4.6.17

Se la mafia non è il nemico ma lo è la cultura mafiosa (di M.Galli)

da http://www.alessioporcu.it/commenti/galli-mafia-cultura-mafiosa/  del  

di Marco GALLI

Sindaco di Ceprano


Il problema più complesso non è combattere la mafia (  anzi le mafie  aggiunte  mia  ) , ma la cultura mafiosa che la sostiene, si prostra, la difende.Un’impresa ancora più difficile in una nazione che ha fatto del clientelismo e del servilismo verso i potenti una peculiarità quasi unica, tra i Paesi avanzati del continente. Una nazione dove l’onestà non è di moda, così come la legalità. E che per questo sconta un livello di corruzione altissimo, con un costo in termini economici e di qualità della vita che non ha uguali.





Il ritardo dell’Italia sul piano economico e sociale non è dovuto al mancato investimento di risorse. Ma dalla corruzione che ha deviato gli investimenti nelle tasche dei mafiosi e dei politici corrotti.Purtroppo ancora oggi si fa troppo poco e i centri di potere restano sostanzialmente gli stessi, anche se cambiano nome, simboli e slogan, dimostrando una capacità di adattamento straordinaria. Li facilita una non cultura che si è incardinata su un populismo strisciante privo di reali contenuti.A questo si aggiunga l’assenza del cambiamento, frutto anche della non alternanza al Governo di questo Paese per oltre 50 anni.Non sarà facile modificare questo stato di cose, perché non è modificando un logo o un simbolo che si può trasformare in meglio il presente. Basta sfogliare i giornali per rendersi conto di questa generalizzata e trasversale illegalità.Serve una rivoluzione culturale che mobiliti le forze sane del Paese che ora sono indifferenti, perché ritengono inutile impegnarsi. Ma per cambiare, mandando a casa chi da trent’anni occupa posti di “comando” e condiziona la vita politica dei territori, non ci sono alternative.E qui ritorna il discorso della legalità, quale elemento indissolubile per creare un Paese “normale”.La legalità come pari opportunità, come giustizia sociale, come prospettiva di sviluppo, perché soltanto rispettando le leggi tutti potranno sentirsi a pieno titolo portatori di diritti e doveri in questo Paese.Ricco e povero, bianco e nero, di destra e di sinistra, maschio e femmina il rispetto delle norme consente tutti di essere semplicemente cittadini con i medesimi diritti e doveri, in un Paese straordinariamente “normale”.





3.6.17

QUELLE STRANE OCCASIONI… - A proposito di “Chiedi di lui 2.0”





Sfogliando il bello e ricco libro di Daniela Tuscano e Cristian Porcino Ferrara su Renato Zero si capisce quanto la fine degli anni ’70 sia stata importante. 


Noi, giovanissimi ai tempi, non ce ne rendevamo conto, ma quello fu forse l’ultimo strascico della contestazione. Gli scontri all’interno della famiglia erano diretti, spesso aspri. Seguire un personaggio come Zero era in un certo senso un atto “politico”. Senza la seriosità di partiti e movimenti ma sensibili a tutti gli stimoli di novità che provenivano dal mondo della cultura popolare, visiva e musicale. Renato li rappresentava totalmente e non era impresa facile: all’epoca, tutti i cantautori erano al massimo dell’inventiva e ogni disco era più bello dell’altro. Ma Renato era un mondo a parte, un mondo dove il privato, come scrive Daniela, diventava davvero politico, o forse sociale, comunque rivoluzionario. Una rivoluzione incruenta e colorata ma ugualmente potente. E qui sorge anche un rammarico. Proseguendo nella lettura, e avvicinandoci agli anni più recenti (il volume è infatti diviso in due parti, diverse ma complementari), si ha quasi la sensazione di trovarsi di fronte a un altro artista, con un’altra storia. Fino a un certo punto, e anche in tal caso il percorso è reso molto bene da Cristian, si poteva parlare di maturità ed evoluzione: ma a partire soprattutto dalle ultime prove è chiara l’impressione di una svolta netta in una dimensione più decisamente nazionalpopolare e conservatrice. Mentre in principio queste componenti erano equamente dosate, d’un tratto sono diventate predominanti al punto quasi da “trasformare” il personaggio. In tal senso appare molto interessante il capitolo in cui si analizza il rapporto tra Zero e la comunità Lgbt. Il rammarico è dovuto proprio al confronto tra le potenzialità dimostrate da Zero e le successive scelte. Insomma ci si domanda a quali risultati avrebbe potuto approdare un artista unico come lui se avesse continuato sulla strada del glam-rock e della sperimentazione piuttosto che adagiarsi su un repertorio simil-classico (come dimostra l’ultimo, controverso “Zerovskji”) e temi rassicuranti per il grande pubblico. Quest’ultima opzione si è rivelata sicuramente più fruttuosa in termini di popolarità ma dal punto di vista musicale mi sorge il dubbio si sia persa, o ridimensionata, un’occasione unica, soprattutto in Italia dove il discorso artistico appariva così prevedibile e stantio. I due autori non propongono tesi preconcette, lasciano aperte tante domande e questo per me è un altro grande vantaggio. Lo scopo dei libri è infatti quello di stimolare degli interrogativi, non di imporre la propria visione come una verità assoluta. Forse la parola “fine” sul cantautore Zero è destinata a rimanere aperta, a suscitare tanto interesse e qualche rimpianto.

Carlo Giordano

Keira Rathbone,, in mostra a Ivrea le opere della londinese che "dipinge" con la macchina per scrivere






Keira Rathbone
 Chi lo dficde   che  per  fare   un quadro  sino neccessari dei penneli  ?   I suoi "pennelli" preferiti sono due Olivetti, una Valentina e una Lettera 22. Con esse "dipinge" immagini singolari e immagini dell'artista al lavoro scattate da Luisa Romussi e alcuni dei suoi disegni fatti a macchina. sorprendenti: paesaggi, scorci urbani, vedute panoramiche, ritratti, nature morte. Lei si chiama Keira Rathbone  (  vedere  sito  sopra   e  foto affianco sotto  )  ed è una "typewriter artist" londinese che da tredici anni realizza opere uniche pigiando sui tasti delle celebri macchine per scrivere olivettiane. I suoi lavori sono esposti in questi giorni a Ivrea in occasione del festival di letteratura "La Grande Invasione": si possono vedere all'Atelier Mama-B. Se prima    , giusto per  non andare  prevenuti  ed  impreparati ,  potetge  vedere  Nella gallery online  del  quotidiano  la   repubblica ( da  cui   ho preso  le due  foto centrali , quella    al lato  dal suo  sito   vedere  l'url  sopra  9    e  del  suo portofolio  alcuni dei suoi disegni fatti a macchina.  
L'unico articolo  in italiano, poi magari ce  ne saranno  altri  ma  non ne  ho voglia   di  stare a cercare  , è   questo    preso  da  http://www.lastampa.it/ del  24/12/2015


Keira, in mostra a Ivrea le opere della londinese che "dipinge" con la macchina per scrivere


E’ stata per molti anni l’immancabile compagna di scrittori e giornalisti, presente in tutti gli uffici e luoghi di lavoro, ma è completamente scomparsa da quando i computer hanno permesso di sostituirla. Eppure la macchina da scrivere conserva l'induscutibile fascino della carta stampata e dell’inchiostro: alcuni artisti hanno imparato ad utilizzare a modo loro trasformandola in strumento per la realizzazione di opere grafiche. Si chiama typewriter art - ‘typewriter’ significa ‘macchina da scrivere’ - ed è una forma d’arte che utilizza le lettere impresse sui fogli come piccoli tasselli che, nel'insieme, andranno a comporre un grande disegno, sfruttando i giochi di chiaro-scuro dati da inchiostro e spazi bianchi. 



Keira, in mostra a Ivrea le opere della londinese che "dipinge" con la macchina per scrivere  

Eccelle in questo tipo di arte grafica è , artista che ha sviluppato una tecnica particolarissima per trasformare lettere, numeri e simboli in opere grafiche di impressionante minuzia. Innamorata di uno strumento umile e dimenticato come la macchina da scrivere, Keira è in grado di realizzare ritratti, paesaggi, cartoline (di auguri per le feste ad esempio) con il solo utilizzo dei tasti; in alcune occasioni la sua abilità diventa una performance dal vivo, e non mancano brand di vario genere che le richiedono di realizzare etichette, pubblicità, materiali vari, tra cui lo stilista Paul Smith, l’azienda vinicola californiana Tuscandido Winery, la compagniA di crociere Cunard. Tra i pionieri della typewriter art, si annovera Flora F.F. Stacey, che nel 1989 rese nota la sua sorprendente farfalla fatta con la macchina da scrivere. Negli anni ’30 è Julius Nelson l’artista che diffonde maggiormente questo tipo di arte, pubblicando anche un volume sui processi creativi che permettono di realizzarla, con il titolo di Artyping. Nel volume Nelson porta esempi di come si possa utilizzare la tastiera per creare scritte decorative e greche, fino alle figure vere e proprie con particolari sempre più minuziosi.

finchè esistono i razzisti e gli imbecilli io continuero a raccontare \ riportare storie come questa Zaia insultato su Facebook per foto con calciatore di colore

leggi anche  su taled  argomento
http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2017/06/pensieri-sparsi.html



Mio amato\Con la pace ho depositato i fiori dell’amore\davanti a teCon la pace\con la pace ho cancellato i mari di sangue\per teLascia la rabbia\Lascia il dolore\Lascia le armi\Lascia le armi e vieni\Vieni e viviamo o mio amato\e la nostra coperta sarà la paceVoglio che canti o mio caro " occhio mio " [luce dei miei occhi]E il tuo canto sarà per la pace\fai sentire al mondo,\o cuore mio e di' (a questo mondo) \Lascia la rabbia\Lascia il dolore\Lascia le armi\Lascia le armi e vieni\a vivere con la pace.   
Poesia araba citata in Luglio, agosto, settembre (nero) degli Area


lo so che : non ne vale la pena perdere tempo e con gli imbecilli , e replicherei Isaac Donkor, 23 anni originario del Ghana arrivato in Italia nel 2003 ( ed è ormai cittadino italiano a tutti gli effetti) e la sua intera famiglia vive da tempo nel trevigiano ed è impiegata in un mobilificio e in un allevamento della zona non , giustamente . si stupisce piùDegli insulti ricevuti su Facebook e risposnde : << ci sono abituato e non ci faccio più caso. Se non rispondo è perchè non vale la pena sprecare energie per certa gente. Non rovineranno il mio ritorno a casa per le vacanze, perchè è da qui che vengo >> , passo oltre .  Ma   preferisco  fare  come  ho detto nel  titolo di questo post  , 
Infatti  
                       da   sempre  da  la  repubblica online  

VENEZIA - Non è stata apprezzata la foto che Luca Zaia, presidente del Veneto, ha postato sul suo profilo: nello scatto è in posa accanto a Isaac Donkor, giocatore di colore dell'Inter in prestito al Cesena. E questo, all'elettorato di destra più radicale e xenofobo, proprio non è andato giù. Così sotto la foto sono comparsi centinaia di insulti, rivolti sia al calciatore sia al governatore."Ma 'sto qua è appena arrivato con il barcone dall'Africa, altro che Inter", scrive un utente. "Pare un profugo, perdi punti", scrive un altro. E ancora: "Pur di vincere arriverà il giorno in cui andrete a elemosinare voti a loro".
Commento, quest'ultimo, cui Zaia ha risposto: "Caro, il Veneto, che amministro, ha 517mila immigrati regolari, gente perbene. Siamo la terza regione in Italia per numero di immigrati. Chi viene qui con un progetto di vita e sposa i nostri valori è benvenuto. Per gli altri tolleranza zero. Spero di essere stato chiaro".
 




Infine, interpellato da Ansa, il governatore ha detto: "Lo rifarei mille volte. Forse - ipotizza - le critiche dipendono dal fatto che nella foto con me non aveva la maglia dell'Inter? Se l'avesse avuta non avrebbero aperto bocca".
Il presidente del Veneto critica quello che definisce "il mondo dei leoni da tastiera", che sfoga rabbia e frustrazioni sui social. "Gli utenti si dividono in tre categorie - rileva - la prima è quella dei distratti che commentano a prescindere, vedendo un uomo di colore; la seconda è di quelli che fanno la morale al leghista puntando sulla dietrologia; la terza, più disgustosa, è quella dei razzisti".  (...)
Alla domanda se voterebbe Zaia, dopo averlo incontrato in un comizio elettorale, risponde senza esitare: "Subito, per com'è come persona. Ho parlato con lui e mi è piaciuto molto. Nei miei confronti, poi, è stato eccezionale"(.,.)  



 Pur  essendo lontano anni lucen  dal pensiwero     di Zaia   stavolta  gli do  ragione  : << I social network sono un festival dell'incoerenza - conclude il presidente del Veneto - la gente che scrive queste cose è la stessa che non sa usare l'italiano. Questa gente è come le api impollinatrici: oggi è toccato a Isaac, ieri a Bebe Vio e prima ancora al dj Fabo.>>





pensieri sparsi

Stamattina una bella giornata di sole rovinata ( mica tanto ci vuole ben altro ) da una discussione su ius soli , cittadinanza , abbassamento della punibilità da 14 anni a 12 anni per i reati gravi ( ma anchde no ) commessi dai minori . Alla fine il mio interlocutore invece di dirti : << chiusa qui la pensiamo in maniera differente , non sono d'accordo , ecc >> mi dice come si fa congli ubriachio ed matti : << chiusa qui hai ragione tu >> . Ma il tempo è talmente bello ed la musica che viene dalla piazza all'ora dell'aperitivo è piacevole che non importa e che ci sono altre cose ben più gravi invece di queste sottigiezze per cui arrabbiarsi e pendersela .

2.6.17

Raffaele Arcella, classe 1920, presidente dell’Associazione nazionale ex internati nei lager nazisti: << Così un libro su Lenin mi salvò da un proiettile >>

“Questo libro mi ha salvato la vita. Anzi me l’hanno salvata il libro e Lenin”. 



Durante la cerimonia per le consegne della medaglie in occasione della Festa della Repubblica,  Raffaele Arcella, classe 1920, presidente dell’Associazione nazionale ex internati nei lager nazisti, mostra un vecchio libro. È un volume su Lenin scritto in russo. E l’avvocato, nato a Napoli nel 1920,  laurea in giurisprudenza e in lingue e letterature slave e istituzioni europee orientali, non scherza quando dice che è vivo grazie a quel libro dove è ancora evidente il segno di un proiettile. Arcella aveva il libro all’altezza del petto quando un cecchino, durante la seconda guerra mondiale, gli sparò contro. “Il proiettile si è fermato proprio dove c’è una foto di Lenin – dice l’avvocato -, avevo appena tirato fuori il libro dalla bisaccia del cavallo, per questo dico che la lettura e Lenin mi hanno salvato la vita”. 

A Bergün, piccolo paese dei Grigioni tra St. Moritz e Davos, firmata la delibera: divieto di scatti, pena multa di 5 franchi. E il sindaco fa appello alla Nasa: "Cancellate le nostre foto dall'alto"

va bene porre un argine al trash fotografico e telematico , e allo sfruttamento commerciale € delle proprie bellezze naturalistiche come ha fatto il comune di San quirico borgo del Senese
Ma  qui  si  esagera  e  si rischia  di scendere  nel  ridicolo  . Speriamo che la Nasa   glki risponda  con una sonora  risata  e peggio un  Vaff
La singolare iniziativa del paesino svizzero di Bergun, che ha vietato ai turisti con delibera comunale di scattare foto nel suo territorio per non "rendere infelici quelli che vedono le nostre foto e non ci hanno visitato" non si ferma. In un video , vedere  sotto , del sindaco Peter Nicolay ha radunato tutti gli abitanti per fare un appello alla Nasa: "Sappiamo che avete nostre foto dal satellite. Cancellatele, grazie" 

Infatti  


A Bergün, piccolo paese dei Grigioni tra St. Moritz e Davos, firmata la delibera: divieto di scatti, pena multa di 5 franchi. E il sindaco fa appello alla Nasa: "Cancellate le nostre foto dall'alto"

di GIACOMO TALIGNANI

Così belli da causare infelicità negli altri. Con un po' di supponenza e molta strategia di marketing un piccolo comune svizzero di 507 abitanti ha deciso di vietare a chiunque lo visiti di scattare foto del suo paesaggio (e non solo). Pura trovata pubblicitaria? Non del tutto, dato che la questione è diventata legge: da poche ore il consiglio comunale di Bergün (noto come Bergün/Bravuogn) ha infatti ufficialmente votato a favore della delibera che vieta "di fare e pubblicare foto del comune e dei suoi paesaggi", pena una multa simbolica di 5 franchi.  

Venticinque chilometri di innevate piste da sci, altre per il fondo, splendidi scorci montani per escursioni e con il suo centro situato a meno di 40 chilometri da Sant Moritz o Davos, Bergün - nel mezzo del cantone dei Grigioni nella regione dell'Albula - è convinta con la sua "straordinaria bellezza" possa far male a chi si imbatte in una qualsiasi fotografia che la ritrae.



"E' scientificamente provato che belle foto delle vacanze sui social media rendono gli spettatori infelici perché non possono essere lì” scrive l'ufficio del turismo cittadino nella sua campagna anti "Fomo". Questa sigla sta per  "Fear of missing out" ed è una sindrome legata alla "paura di perdere un evento o qualcosa", insomma il "terrore" di essere tagliati fuori da qualcosa di bello a causa delle migliaia di foto postate sui social network.  
In pratica, con questa curiosa motivazione, quelli di Bergün sono sicuri che chiunque si imbatta in uno scatto delle loro splendide vallate senza essere lì o averle visitate almeno una volta nella vita, possa soffrirne. Ci credono talmente tanto che - con indubbia trovata pubblicitaria - gli abitanti del villaggio sindaco in testa si sono ritrovati a fare un video appello persino alla Nasa: "Non fotografateci nemmeno dall'alto e cancellate le nostre foto" dice il primo cittadino in inglese fornendo le coordinate geografiche del suo villaggio.  
Passata la legge, in men che non si dica dai profili social di Bergün sono scomparse molte delle fotografie del paese. "Bergün/Bravuogn è un bellissimo posto e noi non vogliamo rendere infelici le persone al di fuori della nostra comunità. Dunque anziché attraverso le foto, invitiamo chiunque a venirci a vedere dal vivo" ha spiegato orgoglioso il sindaco Peter Nicolay.  Premesso che la multa difficilmente verrà applicata ("è più che altro simbolica") è lampante come l'operazione sia parte di una strategia di marketing per attirare turisti, ha ammesso anche il direttore del turismo Marc-Andrea Barandun, ricordando però che "la legge è reale e in vigore". 
Da Facebook a Twitter non sono mancate le prime critiche da parte dei viaggiatori da ora in poi a secco di selfie: c'è chi ha paragonato la scelta alle rigide leggi della Corea del Nord e  chi ha scritto che "allora non visiterò mai questo paese".  Lo stesso ufficio del turismo si è detto consapevole che la decisione "non piacerà a tutti" ma difende la sua scelta. Una scelta che, seppur differente, richiama ad esempi casi come quelli di San Quirico D'Orcia che impose una sorta di copyright sulle sue valli ultra fotografate (e sfruttate come immagini). 

"Ma per noi l'importante è che si parli di Bergün"  ha precisato Barandun confermando la parte di trovata pubblicitaria dell'operazione, anche se sui social alcuni gruppi di appassionati di fotografia avrebbero già deciso di annullare il loro viaggio nella zona. Gli svizzeri comunque non mollano. "Al fine di rendere tutti consapevoli della bellezza del nostro paese di montagna oggi abbiamo bisogno di metodi coraggiosi e ne abbiamo scelto uno. Grazie per la vostra comprensione e saluti da Bergün". Chiaramente, solo testo e niente foto-cartolina di corredo.

Guardate queste foto, potrebbero essere le ultime immagini di Bergun che vedete. Perchè questo paesino di 507 anime incastrato fra le montagne svizzere, a soli 40 chilometri da Sant Moritz, è talmente convinto di essere "così bello da causare infelicità in chi vede le nostre foto" che ha deciso di vietare ai turisti di fare foto nel suo territorio.



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Tramite delibera comunale è stato infatti vietato ai visitatori di scattare immagini del paesaggio, che di solito venivano poi pubblicate sui social network. Cinque franchi di multa per chi non rispetta la legge. Una sanzione più che altro simbolica, dato che si tratta in parte di una trovata di marketing. Proprio dalla pagina Facebook del turismo di Bergün sono già state rimosse decine di fotografie, tranne quelle qui pubblicate. Ne compaiono invece di nuove: il cartello con il divieto di fotografare e sindaco e abitanti felici con delibera appena firmata in mano.





Champions League, da Altamura a Cardiff in una 500: l'impresa di quattro ragazzi pugliesi



BRAVISSIMI ragazzi, spirito di avventura e coraggio e amore per la vita. Un esempio bellissimo di come si affronta la vita. Questa è la storia di 




Antonio, Sandro, Giuseppe, Francesco, tutti di 24 anni, sono partiti da Altamura in Puglia alla volta di Cardiff a bordo di una Fiat 500 del 1970 per seguire la finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid. Una impresa che hanno voluto dedicare a un loro amico, Lorenzo, prematuramente scomparso per leucemia. Partiti venerdì scorso, hanno percorso fino ad ora 2.600 chilometri facendo tappa a Roma, Amatrice, Milano, Torino, Parigi, Londra per arrivare stanotte nella città gallese.
                                  di Alessandro Allocca

L'elzeviro del filosofo impertinente

Iniziamo con una semplice domanda: perché i preti vanno spesso in TV a parlare di sesso?
In ogni programma dedicato all'amore o alla morale sessuale indovinate un po' chi c'è sempre a farfugliare qualcosa? Naturalmente un chierico di santa madre Chiesa! Non solo ciarlano in TV, ma scrivono perfino libri su come vivere una sana e santa sessualità. Ma vi rendete conto? Per statuto sono uomini celibi che fanno voto di castità e poi diventano, tutto ad un tratto, esperti di sessualità!? A me i conti non tornano, non so a voi. Non dimentichiamo che il giovane arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla scrisse nel 1960 un'opera filosofica dal titolo: Amore e responsabilità. Morale sessuale e vita interpersonale. La filosofa e amica di Wojtyla, Anna Teresa Tymieniecka disse: "Ciò che ha scritto (Wojtyla ndr) sull'amore e sul sesso dimostra la sua scarsa conoscenza del tema. Mi sembrava che fosse evidente che non sapeva di cosa stava parlando". Come può un sacerdote sapere quali dinamiche intercorrono tra due innamorati che vivono e sperimentano le gioie del sesso? E non dimentichiamo che la CEI di Ruini-Bagnasco e i papi non smettono mai di ricordarci l'importanza della famiglia e dei figli. Ma se sono così ossessionati dalla famiglia perché non ne hanno creata una tutta loro? Ufficialmente non sono padri carnali ma si fanno chiamare in tal modo per trattarci come figli ed esercitare la loro autorità. A me sembra paradossale questo atteggiamento. Qui non si tratta di essere credenti, agnostici, atei o anticlericali ma di seguire semplicemente la logica. Io non sono padre e d'ora in avanti mi dedicherò a scrivere testi, e a tenere convegni sulla paternità e la gestione dei figli. Sono sicuro che se lo facessi mi sentirei ridicolo e insignificante. Come posso parlare con cognizione di causa di un argomento che non padroneggio?! È arrivato il momento per il Vaticano di occuparsi di fede e non di morale sessuale. Papa Bergoglio è l'unico pontefice a non manifestare quell'ossessione tanto cara ai suoi predecessori per la vita sessuale dei suoi fedeli. Infatti, i più conservatori lo attaccano per questo motivo. Non gli perdonano il suo continuo concentrarsi sul Vangelo e non su argomenti che non spetta a un prete giudicare. Bergoglio ricorda incessantemente ai credenti cristiani che dichiararsi tali significa mettere davvero in pratica le parole di Gesù. Forse questi soggetti trovano imperdonabile un papa che si dedica a portare avanti l'insegnamento evangelico ed è per questo che tentano di scalfire la sua autorità senza alcun successo. Un motivo in più per stimare umanamente questo papa. Lui va avanti per la sua strada senza prestare attenzione a certi individui. Naturalmente io non lo vedo con gli occhi della fede che non ho, e dunque non lo percepisco come "il dolce Cristo in terra" (vedi Santa Caterina da Siena), ma solo come un uomo di pace (e non è mica poco!). Per caso vi siete dimenticati che con Joseph Ratzinger si finiva sempre a parlare di famiglia composta da uomo e donna, il valore dei figli e via discorrendo? Come si dice a Napoli "Dalle 'e dalle se scassano pure e' metalle". Io non dimentico che per la giornata della pace 2013 il papa emerito Benedetto XVI scrisse che le unioni gay erano un vero attentato alla pace! Due persone che si amano metterebbero a repentaglio la pace nel mondo?!!! Io rimango basito e non aggiungo nulla, ma vi consiglio vivamente di leggere le opinioni del teologo Hans Küng sul pontificato ratzingeriano. Nei vari talk show quando si parla di divorzi, anticoncezionali, unioni civili ci trovo sempre un prete, mentre se l'argomento trattato è la pedofilia, la corruzione nessuno, e sottolineo nessuno, si sogna di invitare un sacerdote in trasmissione. Ma se il loro abito li autorizza a parlare di sesso perché non di frode bancarie, ingerenza e tanti altri argomenti? Non si può essere tuttologi a convenienza. Io trovo molto più preoccupante dei chierici che blaterano di sessualità i fedeli che credono ciecamente alle loro parole. Non li sfiora mai il dubbio che quelle frasi non andrebbero prese per oro colato? Se parlano di fede sono delle vere autorità, ma quando parlano d'altro la loro opinione vale quanto la vostra. La loro competenza però non sempre è dimostrata se pensiamo al commento fuori luogo pronunciato da quel vescovo italiano all'indomani della strage di Manchester. Costui ha definito i bambini e gli adolescenti uccisi per mano dei terroristi in tal modo: "Figli miei, siete morti così, quasi senza ragioni come avevate vissuto. Pregherò per voi". Che orrore !!!!
Quando leggiamo certe invettive ricordiamoci che se la gente si allontana sempre più dalla religione è per persone così.
Ovviamente ognuno di noi è libero di scegliere autonomamente a chi e a cosa prestare attenzione. Io certamente non ho tempo da perdere con certi tuttologi dalla doppia morale che vivacchiano nei salotti televisivi.
"L'intelligenza non ha valletti, si serve da sé" (Aldo Busi).


Cristian Porcino
® Riproduzione riservata

1.6.17

Siria, morta a Raqqa Ayse Deniz Karacagil. Combattente raccontata da Zerocalcare in "Kobane Calling"Siria, morta a Raqqa Ayse Deniz Karacagil. Combattente raccontata da Zerocalcare in "Kobane Calling"

E' morta sul fronte Ayse, la militante filo-curda raccontata da Zerocalcare
Ayse Deniz Karacagil, in una foto diffusa su Facebook da Zerocalcare 
 da   repubblica    del 1\6\2017

Zerocalcare dedica un post su Facebook al ricordo di Ayse Deniz Karacagil, combattente morta a Raqqa, che la sua matita aveva disegnato e raccontato in Kobane Calling.
". nella primavera del 2013, quando i giovani schierati a difesa del verde pubblico di Gezi Park non avevano vinto, ma quanto meno avevano costretto il presidente Erdogan a tirare giù la maschera del padre islamista moderato della nazione per rivelarne per la prima volta il vero volto. Quello del potere assoluto, indisponibile al dialogo, sordo alle istanze di una società secolarizzata e democratica che si credeva protesa verso l'Europa. Kobane Calling - Le tavole inedite di Zerocalcare Gli scarponi dei militari mandati da Erdogan a piazza Taksim avevano calpestato tende e striscioni, la protesta messa a tacere con la forza. Otto i manifestanti rimasti uccisi, tantissimi i feriti. La maggior parte degli arrestati processata e condannata a scontare pene di poco superiori ai due anni per "danneggiamento della pubblica proprietà", "oltraggio a moschea", "interruzione di servizio pubblico". Ayse, invece, era stata travolta da un'accusa ben più grave: militanza in organizzazione terroristica. Ovvero i separatisti del Pkk, il Partito Curdo dei Lavoratori. Tra le prove depositate contro di lei, non un cappuccio ma una "sciarpa rossa, simbolo del socialismo". Con Ayse in cella, era stata sua madre a protestare: quella sciarpa dimostrava solo che tutto si reggeva su un castello accusatorio retto da prove fabbricate a tavolino. Ayse Deniz Karacagil aveva atteso il processo rinchiusa nella prigione di Alanya, a 138 chilometri da Istanbul. Poi era arrivata la condanna a un secolo di galera. Ma la "terrorista" era stata scarcerata prima del verdetto e aveva già capito a sue spese che a un certo punto della vita si è chiamati a fare delle scelte, che siano i semplici seppur sofferti compromessi tra le proprie individuali ambizioni e la dura realtà o la risposta da dare quando a chiamare sono battaglie per qualcosa che supera il destino di un solo uomo. La libertà, per fare un esempio. A chiamare Ayse era stata Kobane. Kobane Calling. Siria, morta a Raqqa Ayse Deniz Karacagil.

Siria, morta a Raqqa Ayse Deniz Karacagil. Combattente raccontata da Zerocalcare in "Kobane Calling"Combattente raccontata da Zerocalcare in "Kobane Calling" Condividi A volte le parole non bastano. Per difendere la cittadina siriana prossima al confine con la Turchia dalla stretta mortale di uno Stato Islamico che allora sembrava uno spettro imbattibile, i curdo-siriani avevano dovuto imbracciare i loro fucili. Uomini e donne, che la Turchia di Erdogan oggi bombarda additandoli ancora con quell'aggettivo, "terroristi", e che invece nei giorni della vittoriosa resistenza di Kobane avevano dimostrato al mondo cosa vuol dire il coraggio. Con le donne col kalashnikov del Ypj, ala femminile delle Unità di protezione popolare (Ypg) c'era anche la turca Ayse Deniz Karacagil. Fuggita sulle montagne seguendo percorsi che in carcere le avevano indicato alcuni detenuti, dalla latitanza aveva scritto una lettera per far sapere di essersi unita alla battaglia per Kobane attraverso il braccio armato dell'illegale Partito Comunista Marxista-Lenninista turco (MLKP). Siria, morta a Raqqa Ayse Deniz Karacagil. Combattente raccontata da Zerocalcare in "Kobane Calling" Condividi Ayse è morta in battaglia la mattina del 29 maggio, annunciano le pagine web dell'International Freedom Battalion, in cui militano giovani giunti da tutto il mondo per combattere l'Isis, celebrando come un'eroina la studentessa che divenne combattente. Ayse, caduta alle porte di Raqqa quando i ruoli sono ormai invertiti rispetto ai tempi di Kobane. Ora gli assediati sono gli assassini del Daesh, che nell'ultima roccaforte guardano i minuti scorrere sull'orologio, mentre il Pentagono continua a rifornire di armi i suoi veri alleati sul campo, i curdo-siriani. Dopo Obama, lo ha capito anche Trump quando è arrivato per lui il tempo delle scelte. Molto più semplice, per il presidente degli Stati Uniti, fingere di non sentire Erdogan e le sue indispettite rimostranze. .

Blue Whale, un "virus " nato in rete alimentato dai media



Paolo Attivissimo, giornalista informatico, spiega il fenomeno del Blue Whale, il presunto “gioco del suicidio” che sta spaventando le famiglie italiane. Consisterebbe in una sfida in 50 passi, tra cui atti di autolesionismo, sotto la guida di un “curatore”: l’atto finale dovrebbe essere la morte. Molti esperti della rete sono scettici su origine e natura del fenomeno,  ma è necessario stare in guardia. “A furia di parlarne si è creato il mito e se le persone ci credono diventa vero”, avverte Attivissimo (intervista di Maria Rosa Tomasello, video a cura di Andrea Scutellà )

31.5.17

Milano, "disegna il tuo pensiero": così alle elementari si insegna ai bambini a filosofare




Milano, filosofia alle elementari: i disegni dei bambini raccontano il pensiero


DA http://milano.repubblica.it/cronaca  del  31 maggio 2017


L'esperimento portato avanti da un gruppo di studiosi dell'università Cattolica con gli sudenti di sei classi di quarta e di quinta dell'istituto Leone XIII. Dal prossimo anno l'esperienza sarà estesa alle scuole pubbliche
Il filosofare come materia alle elementari è un esperimento che nasce da un gruppo di studiosi della facoltà di filosofia dell'Università Cattolica e che è approdato quest'anno al Leone XIII, dove in sei classi tra quarta e quinta elementare, si è introdotta questa materia. Molto importante, per fissare i concetti e per rappresentarli, l'uso dei disegni. I bambini hanno rappresentato il tempo, parole inesistenti come Compallo, Pinrillo e Lampottero, ma anche i pensieri e le paure.

Milano, "disegna il tuo pensiero": così alle elementari si insegna ai bambini a filosofare"Il mio pensiero, quando penso, sono io. Ma una volta che l'ho pensato è altro da me". Sembra la massima di un filosofo e invece queste parole sono il frutto della riflessione di un bambino di nove anni. Il "filosofare" come materia alle elementari è un esperimento che nasce da un gruppo di studiosi della facoltà di filosofia dell'Università Cattolica e che è approdato quest'anno al Leone XIII, dove in sei classi tra quarta e quinta elementare si sono svolte quattro lezioni per classe, di due ore ciascuna.

Un percorso che si conclude nella Cripta aula magna dell'ateneo di Largo Gemelli con una lezione frontale di filosofia dal titolo: "Alla ricerca della bellezza con Sant'Agostino". Un'esperienza che però dal prossimo anno arriverà per la prima volta anche nelle scuole pubbliche milanesi.

Quando hanno cominciato l'esperimento, probabilmente gli stessi studiosi non si aspettavano di riuscire a portare in classe i concetti della filosofia classica. Con gli under 10 arrivare alle domande sulla vita, sul mondo, sulle parole e il rapporto con i pensieri non sembrava scontato. "Siamo partiti senza contenuti, cercando di far arrivare i bambini alla concettualizzazione cominciando dalla descrizione di una loro esperienza concreta - spiega Paola Muller, docente di Storia della filosofia medievale dell'ateneo di Largo Gemelli - Ad esempio, il punto di partenza è stato presentarsi facendo il giro: nome, soprannome, diminutivo, eccetera. Così abbiamo parlato subito di un sacco di cose: che valore hanno i soprannomi, se possono essere cambiati, il valore che gli viene dato. Ci hanno fatto sorridere quando è venuto fuori che il nome lungo e non abbreviato lo usa la mamma arrabbiata o la maestra quando dà un brutto voto".




Ben presto, il gruppo di lavoro coordinato dalla professoressa Mueller e a cui hanno preso parte anche Ingrid Basso e Pia De Simone, si è accorto che le cose funzionavano. E il progetto, che inizialmente era rivolto soltanto a due classi, è stato esteso a sei.

"L'idea è quella di un vero e proprio laboratorio per "filosofare" con i bambini - aggiunge Muller - non ci proponiamo a livello pedagogico, né psicologico ma a livello prettamente filosofico. E abbiamo utilizzato gli strumenti più vari: testi, immagini, fotografie, canzoni". L'obiettivo principale era di aggregare i piccoli, perché la parte fondamentale del progetto era la classe: un modo per sottolineare il valore sociale del dialogo, del confrontarsi, del mettersi in discussione.

Nel confronto c'era un filo da seguire. Attraverso le domande, gli argomenti venivano affrontati passo dopo passo: "qual è il valore delle parole?", "le parole esistono o non esistono?", "esiste solo ciò che ha un nome?", "ciò che non esiste può avere un nome?", "la paura ha un nome?", "qual è la differenza tra il mio pensiero e il mio corpo?". E così via. Poi si passava alla rappresentazione: ai bambini veniva chiesto di disegnare dei concetti, come ad esempio l'elaborazione del pensiero o il tempo. Per quelli di quarta elementare è stato un percorso epistemico, mentre i bambini di quinta hanno affrontato temi più legati alla crescita, sul proprio essere e sulle scelte della vita.
Dal prossimo anno la filosofia arriverà anche alle elementari pubbliche di via Pisacane 9 (dove cominceranno cinque sezioni) e forse anche in altre due scuole paritarie. Ma l'obiettivo è quello di far diventare il filosofare una materia curriculare all'interno del triennio finale delle elementari, al pari di matematica, italiano e storia. Un progetto che si sta muovendo nell'ambito delle singole scuole, ma che domani potrebbe anche approdare al ministero dell'Istruzione.

L'incontro di oggi sarà l'ultima tappa del percorso per i bambini del Leone XIII. "Il nostro desiderio è quello di far scoprire la bellezza che c'è in ciascun bambino - spiega Mueller - per sviluppare
un'autostima e per sentirsi bene con se stessi. Però questa bellezza la scopri anche guardandoti intorno. Per questo abbiamo trovato un testo di Sant'Agostino che interroga la bellezza del cielo e del mare". Dopo la lezione, arriveranno i compiti per le vacanze: "leggere il libro del mondo". I bambini dovranno armarsi di carta e penna e annotare tutte le domande che vengono loro in mente. Mentre giocano, osservano il cielo, leggono un libro o guardano un film.

30.5.17

Quaranta giorni, quaranta maratone: da trieste ad atene

   colonna sonora  Sheryl Crow - Run Baby Run - Live Acoustic Piano - 1995


 avrei  potuto   riempire  il post  d'oggi con  più  storie   , ma  il troppo stona   e poi  ormai i  blog  sono in declino  ( ma  io  continuerò ad  usarlo   ci sono affezzionato  ,  dopo  13  anni  )   a  scapito dei social,  e  qundi  prferisco    riprtarne  uan  ma  significativa  .  Per  le altre  potete   seguire  , ma  anche  no  ,  mettendo  mi piace   sulla  nostra  (  ci  scrivono anche  daniela  e  criap )  pagina di facebook https://www.facebook.com/compagnidistrada oppure sulla mia bacheca https://www.facebook.com/redbeppeulisse1

Quaranta giorni, quaranta maratone: Goina è ad Atene
La straordinaria impresa del ballerino e podista triestino che ha corso per 1699 km partendo da piazza Unità
                               di Luca Saviano





TRIESTE. Con l'acido lattico nelle gambe e Bruce Springsteen nella testa, Giacomo "Gigi" Goina ha portato a termine una vera e propria impresa. Dopo essere partito da piazza Unità e aver corso per 1699 chilometri, il ventisettenne triestino ha raggiunto il cuore di Atene.Dopo quaranta giorni durante i quali ha coperto la canonica distanza di una maratona ogni ventiquattro ore, ovvero 42 chilometri e 195 metri al giorno, ha abbracciato mamma Rita dopo aver oltrepassato il traguardo virtuale di piazza Syntagma. «Cause tramps like us, baby, we were born to run», canta Bruce Springsteen in "Born to run". Un testo che tradotto significa più o meno «Che i vagabondi come noi, baby, sono nati per correre».
                   da  https://www.facebook.com/42x42borntorun/photos/

L'iniziativa, che più di qualcuno ha definito «folle», non a caso ha preso il nome di una delle più amate canzoni del Boss. Come Springsteen in "Born To run", anche Goina ha voluto votare i propri sforzi alla causa dell'inclusione e della pacifica convivenza: «Nobody wins unless everybody wins», nessuno vince se non vincono tutti. E così è stato.

Da Trieste a Atene: la sfida di 42 maratone in 42 giorni consecutiviGiacomo Goina, 30anni di Trieste, è partito da Piazza Unità per raggiungere piazza Syntagma, nel cuore di Atene, entro il 28 maggio. Vuole correre per più di 1700km, attraversando 7 stati, portando un messaggio di inclusione e convivenza. Ha abbracciato la disciplina della corsa nell'ottobre 2016. Storia a cura di Luca Saviano, video: Lillo Montalto Monella



«Non sarei potuto arrivare ad Atene senza il sostegno di Alessandro Sciotto e Ana Blagojevic - spiega l'atleta che corre per il Gs San Giacomo - Non sempre le dinamiche di gruppo sono state facili da gestire, in questi 40 giorni, ma è anche superando queste difficoltà che sento di essere cresciuto».



I due, infatti, hanno accompagnato Goina passo dopo passo, in bicicletta e a bordo di una vecchia Opel Corsa. Insieme hanno superato le difficoltà e sempre insieme hanno goduto di ogni nuova conoscenza e di ogni nuovo panorama incontrato. Italia, Slovenia, Croazia, Montenegro, Albania e Grecia: una sottile linea è stata virtualmente tracciata sull'asfalto dalle scarpe del giovane triestino. «Non ho mai pensato di mollare - le sue parole -, anche se non sono mancati i momenti di difficoltà».

Immagine profilo della pagina...
Immagine profilo della pagina Facebook 42x42borntorun. Foto: Ana Blagojevic
Uno di questi, dopo 7 giorni di corsa, aveva messo a dura prova il terzetto. «Il fisico si stava adattando allo sforzo continuato - continua Goina - e anche il gruppo, evidentemente, aveva bisogno di trovare un suo equilibrio. Il corpo mi chiedeva uno stop, ma la testa non ne voleva sapere. Abbiamo deciso di fermarci per un giorno, È stato un grande insegnamento: nello sport, come nella vita, non ha senso andare con i paraocchi contro i mulini a vento».Alessandro, che in qualche occasione ha corso con l'amico, e Ana, alla quale è stato affidato il compito di documentare l'intera impresa, non sono state le uniche presenze al fianco del maratoneta. «Nella mia testa c'è sempre stata la mia ragazza Cecilia - confida -, ma sono stato accompagnato anche dalla croce, proprio nel senso cristiano del simbolo».Goina riporterà a Trieste una Opel Corsa piena di ricordi, fra i quali hanno trovato posto il tramonto visto dalla spiaggia di Baska Voda, in Croazia, e i boschi selvaggi di Llogara, in Albania, ma anche e soprattutto i mille incontri fatti lungo la strada.E adesso? Goina, che si è diplomato all'Accademia di danza contemporanea Paolo Grassi di Milano, è atteso da una intensa stagione di spettacoli, anche se la testa è già orientata a un altro ambizioso obiettivo: «Ho in mente di organizzare una corsa in memoria di Mitja Gasparo, un amico che è scomparso quasi tre anni fa».

NOMEN OMEN ? © Daniela Tuscano


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A Portland, in Oregon, un neonazista - o, come recitano eufemisticamente alcune testate online, "suprematista bianco" - comincia a insultare due donne velate. Si trovano su un treno urbano, e anche se vivi in Italia, e i percorsi non sono mai troppo estesi, te lo immagini, quel treno, e soprattutto la varia umanità che lo popola. Caldo boia, caldo cane, le ore si mescolano agli afrori della pelle sfruttata, alienata, abbrutita da un lavoro incerto, insensato. O addirittura inesistente. Pena di vivere così, ma lo fai, ogni giorno. Dall'ingranaggio non è dato uscire. A un certo punto sbuca quello che nella vita ha combinato meno di niente e se la prende con tutti. È un nessuno, ma le forze dell'ordine ne conoscono benissimo i precedenti per violenze e risse. Tuttavia, secondo un copione ormai collaudato, circola tranquillamente tra la folla scegliendo, per i suoi colpi, bersagli sempre facili: e le velate, "diverse" per eccellenza, sembrano messe lì apposta. Lui inveisce. Brutalmente, ossessivamente. Cerca la reazione. Due uomini decidono che no, è davvero troppo, non è giusto, va respinto. Non esiste alcun diritto a distruggere l'altrui umanità. Prendono così le parti delle ragazze. La furia del neonazista diviene allora incontenibile e, uno dopo l'altro, sgozza i malcapitati.
NOMEN OMEN?
L'assassino si chiama Joseph Christian. Sì, avete letto bene. Joseph Christian, Giuseppe Cristiano. Se aggiungiamo il prenome, Jeremy, abbiamo la Bibbia al completo. Ed era razzista e ha ucciso.
Un pazzo isolato? Andiamoci piano. Negli Stati Uniti episodi simili, dal Ku Klux Klan in poi, si ripetono con una certa frequenza. Il trend pare in ascesa nell'intero Occidente (chi non ricorda Anders Breivik, il carnefice di Utoya?), fomentato pure da una taluni politici. In tutti i casi, il ricorso a terminologie "religiose" è costante.
Ma Joseph Christian, Giuseppe Cristiano, rappresenta a suo modo un unicum. Forse per quel nome così fatale, che racchiude il padre terrestre e il figlio celeste. E che sopprimendo l'umanità, cioè a dire il padre secondo la carne, ha vanificato il sacrificio del Figlio.
Soffermiamoci ora sulle vittime. I loro nomi sono ancora ignoti, ma le biografie ci consegnano dati importanti. Avevano 53 e 23 anni; il primo aveva prestato servizio nell'esercito, il secondo era un brillante neolaureato.
Dei tre uomini, chi ha respinto i principi in cui pure è nato e cresciuto, è il bianchissimo (il "suprematista") Giuseppe Cristiano dal nome biblico, apostolo improvvisato d'una missione "divina".
Nessuno mai affermerà che la violenza è insita nel credo di Giuseppe Cristiano. Tutti, invece, diranno che Giuseppe Cristiano di cristiano non ha nulla.
Naturalmente è vero. Ma perché non giungiamo alla stessa conclusione se a uccidere sono i jihadisti? Perché tendiamo a considerare questi ultimi musulmani autentici, conferendo così loro una insperata autorevolezza, mentre gli altri, la stragrande maggioranza che lavora, ama, prega, condivide con tutti gli uomini gioie e sofferenze, sarebbe al massimo "moderata", "occidentalizzata" ecc. (ossia all'acqua di rose, poco seria e perciò meno "pericolosa")?
Le donne offese e gli uomini scannati da Giuseppe Cristiano erano americani di fede islamica. Americani e basta, né più né meno dei wasp e dei neri. Stavano, con ogni probabilità, praticando il loro jihad, che non è la guerra santa ma lo sforzo sulla via di Dio. Una sorta di digiuno quaresimale. Da poco, infatti, è iniziato il Ramadan. Li hanno martirizzati, come i copti in Egitto alla vigilia dell'Ascensione. Veri credenti ammazzati dall'empietà nichilista. Nei Tg e sulla grande stampa non ne troverete traccia. Ma anche questa è stata una strage.
© Daniela Tuscano

Mafia, dopo 17 anni i killer di Giampiero Tocco incastrati dal disegno della figlia che aveva assistito al sequestro: 4 arresti

Una storia incredibile  .

da  http://palermo.repubblica.it/cronaca/  del 30\5\2017

Mafia, il disegno della figlia del boss incastra gli assassini 17 anni dop
Il padre fu sequestrato da una finta pattuglia della polizia, la bambina vide i killer fuggire. Blitz dei carabinieri, quattro arresti di SALVO PALAZZOLO

                          Il disegno della bambina, foto di Mike Palazzotto




Aveva sette anni, sognava di diventare una ballerina. La sera del 26 ottobre 2000, stava tornando a casa con il suo papà, dopo la lezione di danza. All’improvviso, un posto di blocco. Un uomo che indossava una pettorina con la scritta polizia alzò una paletta e disse: “Deve venire con noi”. Il padre capì: “Non fate del male alla bambina – sussurrò - vi seguo”. E sparirono nel buio di una strada di campagna. Mezz’ora dopo, la bambina stava già disegnando in una caserma dei carabinieri quella scena: l’uomo con la paletta e la pettorina della polizia accanto a tre uomini. Non erano poliziotti, ma killer della mafia inviati a sequestrare il padre della piccola, il mafioso Giampiero Tocco, entrarono in azione a Torretta, alle porte di Palermo.



Diciassette anni dopo, hanno un nome gli assassini: i carabinieri del nucleo Investigativo di Palermo hanno fatto scattare un blitz per quattro persone. Quattro, proprio come diceva il disegno della bambina, che è diventato uno straordinario riscontro alle dichiarazioni dell’ultimo pentito di mafia, Antonino Pipitone. Quattro e non tre, come aveva detto un altro collaboratore di giustizia. L'ordinanza di custodia cautelare è stata firmata dal gip Fabrizio La Cascia. Le indagini dei sostituti procuratori Roberto Tartaglia, Annamaria Picozzi e Amelia Luise accusano adesso Salvatore Gregoli, Giovanbattista e Vincenzo Pipitone, poi anche Freddy Gallina, fermato negli Stati Uniti dall’Fbi per immigrazione clandestina, è già scattato il provvedimento di espulsione verso l’Italia.
“Tocco era sospettato di avere avuto un ruolo nell’omicidio di Peppone Di Maggio”, ha spiegato l’ultimo pentito di mafia. “Prima di essere ucciso, fu interrogato dal boss Salvatore Lo Piccolo, che insisteva per sapere chi avesse organizzato il delitto”. Tocco rispose che l’ordine era venuto da “qualcuno molto in alto”. Lo Piccolo urlò: “Non hai capito, l’altosono io”. E Giampiero Tocco venne strangolato. Poi, lo sciolsero nell’acido.
"Conta poco che siano trascorsi 17 anni - dice il colonnello Antonio Di Stasio, il comandante provinciale dei carabinieri - il tempo è relativo, il suo unico valore è dato da ciò che facciamo mentre sta passando, diceva Einstein. Ed oggi si è riusciti ad aggiungere all'indefinito puzzle della storia di mafia un altro frammento di verità".

29.5.17

Nella Bassa friulana l'uomo che sussurra ai coleotteri






Fausto Del Pin, di San Giorgio di Nogaro, ha creato nella sua fattoria l'habitat adatto alla crescita del "cervo volante", un coleottero che si sta estinguendo. Ecco le immagini di uno degli insetti cresciuti nella Bassa friulana (Video Fausto Del Pin)




San Giorgio: Del Pin ha creato nella sua fattoria l’habitat naturale per il cervo volante. «Sono in via d’estinzione e ci vogliono anche cinque anni per farli crescere»di Francesca Artico

da http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca del 27 maggio 2017



SAN GIORGIO DI NOGARO. A dieci anni dalla creazione di un habitat adatto, nella Bassa Friulana è nata la nuova generazione di cervi volanti (Lucanus cervus), i grossi coleotteri in via di estinzione la cui specie è inclusa nella Convenzione per la conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in Europa.
Nella Bassa friulana l'uomo che sussurra ai coleotteriFausto Del Pin, di San Giorgio di Nogaro, ha creato nella sua fattoria l'habitat adatto alla crescita del "cervo volante", un coleottero che si sta estinguendo.
Fausto Del Pin, imprenditore e produttore di nuove tecnologie conosciuto anche fuori dai confini nazionali per aver realizzato il Defend un dispositivo “antifulmini”, animalista e naturalista convinto (in questi giorni sta combattendo una battaglia contro l’abbattimento delle nutrie), lavorava da dieci anni per raggiungere questo risultato.
«Oggi - racconta - sono contento. In dieci anni é nata la seconda generazione di cervi volanti nella fattoria dove tenevo i cavalli a San Giorgio di Nogaro. La vita da larva nei tronchi vecchi e morti dura 5 anni. Lo sviluppo di un cervo volante può durare tra i 3 ed i 5 anni.Da noi si possono considerare in via di estinzione ma se si agisce come ho fatto io si ripopolano e si salvano. Basta lasciare marcire dei tronchi dove nelle vicinanze c’è un esemplare.
Loro depongono le uova alla base dei ceppi di alberi vecchi o morenti (preferibilmente quercia, castagno, faggio, salice e pioppo) che vengono incisi dalle mandibole della femmina prima della deposizione. È un insetto stupendo che va tutelato».
Il via grazie a un cumulo di legno vecchio lasciato riposare per anni. «Dopo cinque anni - racconta Del Pin - ho visto nascere i primi coleotteri. Li ha visti combattere e anche amoreggiare.
Ora si sono di nuovo riprodotti. Vorrei trasmettere questo mio impegno a tutti con il fine di iniziare a ripristinare quell’ecosistema che l’uomo ha interrotto in alcuni suoi passaggi. Tutti dobbiamo fare un passo indietro se vogliamo un mondo vivibile.
Ricordo che un tempo il cervo volante – come altri coleotteri che vivono nel legno –, era molto comune. La specie si deve considerare potenzialmente minacciata per la riduzione o la distruzione del suo habitat, in particolare per le pratiche forestali che tendono a eliminare i vecchi tronchi».
Il cervo volante è inserito in alcune norme di protezione dell'Unione Europea, e precisamente nella direttiva Habitat del 1992, che prevede la designazione di zone speciali per la conservazione.



















direttiva Habitat del 1992, che prevede la designazione di zone speciali per la conservazione.

l'importante non è la vittoria ma l'arrivo . Mario Bollini, chi è l'italiano arrivato ultimo alla maratona di New York a 74 anni: «La prima volta ho partecipato nel 1985»

da  msn.it      Un altro grandissimo traguardo raggiunto da un atleta instancabile, che per decenni ha preso parte alla maratona di New York...