto per spenderli sarebbe stato quando avrei incontrato Giovanni. Conosco bene Belluno perché ci sono stato anni per lavoro ma da oggi la ricorderò soprattutto per lui e per la nostra amicizia».
«Non mi era mai capitato di conoscere di persona qualcuno a cui avevo arrecato un danno» ha detto Tessarolo «sono felice anche se non penso che il mio sia un gesto eroico».
12.7.17
Telemarketing, tutte le bugie di chi chiama e altre storie
- Telemarketing selvaggio, la Toscana chiede la legge allo Stato Il consiglio regionale approva all'unanimità la mozione per estendere la tutela a tutti i numeri fissi e mobili: il documento ispirato dalla campagna del Tirreno
http://iltirreno.gelocal.it/regione/toscana/ 11 luglio 2017
Telemarketing, tutte le bugie di chi chiama
Bestiario dei call center: «Chi le ha dato il mio contatto?». Risposta: «E' stato lei, ha cliccato sul banner» di Ilaria Bonuccelli
LIVORNO. «Chi le ha dato il mio numero?». Un attimo di silenzio. Poi l’operatore di call center risponde, senza esitazione: «Nessuno». Non è la scusa più fantasiosa sentita durante i mesi di campagna contro le chiamate moleste. Di sicuro, una delle più bizzarre.
ESCLUSIVA / Telefonate moleste, l'ex operatore di call center: "False telefonate e inganni per pochi euro in più in busta paga"La nostra campagna contro il telemarketing selvaggio, ha convinto un ex operatore di call center a incontrarci e a raccontarci il suo lavoro. "Ho lasciato dopo poche settimane quando ho fatto l'ultimo contratto a una donna anziana: le avevo detto che poteva fidarsi, ma mi sono sentito una caragona" (intervista di Ilaria Bonuccelli, video di Franco Silvi) - STOP ALLE CHIAMATE MOLESTE: FIRMA LA PETIZIONE
Nei giorni in cui il Senato decide se approvare, con un iter accelerato, la legge che dovrebbe riformare la legge sul telemarketing - proprio grazie alla campagna de Il Tirreno - vi vogliamo proporre una serie di scuse, improbabili, incredibili, azzardate che abbiamo collezionato da call center, particolarmente aggressivi. Scuse usate come risposta a una stessa risposta di abbonati: «Scusi, chi le ha dato il mio numero di telefono? Il numero che sta usando per questa chiamata commerciale che io non desidero ricevere?».
Jason Candotti (primo a destra) con gli storici del posto a casa della nonna
Bestiario dei call center: «Chi le ha dato il mio contatto?». Risposta: «E' stato lei, ha cliccato sul banner» di Ilaria Bonuccelli
LIVORNO. «Chi le ha dato il mio numero?». Un attimo di silenzio. Poi l’operatore di call center risponde, senza esitazione: «Nessuno». Non è la scusa più fantasiosa sentita durante i mesi di campagna contro le chiamate moleste. Di sicuro, una delle più bizzarre.
ESCLUSIVA / Telefonate moleste, l'ex operatore di call center: "False telefonate e inganni per pochi euro in più in busta paga"La nostra campagna contro il telemarketing selvaggio, ha convinto un ex operatore di call center a incontrarci e a raccontarci il suo lavoro. "Ho lasciato dopo poche settimane quando ho fatto l'ultimo contratto a una donna anziana: le avevo detto che poteva fidarsi, ma mi sono sentito una caragona" (intervista di Ilaria Bonuccelli, video di Franco Silvi) - STOP ALLE CHIAMATE MOLESTE: FIRMA LA PETIZIONE
Nei giorni in cui il Senato decide se approvare, con un iter accelerato, la legge che dovrebbe riformare la legge sul telemarketing - proprio grazie alla campagna de Il Tirreno - vi vogliamo proporre una serie di scuse, improbabili, incredibili, azzardate che abbiamo collezionato da call center, particolarmente aggressivi. Scuse usate come risposta a una stessa risposta di abbonati: «Scusi, chi le ha dato il mio numero di telefono? Il numero che sta usando per questa chiamata commerciale che io non desidero ricevere?».
NESSUNO, TI GIURO NESSUNO
La telefonata arriva sul cellulare. Chiama il numero 02/2155173. «Buongiorno, lei è il signor....titolare della linea fissa?». Un attimo di perplessità. L’abbonato risponde: «Sa che mi sta chiamando a un cellulare, vero? Di quale linea fissa, parla?». La replica arriva come una ricorsa, da un operatore con un accento straniero: «Lei era nostro cliente Telecom Italia per la linea fissa». «Mai stato. E comunque, chi le ha dato il mio numero?». la conversazione si trasforma in un ping pong: «Nessuno». «Se non glielo ha dato nessuno, come fa a chiamarmi?». La linea cade
La telefonata arriva sul cellulare. Chiama il numero 02/2155173. «Buongiorno, lei è il signor....titolare della linea fissa?». Un attimo di perplessità. L’abbonato risponde: «Sa che mi sta chiamando a un cellulare, vero? Di quale linea fissa, parla?». La replica arriva come una ricorsa, da un operatore con un accento straniero: «Lei era nostro cliente Telecom Italia per la linea fissa». «Mai stato. E comunque, chi le ha dato il mio numero?». la conversazione si trasforma in un ping pong: «Nessuno». «Se non glielo ha dato nessuno, come fa a chiamarmi?». La linea cade
IL CONCORRENTE AUTOLESIONISTA
Incredibile, eppure vera. «Buongiorno, sono di Green Network e le vorrei proporre una tariffa di energia a 7 centesimi....». Una valanga di parole, appena si preme il tasto di risposta. «Scusi, scusi: prima di qualunque opzione, proposta, offerta: mi dice come ha avuto il mio numero di telefono, visto che non sono neppure vostra cliente?». L’operatrice di call center non si fa prendere in castagna. «Infatti. Ce lo ha dato Enel». Ora viene il divertimento. «Le sembra logico che un concorrente diretto vi dia i numeri di telefono dei propri clienti per farseli portare via? Per favore chi le ha dato il mio numero?». Per nulla turbata, l’operatrice fa finta di informarsi... «Scusa Carla chi ce lo ha dato il numero della
IL BANNER GALEOTTOIncredibile, eppure vera. «Buongiorno, sono di Green Network e le vorrei proporre una tariffa di energia a 7 centesimi....». Una valanga di parole, appena si preme il tasto di risposta. «Scusi, scusi: prima di qualunque opzione, proposta, offerta: mi dice come ha avuto il mio numero di telefono, visto che non sono neppure vostra cliente?». L’operatrice di call center non si fa prendere in castagna. «Infatti. Ce lo ha dato Enel». Ora viene il divertimento. «Le sembra logico che un concorrente diretto vi dia i numeri di telefono dei propri clienti per farseli portare via? Per favore chi le ha dato il mio numero?». Per nulla turbata, l’operatrice fa finta di informarsi... «Scusa Carla chi ce lo ha dato il numero della
Questa scusa viene utilizzata spesso da Forex, una società che propone investimenti on line. Di solito, gli operatori parlano a una velocità supersonica, chiamano dall’estero, perfino da Londra, sono stranieri e non sempre educati. Ma soprattutto si meravigliano se un abbonato dice di non aver mai sentito parlare della loro società. Sono molto loquaci e prodighi di informazioni, fino a quando arriva la domanda fatale: «Come ha avuto il mio numero?». La risposta standard è: «Ha cliccato su un banner pubblicitario». Ora è difficile spiegare come cliccando su un banner pubblicitario, anche per errore, da computer si possa lasciare il proprio numero di telefono. «Scusi, non ho cliccando su alcun banner pubblicitario». «Sì lo ha fatto, ma non se ne è accorta». «Davvero? Mi sembra difficile, visto che non ho il computer». Allora passa il contrattacco: «Neppure una connessione a Internet?» (sottindendendo tramite cellulare o tablet). «No. E ora vorrei una spiegazione». «Aspetti le passo i tecnici». La linea è caduta. La connessione con Londra non è buona di questi tempisignora?». La risposta non arriva, perché la linea cade
IL COMPUTER
«Buongiorno la chiamo per un’offerta di Fastweb». Nessun nome, nessuna indicazione del call center. Pazienza. «Buongiorno, mi dice come si chiama?». «No, non sono obbligata. Perché lo vuole sapere?». «Perché lei mi sta chiamando su un cellulare privato. E io ho il diritto di sapere chi mi cerca, su un un numero che non si trova sull’elenco telefonico. Anzi, ora che ci penso, ho anche diritto a sapere chi le ha dato il mio numero». Un respiro quasi di sollievo. Facile questa risposta, sembra pensare l’operatrice di call center: «Il computer», spara in meno di un secondo l’addetta. «Scusi, il mio cellulare non è pubblicato sul computer». Allora il tono si fa condiscendente: «Il suo numero è nel computer. Noi non componiamo i numeri: ce li seleziona ilprogramma in automatico». Bene, ora sappiamo come funziona il programma. «A questo punto non le resta che dirmi dove il programma prende questi numeri, compreso il mio. Come si chiama lei, la società per la quale lavora, il suo call center, insomma, e la società che le ha commissionato questa telefonata». La spiegazione la possiamo chiedere al computer.
TUTTA COLPA DELLA TESSERA DEL SUPERMERCATO
Questa spiegazione la usano i call center più esperti. Quelli che sono già in attività da tempo. «Chi le ha dato il mio numero?». «Lei». «Ma se non ci siamo mai sentiti». «Infatti. Ma lei ha sottoscritto una tessera di supermercato. E in quell’occasione ha autorizzato l’utilizzo dei suoi dati a fini commerciali. Così il suo numero è stato venduto». Dite di non avere tessere e il gioco è (quasi fatto).
ELIMINARE GLI SCOCCIATORI
In attesa della riforma del telemarketing, per provare a difendersi bisogna: a) iscriversi al Registro delle Opposizioni ( se si ha un telefono fisso o di cellulare con numero pubblicato in elenco); b) appellarsi all’articolo 7 del Codice della Privacy: ci autorizza a chiedere di sapere chi ha dato il numero alla società che ci sta chiamando; chi ci sta chiamando e per conto di chi; a pretendere (con richiesta anche telefonica) di farsi cancellare dalla lista usata per chiamarci.
Altrimenti l’alternativa è la segnalazione al Garante della Privacy o la denuncia all’Autorità giudiziaria.
«Buongiorno la chiamo per un’offerta di Fastweb». Nessun nome, nessuna indicazione del call center. Pazienza. «Buongiorno, mi dice come si chiama?». «No, non sono obbligata. Perché lo vuole sapere?». «Perché lei mi sta chiamando su un cellulare privato. E io ho il diritto di sapere chi mi cerca, su un un numero che non si trova sull’elenco telefonico. Anzi, ora che ci penso, ho anche diritto a sapere chi le ha dato il mio numero». Un respiro quasi di sollievo. Facile questa risposta, sembra pensare l’operatrice di call center: «Il computer», spara in meno di un secondo l’addetta. «Scusi, il mio cellulare non è pubblicato sul computer». Allora il tono si fa condiscendente: «Il suo numero è nel computer. Noi non componiamo i numeri: ce li seleziona ilprogramma in automatico». Bene, ora sappiamo come funziona il programma. «A questo punto non le resta che dirmi dove il programma prende questi numeri, compreso il mio. Come si chiama lei, la società per la quale lavora, il suo call center, insomma, e la società che le ha commissionato questa telefonata». La spiegazione la possiamo chiedere al computer.
TUTTA COLPA DELLA TESSERA DEL SUPERMERCATO
Questa spiegazione la usano i call center più esperti. Quelli che sono già in attività da tempo. «Chi le ha dato il mio numero?». «Lei». «Ma se non ci siamo mai sentiti». «Infatti. Ma lei ha sottoscritto una tessera di supermercato. E in quell’occasione ha autorizzato l’utilizzo dei suoi dati a fini commerciali. Così il suo numero è stato venduto». Dite di non avere tessere e il gioco è (quasi fatto).
ELIMINARE GLI SCOCCIATORI
In attesa della riforma del telemarketing, per provare a difendersi bisogna: a) iscriversi al Registro delle Opposizioni ( se si ha un telefono fisso o di cellulare con numero pubblicato in elenco); b) appellarsi all’articolo 7 del Codice della Privacy: ci autorizza a chiedere di sapere chi ha dato il numero alla società che ci sta chiamando; chi ci sta chiamando e per conto di chi; a pretendere (con richiesta anche telefonica) di farsi cancellare dalla lista usata per chiamarci.
Altrimenti l’alternativa è la segnalazione al Garante della Privacy o la denuncia all’Autorità giudiziaria.
Oltre questi dell'articolo io suggeriscio è 1) inventarsi ogni volta una storia diversa per metterli nel pallone o dicendo il vostro collega mi ha detto che ... visto ( vedere il video sopra ) telefonano ogni volta un addeto diverso
2) mettere una segreteria , sul fisso per filtrarle e spiegate al parentando e a gli amici più cari la scelta e o li richiamte ., 3) usare in rete dove si richiede il n di cell una scheda diversa da quella che usate abitudinariamente e usatela solo per internet tipo fb o a ltro che richiedono continuamente il vostro n 4) usare la ffunzione utenti molesti del cell , anche se funziona solo in parte perchè queste ditte quando non rispondete richiamano con un altro numero
http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca 11 luglio 2017
E' uno degli scampati all’attentato alle torri gemelle: dagli Usa a Forni per scoprire le proprie origini
Il 52enne Jason Candotti è arrivato in questi giorni nel centro carnico alla ricerca dei suoi avi
di Gino Grillo
Jason Candotti (primo a destra) con gli storici del posto a casa della nonna
FORNI DI SOPRA. Dalle Torri gemelle a Forni di Sopra, alla ricerca delle proprie radici. Jason Candotti è arrivato in questi giorni nel centro carnico alla ricerca dei suoi avi: la famiglia del 52enne statunitense, infatti, vanta origini friulane.
Il nonno Carlo, nato a Tolmezzo nel 1851, si era sposato con Romana Francesca Cella, di Cella di Forni di Sopra, nata nel 1864. La coppia ebbe due figli: Benedetto e Buondio. Mentre il primo si trasferì a Montereale Valcellina, il padre di Jason nel 1952 emigrò in Australia, dove si sposò con Marjorie.
Da qui si trasferì, nel 1968, negli Stati Unti, dove ebbe modo di ampliare i suoi studi e le sue conoscenze di ingegnere meccanico, lavorando nel centro di ricerca dell’Ibm, sul progetto dell’acceleratore di particelle e per la Nasa.
Jason, invece, si è dedicato alla finanza: opera nello stock exchange di New York, dove vive con la moglie Moriah e il figlio Teodoro Carlo di 4 anni.
Oggi è un professionista che lavora in proprio, ma l'11 settembre 2001 era impiegato in un’azienda che operava nel complesso dei sette edifici del World Trade Center, di cui facevano parte anche le torri gemelle abbattute dagli attacchi aerei.
«Impossibile – racconta Jason – dimenticare quel giorno. Al momento dell’attacco ero in metropolitana, stavo andando in un grattacielo vicino alle torri gemelle. Mi sono salvato per miracolo».
Quest’anno il viaggio rimasto da tempo nel cassetto, quello alla ricerca delle sue origini. Voleva vedere la casa dove era cresciuta sua nonna Romana, della famiglia Florianon–Rigori. Grazie ad alcuni storici locali l’ha trovata, nella frazione di Cella, ristrutturata dopo il terremoto del 1976 e ora disabitata.
«Non è la prima volta in Italia – ha ricordato – ma mi ero fermato solo dai miei lontani cugini a Grizzo di Montereale Valcellina, che mi hanno accompagnato qui».
Dopo l’immancabile foto di gruppo davanti alla casa dei suoi avi, un passaggio in municipio per recuperare qualche documento ufficiale sui suoi parenti prima di riprendere la via degli Usa.
«Nessuno». «Se non glielo ha dato nessuno, come fa a chiamarmi?». La linea cade.
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