13.4.17

care donne II Treviso: "è lui", insegue e fa catturare l’uomo che l’ha stuprata Ventottenne s’improvvisa detective insieme al fidanzato e riconosce un giovane di colore: «È stato lui». Arriva la polizia

N.b
Indipendentemente   dall'appartenenza   etnica   del criminale  in questione  ,  questo  è l'esempio    che  " le  nostre " (  ma non solo  )  dovrebbero  seguire  sia    verso i  partner  ( vedere  prima url  sotto  )    sia   verso gli altri
   
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Ventottenne s’improvvisa detective insieme al fidanzato e riconosce un giovane di colore: «È stato lui». Arriva la polizia 




Lunedì notte era stata violentata, umiliata ed offesa per quasi due ore nei giardini di porta Altinia. Dopo la violenza, la polizia l’aveva soccorsa e all’ospedale i medici avevano confermato gli abusi. Ma lei, nonostante lo choc ed il peso di una così efferata violenza fisica e psicologica, non si è data per vinta ed ha voluto reagire, senza piangersi addosso per una cicatrice che l’ha segnata per sempre. Ha raccontato ai genitori e al fidanzato quello che era successo nella notte tra lunedì e martedì. E all’indomani delle dimissioni dall’ospedale, assieme al fidanzato, si è messa a caccia del suo violentatore. Ha battuto palmo a palmo la zona di via Roma tra i giardini di porta Altinia, Riviera Santa Margherita e i giardinetti di Sant’Andrea. In cuor suo sentiva che lì l’avrebbe trovato. E così è successo.Nel tardo pomeriggio di ieri, dopo qualche ora di ricerche, quando ormai il pessimismo stava per prevalere sulla sua forza di volontà, la giovane donna di 28 anni, che due notti prima, nei 
giardini di porta Altinia, era stata violentata (come confermerebbero i primi esami effettuati al Ca’ Foncello), ha riconosciuto in un uomo di colore il presunto autore degli abusi di lunedì notte ed ha chiamato la polizia. La donna, con il fidanzato, l’ha seguito a distanza, ha tentato di fermarlo, c’è stata anche una colluttazione finché, grazie alle indicazioni via cellulare, la pattuglia della squadra volante l’ha bloccato davanti all’Armeria Piacentini in via Roma. L’uomo è stato poi portato in questura a Treviso dove le procedure di riconoscimento e le verifiche da parte degli investigatori sono continuate fino a tarda sera.
Il fatto è successo pochi minuti prima delle 18. È nella zona dei giardinetti di Sant’Andrea che la 28enne trevigiana, assieme al fidanzato, riconosce in un giovane di colore colui che, tra le 23 e l’una della notte tra lunedì e martedì, l’ha violentata. La giovane prende il cellulare e chiama il 113. «Sono la donna che è stata violentata due notti fa, presto venite in Riviera Santa Margherita: l’ho riconosciuto è qui».
Dalla questura vengono fatte convergere un paio di pattuglie della volante. La 28enne, assieme al fidanzato, lo seguono a piedi e per telefono danno alla centrale le indicazioni sulla via di fuga. In Riviera trovano anche una pattuglia della polizia locale. Anche i vigili fanno la loro parte e si lanciano a piedi all’inseguimento del giovane di colore indicato dalla donna. Il fidanzato riesce anche a bloccarlo. C’è una breve ma violenta colluttazione. Lo straniero riesce a sfuggire. Ma la breve fuga termina in via Roma, davanti all’Armeria Piacentini dove gli agenti della polizia locale e i colleghi della questura, giunti nel frattempo sul posto, bloccano il fuggitivo che viene portato a bordo di una pattuglia della squadra volante nella sede di piazza delle Istituzioni, dove gli accertamenti sono proseguiti fino a tarda sera.




Lo so che molti miei utenti mi diranno che sono buonista o che non parlo dei crimini che gli immigrati commettono e menate varie ma ....

Lo  si che molti miei  utenti mi  diranno che   sono  buonista   o  che  non parlo  dei crimini  che  essi   commettono   e  menate  varie . Ma  : 1)  i crimini  li  pote leggere    su tutti i giornali   sia quelli  populisti e  malpancisti   ma  anche   ni  2)   preferisco   raccontare  anche un altro lato   che   viene   tenuto ai margini   dell'immigrazione 

da http://corrierealpi.gelocal.it/belluno/cronaca/ 11 aprile 2017

LA FESTA DELLA POLIZIA
Meme e Brahima ce l’hanno fatta e si sono integrati
Arrivati come rifugiati hanno studiato e ora lavorano. A entrambi consegnato un attestato per operosità e onestà

                       Roberto Curto



FELTRE. C’è chi ce la fa e si affranca dalla situazione di migrante e rifugiato. Così, ieri mattina, la Festa della polizia, è stata l’occasione per premiare due ragazzi africani, con storie molto diverse, di nazionalità diverse, ma entrambi fortemente motivati a cercare l’integrazione con il territorio che li ha ospitati. Sono Meme Gonbah Toure e Brahima Fofana: il primo della Liberia, il secondo dalla Costa d’avorio. Entrambi hanno ricevuto dal questore Morelli e dal prefetto Esposito l’attestato per operosità e onestà e l’applauso convinto del pubblico presente al Teatro de la Sena. La storia di Fofana, in particolare, dimostra come, con la volontà si possano rompere le barriere della diffidenza e trovare un proprio posto nella realtà locale.
Bisogna metterci impegno e Brahima ce l’ha messa tutta: «Sono arrivato nel 2015 e non appena ho potuto mi sono iscritto al corso serale di scuola media con lezioni al campus di Borgo Ruga perché volevo imparare l’italiano quanto prima possibile. Poi ho preso parte a un corso di formazione organizzato con “Garanzia giovani”, dedicato all’accoglienza turistica, dove oltre alla lingua ho potuto imparare, la cultura, la storia e le tradizioni. Sono stato mandato a fare lo stage in Birreria Pedavena e al termine del periodo di prova il Proprietario, Lionello Gorza, ha deciso di tenermi. Ora lavoro come aiuto in cucina. Mi trovo bene, si lavora sodo ma mi piace. Nel tempo libero mi piace fare sport, soprattutto giocare a calcio».
Lavora anche il liberiano Toure, che subito dopo avere ricevuto il premio si affretta a lasciare il teatro: «Mi aspetta il lavoro nell’orto», afferma. Anche lui, giunto a Feltre alcuni anni fa, ha mostrato la volontà di integrarsi e ha raggiunto il risultato.
Altro momento che ha strappato applausi è stato quello della consegna dell’attestato di “Amica della polizia” alla giovane Caterina e alla sua famiglia. La ragazzina è salita sul palco con il papà e dopo avere ricevuto l’attestato ha risposto con il saluto militare.



Roberto Curto

12.4.17

Solo due spettatori a teatro, l’autrice accusa il sindaco Lo sfogo di Chiara Pasetto: «Amareggiata a vedere tutte quelle poltrone vuote». Il sindaco Zocca: «Mi rammarico, ma il Comune non può rispondere dei gusti del pubblico»



invece di trovare un capro espiatorio fatti un esame di coscienza . Non è che la tua opera fosse un mattone o magari tu reciti da cane , o l'hai promossa male ?


POLEMICA A SAN MARTINO
Solo due spettatori a teatro, l’autrice accusa il sindaco
Lo sfogo di Chiara Pasetto: «Amareggiata a vedere tutte quelle poltrone vuote». Il sindaco Zocca: «Mi rammarico, ma il Comune non può rispondere dei gusti del pubblico»


L'attrice Lisa Galantini in scena nello spettacolo "Moi" di Chiara Pasetti

SAN MARTINO. Organizza la messa in scena del suo spettacolo al teatro Mastroianni di San Martino Siccomario e si ritrova con due persone in sala. È successo l’altra sera a Chiara Pasetti, giornalista, scrittrice e autrice del monologo “Moi” sulla figura di Camille Claudel, la scultrice francese morta nel 1943, sorella del poeta Paul Claudel e compagna del grande scultore Auguste Rodin. Da mesi aveva programmato la data; dopo la deludente risposta di pubblico, ha deciso di fare le sue rimostranze all’amministrazione comunale della cittadina e ai media locali.
«Lo spettacolo, in tournée da diversi mesi, è andato in scena al teatro Coccia della mia città, Novara, davanti alle autorità e a tantissimi amici, colleghi, professori, soci dell'associazione culturale “Le rêve et la vie” che rappresento e che insieme al Teatro della Tosse di Genova ha prodotto lo spettacolo - dice Chiara Pasetti - La sera dopo, invece, nonostante le presentazioni e il fatto che un amico avesse stampato diverse locandine a sue spese a San Martino Siccomario in sala c’erano due persone. L’attrice Lisa Galantini ha deciso di recitare lo stesso, dimostrando coraggio e professionalità, ma io sono rimasta amareggiata da questo trattamento, credo che sia mancato qualsiasi tipo di supporto da parte dell'assessore comunale alla Cultura Stefania Zanda, che da mesi era a conoscenza della serata. L’ho chiamata il giorno dopo, e non solo non si è scusata ma ha chiuso la conversazione».

Varese, in scena senza pubblico "per amore del teatro": lo spettacolo che nessuno ha vistoNessuno è andato a vederlo, ma ora non si fa che parlare di lui. E' l'attore Giovanni Mongiano, protagonista dello spettacolo 'Improvvisazioni di un attore che legge' e direttore artistico di TeatroLieve, rimasto solo sul palcoscenico del teatro del Popolo di Gallarate, in provincia di Varese. E' voluto andare in scena nonostante non fosse stato venduto neanche un biglietto. Con lui, c'erano il tecnico delle luci e la cassiera. "L'ho fatto solo per l'amore e la passione per il teatro - dice l'attore - e per il desiderio di andare in scena ugualmente. Ho recitato al meglio delle mie possibilità, e se non lo avessi fatto me ne sarei pentito amaramente e non avrei dormito la notte". Così sulla sua pagina Facebook aveva presentato lo show, con una frase che spiega tanto: "Come dice il personaggio dello spettacolo 'Se solo riuscissi a dire al mio cuore, arrenditi! E' che non ce la faccio... E' come se avessi i piedi incollati a queste tavole del palcoscenico!"
La lettera di protesta è arrivata anche al sindaco di San Martino Siccomario, Alessandro Zocca, che ha risposto così. «Il nostro Comune è estremamente sensibile alla promozione e alla diffusione dell'arte e della cultura e in quanto rappresentante della comunità, non posso che rammaricarmi per la mancata partecipazione di pubblico allo spettacolo di giovedì sera. Da quando amministriamo è la prima volta che uno spettacolo organizzato direttamente con associazioni del territorio veda una partecipazione così esigua».L’assessore Zanda precisa: «Lo spettacolo non aveva il patrocinio del Comune ed era stato programmato nel nostro teatro c in maniera autonoma, da parte della signora Pasetti e dell’associazione “Le Rêve et la vie”». Pertanto, pur avendo promosso lo spettacolo presso amici e conoscenti, come avrebbe fatto qualunque altro cittadino, mi ritengo estranea alla polemica». Quanto alla telefonata, «ho ritenuto opportuno interromperla per l’aggressività con cui la signora Pasetti si stava rivolgendo a me».
Marta Pizzocaro

la musica indipendentemente dal genere e dalla qualità fa parte della nostra vita nel bene e nel male ......


.... prima di riportare queste due storie spero di riuscire a rispondere ( all'altra se lui vuole ci penserà Criap ) a chi mi chiede : << perchè ui colonne sonore , perchè suggerisci musiche , fai riferimenti indiretti a canzoni , due racconti storie di canzoni artisti e altro , segnali libri musicali o attinenti ad esso come quello di cristian porcino >> .


Perchè Raccontare il mondo po le proprie esperienze ed stati d'animo attraverso le canzoni tì ( almeno per me è cosi ) aiuta ad esprimere meglio le tuer emozioni \ sentimenti . Raccontare quelle storie piccole che non conosce nessuno, gli universi più discreti, che non fanno notizia ma hanno tanto da dire, la quotidianità silenziosa di chi a volte è dimenticato, di chi solitamente non è ascoltato. Significa anche tornare alle origini capire chi siamo e dove stiamo andando , formare o rafforzare una propria identità , ecc 


La musica << fa il resto, colonna sonora di un mattino all'asilo in mezzo ai bambini o di un pomeriggio alla casa di riposo con nonni che non si ricordano più cosa hanno fatto il giorno prima ma "Bella ciao" te la sanno cantare dalla prima all'ultima strofa senza indugi. Si chiama Giving Voice, il progetto di Radio LiberaMente Modena. >> (Gazzetta di Modena)







ecco le storie a cui faccio riferimento

La prima  

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Modena, Federica Cipolli: una vita in musica iniziata a 4 anni
Recital e insegnamento per la pianista ora scelta come maestro collaboratore al Belli di Spoletodi Giovanni Balugani




MODENA. Di solito i grandi musicisti crescono in famiglie in cui la musica è parte integrante della vita dei genitori. Ma per Federica Cipolli non è stato così.
La propensione per la musica è stata per Federica qualcosa di naturale e non di imposto o derivante dalle abitudini di chi l’ha cresciuta. E così, che fare quando una bambina di 4 anni mostra un’attrazione naturale verso la musica? Quando canticchiando qua e là, in giro per casa, è palese che la voce di quella bambina sia speciale?
I genitori di Federica non hanno avuto dubbi: l’hanno avvicinata ulteriormente alla musica, aiutandola a coltivare quella passione che poi nel corso degli anni sarebbe diventata la sua vita. Ed è così che a soli 4 anni ha iniziato a prendere lezioni di pianoforte, a esibirsi davanti a un pubblico e a partecipare a selezioni ed audizioni. Allenandosi anche sette o otto ore al giorno, perché il trasporto della mente e del cuore superavano anche i limiti del fisico. Tanto che a 14 anni Federica ha trascorso un’estate intera a suonare in preparazione di un esame, chiedendo troppo alle sue mani e ritrovandosi a doverle fasciare per proteggere i tendini.
Il lavoro, però, paga. A 20 anni si è laureata in pianoforte, all’Istituto Superiore di Studi Musicali Vecchi-Tonelli di Modena. Per poi entrare nell’accademia diretta da Mirella Freni.l lavoro, però, paga. A 20 anni si è laureata in pianoforte, all’Istituto Superiore di Studi Musicali Vecchi-Tonelli di Modena. Per poi entrare nell’accademia diretta da Mirella Freni.







Federica al piano suona LisztEcco uno dei due brani (Chapelle de Guillaume Tell, Liszt) con cui Federica Cipolli, pianista modenese 25enne, ha superato le audizioni per diventare maestro collaboratore al teatro "Belli" di Spoleto. Una vita dedicata alla musica quella di Federica, che suona da quando ha 4 anni. 
Ora per Federica si apre una nuova esperienza. Da qualche giorno si trova a Spoleto, in Umbria, dove sarà maestro collaboratore al teatro lirico sperimentale “Belli”: «Sono emozionata - 


racconta - e riuscire a superare la selezione non è stato semplice. Ho affrontato l’audizione il 30 maggio. Eravamo 50 pianisti provenienti da ogni angolo del mondo e i posti erano 10. Ce l’ho fatta e per me è stata una soddisfazione unica, anche perché sono la seconda più giovane tra i selezionati». Federica resterà a Spoleto fino ad ottobre e il suo compito sarà quello di preparare i cantanti durante le sessioni di prova: «Ma ho già chiesto qualche permesso per rientrare a Modena, perché dovrò suonare durante alcune serate dell’estate modenese».
Quando Federica parla è fin troppo semplice riconoscere l’amore per la musica e nella musica ha scelto l’amore, quello vero: «Sono monotematica, lo ammetto. Mio marito è un direttore d’orchestra e quindi la musica pervade a 360 gradi la mia vita. Per me suonare non è un lavoro, è un modo di vivere, è qualcosa che ti accompagna durante tutto il giorno. Che cosa ascolto? Classica, opere. Ma in qualche viaggio, quando io e mio marito vogliamo staccare un attimo, ascoltiamo Elio e le storie tese: testi demenziali, ma musica di valore».
Federica è energica e mentre si racconta candidamente confessa: «Nel periodo dell’accademia, durante le pause pranzo fuggivo per sostenere qualche esame». Ride.
Quali esami? «Diciamo che ho voluto accontentare i miei genitori e così mi sono iscritta a Scienze Giuridiche, studiavo di notte e ho conseguito la laurea triennale. E poi anche la magistrale in Public Management, sempre con lode. La musica è un lavoro stupendo, ma fragile. Non si sa mai se ti consentirà di vivere o meno e quindi ho pronta un’alternativa nel caso in cui la strada del pianoforte, economicamente parlando, si dovesse interrompere».
Quindi 25 anni, trilaureata, impegnatissima sul piano lavorativo, ma con anche un occhio verso il prossimo: «Insegno musica ai ragazzi, in particolare alle scuole Paoli nel progetto di musica pomeridiano. Adoro trasmettere la passione per la musica ai miei studenti, ma attenzione non significa imporla. Il mio compito è quello di fornire loro gli strumenti per comprendere la musica e di poter utilizzare tali strumenti a loro piacimento nel corso della vita. È bello sapere che se un giorno ascolteranno una canzone avranno il bagaglio di conoscenze necessario per potersi andare a cercare lo spartito, leggerlo e replicarlo con un pianoforte o una chitarra».
Una scelta, quella di conoscere la musica, che Federica fece autonomamente a quattro anni. E che da 21 anni la accompagna fedelmente.


la  seconda   storia

Modena, “Mani bianche”, cantare a gesti
Nasce a Modena Est un coro che coinvolge udenti, non udenti e persone con altre disabilità
di Martina Stocco


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MODENA. La musica, si sa, da sempre unisce e crea momenti di condivisione, ma in questo caso ancora di più. Di cosa stiamo parlando? Della realizzazione a Modena del progetto coro Mani Bianche, già attivo in altre città. Questo particolare coro, i cui corsi saranno svolti alla polisportiva di Modena Est, a partire da aprile, vedrà la partecipazione sia di bambini sia di adulti.



Tuttavia, la specificità del gruppo corale sarà la presenza sia di persone udenti sia non udenti o aventi altre disabilità. Com’è possibile realizzare un’attività simile ce l’ha spiegato Maria Pia Milani, neuropsichiatra infantile e volontaria del progetto. «Innanzitutto bisogna sottolineare che a Modena verrà importata la realtà dell’associazione Mani Bianche di Roma - ha detto Milani - che da tempo si occupa di questo genere di attività. Il coro Mani Bianche di Roma è un coro misto, dove bambini che possono utilizzare la voce cantano assieme ad altri che presentano, invece, deficit uditivi».
Esigenze e abilità differenti, come si amalgamano nello stesso coro?
«I ragazzi che fanno parte del coro Mani Bianche si esprimono attraverso la gestualità delle mani - ha spiegato la neuropsichiatra -indossano dei guantini bianchi, appunto, per metterne in evidenza il movimento. Non è un vero e proprio linguaggio dei gesti. Le parole delle canzoni non vengono tradotte alla lettera, ma vengono compiuti dei movimenti attraverso cui la musica viene interpretata: ciò che traspare è l’emozione. Il canale di comunicazione privilegiato non è, dunque, quella verbale».
Da Roma a Modena, com’è avvenuto il passaggio?
«Attraverso un passaparola, tra diverse persone, è nata l’idea - ha risposto l’intervistata - di poter realizzare questo coro anche in città».
Lo scorso gennaio si è svolto a Modena un corso teorico e pratico, della durata di due giorni, riguardante l’attività delle Mani bianche. Nell’occasione sono state individuate persone con diverse professionalità (musicisti, interpreti del linguaggio dei segni, neuropsichiatri) che possono, sull’esempio romano, ricreare quell’ambiente di condivisione. Mancava ancora un luogo dove poter svolgere l’attività corale: la scelta è ricaduta sulla polisportiva di Modena Est. «Spazio in polisportiva ce n’è a volontà - ha raccontato Ivan Baracchi, il presidente dell’impianto sportivo - e poi, quando abbiamo conosciuto le motivazioni del progetto, come l’inclusione e l’integrazione delle persone diversamente abili attraverso l'esperienza corale, non potevamo fare altro che sostenerlo. I ragazzi che vorranno partecipare al corso, lo potranno fare gratuitamente presso gli spazi della polisportiva. Oltre a questo, inizieranno a breve, tante altre attività». «Il coro Mani Bianche - ha concluso Milani - è ispirato all’esperienza venezuelana dove sono stati creati diversi cori di questo tipo. L’intento del governo, nell’ambito del programma di educazione, era di ridurre i livelli di criminalità attraverso la musica. Iniziarono ad impartire lezioni gratuite di musica e a mettere strumenti a disposizione dei giovani».

Il mulino, antico e moderno al tempo stesso, nato in Calabria grazie a Facebook Il mulino, antico e moderno al tempo stesso, Con il crowdfunding raccolto mezzo milione di euro. L'obiettivo: macinare grani antichi con un mulino a pietra. E già si punta a un franchising nazionale, con una prima succursale in procinto di aprire in Val d'Orcia.

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da repubblica del 10 aprile 2017

Il mulino, antico e moderno al tempo stesso, nato in Calabria grazie a Facebook
Con il crowdfunding raccolto mezzo milione di euro. L'obiettivo: macinare grani antichi con un mulino a pietra. E già si punta a un franchising nazionale, con una prima succursale in procinto di aprire in Val d'Orcia. 

                                di CHIARA SPAGNOLO

§
Il pane appena sfornato (foto tratte dalla pagina Facebook  del mulino ) 

Il sogno di Stefano Caccavari era macinare grani antichi in un mulino a pietra: niente rulli né calore, per non scaldare il grano e produrre farine pure come quelle di cento anni fa. Per realizzarlo ha cominciato cercando soci tramite un post su Facebook e mettendo a disposizione un terreno di famiglia a San Floro, alle porte di Catanzaro. In quarantotto ore il crowdfunding ha fruttato 72.000 euro, in tre mesi mezzo milione, sufficiente per trasformare il sogno in realtà. O meglio, realizzarne la prima parte, perché poi l’entusiasmo ha chiamato altre idee e, dalla nascita del mulino alla creazione di un marchio vero e proprio, il passo è stato breve.

I protagonisti del progetto

La storia di Stefano - studente ventisettenne di economia aziendale a un passo dalla laurea - incrocia tradizione e visione strategica del futuro, solide basi di un’attività agricola che la famiglia porta avanti nelle proprietà di San Floro da trecento anni, e uso spregiudicato delle tecnologie più moderne. A partire dai social network per promuovere l’impresa. Su Facebook è iniziato tutto il 14 febbraio 2016 e, di post in post, in tre mesi è stata raccolta la cifra necessaria, in quattro mesi è stato costruito il mulino, interamente di legno e con tecniche edilizie biocompatibili, senza neppure un centesimo di fondi pubblici.
A mettere soldi e passione 101 soci, molti calabresi ma anche stranieri, con donazioni da 10.000 euro arrivate persino dalla Svizzera e dagli Stati Uniti. Fino al taglio del nastro, avvenuto il 31 gennaio scorso, e le macine che hanno preso a muoversi. Per la fase di start up sono stati utilizzati 200 quintali di grano Senatore Cappelli coltivato dalla famiglia Caccavari nei terreni di San Floro - dove esiste anche un orto sociale con 150 soci - e altrettanti di qualità Verna, provenienti da due aziende agricole di Camigliatello Silano (Cosenza), le cui farine sono già in distribuzione. Mentre per l’anno prossimo si prevede di macinare quantità molto più consistenti, grazie al grano che venti aziende calabresi stanno coltivando, con i semi messi a disposizione da Mulinum.
L'interno della struttura

“Trentamila euro sono stati spesi per acquistare semi di grano antico dal Consorzio abilitato - spiega Stefano - a giugno inizierà il raccolto e poi la macina”. La pietra è l’elemento da cui inizia questa storia coraggiosa, ma anche il punto del non ritorno, ciò che fa la differenza tra i prodotti Mulinum e quelli industriali. “La pietra macina in purezza - racconta - in un processo lento e a freddo, che non scalda il grano e non ne brucia le vitamine. Al contrario, i mulini a cilindri, venti volte più veloci, utilizzano rulli elettrici che producono calore. Le farine nate così sono più raffinate e meno nutritive. Non è un caso che i prodotti industriali abbiano una lunga conservazione mentre quelli nati dal mulino a pietra durino al massimo tre mesi”.
E se il ritorno alla tradizione è funzionale al recupero di prodotti alimentari più sani, la scelta di fare questo esperimento in Calabria è la scommessa di chi non vuole lasciare la propria terra. Stefano infatti è riuscito a riportare a casa altri giovani costretti a emigrare per cercare lavoro, come Santo e Simone, che hanno lasciato il ristorante di Londra in cui erano impiegati stabilmente come cuochi per diventare pizzaioli al Mulinum. Oppure Gualtiero, che si era sistemato in un forno a Roma e ha colto al volo la possibilità di tornare ai ritmi lenti e all’aria buona della sua regione. In totale sono cinque i dipendenti del Mulinum, la piccola impresa meridionale (a cui collaborano anche Massimiliano Caruso e Gianluca Perrella) che raccoglie consensi da tutti coloro che ci hanno a che fare, siano aziende o consumatori.
Dopo aver iniziato con le farine è stato naturale passare alla produzione di pane, pizza e dolci, la cui vendita on line oggi non riesce a soddisfare la domanda. I cento chili di pane “brunetto” sfornati quotidianamente vengono spediti in tutta Italia e l’idea di un franchising comincia a serpeggiare sempre più spesso sulle colline di San Floro, dove si valutano progetti giunti da tutta Italia, a partire dalla prima succursale della Mulinum Spa, che dovrebbe aprire in Val d’Orcia, e per la quale è stato lanciato un altro crowfunding che ha consentito di raccogliere in pochi giorni il 70% dei fondi necessari. La caccia agli investitori per i mulini da costruire nelle altre regioni è partita.

eccellenze italiane


da repubblica  del  11 aprile 2017

chef dell'Imàgo di Roma le studia da tantissimi anni. Ha al suo attivo non solo molte ricette che le utilizzano, ma ha creato blend originali con un continuo lavoro di ricerca. Seguici anche su Facebook 

di MANUELA ZENNARO

Usate singolarmente o sotto forma di blend, le spezie donano personalità a ogni piatto, aromatizzandolo con leggerezza. “Chi impara a conoscerle non le lascia più”, parola di Francesco Apreda. Dodici anni di consulenze in India, all’Oberoi, e una grande passione per i mercati. Sono questi i motivi che hanno spinto Francesco Apreda, chef del ristorante Imàgo all’Hotel Hassler di Roma, a trasformarsi in un “mago delle spezie” nostrano, contaminando la sua cucina con gli aromi d’Oriente. Al ristorante, come a casa.
Alcuni dei blend di Apreda

“L’utilizzo delle spezie in India è molto diverso rispetto all’Italia – spiega Apreda -. Esistono tantissimi blend, e ogni piatto ha numerosi componenti proprio grazie alla presenza di una grande quantità di spezie. Mi sono immerso in questo mondo molto particolare, ma all’inizio è stato devastante. Il mio palato non era allenato, mi sembrava tutto eccessivamente piccante, non capivo come si potesse mangiare in un modo simile. Anno dopo anno, sono riuscito a comprendere e amare questi ingredienti. Mi ha aiutato frequentare i mercati indiani, conoscere i blend, e per fare questo sono anche entrato nelle case di alcune persone che mi hanno spiegato come curavano le loro spezie. Da lì è nata la voglia di creare delle miscele personali, così ho iniziato con pepi e sesami, un blend composto da 5 tipi di pepe, e altrettanti di sesamo. Mi è riuscito molto bene, sono riuscito a bilanciare la parte grassa del sesamo con l’aggressività del pepe, facendo sprigionare tutti gli aromi. Incoraggiato dal risultato, ho creato altri blend, e a quel punto ho studiato un menu apposito e l’ho chiamato Sapori di viaggio, dove ad ogni portata corrisponde un blend diverso”.
Alcuni diffidano dalle spezie, convinti di trovarsi al cospetto di un ingrediente dittatore, che prevarica ogni altro sapore presente in un piatto. Altri subiscono un antico retaggio secondo cui la spezia veniva utilizzata come conservante, spesso per coprire lo sgradevole sentore emanato da un alimento non proprio freschissimo. “La spezia è complicata – prosegue lo chef - se mal dosata sovrasta ogni cosa e rovina il piatto, ma se si riesce a bilanciarla, al contrario esalta gli altri ingredienti. Quando prepariamo un piatto non immaginiamo di poter usare 5 – 6 tipi diversi di spezie. Ma se facciamo come in India, dove per fare un soffritto usano semi di senape e coriandolo, bucce di lime, foglie di kefir, foglie di curry, possiamo ottenere una miscela incredibile. Quando si creano i blend, la cosa più difficile è rendere distinguibili 8 – 9 sapori all’interno di una polverina. Il segreto è provare, cercare di adeguare le miscele al proprio palato”.
Chef Francesco Apreda

Come fare per abbinare l’universo delle spezie ai sapori di casa nostra? “Non bisogna spaventarsi – continua Francesco Apreda -. Se scegliamo un cardamomo verde, possiamo utilizzarlo come fosse basilico, grazie al suo sentore fresco
.Io consiglio di assaggiare la spezia da sola. In questo caso, basta aprire il baccello del cardamomo, e mettere qualche seme sulla punta della lingua. Questa spezia è perfetta nei casi in cui si ha bisogno di freschezza, ad esempio se nel piatto c’è una componente grassa molto decisa. Chiunque a casa può usare una polvere di curcuma, un cardamomo, dei semi di coriandolo, basta assaggiare queste spezie da sole, prima di usarle. Un esempio pratico: qualche anno fa ho scoperto il cardamomo nero, diverso da quello verde, si coltiva prevalentemente in Nepal. Si tratta di una spezia particolare perché è grande, e viene tostata ed essiccata sui carboni ardenti, cosa che conferisce un sentore affumicato. Quando l’ho annusata la prima volta, sembrava quasi un tè, poi assaggiandola aveva sentori di canfora, melissa, il tutto molto fresco, e allo stesso tempo affumicato”.
Come l’ha usata? “Ho pensato di provare il cardamomo nero a casa, in un’insalata di pomodori – ricorda lo chef -. Ho aggiunto cipollotto e provolone, ed era perfetta. In questo semplice piatto abbiamo l’acidità del pomodoro, la grassezza del provolone, e la freschezza della canfora arricchita dal sentore affumicato che, se ben calibrato, veicola tutti gli altri aromi. Subito dopo ho pensato di usare la spezia per preparare un risotto con pomodorino giallo, ed è nato un piatto profumato e gradevolissimo”. Esiste una stagionalità per le spezie? “In qualche caso sì, anche se la maggior parte delle spezie in circolazione sono secche. È ovvio che un cardamomo preso in India nella sua stagione, ha un sapore diverso da quello che qui acquistiamo in polvere, e che spesso ha perso parte del suo vigore”. 
Dalla primavera aumenta la voglia di una cucina leggera, e in questo caso le spezie possono essere un aiuto perché danno sapore, senza appesantire. “In questo momento va molto di moda la curcuma – prosegue Apreda -. A casa la uso sempre. Si trova in polvere, e ha un aroma fantastico, leggermente piccante. Può essere utilizzata ovunque, senza timore, anche aggiungendola alla salsa per una pasta, oppure a una zuppa fresca di piselli. Ripeto: bisogna essere aperti verso questi ingredienti, e soprattutto bisogna provare, assaggiare. Tornando alla curcuma, oramai è diventata parte integrante della cucina dell’Imàgo, ma anche di quella di casa mia. Prima utilizzavo solo origano secco, capperi e così via, ora non ho fatto altro che aggiungere altri elementi. Altro esempio sono le stecche di cannella, che possiamo grattugiare ovunque. Conferiscono una dolcezza molto gradevole, così come la vaniglia e l’anice stellato”.
Sembra quasi un universo sconfinato, come è possibile orientarsi? “ Internet aiuta molto. Di spezie ce ne sono tantissime – aggiunge Francesco Apreda - in questo momento mi sono appassionato alle foglie di curry, una pianta che cresce nel sud dell’India e ha un sentore limonato e speziato. Si chiamano curry leaves e non hanno nulla a che vedere con il curry che noi conosciamo. Inoltre consiglio il kefir, foglie di lime thailandese che sprigionano un aroma a metà tra limone e lemongrass, molto fresco e intenso, perfetto per una zuppa di cocco e verdure, ma anche in una semplice salsa di pomodoro, per dare quel tocco aromatico in più”.


Dove nascono i taralli (veri) che vanno per il mondo L'eccellenza pugliese si racconta
Scopriamo tutti i segreti della produzione del prodotto da forno tipico della Puglia.

 


 anche se    secondo questi commenti    che  trovate  all'interno dell'articolo


Questi taralli qui fotografati non sono del Nord della Puglia e non sono assolutamente artiganali, da noi si fanno molto grandi almeno quanto un palmo della mano.Nella precedente risposta ho anche specificato i vari tipi di taralli. bisogna visitarli i posti e accertarsi dei prodotti locali prima di fare affermazioni non veritieri o comunuque fuorvianti, Andate a Deliceto e vedete come sono i taralli.
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forse sarebbe opportuno specificare che ci sono vari tipi di taralli: nel nord della puglia e precisamente nel foggiano sui monti dauni si fanno " li scallatièdd " cioè taralli che si fanno con farina di grano duro 0' ci vogliono circa 26 ore prima che si possono mangiare perché s'impastano con farina , acqua e olio di oliva , si fanno tanti rotolini sottili e si chiudono a cerchio e poi si fanno bollire. Dopo la bollitura si appendono su delle canne lunghe per farli asciugare 24 ore . Il giorno dopo, ben asciutti si portano al forno per farli cuocere. I taralli invece sono quelli che appena impastati e data la forma si portano direttamente al forno senza farli bollire. Poi ci sono i taralli con le uova tipici della pasqua, si aggiungono le uova all'impasto precedente e i rotolini sono, come spessore, tre volte "li scallatièdd" e si portano subito al forno. Qualcuno li fa anche con la glassa


i taralli che rappresentate nella foto non sono i taralli da forno!! e non sono di origine artigianale,perche' fatti a macchina in serie e sono i taralli bolliti diffusi molto nella zona a nord della Puglia
nella restante parte della puglia e piu' nel SALENTO i taralli da forno artigianali si fanno come tradizione vuole con la fartina di grano duro e olio extravergine di oliva il tutto impastato rigorosamente a mano.
I

anche nel Barese, non solo nel Salento
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storie normali per gente speciale ., storie speciali per gente normali . dedicato a tutti i malpancisti e ai destrosi che vedono solo un latro dell'immigrazione e della povertà

Anche se    per  quanto riguarda la prima  storia    viene  considerata  " buonista " ed  ipocrita   isa  in maniera  civile   ed  educata    o altre  in maniera  al limite  del nazionalismo   più  becero vicino al becero   razzismo  e  populismo   come potete  vedere  dai commenti  all'indirizzo internet del  video   sotto riportato





I migranti che puliscono le strade di Roma: "Lo facciamo per dire grazie"
Sempre più spesso per le vie di Roma si incontrano ragazzi stranieri intenti a pulire le strade armati di scopa e paletta, in cambio chiedono un contributo volontario. Ci hanno raccontato perché.

    

  la  seconda  storia     avviene



Nell'antico complesso ospedaliero del San Gallicano, che ospita il centro "Genti di Pace" della Comunità di Sant'Egidio, è entrato in funzione un servizio di lavanderia offerto gratuitamente alle persone senza fissa dimora. Nei locali adibiti al servizio, che sarà aperto quattro giorni a settimana, si trovano sei lavatrici e sei asciugatrici, con ferri da stiro, sapone e ammorbidente e proprio i volontari della comunità di Sant'Egidio si occuperanno di gestire la lavanderia. "Chi è venuto qui ha detto di sentire profumo di casa. In fondo è quello che noi vogliamo offrire, essere accoglienti come in una casa" spiega Massimiliano Signifredi della comunità di Sant'Egidio


11.4.17

Dal Brasile ad Annone per trovare la casa lasciata dal trisnonno Il dottor Carlos Scaramuzza ha voluto rivedere l’abitazione dove viveva il proprio avo che emigrò dall’Italia a fine ’800

   Questa   storia  presa   da http://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/  del 11\4\2017   è simile    al finale   di questo  bellissimo   libro 
Libro La frontiera scomparsa Luis Sepúlveda

  
Dal Brasile ad Annone per trovare la casa lasciata dal trisnonno
Il dottor Carlos Scaramuzza ha voluto rivedere l’abitazione dove viveva il proprio avo che emigrò dall’Italia a fine ’800 di Alessio Conforti


ANNONE. Alla fine dell’ottocento una parte della sua famiglia partì da Annone per trasferirsi in Brasile, alla ricerca di un futuro miglioreda. E a distanza di tanti anni, colto dalla curiosità di andare alla ricerca delle proprie origini, ha deciso di tornare indietro per scoprire i luoghi lontani dove dimoravano i suoi avi. Riuscendo a trovare (e a visitare, grazie alla disponibilità degli attuali proprietari) proprio quella casa da dove tutto ebbe inizio: una bellissima abitazione situata in via Trento ad Annone, a pochi passi dal centro cittadino.
L’arrivo in Veneto Orientale nei giorni scorsi del dottor Carlos Alberto De Mattos Scaramuzza, biologo e direttore del settore sostenibilità ambientale del ministero dell’Ambiente brasiliano, è stato di quelli che non solo lui stesso non dimenticherà mai, ma anche gli abitanti del piccolo comune. L’abitazione in questione si sviluppa su tre piani, proprio come un tempo. Il padre del dottor Scaramuzza, Alberto Elio, 83 anni, la cerca dal lontano 1945 e Carlos, dopo anni di ricerche, decide di farsi avanti. Un anno e mezzo fa, nel corso di una precedente visita, l’uomo chiese aiuto al sindaco Ada Toffolon. «Ci siamo incontrati e ci confidò di essere alla ricerca delle sue origini», spiega il sindaco Ada Toffolon, «ed in particolar modo del suo trisavolo che partì da Annone per il Brasile alla fine dell’Ottocento. Con se aveva una foto dell’abitazione», continua il sindaco, «che diede i natali a Giuseppe Domenico Berti, suo trisnonno. Il ceppo dei Berti, tra l’altro, è molto radicato proprio ad Annone. L’immagine in questione ritrae una casa ai tempi della Grande Guerra, credo durante l’occupazione austriaca».
Il primo cittadino, ancora nel 2016, si mette quindi sulle tracce della dimora e dopo una serie di verifiche con gli uffici competenti riesce ad individuarla, contattare i proprietari e organizzare una visita ad hoc. L’appuntamento è per giovedì 6 aprile e l’atmosfera è quella delle grandi occasioni. Carlos Alberto arriva ad Annone con la famiglia e ad attenderlo c’è una delegazione comunale capeggiata dal sindaco ma soprattutto dal proprietario attuale della villa, che poco dopo apre le porte di casa sua per la felicità del brasiliano.
«Non riuscivo a crederci», ci confida qualche ora dopo Carlos, «perché alla fine sono riuscito a coronare il sogno di papà ma anche mio. Un obiettivo che lui si era prefisso fin dal dopoguerra e che negli anni era continuato con diversi viaggi in Italia. Ora», promette il dottor Scaramuzza mentre è sul viaggio di ritorno verso Brasilia, città dove vive, «tornerò sicuramente quanto prima proprio con mio padre, forse già entro la fine dell’anno. Sarebbe la terza volta in due anni». Ad Annone la sua visita non è passata inosservata e per qualche istante la comunità si è trasformata in un collante di generazioni passate, un filtro tra Veneto Orientale e la città d’oltreoceano. Ed ora,
quella casa, potrà diventare un simbolo importante per tutti: quella foto, che risale a 72 anni fa, entrerà negli annali del Comune e farà parte di un più ampio progetto culturale che l’amministrazione comunale realizzerà per rievocare il tema della Grande Guerra.












comunale realizzerà per rievocare il tema della Grande Guerra.

Tra granite filippine e vodka-kalashnikov: articoli insoliti nei negozi etnici modenesi Sugli scaffali o nei banchi frigo si possono trovare prodotti tipici e originali giunti dai paesi più lontani

Storie  come questa   che riporto  sotto  , presa  dalla   gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca del 11\4\2017,   mette in evidenza   come  ormai  il nostro  paese  sia sempre  più  multi etnico  in  culo : sia  alla destra   più becera ed estrema  (   casa pound   e   lega  )   sia   ai  vari governi specie    quest'ultimi  che  non  vogliono per  noi perdere  i voti   dei  malpancisti   concedere la cittadinanza  ai figli di stranieri    che  sono nati  qui  e   stanno in italia  d'anni  e  li lasciano   in uno stato  di Apolidia  . 
 Ma  ora    basta polemiche  e  veniamo all'articolo 


Tra granite filippine e vodka-kalashnikov: articoli insoliti nei negozi etnici modenesi
Sugli scaffali o nei banchi frigo si possono trovare prodotti tipici e originali giunti dai paesi più lontani 


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Dal bazaar al night shop alla macelleria: gestiti da stranieri e sempre aperti Privilegiano gli alimentari, ma c’è chi fa affari soprattutto con alcol a basso costo






MODENA. Tornando dalla zona Tempio verso la stazione ci imbattiamo nel Mix Markt di Oksana e Igor Vatsovskyy che serve la sarma e la pastourma, entrambe alimenti con varianti rinvenibili in tutti i paesi dell'ex Impero ottomano. La prima è una foglia di vite che avvolge della carne e del riso speziato, la seconda è una specie di bresaola consumata dal Levante fino ai Balcani, passando per la Turchia e l'Armenia. Il Mix Markt è una catena presente in varie città del nord Italia. A Modena è gestita da una coppia di ucraini. All'interno è il trionfo del colesterolo: insaccati di maiale, salumi di ogni tipo, salsicce con l'aglio e il peperoncino. E poi acciughe, aringhe, sottaceti, crauti, cetrioli, alimenti molto salati che si accompagnano all'ampia scelta di birre e spiriti dell'est Europa. «Il nostro negozio è specializzato in alimenti dell'Europa orientale, qui vengono a fare la spesa le comunità slave di Modena, non vengono mai arabi o turchi perché sono musulmani e noi vendiamo maiale e alcolici», dice Oksana. Accanto alle vodke russe e all'ucraina Nemiroff, ci sono le birre chiare, rosse e scure Obolon e Lvivkse. Oltre alle matrioske posizionate sugli scaffali alti, ci sono altre curiosità un po' kitsch come la vodka imbottigliata in un contenitore a forma di kalashnikov o a forma di porsche.
Oltre al cavalcavia di viale Mazzoni, che spezza in due la città e la linea ferroviaria, c'è il Cina Africa Market in via Canaletto, a fianco della Coop. Qui si vende di tutto: dalle valigie ai detersivi, dalla biancheria intima alle immancabili birre, consumate sul piccolo piazzale antistante. Il personale è interamente cinese e in molti non parlano l'italiano ma tutti sanno fare i conti, addizioni e sottrazioni.
Continuando verso il centro storico incrociamo il Minimercato di Mohammad Abdul Hashem in via Selmi, uno dei tanti fruttivendoli gestiti da cittadini del sub-continente indiano: pachistani e bengalesi in particolare. «I prodotti più venduti sono la frutta e gli alcolici, non siamo propriamente un negozio etnico poiché vendiamo principalmente prodotti italiani», dice Mohammad che viene dal Bangladesh. «I migliori affari li facciamo nelle stagioni miti quando le persone acquistano birre per berle nei parchi o per strada», ammette candidamente l'uomo che ha una storia particolare alle spalle. «Ho aperto questo negozio nel 2012, prima abitavo a Tripoli e fui sorpreso dalla guerra civile. Dovetti scappare, le bombe non aiutano il commercio, prima della guerra civile per noi bengalesi la Libia era una meta ambita per fare business».
Un altro “night shop” degno di nota è quello in via Carteria, nel cuore della città, a pochi passi dal Duomo, gestito da un cittadino bengalese. Il quartiere è stato riqualificato impiantando micro-gallerie d'arte e piccole boutique di moda. Durante gli eventi della movida locale, c'è la fila davanti a questo “night shop” che vende praticamente soltanto alcolici ai giovani creativi della zona. «Una birra media al pub costa almeno cinque euro, qui costa un euro e trenta centesimi», dice un giovane cliente italiano.
Superando il centro storico, in viale Buon Pastore, troviamo l'unico negozio di alimentari filippino, una comunità che conta 3300 residenti nel territorio modenese. Qui i prodotti, quasi solo alimentari, sono completamente diversi dal resto dei negozi etnici della città. Per palati diversi, ecco i sapori esotici dal profondo sud-est asiatico. Il negozio, aperto nel 2015, è di Angelito De Peralta, un uomo di 50 anni emigrato a Modena nei primi del 2000. «Vendiamo solo specialità filippine come l'espasol, la torta di riso, l'ensaymada, una specie di brioche, l'adobo, un piatto di carne marinata e molto speziata, e la caldereta, uno stufato di manzo alla filippina», spiega Angelito. Molto particolare è la bibita nazionale, bevuta ghiacciata e preparata sul momento, chiamata halo halo, una sorta di granita filippina.
Servita in un bicchiere alto, si tratta di una miscela di ghiaccio tritato e latte evaporato a cui si aggiungono gelatina di ananas e di cocco, il mungo ovvero dei fagioli rossi e del riso soffiato. Dentro al locale ci sono un paio di tavolini per le degustazioni «ma la maggior parte della clientela ordina il piatto e lo viene a ritirare mentre durante la bella stagione, poiché noi filippini abbiamo la cultura del pic-nic, i clienti consumano il loro pasto nel parco del Buon Pastore», dice Angelito.



Gaetano Gasparini

L'elzeviro del filosofo impertinente

Ricordo che un tempo ero affascinato dalla simbologia pasquale, e non mi perdevo nessuna celebrazione religiosa o una pomposa manifestazione pubblica di tipica devozione popolare. Forse perché sono nato il lunedì di Pasqua, oppure perché da ragazzo il mio rapporto con la fede cattolica poteva definirsi davvero intenso. Per anni ho fatto il ministrante e sono stato scelto più volte dai sacerdoti per il rito della lavanda dei piedi del giovedì santo. Ciononostante anche se oggi non sono più credente trovo sempre coinvolgente la celebrazione della morte e resurrezione di Gesù. La Pasqua non è una festa di origine cristiana ma risale all'Antico Testamento. Gli ebrei la celebrano ancora oggi (Pesach) e ricordano la liberazione del popolo eletto dalla schiavitù d'Egitto. In lingua ebraica Pesach significa passaggio. In entrambe le tradizioni si affronta il tema della rinascita e della transizione da una condizione all'altra. Dalla schiavitù alla libertà (Pasqua ebraica), e dalla morte alla resurrezione (Pasqua cristiana). Tranquillizzatevi, non ho alcuna intenzione di propinarVi una mini lezione di catechismo bensì mi preme sottolineare la visione filosofica che si cela dietro la festa di Pasqua. Jiddu Krishnamurti sosteneva che per poter vivere dobbiamo morire e rinascere quotidianamente. Lui si riferiva alla morte dell'io, alla rinuncia dell'ambizione ed egoismo. Morire alle piccole cose per poi approdare ad una nuova nascita e aprirsi alla Conoscenza. Se non ci accostiamo al mondo con lo stupore della prima volta non comprenderemo mai il significato della nostra esistenza. Se le vecchie conoscenze muoiono costantemente in noi ci ritroveremo ogni giorno desiderosi di apprendere nuove realtà. Accumulare ricordi, talvolta astiosi e negativi, significa solamente collezionare ciarpame. Tutto quello che non è in grado di spingerci al cambiamento e all'amore universale non è di nessuna utilità. Anche nei PC, smartphone e iPad di tanto in tanto facciamo un po' di pulizie di file cosiddetti inutili. Non bisogna dimenticare che alla base della filosofia c'è lo stupore per ciò che non conosciamo. Per stupirci dobbiamo essere sempre aperti alle novità, alle diverse prospettive di vita. Non dobbiamo sentirci ancorati ad antiche tradizioni che eternano messaggi validi solo per la società che li formulò secoli fa. Occorrono, invece, occhi nuovi ma soprattutto menti vergini per vedere il lato nascosto della nostra realtà esistenziale. Gesù ha sconfitto i pregiudizi e le falsità che si annidano nel cuore dell'uomo. Egli è morto sulla croce ma è risorto dopo aver piegato la morte. Non importa se crediamo o meno alla verità di fede tramandata dai vangeli, ma conta invece se riusciamo ad annientare in noi la stupidità, la violenza, l'ignoranza per poi rifiorire e dotarci di un pensiero nuovo. Essere, in altre parole, persone nuove. Come scrive Enzo Bianchi: "L’uomo nuovo è un orfano felice. L’eredità non ha per lui alcun interesse sostanziale. Illusioni, favole, saperi inutili, di cui liberarsi in ogni modo". Il mio consiglio per celebrare anche laicamente le imminenti festività pasquali è proprio quello di rinunciare alle ostilità e ai facili moralismi. Riflettiamo sui giudizi insensati che elargiamo con così tanta superficialità, e impariamo che le parole uccidono più delle armi. Certe frasi dette in un momento di rabbia si fissano nella memoria di chi ci sta davanti. Le parole scagliate come pietre non solo restano impresse nella memoria per lungo tempo, ma incidono sulla nostra psiche in modo quasi indelebile. Dunque cogliamo tale occasione per sopprimere la nostra individualità, e abbracciamo idealmente la nostra parentela universale. Celebriamo il passaggio o meglio la fuga dalle gabbie del pregiudizio per approdare ad una vita caratterizzata da empatia e Conoscenza. E ricordiamoci sempre che: "La più alta forma di intelligenza umana è la capacità di osservare senza giudicare" (J. Krishnamurti).
(Criap)
® Riproduzione riservata

10.4.17

Si fa la piega nel suo salone: parrucchiera multata Accusata di evasione, sanzione di 500 euro. L’ultima follia di uno Stato forte solo coi deboli

Ormai si sfiora il ridicolo. È vero che l’Italia sia la patria del melodramma e  delle lamentele continue  , ma certi episodi di rigidità mentale e di pedissequa osservanza delle norme, peraltro assurde, hanno i contorni grotteschi oltre  che iniqui .
Parrucchiera multata  «È ingiusto, farò ricorso»
Mara Lucci all’esterno del proprio negozio di parrucchiera (Foto by Foto Menegazzo)
 per http://www.laprovinciadilecco.it/
Stiamo parlando del Stato, naturalmente, e dei blitz della Guardia di Finanza, che è costretta a fare cassa su mandato del fisco. Oramai abbiamo perduto il conto di tutte le multe scaturite dalla fantasia della burocrazia e comminate con zelo dagli agenti che devono compiacere un moloch vorace. Si potrebbe scriverne un libro. Ma ci limitiamo a raccontare l’ultimo caso in ordine di tempo, accaduto a Lecco a una parrucchiera. La signora Mara Lucci, titolare di un salone, è stata sanzionata dalla Guardia di Finanza per essersi fatta la piega nel proprio esercizio senza emettere lo scontrino. Non stiamo scherzando. Se voi avete un’attività commerciale, per esempio un bar, una pasticceria, una salumeria eccetera non potete assolutamente permettervi di bere un caffè, mangiare una pastina oppure un panino col prosciutto anche se appartengono a voi. Il motivo? La normativa sull’autoconsumo 
Si fa fare la piega nel suo negozio: multa La Finanza ci ripensa e cancella il verbale
piega nei tempi morti dell’attività, fra una cliente e l’altrache impone, anche al titolare dell’attività, di emettere la fattura o lo scontrino fiscale. Non sappiamo cosa passasse per la testa del creativo legislatore quando ha avuto la brillante ideona, ma sta di fatto che questa è la sconsolante realtà. A questo punto, pensiamo che per qualsiasi pubblico esercente sia più conveniente andare a prendere un caffè, una pasta o un panino dalla concorrenza e non nel proprio esercizio perché, a conti fatti, gli costerebbe meno che autoemettere lo scontrino.La parrucchiera di Lecco, probabilmente ignara di questa vessazione di Stato, ha pensato di farsi piega nei tempi morti dell’attività, fra una cliente e l’altra
la . E, senza rendersene conto, è diventata un pericoloso evasore fiscale, tanto da ricevere dai solerti finanzieri una multa di 500 euro. Quando le hanno contestato la violazione, ha pensato a uno scherzo, ma i toni degli agenti l’hanno subito stroncata, facendola sentire una disonesta. La signora Lucci è scoppiata in lacrime e ha invocato inutilmente il buon senso. Il buon senso? È un termine bandito nei dizionari dello Stato italiano, la cui voracità ha ormai raggiunto livelli insostenibili. Quello che sembra un caso di cronaca locale è invece il paradigma di un Paese intero, dove il cittadino è un suddito che deve piegarsi ogni qualvolta un burocrate, da Roma o Bruxelles, imponga norme incomprensibili, contradditorie, in antitesi con il buon senso. Una tirannia subdola e vendicativa. Sembra di vivere in un romanzo di Orwell. E così lo Stato despota, che ci impone di giustificare come spendiamo i nostri soldi quando dovrebbe essere lui a spiegare come spende i nostri, invece di andare a caccia di grandi evasori, di coloro che sfruttano il lavoro nero minacciando la previdenza pubblica, dei possessori di grandi patrimoni al di là dei confini, spreme i cittadini-sudditi. E se la prende con una parrucchiera di Lecco o con un barista di Albisola Superiore, che si è bevuto un caffè nel proprio bar, costatogli 500 euro; perseguita un cafè restaurant di Carpi perché il titolare ha evaso 95 centesimi non emettendo scontrini e lo bastona con una multa di 2.400 euro; sanziona pesantemente un imprenditore di San Donà di Piave perché ha scaricato con il carrello elevatore, che non ha la targa, un camion a un metro dall’azienda e non dentro la sua proprietà. Insomma, smettiamola di definire ipocritamente questi episodi come «lotta all’evasione», questa si chiama semplicemente persecuzione fiscale.
ha intenzione è di presentare ricorso, cioè una memoria all’Agenzia delle entrate, ricostruendo le circostanze, che ritiene  sproporzionate. Ora << (....) La solidarietà mi ha fatto, naturalmente, piacere – commenta la parrucchiera – I motivi, però, per i quali mi sono rivolta alla stampa erano più che altro due: rendere nota la vicenda per risparmiare, possibilmente, ad altri la medesima disavventura; e dare risalto a un atteggiamento sanzionatorio secondo noi per nulla ispirato al buon senso, diretto contro chi lavora onestamente: e questo lo ripeto; dal mio negozio non è uscito mai nessuno senza la fattura; ciò che è successo e che una dipendente ha acconciato la propria titolare ed io stessa non ero nemmeno uscita dal negozio prima che i finanzieri arrivassero a muovermi la contestazione; anzi, non ho avuto neppure il tempo di avvicinarmi alla cassa, qualora avessi voluto farlo».(....)  >>