12.6.14

chi lo dice che i musei antropologici \ degli antenati debbano per forza annoiare IL MUSEO DELL'ACCABBADORA di LURAS

   chi lo dice   che i  musei antropologici  \  degli antenati   debbano  per  forza  annoiare  ed essere meta  di
dal   terzo url  riporto  sotto  
nostalgici del tempo   che  fu   si ricrederà vedendo questo museo . n cui si parla oltre che della vita contadina in Gallura , di quello"S'Accabadora". Questa figura, che negli ultimi anni è ricomparsa nella memoria del popolo sardo in concomitanza con i fatti di cronaca legati all'eutanasia, svolgeva un compito difficile e delicato: quello di porre fine alle sofferenze e alla lunga agonia dei malati in fase terminale. Osteggiata dalla chiesa e dalla gran parte delle persone religiose, era, in realtà, protetta con il silenzio e pochi conoscevano la sua identità e i suoi modi di agire. Questa copertura è stata così efficace che, ad oggi, esistono studiosi che pensano che i racconti che fanno riferimento a S'Accabadora, non siano altro che leggende mitiche o che al massimo facciano riferimento a una figura che agiva in un antico passato. In realtà numerosi sono i viaggiatori e gli studiosi stranieri, giunti in Sardegna nei secoli, che fanno riferimento a questa figura.Questa intervista prova che in realtà, una figura di tal genere è esistita almeno fino agli anni Quaranta del secolo scorso.

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COME TI VENDO UN PO' DI CULTURA ISOLANA: IL MUSEO DELL'ACCABBADORA

scritto da: Matilde Gianfico12 Giugno 2014

MUSEI
I musei etnografici annoiano, da morire. E se la morte è causata da asfissia cerebrale per voce di racconti soporiferi su cosa facevano i nostri avi nelle lunghe giornate di lavoro per vivere e sopravvivere, non è difficile immaginare che questi luoghi di cultura, così come sono gestiti, celebreranno sempre e solo se stessi e saranno tanto più inefficaci quanto più vasta è l’eco prodotta da stanze vuote e inanimate da visitatori.Ma, se la morte arriva per mano di una donna che con un colpo secco di martelletto mette fine alle pene di un moribondo, l’interesse per quei racconti della tradizione isolana cresce e i visitatori di un museo aumentano.Succede a Luras,

un piccolo borgo con meno di tremila anime, nella pancia dei monti del Limbara. Negli ultimi tempi il paese, che dagli anni ‘90 ospita un museo etnografico privato, è diventato meta di turisti, talvolta per caso, distrattamente interessati alla storia della forme di vita sociale e culturale della Gallura, e spinti invece dalla curiosità di conoscere una figura femminile, un po' madre un po' matrigna, nota in Sardegna col nome di accabadora, la donna che, da voci popolari e scarse fonti scritte, praticava l’eutanasia sul finire dell’ottocento.All’interno di un antico palazzo granitico, hanno trovato una sistemazione utensili, arnesi, reperti, accrocchi e testimonianze dell’antica civiltà gallurese, raccolte fin dall’adolescenza da Pier Giacomo Pala, proprietario del museo Galluras .



Cosa offre di diverso il museo di Luras rispetto alle altre sette esposizioni regionali di tradizioni popolari tutte concentrate nella stessa provincia, è il racconto di una storia, che gli altri non hanno. Quella dell’accabadora, e del ritrovamento fortuito e fortunoso di un martello di legno, su mazzoccu, col quale pare, la donna infliggesse il colpo di grazia sul capo al malato sofferente e in fin di vita.Le storie bisogna anche saperle raccontare, e Pier Giacomo Pala importando la tecnica dello storytelling diffuso nel marketing 2.0, rapisce e coinvolge i visitatori lasciandogli impugnare l’arma del delitto. La ricostruzione di questo spaccato di cultura sarda silenziosa e omertosa, svela a credenti e miscredenti il mistero truce dell’ultima esecuzione, pare avvenuta nel 2003 in un paese vicino a Bosa, per metter fine alle sofferenze di un malato terminale di cancro. Che la figura di questa donna un po' misteriosa e un po' macabra sarebbe stata un'attrazione per il pubblico, Pala ci aveva pensato prima ancora che all’ufficio marketing dell’Einaudi, decidessero di cambiare in Accabadora (in sostituzione del prescelto L’Ultima madre) il titolo del romanzo di Michela Murgia, per spingere le vendite.
Bella intuizione, buona la scenografia, stimolante il racconto, ma come ci arrivano i turisti a Luras?Il viaggio inizia dal web con prima tappa sul portale: un sito fai da te, con una semplice ed efficace architettura delle informazioni; un’attenzione per i testi scritti, le fotografie suggestive e una call to action (l’invito a compiere un’azione) in buona evidenza, sollecita l’acquisto del libro finanziato interamente dal proprietario.Indispensabile e visibile nella home page il widget del tour operator più influente della rete, Trip Advisor, la sacra bibbia del turista. Una recensione positiva su questo portale di viaggi ha l’effetto del moltiplicatore keynesiano (senza lasciarsi ingannare da profili fake e dichiarazioni pilotate).Un cospicuo numero di visitatori arriva al museo proprio attraverso questo canale e grazie ad una buona presenza del sito del museo sui motori di ricerca, blog e portali istituzionali; altri turisti invece sono naufraghi in un’isola muta, avversa alle segnaletica stradale e informativa, e come pecorelle smarrite arrivano a Luras, un borgo delizioso ma sconosciuto.Terzo fattore di
successo per staccare un biglietto di ingresso di un museo delle tradizioni popolari in un piccolo centro della Sardegna, è la passione profusa dal proprietario, direttore e guida del museo, esperto conoscitore della donna accabadora, Pier Giacomo Pala che, realizzando il suo sogno con un investimento di capitale interamente personale, ha anche inventato il proprio lavoro.Nello scorso anno Pala ha registrato cinquemila presenze per un costo del biglietto pari a 5 euro a persona, seguendo inconsapevolmente una elementare e rudimentale strategia di marketing culturale: posizionandosi sul mercato dei musei etnografici con una storia interessante e misteriosa che i diretti concorrenti non possiedono, la racconta con passione e una vena di fantasia e fa quel tanto che può di pubblicità, seguendo le tendenze più diffuse in materia di comunicazione digitale. E siamo semplicemente a Luras.

 Sempe sul  museo   eccovi altre news     tratte  da

8.6.14

le donne sono tutte puttane ?

N..B
Ovviamente    dal titolo sono sarcastico  perchè  non bisogna generalizzare  e dipende  da situazioni  a  situazioni    come spiega  benissimo  questo   fumetto




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leggendo  questa  storia   sotto e  gli articoli proposti negli url  sopra mi chiedo  come  da  titolo , ma le donne sono tutte  puttane  ?



Una laurea sudata e guadagnata con il proprio lavoro: Rachel Swimmer, californiana, ha realizzato il suo desiderio ed ha ottenuto il prestigioso titolo presso la UCLA di Los Angeles. La donna, nome d'arte Tasha Reign, però ha pagato i suoi studi facendo film porno. Rachel, ora 25enne, ha usato i proventi del porno per pagare i corsi; un fenomeno è sempre più diffuso nei campus americani e che riaccende il dibattito femminista. Rachel non si vergogna del suo mestiere e ricorda come dopo il reality di MTV Laguna Beach ha scelto una via sicuramente estrema ma altrettanto sicuramente redditizia per restare nello show business, guadagnare, laurearsi.

storie di animali : il cane salvato dall'eutanasia con una toilettatura e una volpe in giardino


la prima  è tratto  da leggo.it 


Ha passato tanto tempo in strada, così tanto che il suo pelo di meticcio era diventato più simile a quello di un barboncino poco curato. Poi Charlie è stato raccolto dai volontari e portato al canile di Los Angeles, la città dove è stato trovato, e li ha atteso di essere adottato. Ma il suo aspetto malaticcio non ha attratto alcun padrone, e secondo le leggi della città degli angeli, se un cane non viene adottato dopo 40 giorni di canile, allora non resta altra strada che l'eutanasia. Per fortuna, prima di sopprimerlo, è stata giocata l'ultima carta: una seduta dalla migliore "Parrucchiera" di Beverly Hills che ha tagliato il pelo di Charlie fino a farlo diventare un cane nuovo. Risultato: dopo due giorni il randagio ha trovato casa.

Sotto    dopo la pubblicità  il video


 la  seconda  tratta  dal mio canale  di youtube  
  invece  è un video  da me  girato   in una  casa  al mare di parenti  


P.s  non avedo voglia di ricaricarlo ( e  lasciare accesso il pc per   altre  2 ore  , ho lasciato la  dictura  errata  in realtà  la località Gallurese  si chiama Porto Bello di Galllura  

A 8 ANNI PROMETTE: "PAPÀ, TI REGALERÒ L'AUTO DEI TUOI SOGNI". E MANTIENE LA PROMESSA -

alcuni di voi i mi chiedono  , ma  come non ci aprli più  di te  , ma racconti solo storie , alcune discutibili altre belle   ed interessanti  .

Ora  , non li biasimo  , ma  non riesco  a  trovare il coraggio  d'aprirmi direttamente   e preferisco  farlo  in maniera  indiretta raccontando appunto    storie  ed  aneddoti  .
Eventi e  fatti   che  trovo  in rete  o  sui  giornali spazzatura ( per  usare un  eufemismo )   come li chiamano i miei  o  frivoli   come li chiamo io ,  o  usate a  differenza  di me     dai media  embed  per  distrarre   da news  importanti  o  quando non hanno altre  news o per  alcuni sono insignificanti  ( ecco perchè  i tag  , incredibile ma vero , bellezza  ai margini , storie , le storie , ecc  )

Dopo   questa   risposta  . ecco una   , stavolta   contenente  in maniera diretta   , cosi  i "  fautori  "  di  tale richiesta  saranno soddisfatti  ,  un mio dubbio interiore  . Proprio  come la  storia  , la  più bella

 per  il  numero speciale dedicato agli 80 anni di Paperino


"come possiamo distinguere i ricordi dai sogni se esistono entrambi soltanto nella nostra mente?

 un sunto per chi non volesse leggersi tuitta la storia  



la storia
  da  www.leggo.it  

Sabato 7 Giugno 2014
WHASHINGTON - Aveva solo otto anni quando promise al suo papà che avrebbe realizzato per lui uno dei sogni della sua vita: gli avrebbe regalato per il suo 57eseimo compleanno una
Chevrolet del 1957. Quel bambino è stato di parola, e la sua promessa è diventata realtà: Michael King è riuscito davvero a parcheggiare una Bel Air azzurra nel garage di casa. "Mio padre - ha raccontato nella spiegazione che accompagna su Youtube il video del momento della consegna del regalo - ha sempre sognato di avere una Bel Air del 1957, ma è cresciuto in una famiglia povera con sette bambini". Il video è stato postato il primo giugno, ma ha commosso tantissime persone."Mio padre non pensava che avrebbe mai realizzato il suo sogno, ma ne parlava in continuazione", ha scritto il figlio modello. "non ho mai dimenticato la promessa che ho fatto a otto anni".

chi lo ha detto che gli invalidi non posso creare ? senza mani e suona il pianoforte . la disabilità NON E' UN MONDO A PARTE, MA UNA PARTE DEL MONDO!.....



 datemi pure  della mammoletta   del piagnone , ecc  . Ma  falso o  vero che sia  questo video  , io  non riesco  a  non  piangere   e a  commuovermi   oltre  che  a  trovare   una motivazione  ad  andare  avanti  nella  vita.


Infatti  : << Quando vediamo una difficoltà nella vita magari ci arrendiamo subito, non è il caso di questo ragazzo che nonostante la disabilità suona meravigliosamente il pianoforte! Grande!! >>(  dall'introduzione del  video  sopra  riportato di  www.situazionivirali.com )



Infatti  ancheconi piedi  si  può fare     la maggior  parte  delle    cose . video preso    da  facebook  



Michele Romeo, prof di matematica e fisica in classe con gonna e tacchi : “Vivo come mi sento”


cazzeggiando in rete ho letto , non ricordo la fonte  questo articolo interessante   . Chi la trova me la può segnalare , e se ciò dovesse essere coperto da copy right resto a disposizione per una rimozione o altro 

potrebbero esservi utili









“Sono androgino, in me convivono aspetti femminili e maschili”. Così ha dichiarato al Piccolo di Trieste Michele Romeo, prof di matematica e fisica che si presenta agli alunni vestito da donna. La sua è una scelta precisa: “La gente deve conoscere, imparare. Spero serva anche a tutte quelle persone che vivono di nascosto e con sofferenza una situazione simile alla mia”.“Amavo indossare gli abiti e le scarpe di mia madre e mi piaceva guardarmi allo specchio, non avevo tanto un problema con me stesso quanto di confronto con gli altri”. Vive a Trieste da circa quattro anni, ma si è laureato a Lecce. A dicembre 2013 si è sposato con una donna con cui stava da 17 anni, e della quale dice “E’ la mia compagna di vita, di lei sono innamoratissima”.

Irlanda sotto shock, fossa comune di bimbi illegittimi gestita da suore


da www.qelsi.it   un portale  della destra più becera  ed  estrema  , di cui non condivido se  non il 2 % ,  ho  trovato  cosa  rara  in un blog  che alimenta  il mal di pancia della gente  ed  è   carico  d'odio
questo  articolo   sui crimini dela chiesa cattolica  in Irlanda    di  cui avervo  già parlato   in questo post

Quello che per tutti era “l’ultimo terribile segreto dell’Irlanda cattolica” ora è diventata una drammatica realtà: scoperta una fossa comune che potrebbe contenere fino a 800 corpi di bimbi vicino alla ex casa gestita da un gruppo di suore a Tuam. Qui vivevano tra il 1925 e il 1961 le madri non sposate e i loro figli considerati illegittimi. Secondo il britannico Daily Mail, molti dei piccoli sarebbero morti per malattia e malnutrizione nel più totale abbandono.


Nel sito si potrebbe ora iniziare a scavare dopo che un familiare di uno dei bimbi che sarebbero stati seppelliti nella fossa comune lo ha denunciato come persona scomparsa. Le autorità di Dublino potrebbero inoltre aprire un’inchiesta sulla vicenda mentre la chiesa cattolica discute la costruzione di un monumento per ricordare i bimbi sepolti.
Migliaia di donne e bimbi passati nella “Casa” – La Casa è stata chiusa e distrutta da decenni, ma solo ora si sta facendo finalmente luce sulla sua storia. Si calcola che migliaia di donne coi loro figli siano passate negli anni da lì. Era infatti il loro unico modo per sopravvivere in una società che le odiava e le isolava, solo perché erano diventate madri al di fuori del matrimonio. Le suore non erano di certo comprensive. Le “ospiti” facevano i lavori più umili in una condizione di servitù, mentre i lori figli, come risulta anche da un’ispezione condotta nel centro durante gli anni Quaranta, erano malnutriti ed emaciati, soggetti a tutti i tipi di malattie. Molte donne riuscivano poi ad andarsene da quel luogo e a rifarsi una vita.
Centinaia di bambini non sono sopravvissuti – Circa 300 morti vennero registrate solo fra il 1943 e il 1946, uno dei periodi più terribili per la Casa. “Le ossa sono ancora lì”, ha detto una storica locale, Catherine Corless, che ha scoperto i fondamentali documenti sulla fossa comune. Anche i locali non risparmiarono il loro odio per quelli che venivano chiamati “i bambini della Casa”. I piccoli venivano segregati perfino dai coetanei, additati come diversi, maltrattati nella totale indifferenza. I sopravvissuti hanno continuato ad avere terribili incubi su quegli anni in cui vivevano in balia di una società crudele.

UN TEMPO di © Daniela Tuscano





Vi fu un tempo
in cui fummo amici.
Vi fu un tempo
in cui viver felici.
Tempo caldo
di rose al sole,
tempo d'austro
e senza dolore.
Sfogliavano giorni
di beata incertezza,
pareti d'aria
in gaia sperdutezza.
Ora è remoto
quel tempo senza tempo,
landa di mano
oblio di vento.

7.6.14

conferma dei film Magdalene e di Philomena IRLANDA, TROVATA UNA FOSSA COMUNE DI BIMBI VICINO A UNA CASA DI SUORE

i film  , ne  ho parlato in questo blog  sia  quando si chiamava  cdv.splinder.com    sia  quando ha  cambiato  ( quello attuale  )  nome   di

Qualche mese fa il film Philomena 

aveva raccontato una terribile storia (vera) di figli sottratti  e  dati  in adozione ( quando andava bene )  o  maltrattati in un istituto di suore in Irlanda. Ora arriva un'altra vicenda che lascia sgomenti. Una fossa comune che potrebbe contenere fino a 800 corpi di bimbi è stata localizzata vicino alla ex casa gestita da un gruppo di suore a Tuam, Irlanda nord occidentale, in cui venivano ospitati tra il 1925 e il 1961 le madri non sposate e i loro figli considerati illegittimi. Secondo il britannico Daily Mail, molti dei piccoli sarebbero morti per malattia e malnutrizione nel più totale abbandono, e i loro corpi vennero gettati all'interno di un serbatoio di cemento. Nel sito si potrebbe ora iniziare a scavare dopo che un familiare di uno dei bimbi che sarebbero stati seppelliti nella fossa comune lo ha denunciato come persona scomparsa. Le autorità di Dublino potrebbero inoltre aprire un' inchiesta sulla vicenda mentre la chiesa cattolica discute la costruzione di un monumento per ricordare i bimbi sepolti. Come è emerso da un' ispezione condotta nel centro durante gli anni Quaranta, i piccoli erano malnutriti ed emaciati. Circa 300 morti vennero registrate fra il 1943 e il 1946.

Infatti è news  di questi  giorni  

http://www.rainews.it/
  Irlanda 04 giugno 2014

Seppelliti senza nome nel cortile attorno a una struttura di accoglienza per ragazze madri, gestita da suore cattoliche tra il 1925 e il 1961 a Tuam, nella contea di Galway in Irlanda. Sarebbero morti di fame e di malattia quasi 800 bambini, 796 per l’esattezza, e i loro corpi senza vita nascosti in un contenitore di cemento. Un contenitore talmente zeppo di ossa che gli abitanti del posto, che lo avevano scoperto nel 1975, pensavano si trattasse di vittime della grande carestia che colpì l’Irlanda negli anni 40 dell’800. Secondo le recenti scoperte però la vicenda potrebbe assumere dei contorni molto più cupi.
E’ la storica Catherine Corless ad aver portato avanti un lungo lavoro di ricerca che avrebbe condotto alla scoperta: da anni la studiosa si occupa del passato della casa St. Mary, la struttura di accoglienza per ragazze madri al centro della vicenda. Quella che era nota agli abitanti del posto semplicemente come “The House”, la casa, era destinata ad accogliere le donne rimaste incinta al di fuori del matrimonio, spesso allontanate e abbandonate dalla comunità. Un luogo di accoglienza che in molti casi potrebbe essersi trasformato in un luogo di morte, fino alla chiusura avvenuta nel 1961. Oggi il convento non esiste più, è stato demolito, ma rimane lo spazio che era fu adibito alla fossa comune.
Uno scandalo che potrebbe aggiungersi ad altre cupe vicende che hanno già colpito la Chiesa cattolica in Irlanda, come quella delle Magdalene Laundries, le case di accoglienza in cui le ragazze erano costrette a turni di lavoro massacranti. Una vicenda che ricorda la storia vera a cui è ispirato il film Philomena, del regista Stephen Frears, nominato a quattro premi Oscar. Nel film una donna anziana decide di rivelare il segreto che ha tenuto con se per tutta la vita: un figlio illegittimo, dato alla luce in un convento e poi affidato in adozione senza il suo consenso. Aiutata da un ex giornalista la donna intraprende allora un viaggio alla ricerca del figlio scomparso, fino alla macabra scoperta di un cimitero nascosto accanto al convento.
L’arcivescovo di Tuam, Michael Neary, ha dichiarato di voler incontrare i rappresentanti delle Sorelle del Buon Cuore, l’ordine religioso che si occupava della struttura: l’intento sarebbe quello di accordarsi per la realizzazione di una stele funeraria che possa elencare i nomi delle 796 piccole vittime e per la celebrazione di una messa funebre. Il governo irlandese si è per ora rifiutato di commentare l’accaduto.
Fino ad oggi sono state quattro le principali inchieste condotte dall’Irlanda per far luce sui presunti abusi avvenuti all’interno delle strutture di accoglienza gestite nel paese dalla Chiesa cattolica, l’ultima delle quali ha chiuso negli anni 90. Proprio nella Casa St. Mary, nel 1944 un’ispezione del governo aveva segnalato gravi problemi di malnutrizione tra i 261 bambini allora ospitati nella struttura, assieme a 61 mamme. Gli alti tassi di mortalità registrati citavano tra le cause maggiori malattie, deformità e nascite premature. - 

ritornare piccoli sopravvivere e continuare il sogno Subcomandante Marcos: “Smetto di esistere. Non sono malato né morto



A 20 anni dalla prima insurrezione che ha portato a conoscenza del mondo intero la lotta contro il liberismo messicano per tutelare gli indigeni del Chiapas, è proprio il suo primo soldato a segnare la fine di un’epoca. Figura misteriosa, controversa e abile nella comunicazione, è alla guida di Ezln dal 1983. E da oggi non sarà più il portavoce del movimento. "La mia immagine pubblica è diventata una distrazione. Il mio è stato un travestimento pubblicitario"






Il passamontagna sempre calato sul volto, la pipa e la lotta per gli oppressi. Il Subcomandante Marcos, leader carismatico del movimento rivoluzionario in Chiapas, però non esiste più. “È stato un travestimento pubblicitario” dice l’uomo che è diventato una icona mediatica e un manifesto vivente di tutte le minoranze schiacciate dai capitalismi. “Il Don Chisciotte sta sempre al mio fianco. È il miglior libro che conosco di teoria politica” rivelò al compianto Gabriel Garcia Marquez .
“Dichiaro che il Subcomandante Marcos smette di esistere. Non sarà più mia la voce che parlerà a nome dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale”. A 20 anni dalla prima insurrezione che ha portato a conoscenza del mondo intero la lotta contro il liberismo messicano per tutelare gli indigeni del Chiapas, è proprio il suo primo soldato a segnare la fine di un’epoca. Figura misteriosa, controversa e abile nella comunicazione, è alla guida di Ezln dal 1983. E da oggi non sarà più il portavoce del movimento. “Non sono malato e non sono morto – ha scritto Marcos in un lungo messaggio – anche se mi hanno ucciso molte volte”. Un passo indietro, che lo stesso Subcomandante, 56 anni (forse) spiega così: “La mia immagine pubblica è diventata una distrazione”, perciò è giusto che Ezln cominci “una nuova fase”. “Il mio”, ha detto durante una cerimonia in onore di Galeano, un militante zapatista ucciso all’inizio di maggio, “è stato untravestimento pubblicitario“.


“Non ci sarà nessuna vedova – ha detto il leader zapatista il cui vero nome sarebbe Rafael Sebastiàn Guillén Vicente – non ci sarà nessun funerale, niente onori, statue o musei. Nulla che possa promuovere il culto della personalità a discapito del collettivo. Questo personaggio è stato creato e ora i suoi creatori, gli zapatisti e le zapatiste, lo distruggono. Comprendere questo significa capire qualcosa di fondamentale per noi” chiosa.
Nel suo lungo discorso Marcos, secondo il governo messicano ex ricercatore universitario, ha parlato a lungo di Galeano, maestro nella Escuelita Zapatista che aveva fatto conoscere ad alcune migliaia di persone l’esperienza delle comunità autonome, ucciso il 2 maggio, colpito prima da colpi di arma da fuoco e poi finito con il machete. A lui, nei giorni successivi alla morte, il Subcomandante aveva dedicato parole affettuose ma anche cariche di rabbia nei confronti dei paramilitari che lo hanno assassinato, lasciando intendere che quella morte sarebbe stata in ogni caso un spartiacque per il movimento. Oggi l’annuncio ufficiale. Il testo della lettera con cui il simbolo di Ezln ha rinunciato al personaggio per rivestire i panni del semplice e anonimo combattente si chiude con un omaggio al compagno ucciso: “Buon viaggio – scrive Marcos – Dalle montagne del sudest messicano. Subcomandante insurgente Galeano”.

QUANDO IL RE JUAN CARLOS PRESE ORDINI DA UN SARDO

 a volte  capita  che i potenti    subiscano   e prendano ordini da  qualcuno più basso in rango di loro . ma per i media  embed    tali cose  non esistono  , A  volte  capita   che dopo 3  secoli  di dominio ( il periodo  in cui  la spagna  primo con il regno d'Aragona e  poi  con  quello Spagnolo ) sull'isola   ci possa essere  la rivincita  come racconta   

(Francesco Giorgioni)

QUANDO IL RE JUAN CARLOS PRESE ORDINI DA UN SARDO.


Primi anni settanta.
L'erede al trono di Spagna Juan Carlos trascorreva le sue vacanze estive in Costa Smeralda, all'hotel Pitrizza. Era un giovanotto bello e annoiato da una vita piena di agi.
Negli stessi anni, il capo ricevimento dell'albergo si chiamava Antonello Martini, un colosso gallurese tosto come il granito.Il suo nome lo si trovava anche nei tabellini calcistici dei quotidiani sardi, al lunedì, perché Martini era un ottimo calciatore dilettante: vestiva la maglia dell'Arzachena e frequentava i corsi da allenatore.Alla fine di ogni turno di lavoro, Martini indossava maglietta e pantaloncini e si allenava nel parco dell'albergo. Correva, si stendeva sul prato per esercitare addominali e pettorali, allungava i quadricipiti in prolungate sedute di stretching. Una nuova stagione nei campi da gioco dell'Isola lo attendeva e lui non poteva permettersi di perdere la forma.Non sapeva che qualcuno spiava la sua routine quotidiana.

Lo seppe quando, una mattina, si presentò alla portineria un giovane statuario. Era da solo e, timidamente, gli rivolse la parola.
"Dalla mia stanza seguo ogni giorno il suo allenamento. Le dispiacerebbe se venissi a correre con lei?"
A supplicare Martini era l'Infante Juan Carlos di Borbone, pochi mesi prima della sua ascesa al trono di Spagna.Naturalmente, Martini acconsentì.Ma L'Infante aveva qualcosa da aggiungere: "Sarà lei a dirigere l'allenamento, io farò tutto quel che lei ordinerà".
Per diverse settimane, il futuro monarca iberico obbedì ai comandi di Antonello Martini, portiere d'albergo e calciatore dilettante dell'Arzachena.Eseguiva ogni movimento ed esercizio, Juan Carlos, senza fiatare.E alla fine di ogni seduta ringraziava il suo personal trainer.Martini lo potete incontrare ancora oggi, ad Arzachena, magari in fila in banca o all'ufficio postale, mentre sbriga le faccende quotidiane. Chiedetegli di raccontarvi questa storia.
E lui vi dirà di quando il re di Spagna, successore di quelli che per secoli dominarono la Sardegna, senza fiatare prese ordini da un sardo.

vuoi la connnessione fai segnali di fumo . E' quello che ha fatto per avere una linea telefonica il sindaco di un piccolo paese sardo

ecco una storia  di quando  una protesta ironica   funziona  .  Una  storia  curiosa nel  mondo  delle  comunicazioni  ormai sempre  più  informatizzate



se   non si dovesse  vedere  o sio dovesse vedere  solo  spot   eccovi l'url dove  vederlo
http://www.videolina.it/video/servizi/64751/a-nughedu-dopo-i-segnali-di-fumo-squillano-i-telefonini.html


anche nella morte c'è la vita La toccante storia di Athena Ochard e del suo specchio \ diario ritrovato dopo la sua morte a 13 per un tumore alle ossa

  non ricordo se la nuova  sardegna o l'unione  sarda


La  vita   non è  solo  una famiglia  numerosa  .  come   questa  
 La matriarca che voleva farsi suora Adesso ha 91 anni e ben 126 discendenti



Peggy Koller e i suoi discendenti (foto da twitter)
A 91 anni è una delle donne più prolifiche degli Usa, con un numero record di discendenti: 126 per l'esattezza, tra figli, nipoti, pronipoti.
E con cinque altri piccoli in arrivo da parte di seconde nuore, figlie di figli e così via. La singolare storia di Peggy Koller, di Blue Bell in Pennsylvania, corredata di foto della sua 'tribù, è balzata sulle pagine di tutti i giornali Usa. E racconta che in realtà la donna da giovane voleva farsi suora. Ma, cresciuta da figlia unica, una volta sposatasi decise che i suoi figli avrebbero avuto fratelli, sorelle e un 'senso di famiglia' grande e rassicurante. Peggy abbandonò l'idea del convento nel 1942 per sposare William Koller, morto alcuni anni orsono: oggi, settanta anni dopo, la matriarca conta al suo attivo 11 figli, 56 nipoti e 59 pronipoti. I familiari la descrivono come una nonna energetica, attiva, che ancora guida l'auto a partecipa a molte delle grandi riunioni della famiglia. "Ho due imminenti party di laurea per due nipoti - ha detto ai media americani - un matrimonio in New Jesrey questa settimana settimana e mia figlia sta organizzando una festa per sua nuora che avrà un bambino. E' la mia vita e io cerco di andare a tutti questi eventi".






Ma  anche  il ritrovamento   di uno diario segreto  come     

 La toccante storia di Athena Ochard. Dopo la sua scomparsa, i genitori hanno trovato i suoi pensieri scritti dietro uno specchio della cameretta.


Ammalata di tumore, ha tenuto un diario segreto. Circa tremila parole scritte ogni giorno, se

nza che nessuno se ne accorgesse, dietro a uno specchio. I suoi genitori lo hanno trovato solo dopo la sua morte, riordinando la cameretta. Commuove il Regno Unito la storia di Athena Orchard, ragazzina di 13 anni di Leicester, da poco scomparsa a causa di un cancro alle ossa, diagnosticatole dopo uno svenimento improvviso in casa, poco prima del giorno di Natale. Pochi mesi durante i quali la fanciulla ha affidato i suoi pensieri al retro di quello specchio, dove ogni giorno vedeva il suo corpo e il suo volto farsi sempre più emaciati. Ma nonostante questo, il suo testamento è in tutto e per tutto un inno alla vita. "La felicità dipende da noi.
da  http://www.leggo.it/
Magari non sarà un lieto fine, ma ciò che conta è la storia. Ogni giorno è speciale, perciò vivilo appieno. La felicità è una direzione, non una destinazione: sii grato della vita. Sii felice, libero, credici". Queste alcune delle frasi che si leggono sul retro dello specchio ritrovato dai suoi famigliari, che hanno raccontato la vicenda al Daily Mail. "Ho iniziato a leggere ma poi mi sono dovuto fermare. Era troppo" ha dichiarato Dean Orchard, padre della ragazza (e di altri sette figli)."Non potevo crederci, ci sono migliaia di parole. E' stato toccante". "Terremo questo specchio per sempre, leggere quelle parole è come averla ancora con noi" ha aggiunto la madre Caroline.


Sempre  sullo stesso giornale  da  cui  ho  tratto la  seconda  foto


Mercoledì 4 Giugno 2014
di Enrico Chillè
LONDRA - Athena Orchard era una dodicenne molto solare, ma uncancro osseo ha spezzato la sua giovane vita. Ora, a pochi giorni dalla morte, la sua famiglia ha trovato un emozionante messaggio nascosto nel retro di uno specchio. 
«Non è stato facile leggere quel messaggio, abbiamo dovuto interrompere spesso perché non riuscivamo a trattenere le lacrime», spiegano i genitori, residenti a Leicester. Athena era la più grande di otto figli, ed alcuni passi della lettera, riportati da Metro, sono davvero toccanti: «Ogni giorno è speciale, viveteli tutti al massimo. Potrebbe capitarvi una malattia mortale come è successo a me, ma la vita è brutta solo se noi la consideriamo tale. La felicità dipende da noi stessi, è una direzione, non una destinazione. E ricordate che la vita è fatta di alti e bassi, ma gli alti senza i bassi non avrebbero senso».

Nel messaggio nascosto, la povera ragazzina aveva anche raccontato delle proprie aspirazioni personali: «Sto aspettando di incontrare l'amore, qualcuno a cui aprire il mio cuore. L'amore non è qualcuno con cui vorresti stare, ma qualcuno senza il quale non potresti vivere. La vita è un gioco per tutti, l'amore è l'unico premio»

all'estero si fa qualcosa per i disabili nelle scuole ed in italia è lasciato tutto all'improvvisazione e alla buona volontà degli insegnanti e all'intelligenza dei bambini

Cronache di ordinaria discriminazione.
[di Romina Fiore]

Arriva il fotografo per la foto di fine anno ed i bimbi vengono sistemati alla bell’e meglio per far sì che l’inquadratura abbracci tutta la classe. La maestra ha il vestitino elegante delle feste e forse è andata anche dal parrucchiere, perché sa che quell'immagine la renderà immortale nelle vite dei suoi piccoli alunni.Il bambino diversamente abile viene sistemato all’esterno. E’ un’appendice scomoda da mettere quanto più distante possibile dagli altri.La maestra non si accovaccia accanto a lui.Non invita i compagni a circondarlo in un simbolico abbraccio accogliente.Non gli dispone gli amichetti vicino.

Il piccolo, dalla sua carrozzina, sorride compiaciuto di quel momento. Ignaro di tutto o forse no.
Purtroppo non sa che la disabilità, quella vera, è di una maestra che non capisce.




I bambini  sono   più intelligenti di noi  ,  eppure  molti genitori  ed  educatori  non  capiscono  o  hanno paura   che  tali argomenti   sono  tabù e  fuorvianti   e pericolosi sotto  i   18  anni  invece  questo video  dimostra il contrario 



da http://www.retenews24.it/rtn24/multimedia/

A cura di Adriana Costanzo


Il messaggio d’amore di una bambina nei confronti del coetaneo disabile. Il video più commovente che spopola sul web. Guarda

Pubblicato 2 mesi fa |

un estratto del video 



Può la fantasia e l’amore superare le barriere del diverso? Può una bambina dare sogni e sorrisi a un suo coetaneo meno fortunato? Un messaggio di speranza racchiuso in un breve cartone che sta spopolando sul web. Un video



 che tutti dovrebbero vedere e far vedere ai propri figli   e  ai propri studenti  [ corsivo mio  ]


  cosi  come  il video  qua sotto ( discreto ed interessante  )  tratto  da questo mio precedente  post a cui rimando   nel caso  non si  vedesse


scuola sempre più allo sfascio aumento del bullismo e dell'omofobia e del razzismo anche da parte degli insegnanti verso i ragazzi


Leggendo le due news che trovate sotto mi vengo in mente le note di questa canzone ( Nkantu d'aziz - L'UOMO PESCE ) ascoltata poco fa sulla mia bacheca di facebook oltre che il discorso con alcuni insegnanti di scuole superiori contraria o quanto meno scettica che tali argomenti ,( quelli della prima news ) siano inadatti e tabù per i 14 anni . Cosa aspettiamo , visto le continue prese in giro ed insulti omofobi e qualche minaccia da parte dei che ci scappi il morto , magari ucciso da uno stesso ragazzino etero ?






  dal settimanale  L'Espresso  06 giugno 2014
Vedi anche »
La mappa dell'omofobia 05 giugno 2014


DIRITTI
Anche a scuola è caccia ai gay
Nonostante l’allarme per i suicidi, nelle classi di tutta Italia aumenta l’intolleranza, tra pestaggi e bullismo. Nelle grandi città si concentrano le storie più tragiche, di emarginazione e violenza. Ma le istituzioni non intervengono

                                                          DI TOMMASO CERNO


Scritta omofoba all'ingresso del Liceo ''Scotti/Einstein'' di Ischia"Se sei frocio, non venire a scuola… vai a battere!”. Così, inciso col gessetto bianco sulla lavagna, mentre in classe se la ridevano dietro i libri alzati sui banchi. Succede in Italia, nel 2014, quello che l’Arcigay ha definito “annus horribilis” dell’omofobia, ma che sulle cronache e nel dibattito politico è stato un anno qualunque. Quella scritta contro un ragazzino è stata cancellata pochi minuti dopo da un professore. Ma il caso è rimasto confinato nei corridoi dell’istituto tecnico lombardo, senza trapelare. «Mi raccomando», ha detto il preside, «la cosa finisce qui». Non per Marco, però, 15 anni ad agosto, che ha raccolto libri e quaderni, si è rimesso lo zainetto in spalla e se ne è andato via. Ora se le trova scolpite nella mente, quelle parole, proprio come sono incise sul porfido davanti
sempre da   http://espresso.repubblica.it/
all’istituto Galileo Ferraris di Roma gli insulti a un altro gay: “Frocio”, hanno dipinto in strada pochi giorni fa, seguito dal cognome del ragazzo. E non basta certo una spugna per lavare un insulto, quando arriva dritto dai coetanei, dal suo stesso, piccolo mondo di amici che, all’improvviso, sono diventati i suoi aggressori. Quelli con cui fino a poche settimane fa giocava a pallone o alla play station, quelli che lo facevano ridere e all’improvviso si divertono a vederlo piangere: «Io amo la vita», racconta Marco a “l’Espresso”, «ma da quel giorno non faccio altro che ripensare a quelli che si sono uccisi, gettandosi nel vuoto». Un vuoto interiore, un vuoto che la scuola italiana fa fatica a colmare. Perché nelle nostre classi l’omofobia è una piaga che nessuno cura. La violenza più nascosta e insidiosa. Un allarme inascoltato che sale dai banchi, forte quanto i calcinacci che cadono dai tetti, le aule diroccate, gli impianti che non funzionano.


Un allarme ignorato dalle istituzioni, censurato dai genitori e spesso anche dagli insegnanti . E così, anno dopo anno, sono sempre di più i casi che emergono grazie a Facebook. Gay giovanissimi che, alla faccia del silenzio dei grandi, sfilano al Pride, a partire da quello di sabato 7 giugno a Roma, per far sentire la propria voce. Sono studenti delle superiori, vittime di insulti e violenze, in marcia fianco a fianco ai loro coetanei che, già a 14 o 15 anni, hanno fatto invece il “coming out”. Una nuova generazione di omosessuali e lesbiche che vive più apertamente. E, nel farlo, finisce per scoperchiare l’omofobia rimasta sotto il muro dell’omertà.

SENZA UNA RETE
Basta un dato: in Italia non esiste una statistica dei casi di discriminazione nelle scuole. Ognuno fa da sé. Da una parte c’è l’Unar, l’ufficio contro le discriminazioni di Palazzo Chigi, dall’altra l’Arcigay che ogni anno raccoglie un report sull’omofobia, fino al Gay Center di Roma che ha attivato un telefono amico. Così, mentre l’Istat, nell’ultimo report sui gay maltrattati, ha interpellato solo maggiorenni, lasciando nell’ombra ciò che avviene a scuola, proprio dalla capitale giunge un segnale allarmante: soltanto nell’ultimo anno sono più di duemila i minorenni che hanno chiesto aiuto alla Gay Help Line. Di questi quasi il 50 per cento aveva meno di 16 anni. Se si aggiunge la fascia d’età che va da 18 a 21 anni, si sale a quota 5 mila. Sono decine di ragazzi ogni mese. Insultati, picchiati, mobbizzati in quegli istituti che dovrebbero dare loro un’istruzione. C’è Andrea che s’è trovato i libri imbrattati di frasi oscene. C’è Fabrizio che si è stancato dei cori omofobi dei bulletti della scuola, che gli gridano “frocio” alla fermata dell’autobus. E ancora Giorgio, bersagliato dalle continue insinuazioni di un insegnante.
Poi c’è Giuseppe, 14 anni appena compiuti. A scuola l’hanno sempre preso di mira, «per via delle mie movenze», racconta. «Sono effeminato e per loro è più facile colpirmi». Solo che un giorno le parole sono diventate violenza fisica, nei corridoi di scuola. «Prima venivo solo emarginato, poi un giorno mi hanno seguito. Io gli ho gridato di lasciarmi in pace, ma loro volevano darmi una lezione, fare i bulli». Così l’hanno bloccato e picchiato, lasciandogli pure i lividi sul collo e sulla schiena. «Non ho avuto il coraggio di dirlo a nessuno, tanto meno ai miei genitori. Ho detto di essere caduto dalla bicicletta, ma non è così… Non è per questo che ero ferito. Sto pensando di scappare di casa e di lasciare la scuola», si sfoga.

DOPPIO TABÙ
Eppure nessuno parla mai di loro. Nessuno vuole sentire quella parola, omosessualità, dentro le mura di una scuola. È un doppio tabù: l’istituzione pubblica e l’età troppo bassa. Basti pensare che a Piacenza, solo poche settimane fa, il dirigente dell’ufficio scolastico provinciale ha inviato a tutti i dirigenti degli istituti superiori una circolare di tono medievale. Poche righe che vietano la distribuzione agli studenti delle classi quinte di un questionario conoscitivo sull’omosessualità. “Si ritiene opportuno non distribuirlo”, ha scritto il dirigente pubblico in una nota, costringendo i presidi a obbedire. Poche parole, in burocratese, per non sporcarsi le mani, per non esporsi alle critiche. E intanto Mauro, 16 anni, si era buttato dalla finestra della scuola a Roma. E poche settimane prima un altro ragazzo, 14 anni, si era tolto la vita lanciandosi nel vuoto dal balcone di casa. E un altro ancora a ottobre. La ragione? Sempre la stessa. Quei silenzi dei grandi che coprono gli insulti dei più piccoli. Quel mondo che non sembra dare loro una speranza, né fra i coetanei né fra i cosiddetti educatori.


Pasquale è un giovane volontario del Gay Center. E passa parecchie ore alla settimana a rispondere alla Help Line. È uno di quelli che ascoltano, cercano di dare un consiglio alle vittime dell’omofobia. Uno di quelli che compilano le statistiche e che, dopo due anni di lavoro quotidiano, si stupisce ancora quando si rende conto che al telefono c’è un ragazzo di 13 o 14 anni. «Sono quasi il 3 per cento delle chiamate», spiega. «Una percentuale altissima, se si pensa che a quell’età la paura è spesso più forte della voglia di reagire. Molti non hanno il coraggio di dire il proprio nome, altri fingono di chiamare per conto di un amico, oppure mentono sulla propria identità, sulla scuola che frequentano, anche sulla città in cui vivono». Già, perché le storie non riguardano solo i piccoli centri sperduti nella campagna italiana, o le periferie estreme delle metropoli. Proprio nelle grandi città, Roma e Milano in testa, dove l’attenzione dovrebbe essere più alta, si concentrano invece gli episodi e le storie più tragiche: «È vero che nelle città c’è meno omertà e, statisticamente, ci sono meno paure a denunciare», spiegano al Gay Center, «ma è vero che la casistica ci dice che il fenomeno è radicato e diffuso e che c’è un maggiore senso di protezione, di impunità». Sono centinaia di storie. Storie di emarginazione e violenza che il più delle volte passano sotto silenzio: «È difficile per questi ragazzi reagire, perché spesso i genitori non sanno della loro omosessualità e quindi si ritrovano ancora più soli. Sono costretti a subire le violenze, perché non hanno il coraggio di denunciarle, per paura che la famiglia diventi un ulteriore incubo quotidiano da affrontare», racconta il volontario del telefono amico.

PORTA A PORTA
E così, per far fronte a quella che sta diventando una vera e propria emergenza giovanile, mascherata dall’ipocrisia delle istituzioni, a Roma è stato il GayCenter a mettere in piedi una prima rete di azione. Una rete di scuole, costruita con il porta a porta, parlando con insegnanti e dirigenti, cercando attenzione, collaborazione. E incassando l’appoggio della Regione Lazio: «Abbiamo coinvolto circa trenta scuole e alcune migliaia di studenti di Roma e del Lazio in un progetto di sensibilizzazione», spiega il presidente del Gay Center, Fabrizio Marrazzo: «Abbiamo organizzato dei laboratori formativi, coordinati da insegnanti e da esperti, e oltre 500 studenti hanno realizzati 16 video per dire no a omofobia, bullismo e discriminazioni nelle scuole italiane. Eppure, sempre più spesso, anche nelle istituzioni c’è chi polemizza con questi progetti contro la violenza, incuranti del dato statistico che dimostra come la scuola sia uno dei luoghi in cui si percepisce di più il bullismo omofobico». E così alla Moscati, una scuola media, i ragazzi hanno raccontato “Stop Bulling”, invitando nel loro cortometraggio una coppia di ragazze lesbiche a fare coming out. All’Itis Armellini, invece, gli studenti hanno prodotto “The Talking Wall”, spronando tutti gli studenti romani a cancellare le scritte omofobe sui muri delle scuole e della città. E ancora al Socrate raccontano in “Come Morgan Freeman” una scuola ideale, dove i diritti dei gay diventano materia di studio come la matematica e il greco. Un successo, al punto che il governatore laziale Nicola Zingaretti ha annunciato proprio due giorni fa l’istituzione «del più grande piano nazionale contro l’omofobia nelle scuole», partendo proprio dall’iniziativa del Gay Center.

IL PROF MINACCIATO
Ma c’è anche un rovescio della medaglia: le discriminazioni dietro la cattedra. Già, nemmeno essere gay e insegnante, nell’Italia del 2014, è facile o a lieto fine come nei film americani alla “In&Out”. Lo sa bene un prof di una media nel Lazio, che chiede l’anonimato: «In classe non ho mai fatto cenno alla mia omosessualità, ma quando alcuni studenti hanno scoperto che ero gay, da Facebook, per me è cominciato l’inferno», racconta. Scritte sulla lavagna, insulti, cori in classe, fino a episodi di bullismo come quando si trovò chiuso a chiave in uno sgabuzzino, senza possibilità di uscire né di comunicare con l’esterno: «Da te non ci facciamo insegnare nulla, frocio!», gridavano in classe. In più, a dar man forte ai bulli anti-gay anche un gruppo di genitori, schierati in difesa dei figli anche di fronte a comportamenti violenti. E di casi del genere ce ne sono molti, anche se le cronache non ne parlano: «Denunciare pubblicamente questi casi rischia di compromettere la carriera del docente, soprattutto se è a contratto. Si rischia il posto, si rischia l’isolamento. E anche quando gli altri docenti sanno che sei tu la vittima, ti consigliano un basso profilo, ti suggeriscono di tacere, di non alzare polveroni», si sfoga l’insegnante.
Un allarme nazionale che deve trovare una risposta immediata, è l’appello del presidente di Arcigay, Flavio Romani, proprio perché l’omofobia a scuola è un arma a doppio taglio. «Colpisce i più giovani, quindi i più deboli, e al tempo stesso non garantisce che proprio dai banchi parta l’educazione degli italiani di domani alla diversità», spiga Romani: «È proprio sulla scuola che si deve intervenire subito, perché solo partendo da qui si può immaginare di portare una conoscenza corretta di che cosa siano i gay, le lesbiche e i trans, formando futuri adulti che abbiano in sé l’antidoto al veleno dell’omofobia».
Eppure è difficile agire negli istituti. Ci sono freni, ostacoli, dighe culturali che impediscono di agire nelle classi: «Un’azione seria e capillare contro l’omofobia e la discriminazione a scuola viene bloccata scientemente da chi pensa che la scuola sia un proprio terreno esclusivo», continua il presidente di Arcigay. «In Italia ci sono ancora forze clericali che impediscono di avviare progetti negli istituti scolastici, perché considerano la scuola cosa loro. Non è così, invece, la scuola è di tutti. E l’Arcigay continuerà a estendere nelle classi il proprio lavoro di volontariato, pur con molta fatica e poco ascolto da parte della politica. Talmente poco che, da qualche anno, ci siamo resi conto che sono proprio i ragazzi più giovani, quelli che trovano il coraggio di mostrare la faccia, a cambiare le cose».

AUTODIFESA
Sì, perché esiste un’Italia dei più piccoli, che si difende da sola contro le discriminazioni e contro il silenzio degli adulti e delle istituzioni. Tanto che si moltiplicano i volontari minorenni che chiedono di poter avere parte attiva nei progetti contro l’omofobia. Così come sempre più giovanissimi raccontano i propri amori ai compagni di classe, cercano di cambiare quella scuola italiana, che insorge per la lettura di alcune pagine di “Sei come sei” di Melania Mazzucco, ma poi non ha strumenti per punire i bulli che frequentano quelli stessi corridoi, che imbrattano i muri dei licei, che picchiano o insultano il “frocio”. È la storia di Francesco, 16 anni, studente di una scuola alberghiera. Frequenta il terzo anno, non l’ha detto a mamma e papà, ma fuori casa vive apertamente la propria sessualità, partendo proprio dalla sua classe: «Ho detto semplicemente: sono così e non devo renderne conto a nessuno», racconta. «Da quel momento non ho mai sofferto vere discriminazioni a scuola, non seriamente almeno. Nessuno mi ha mai detto “muori frocio!” o “finocchio al rogo”, né ho subito violenze fisiche. Anche se sono consapevole dei sorrisetti e delle frasette che qualcuno mi butta dietro le spalle».
Poi c’è Nicolas, 17 anni: «Ho fatto coming out un anno fa. Lo dissi a mia madre e lei la prese bene. Io non ho conosciuto l’omofobia sulla mia pelle, il mio liceo è il Cavour, lo stesso dove un ragazzo si è suicidato pochi mesi fa, quello passato alle cronache come “Il ragazzo con i pantaloni rosa”, ma io non ho mai avuto problemi». Di quel drammatico episodio non si parla più nei corridoi, e nemmeno in classe: «Molta gente è stata male dopo questa tragedia, professori e alunni, e la storia è finita un po’ in sordina». Una delle tante tragedie di cui si parla troppo poco. Una delle tante ferite dell’omofobia che, passata l’emozione del momento, si preferisce dimenticare. Fino alla prossima vittima.

ha collaborato Simone Alliva


  la seconda invece  è tratta  da  l'unione sarda del  6\VI\2014


Rimini, abusò dei mezzi di correzione   Maestra condannata a due mesi



A un alunno di origine straniera disse: "Tornatene al tuo Paese", a un'altra: "Ma sei tonta, rientra nella pancia di tua mamma".
I maltrattamenti che infliggeva ai suoi alunni di seconda elementare erano sia fisici che psicologici, e una maestra di 42 anni di Mondaino (Rimini) è stata condannata a due mesi di reclusione, con sospensione della pena, per abuso dei mezzi di correzione in merito a fatti verificatisi nel 2010.
Una classe elementare
A un bambino di origine straniera, che non aveva saputo rispondere a una domanda aveva urlato: "Tornatene al tuo Paese", a una bimba distratta: "Ma sei tonta, rientra nella pancia di tua mamma". A un'altra, invece, aveva tirato i capelli e le aveva sbattuto il viso contro il banco. I bimbi, sentiti in tribunale durante un'audizione protetta, non avevano però confermato le accuse, ma sembra che avessero raccontato le vicende ai genitori. Solo un'alunna, quella a cui erano stati i capelli ed era finita al pronto soccorso, aveva parzialmente ricostruito l'accaduto, ma tra tanti "non ricordo". Secondo i legali della maestra, tutto era nato proprio a causa della vivacità di questa bambina: era stata punita con una nota sul registro negandole il permesso di festeggiare in classe il compleanno. Per la difesa ciò era bastato alla mamma per lamentarsi con la direzione scolastica, andare dai carabinieri a sporgere denuncia e poi al pronto soccorso a far visitare la figlia.


4.6.14

LETTERA DI UN ( ANZIANO) PADRE AL FIGLIO... :

dall mia  bacheca  di facebook

Se un giorno mi vedrai vecchio: se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi... abbi pazienza, ricorda il tempo che ho trascorso ad insegnartelo. Se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose, non mi interrompere... ascoltami, quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti addormentavi. Quando non voglio lavarmi non biasimarmi e non farmi vergognare... ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno. Quando vedi la mia ignoranza per le
nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico ho avuto tutta la pazienza per insegnarti l'abc; quando ad un certo punto non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso... dammi il tempo necessario per ricordare e se non ci riesco non ti innervosire: la cosa più importante non è quello che dico ma il mio bisogno di essere con te ed averti li che mi ascolti. Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo non trattarmi come fossi un peso, vieni verso di me con le tue mani forti nello stesso modo con cui io l'ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi. Quando dico che vorrei essere morto... non arrabbiarti, un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo. Cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive. Un giorno scoprirai che nonostante i miei errori ho sempre voluto il meglio per te che ho tentato di spianarti la strada. Dammi un po' del tuo tempo, dammi un po' della tua pazienza, dammi una spalla su cui poggiare la testa allo stesso modo in cui io l'ho fatto per te. Aiutami a camminare, aiutami a finire i miei giorni con amore e pazienza in cambio io ti darò un sorriso e l'immenso amore che ho sempre avuto per te. Ti amo figlio mio

«Sono l'ultima abitante del paese dove sono nata. Vivo all'antica, coi gatti, senza gas né elettrodomestici. Ma non mi sento sola»

Vive senza gas, elettrodomestici e soprattutto in  solitudine . È la storia di  Anna , ultima abitante del borgho di Mossale Superiore, in p...