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1.12.12

sognare o non sognare ? io sogno e provo a metterl in atto

Sognare  o non sognare  questo è  il dilemma  espresso    nel bellissimo  articolo  di  http://www.kigheghe.com/ da  che  riporto interamente , foto comprese   perchè   come mio solito  non riesco   mai  a sintetizzatore , ma  anche su questo ci sto lavorando 

L’individuo che si alza al mattino dopo una notte di sonno ha l’impressione di cominciare un’altra vita, ma Se non ha dormito, non ha cominciato un bel nulla. Le otto del mattino saranno come le venti di sera del giorno precedente, il che cambia la prospettiva di vedere le cose. Forse il sognare è il segreto dell’uomo, ed è questo che rende la sopravvivenza sopportabile. Io Sono convinto che se all’umanità fosse impedito di sognare non durerebbe un secondo e la storia finirebbe, Sognare, ossia contemplare noi stessi mentre si dorme, significa in pratica anche se interiormente, vivere, desiderare, litigare, viaggiare, fare  l’amore eccetera.cioè vivere in un’altra dimensione di irresponsabilità
A chi ci osserva giacere beati e sereni gli sembreremo in apparenza come morti, mentre contrariamente al risveglio ci ricorderemo quelle avventure e le confronteremo con i fatti e le esperienze di ciò che chiamano realtà, pur sapendo a modo, nostro che, anche i sogni sono reali e, anzi, che è questa seconda realtà che fa vacillare la prima. Noi crediamo di sapere che sono due cose distinte, anche se la caratteristica del sogno e che è vissuto come se fosse reale. E allora?La realtà non sarà mica un sogno? Purtroppo mi mancano prove attendibili della mia veglia, ma potrei provarle e come? In molti modi, ma potrei ugualmente sognare anche tutte le prove fatte a tale scopo. Siamo sicuri che la veglia sia più lunga e duratura del sogno e fino a che punto siamo innocenti di ciò che facciamo dormendo?E se non siamo responsabili di quello che facciamo nel sogno, fino a che punto siamo responsabili di ciò che desideriamo quando sappiamo, di essere (svegli)?Ma se possiamo sentire, e soffrire quando gli altri ci vedono debitamente immobili e apparentemente morti. Chi ci dice che siamo vivi? Forse se non sognassimo dall’inizio del nostro tempo, non avremmo concepito la possibilità o perfino la probabilità di avere esperienze dopo la morte,
Ora torno per terra e butto lì alcune considerazioni. La prima e forse l’unica e che nessuno si annoia mentre sogna, e una differenza non da poco. Quindi se siamo annoiati siamo svegli, (teoria di Mick) e quello che chiamiamo IO non e altro che il nostro rappresentante nella vita reale.  Sto sognando o son sveglio?   Se non sognassi, forse non avrei fantasticato sulla vita oltre la morte, e il sogno che mi ha dato la facoltà di creare questo blog ma contempo realmente devo assolutamente evitare che il tutto assomigli a un sogno, perché allora diventerebbe posticcio L’irrilevanza della vita davanti alla maestosità del sogno SOGNARE O NON SOGNARE QUESTO È IL PROBLEMA. 

 Ora  noi  tutti  sogniamo  ma   a volte  non li ricordiamo  per i più svariati motivi  in particolare  : 
 (...)
1 )  Essere molto orientati verso il mondo esterno e poco attenti verso quello interno. L’introspezione e la curiosità verso i propri meccanismi interiori, come già detto, favorisce l’attenzione su di sè ed il ricordo dei sogni.
 2 Esercitare molto il controllo su se stessi, la propria vita, gli altri. I sogni non obbediscono nè alla volontà, nè al controllo, sono quanto di più “anarchico “ci sia.
 3 Essere estremamente razionali. Raziocinio e regole logiche non hanno nessun valore nei sogni che sono spesso estremamente irrazionali.
 4 Considerare i sogni solo lunghi racconti romanzati, quando sogni sono anche frammenti, immagini, colori. Questo l’equivoco in cui spesso incorre chi dice di non ricordare i sogni: non valutare preziosi frammenti o sensazioni oniriche che potrebbero diventare la breccia attraverso cui sogni più corposi pian piano fluirebbero.
 5 Periodi di stress o di ansia. Quando la vita è regolata da ritmi stressanti i sogni tendono a non affiorare nel ricordo…   le preoccupazioni e l’ansia diventano dominanti, la velocità e la fretta di alcuni risvegli inibiscono il ricordo.
 6 Problemi fisici. La medicina cinese considera i sogni come espressione inconscia di una energia fisica. Secondo queste teorie i sogni possono rivelare il momento in cui l’energia portatrice di malattia è già penetrata nell’organismo, ma non ancora nei vari organi. L’assenza di sogni, sogni frammentati e comparsa di sintomi dolorosi mentre si sogna, possono essere sintomo di uno squilibrio energetico e rivelare malattie e malesseri.
Queste  le cause che possono influire sul non ricordo dei sogni e che, (importante), non vanno mai prese alla lettera o come regole granitiche. Sono solo indicazioni che tentano di dare una risposta alla domanda  “perchè non ricordo i sogni”, e che aiutano a riflettere su di sè e a stimolare nuovi comportamenti che influenzano il ricordo (...)

Io  ho deciso di  sognare sia  di notte  (  chi se  ne  frega  se  spesso  non ricordo  in sogni  o  gli incubi  )  sia  ad occhi aperti    perchè   secondo   http://www.riza.it/psicologia può  far  bene:

- Quando i sogni ci ricaricano. Il cervello crea nuove immagini quando avverte che la realtà sta diventando troppo grigia e opprimente. Non respingere il tuo sogno, perché ammorbidisce la durezza del mondo, rendendolo meno aggressivo e può allentare conflitti e frustrazioni, permettendoti di ricaricare le pile e dare il via a una situazione più rassicurante.
- Quando sono realizzabili. Gestire un ristorante o l'amore per dei libri, la conoscenza dei fiori o creare vestiti: ogni giorno ti parla di una passione che può essere coltivata e darti, quando serve la giusta ricarica di energia. Segui le sue tracce e impegna la fantasia per un sogno che sia anche progetto di cambiamento...E se è alla tua portata, può diventare realtà.
- Quando sono tanti. Cambia l'età, cambiano i desideri cambi tu. Magari prima ti vedevi dietro un bancone e oggi accarezzi l'idea di fare volontariato. Non temere di abbandonare il sogno che ti accompagna fin da giovane per abbracciarne un altro. Alcuni sogni vanno sullo sfondo, altri ti accompagnano per sempre, ma ognuno di questi è indispensabile e ti permette di conoscerti meglio.  

Infatti    secondo     http://www.benessereblog.it/post/11815 foto compresa
  
La conferma che sognare ad occhi aperti fa bene ci arriva da un recento studio pubblicato sulla rivista dell’Association for Psychological Science : Perspectives on Psychological Science.
Si tratta di una meta analisi di diversi studi che in passato hanno esplorato gli effetti sulla nostra psiche del cervello a briglie sciolte. L’équipe, coordinata dalla psicologa Mary Helen Immordino-Yang, ha portato alla luce diversi benefici dei sogni ad occhi aperti.

Partiamo dall’apprendimento. Mettere in cervello in stand-by, estraniandosi per un po’ dalla realtà per fantasticare liberamente, è infatti fondamentale per potenziare le nostre abilità cognitive, dalla memoria all’elaborazione delle informazioni allo sviluppo di una maggiore creatività alimentata da una fervida immaginazione…Sognare ad occhi aperti fa bene anche alla sfera emotiva, oltre che a quella cognitiva. Fantasticare porta infatti ad acquisire una maggiore consapevolezza ed a scegliere quello che è giusto per noi più facilmente, con meno incertezze e più determinazione.

Quando ci estraniamo è un po’ come se esplorassimo i nostri desideri più nascosti, lasciandoci trasportare liberamente dalla mente e scoprendone di più su cosa ci aspettiamo dalla vita, dalle relazioni, da noi stessi.
Concentrarsi, spiegano gli autori, è importante ma anche sognare ad occhi aperti è fondamentale per il nostro equilibrio interiore e nella ricerca del benessere, in special modo oggi che siamo subissati di informazioni attraverso i social media, far riposare il cervello è tutt’altro che una perdita di tempo e di produttività. Ma occhio a cosa sognate ad occhi aperti, meglio concentrarsi su immagini e pensieri positivi che spingono a migliorare la realtà che ci circonda una volta tornati con i piedi per terra.
Via | Psychological Science  Foto | Flickr

Ora anche se a volte come sono riusciti ad evidenziare bene sia le due puntate di topolino e gli ombronauti ( N 2972-2973 ) dove nel finale : prof enigm << credo che sia meglio che tutti ci 
rimbocchiamo le maniche e proviamo a creare un mondo migliore usando solo le nostre forze >> topolino : << avete ragione ! vedere realizzati i propri sogni è bello ma... ricordiamoci che il sogno di qualcuno può diventare un incubo per qualcun altro >> ., sia La legione degli scheletri Dylan Dog n 315 in edicola ( foto al lato ) qui da dove ho preso la foto una  buona recensione dove nel finale SPOLLER << dormi in pace Moheena , continua a sognare . I sogni talvolta possono uccidere .ma più spesso aiutano a vivere [ e , aggiunta mia , a sopravvivere ] >> SPOLLER . Quindi me ne frego se mi chiamano illuso o paddy garcia ( I II ) ma in tempi come questi a volte l'illusione può essere preziosa  lo dico con due  canzoni  che sono insieme alle  due citate nelle  url  le colonne sonore del post d'  oggi
 






basta non esagerare con essa e trasformarla in qualcosa di concreto come dice il primo dei fumetti citati nel post ed evitare di fare   grazie  ai consigli  ( sempre dalla rivista riza vedi sopra l'url ) riportati   qui sotto  , scusatemi per l'ultima citazione , sogni  mostruosamente proibiti   film  del 1982 diretto da Neri Parenti, con protagonista Paolo Villaggio. È un remake di Sogni proibiti ( The Secret Life of Walter Mitty  film americano del 1949 di Norman Z. McLeod con Danny Kaye  ) .

- Se sono una fuga. Se ogni volta che soffri o che ti senti inadeguato ti rifugi nel sogno e ti racconti una storia molto diversa dalla realtà, utilizzi l'immaginario per appagare un desiderio che non riesci e, forse, non vuoi realizzare. È un artefatto, un'illusione che se al momento ti consola e ti difende dalle frustrazioni, nel tempo può bloccare la tua energia vitale.
- Quando sono rigidi. Il sogno è in continuo cambiamento nei contorni, nei contenuti, nelle sfumature. Più lo affini e lo arricchisci di dettagli più lo impoverisci rendendolo solo una costruzione artificiale capace di uccidere fantasia e creatività.
- Quando sono improbabili. Inutile sognare di fare la ballerina alla Scala se non hai mai preso lezioni di danza o di diventare uno sportivo professionista se non hai alcuna attitudine. Se ti culli in queste fantasie del tutto prive di fondamento non solo ti anestetizzi, allontanandoti da una realtà che non ti piace, ma rischi di prolungare per molto, troppo tempo il tuo disagio.


 hasta luego   e  buoni sogni

25.3.12

la cultura oggi










a chi mi dice perchè metto e lascio mettere film e musica sia qui che sul mio blog multiautore rispondop cosi : << Sai, al momento se non ci sono tre fighe tettone ( magari rifatte e siliconate ) che sorridono, un comico che tira due scoregge e l'ulltimo cantante di Amici, la cultura è sono considerata roba da cervellotici e da snob.>> 

13.3.12

tutto suona anche le pietre basta saperle ascoltare .il caso di PINUCCIO SCIOLA

ecco due miei  video   ( mi scuso per le  vosio   in soffondo  , ma  i tipi davanti erano dei maleducati   e non sanno ascoltare )    della  sua esibizione  dell'anno scorso    al festival di  time  jazz

                               
                               

                               

                                 
da http://www.cosaspreziosas.com/prodotti-sardi.php?articolo=pietre-sonore

Le PIETRE SONORE dello scultore Sardo PINUCCIO SCIOLA

Che cosa regalare a chi ha già tutto... O a chi non ha bisogno di niente? O a un musicista, un artista, o a chi deve arredare una casa -o magari un intero giardino?
Pietra Sonora
Le Pietre Sonore di Pinuccio Sciola sono qualcosa di più di una scultura e qualcosa di più di un "semplice" strumento musicale: nelle Pietre Sonore sono racchiuse da milioni di anni, pronte a sprigionarsi al tocco della mano, le melodie ancestrali della Terra: i suoni liquidi del calcare, nato nelle profondità degli oceani, e quelli aspri delle trachiti, dei porfidi, dei graniti nati dal cuore stesso della Madre Terra.

Pinuccio Sciola

<strong>Pinuccio Sciola</strong>
Pinuccio Sciola
<strong>Pinuccio Sciola</strong>
Per farsi un'idea di chi è Pinuccio Sciola basta fare un giro per il suo paese,San Sperate, piccolo borgo agricolo a pochi chilometri da Cagliari conosciuto in tutto il mondo come "paese-museo" grazie ad una tradizione ormai quarantennale di muralismo artistico e popolare ma soprattutto grazie a Pinuccio, il suo cittadino più illustre che inventò il concetto stesso di "paese-museo" ormai quarantadue anni fa.
Le sculture sparpagliate per il paese, il parco-atelier e la casa-laboratorio di Pinuccio, sempre aperta ai visitatori, fanno di San Sperate uno dei luoghi dell'anima della Sardegna di oggi: e fra le opere di Sciola, artista dalla carriera lunga ed eclettica (vedi la sua biografia su Wikipedia) le Pietre Sonore sono quelle che più catturano l'immaginazione, e l'ammirazione.

Le Pietre Sonore

Particolare della scultura
La scultura per l'Auditorium
Le Pietre Sonore sono uno stimolo per almeno tre sensi: la vista innanzitutto, catturata dai giochi di luce resi possibili dal reticolo di tagli inferti alla pietra per catturarne le qualità sonore, e poi insieme il tatto, attirato dalle superfici scabre e assolutamente "naturali" delle sculture (che in molti casi conservano i licheni e i muschi che per decenni avevano abitato la pietra nella sua sede naturale) e l'udito: ad ogni sfioramento, ad ogni leggerissima percussione le Pietre Sonore reagiscono come un vero strumento musicale, dando vita a sonorità dal fascino misterioso ed inimitabile. Per farsene un'idea basta ascoltare la registrazione che accompagna questa pagina del sito di San Sperate (dove troverete altre immagini delle sculture che popolano il paese e l'atelier di Pinuccio) o dare un'occhiata a questo breve video in cui è lo stesso Pinuccio a suonare una delle sue sculture. Altre foto, e un altro breve video, si trovano qui.
Dal 1996 Pinuccio Sciola ha esposto in vari Paesi del mondo le sue Pietre Sonore che in qualche caso, come al Parco delle Rose di Bologna, rimarranno per sempre in dono alla città ospitante. A Roma si può ammirare una scultura di Sciola nel giardino del nuovo Auditorium di Renzo Piano, alle spalle dell'Info Point del Teatro.

ThumbnailVista allargataPietra Sonora e 'Semi della Pace' (sorvola con il mouse per ingrandire)
Le Pietre Sonore hanno anche conquistato la pianista Rita Marcotulli, che ha prima costruito intorno aPinuccio Sciola e alle Pietre Sonore, da lui stesso suonate, il progetto musicale Elements: il suono delle pietre che ha coinvolto artisti di livello internazionale (Andy Sheppard al sax, Paolo Fresu alla tromba,Marilyn Mazur e Benita Hostrop alle percussioni, Silvia Alunni al piano e Roberto Masotti alle immagini video) e poi le ha campionate e suonate lei stessa fin dal 2006.

Le opere di Pinuccio Sciola da COSAS PREZIOSAS


ThumbnailVista allargataSorvola con il mouse per ingrandire

ThumbnailVista allargataI "semi della Pace" (sorvola con il mouse per ingrandire)

ThumbnailVista allargataSorvola con il mouse per ingrandire
Da Cosas Preziosas il Negozio Sardo a Roma in via Giulia 195/A (Ponte Sisto) troverai un piccolo campionario di opere di Pinuccio Sciola e un catalogo delle sculture già installate e di quelle disponibili nel suo atelier.
Scultura di Sciola all'Auditorium di Roma

Potrai scegliere fra
le Pietre Sonore,
"Semi della Pace",
le "Targhe"
e soprattutto toccare con mano (o con una bacchetta...) le Pietre Sonore e creare in prima persona le loro arcane, affascinanti melodie.
Se non puoi venire in via Giulia di persona ma sei comunque interessato alle Pietre Sonore, puoi contattarci per maggiori informazioni (tel. 06 6867762).
Nel frattempo, in attesa di apprezzare il suono della pietra, ingrandisci queste foto per osservare gli splendidi giochi di luce e la storia stessa scritta su queste pietre (le "chiazze" biancastre che ornano la superficie della scultura di basalto, nella foto qui sopra a destra , sono licheni... e sono vivi!)
Pietra Sonora vista dall'alto

4.3.12

Fotografia

Testimone, dov'è il testimone?
Nel passato remoto della gioventù,
in quei tratti nervosi, nelle schegge degli occhi,
o nella sapienza dolente dei passi stanchi?
E' ritratta, in voi, la musica.
La fine dei padri. Le generazioni complicate.
Il sussulto dell'incerto domani.
L'ansia d'un Dio rinnegato e sfuggito.
L'età della perdita. Un diamante folle.
Troppo prezioso e fulgido per noi,
poveri carboni spenti.




Sopra: Renato Zero e Lucio Dalla davanti alle immagini di Tenco ed Endrigo. Sotto: Montreux, 29 febbraio 2012, l'ultimo concerto di Dalla, a poche ore dalla morte.




1.3.12

Lucio Dalla, la vita che finisce

Come mi son sentita povera, non appena mi è giunta la notizia della morte di Lucio Dalla. Quasi vicina a quel fatidico 4 marzo. È solo il primo.

Morte? Impossibile. Uno scherzo del web, abbiamo subito ipotizzato, ormai assuefatti alla banalizzazione d’un evento divenuto anch’esso liquido, evanescente, irreale. “È la vita che finisce, ma lui non ci pensò poi tanto”, cantava Lucio in quello che è considerato il suo capolavoro assoluto, Caruso. La tragedia contemporanea consiste appunto in questo: nel non pensarci poi tanto. Ma la morte giunge, radicalmente grave, incredibilmente volatile: prende e rapisce, lasciandoci dentro un pesante vuoto. Il vuoto del rammarico, del rimpianto. Dell’inafferrabile.

Ma Lucio era così cattolico. E da cattolico, per lui, non era la morte a giungere, ma la vita a finire; e, come il suo Caruso, non ci pensava poi tanto perché aveva molto amato. Perché la vita naturalmente e ovviamente finiva, e finisce così, per tutti noi, per ognuno di noi.

Abbiamo eluso una verità così semplice? Colpa nostra.

Era immenso, questo piccolo-grande uomo. E lo dico senza retorica alcuna. Da quanti secoli mi manca? Gli chiedo scusa, scusa per non aver assimilato del tutto quel suo messaggio di vita che finisce, ciclica, spontanea, profumata d’erba, di mare.

Lucio Dalla era un meticcio marino. Non si capiva bene da quale parte iniziasse, o finisse, il suo corpo basso e stortignaccolo. Un mozzo irsuto? Un Querelle italiano? Un avventore di bar di provincia? Tutto questo, e molto di più. Un periferico che come nessuno aveva saputo scrutare la mia Milano. Quella degli anni ’70, truce e concitata, di Corso Buenos Ayres. Odiava quella frenesia da calibro 9, il bolognese Lucio, e lo urlava, lo digrignava anzi, sempre con un lampo di ferrigna ironia, ma sapeva anche accarezzare così bene, e delicatamente, la città nuda e tentacolare: “Milano lontana dal cielo, tra la vita e la morte continua il tuo mistero”.

Ancora mare, profondo, ovviamente. Quella sì, era la sua traversata biblica. Con qualche accento disperato, degno d’un moderno Giobbe: “Frattanto un mistico, forse un aviatore, inventò la commozione, che li mise d’accordo tutti, i belli con i brutti, con qualche danno per i brutti che si videro consegnare un pezzo di specchio così da potersi guardare”. Insomma: la religione ci ha lasciati più inguaiati di prima, quando si è istituzionalizzata. E chi ne ha fatto le spese è sempre stato il povero diavolo. Lo stesso concetto nell’altro suo eroe marino, Ulisse: “Mi sono immaginato la protesta d’un marinaio: senta signor Ulisse, lei parte, va, conquista mondi, seduce le donne più belle, e quando si trova nei guai, tracchete! Ecco un dio che la salva. I suoi sbagli, però, siamo noi a pagarli, noi non protetti da nessuna divinità, noi che abbiamo solo una casa e una moglie e un misero stipendio”. Con queste parole, una volta, Dalla spiegò la genesi di Itaca, con quel magnifico coro “fuori sincrono” maschile e pure femminile; coro di mondine e di operaie, perché Itaca era la metafora, anche, della violenza del potere sulla classe oppressa; forse, persino del capitalista illuminato. Come nell’”orazion picciola” dell’Ulisse dantesco, infatti, alla fine anche il marinaio di Lucio resta sedotto dal fascino ambiguo dell’eloquio itacense: “Anche la paura in fondo, mi dà sempre un gusto strano: se ci fosse ancora mondo sono pronto, dove andiamo”.

Mi è impossibile elencare tutte le canzoni di Lucio che hanno segnato il mio cuore. Sono davvero tante. Troppe. Oggi, un Dalla sarebbe improponibile, ed è un pessimo segnale. Ha amato, dicevamo all’inizio: proprio per tutte le perle disseminate in questo lungo e fulmineo cammino. Non riesco ad ascoltarlo, adesso. Le lacrime mi chiudono la gola. Un brano però, quello sì, è pianto per eccellenza, è puro vento. Lo vedo nelle varie tonalità del blu, dal celeste all’oltremare. Mare, ancora una volta. O meglio, La casa in riva al mare. Una sola, bianca, sotto un sole greco, e quel prigioniero che sogna la donna, lo vedo relegato in uno stambugio levantino, anch’esso chiaro, ma d’un silenzio di calce, spoglio, vano. Che aspetta, aspetta, inutilmente e disperatamente, con un certo sorriso sciocco, baluginato, sotto palpebre vetrose. E poi lo sai, che… fu solo in mezzo al blu. Morto il prigioniero con un’allegria (Quale allegria?) azzurra d’illusione, ma forse ambiguamente rappacificato, accarezzato da un’ala di misericordia. La voce di Lucio è anch’essa leggera mentre lo racconta, quasi buttata lì, fischiettata in semitono. Era una vita che finiva, nel peggiore dei modi, perché non c’eravamo accorti che era quella d’un uomo. Voglia di ribellione. Di dignità. Ci ha insegnato questo e molto altro, Lucio Dalla. Malasorte, il perderti così.


19.2.12

bisognerebbe educare alla bellezza e alla lentezza

La  storia     che  voglio raccontare  oggi  potrebbe  sembrare   una catena  di sant'antonio  o leggenda  metropolitana  , ma   come testimonia il video sotto non lo è  



in fin dei conti è proprio la bellezza che salva il mondo.... non quella chirurgica, ovviamente !!! :-). Una mia amica  di fb  con cui l'ho condiviso sulla sua bacheca mi ha  replicato  : << (...)  mi pare un po' guidato come studio, l'avessero fatto fuori peak hour ci sarebbero stati decisamente altri risultati, è ovvio che ci siano delle priorità anche davanti alla bellezza sorprendente purtroppo, magari speravano di trovarlo lì al loro ritorno da lavoro e poterlo ascoltare con calma. anche davanti alla dama con l'ermellino ad un certo punto ti chiude il museo e devi uscire. >>. A me  sembra  spontaneo   ed  è un ottima provocazione   e  una trovata  originale  per   analizzare  \ sondare  l'educazione  della gente  alla  bellezza Per  l'ultimo aspetto  del discorso  non la  si può biasimare  
tale  storia   e il video annesso  mi fa  venire  in mente   due  canzoni che poi  casualmente  sono quelle  che ho in canna  nel cd   che sto ascoltando in questo    : 1)  Ambaradan  del gruppo    Yo Yo Mundi   ( video  e  testo )  spercie   gli ultimi versi

(....)
in un momento qualunque
bussando forte alla porta
e poco importa se sarà il vento o qualcuno con cattive intenzioni
forse è soltanto la vita che
ci viene a cercare.



2) lavorare  con lentezza di  Enzo  del  Re    (   testo e video  ) .Ma   anche  se  dovesse essere  una  delle  due   cose  di cui parlavo prima   che  importanza  ha  ?  . L'importante  è che   non sia  bufala   e   che  faccia    riflettere   da  qualunque  parte  essa  viene  è  utile   se  scuote  anche per  un attimo le  coscienze   dal torpore   ed   come  dice  questo video  qui sotto  educa alla bellezza



prima che  sia  troppo tardi  .

La  storia  è  questa

Un uomo era seduto in una stazione della metropolitana di Washington DC e iniziò a suonare il violino, era un freddo mattino di gennaio. Suonò sei pezzi di Bach per circa 45 minuti. Durante questo lasso di tempo, poiché era l'ora di punta, è stato calcolato che 1.100 persone sarebbero passate per la stazione, la maggior parte di loro sull ' intento di andare a lavorare. Passarono tre minuti e un uomo di mezza età notò che c'era un musicista che suonava. Rallentò il passo, si fermò per alcuni secondi, e poi si affrettò per riprendere il tempo perso. Un minuto dopo il

6.2.12

Opere d’Arte da salvare dipinti stazione tempio pausania di Giuseppe Biasi

Cercando , in un cd  di backup, delle  foto  delle nostre  piante  , ho   trovato  anzi ritrovato   questo  intervento  (  non  ricordo   se  un associazione culturale  o  qualche intwervento   sui quotidiani locali  o sul  giornale  della  diocesi  ) .  Lo reputo anche se di qualche anno fa   ancora  più attuale  che mai  .  Non riuscendo  a rintracciare  gli autori  per   avere l'autorizzazione ( 'sto  c...  di legge  sulla privacy  )   lo riporto   qui  , ma  sono pronto  a rimuoverlo se  essi me lo chiederanno 



Siamo due artisti  e insegnanti, di “Arte e immagine” Galluresi, della scuola secondaria di primo grado; i quali si stanno chiedendo da qualche tempo a questa parte per quale motivo i cittadini di Tempio Pausania, sono o no! consapevoli, di avere nella propria città, un preziosissimo scrigno ( La Stazione Ferroviaria ), contenente  cinque preziosi gioielli (cinque tele di grandi dimensioni di Giuseppe Biasi ) .
Se non salvaguardate, protette, difese, restaurate; questi preziosi “gioielli” potrebbero essere “trafugati” o nella migliore o peggiore delle ipotesi ( dipende dal punto di vista ) portati  in altri luoghi, della Sardegna o del Continente; perdendo così una opportunità di richiamo culturale e turistico, da non trascurare o minimizzare, come del resto l’atteggiamento degli organi preposti alla salvaguardia e alla tutela del patrimonio artistico locale, hanno sino ad oggi “scandalosamente” fatto.
La stupenda stazione ferroviaria, costruita in  stile Liberty, al centro del paese, si presterebbe ora più che mai, (se non vi sarà subito un intervento di restauro e degli interventi mirati per far si che queste opere siano acquisite dal Comune) ad essere adibita a centro culturale per dibattiti, per riunioni, o a Pinacoteca – Museo. 
Questi bellissimi capolavori (l’architettura e le opere pittoriche) saranno inesorabilmente destinati ad essere persi, se l’opinione pubblica non si mobiliterà per far schiodare dalle loro poltrone chi di dovere, a prendere delle sagge decisioni.
Già da decine d’anni nell’ingresso della Stazione ferroviaria, si trovano cinque tele di grandi dimensioni di Giuseppe Biasi, letteralmente abbandonate alla polvere, alle correnti d’aria, ai gas di scarico dei pulman ed automobili e dei   ormai rari  treni di passaggio, ai vandali (tempo fa hanno cercato di rubarle), una è stata portata a Sassari con la scusa che doveva essere restaurata, se ne sono perse le tracce.
Il critico d’arte Vittorio Sgarbi, quando venne a Tempio, vedendo queste opere  disse che qualsiasi museo avrebbe fatto carte false per poterle avere.
Non a caso nel 2001 a Roma, nel Complesso del Vittoriano, Via San Pietro in Carcere (Fori Imperiali) dal 2 ottobre al 4 novembre. La casa editrice: “Ilisso” ( 1 ) organizzava la mostra antologica dell’artista Sardo ottenendo un enorme successo sia di critica che di pubblico.
I sottoscritti, già nell’ottobre del 1998, sulla rivista “Beta”(2)  denunciavano questo scempio, all’opinione pubblica locale, senza però ottenere  alcun risultato. E pensare che i Comuni interni della Sardegna si stanno inventando qualunque cosa  per attirare   i turisti dalle coste vacanziere. Tempio ha un patrimonio culturale invidiabile da chiunque  e non lo sa sfruttare? Perché?

Chi era Giuseppe Biasi?

Personaggio di spicco nel panorama artistico sardo della prima metà del XX secolo, Giuseppe Biasi riuscì a inserire la Sardegna nel quadro culturale della modernità europea, emancipandosi dalle tendenze nazionali dominanti in quegli anni. La grandezza dell’artista, scoperta peraltro non molti anni fa, risiede nella capacità di rinnovare gli eleganti impulsi stilistici centroeuropei (soprattutto l’arte secessionista di Klimt), piegandoli alla realtà arcaica della sua terra natia. Biasi proviene da una famiglia della borghesia intellettuale.
Nasce nel 1885 a Sassari e non frequenta scuole artistiche perché in Sardegna non ci sono e, pertanto, si forma da solo, guardando all’illustrazione e alla cartellonistica. Nel 1905 esordisce sull’Avanti della Domenica, settimanale romano. Dal 1907 al 1910 lavora e si afferma come illustratore nella raffinata rivista fiorentina Il giornalino della Domenica, dedicata ai bambini e diretta da Wamba. Le copertine e le tavole, pubblicate sul settimanale, hanno come tema principale la vita popolare sarda e si connotano per un originale stile geometrizzante, asciutto e sintetico, influenzato dalla Secessione Viennese.Queste sue illustrazioni – scriveva Grazia Deledda nel 1909 – mi fanno una grande impressione: più di ammirarle io le sento, e mi sembrano perfette, per l’animo, per il colore locale che le rende vive e palpitanti”. Il rapporto professionale con il Premio Nobel – testimoniato dalle illustrazioni realizzate per i suoi racconti e per i romanzi, dal 1909 al 1917 “ si allaccia a quello che l’artista di Sassari intrattenne con lo scultore Francesco Ciusa o con il pittore Filippo Figari, ovvero i protagonisti di quella stagione dell’arte sarda nella prima metà del ‘900, che hanno mostrato come sia possibile aderire al moderno scendendo nel profondo della (propria) cultura popolare.
Le strette collaborazioni con gli intellettuali del tempo aprono al giovane Biasi le porte dei periodici a grande diffusione, come La lettura e L’illustrazione italiana. Nel 1907 cominciano i primi viaggi dell’artista alla scoperta della sua terra: la Sardegna. Il mondo rurale sardo viene visto da Biasi come un miraggio primitivo. Nel 1916, congedato dopo una ferita riporta al fronte, si trasferisce a Milano. Un anno più tardi organizza la Mostra Sarda, presso il Palazzo Cova, che suscita grande attenzione da parte della critica. Alla fine degli anni Dieci, Biasi appare influenzato da Velazquez e Goya: in quadri come Processioni del Cristo e Teresita, la tavolozza si fa infatti più calda e la stesura del colore è più densa. I temi (matrimoni e feste campestri) rimangono gli stessi. La vita contadina continua ad essere rappresentata, ma in maniera evocativa: Biasi, lontano dalla sua Sardegna, la dipinge basandosi sulle immagini scaturite dai suoi ricordi. Il periodo milanese di Biasi si conclude, nel 1919, con la decorazione del bar nell’Hotel Villa Serbelloni a Bellagio: si tratta di quattro tele incentrate sul tema “L’amore in Sardegna”.
Dopo la commissione del ciclo pittorico, la fortuna di Biasi comincia a declinare. Influenzato dal pittore Aroldo Bonzaghi, l’artista affronta nuovi temi: dipinge suonatori ambulanti, serenate notturne.
Nell’olio Quartetto, ad esempio, si nota l’abbandono delle tinte smaglianti e la ricchezza decorativa; la tavolozza abbandona le tinte calde e diventa cupa, quasi monocroma. Dal 1923 al 1927 Biasi vive nel Nord Africa, dividendosi tra la Tripolitania, la Cirenaica e l’Egitto. La realtà africana, rappresentata attraverso piccole tempere, disegni, studi dal vero, è per Biasi specchio di desideri e fantasie. Realizza diversi nudi, in prevalenza femminili. Se la donna sarda era “diversa” sul piano sessuale e sociale, la donna africana lo è anche su quello di razza. La prima, simbolo dell’identità sarda, quasi sempre raffigurata da Biasi adolescente e chiusa nel severo abito tradizionale, trasmette sensualità attraverso i gesti e gli sguardi. La seconda, lontana dai preconcetti, esprime maggiore erotismo.


 La donna occupa una posizione preminente nell’arte di Biasi. L’uomo, al contrario, riveste un ruolo secondario, e spesso appare di spalle. I ritratti maschili sono rari e per lo più realizzati su commissione. Nel 1927 Biasi si stabilisce in Sardegna, ma ormai lontano dai ritmi decorativi del liberty e tutto immerso in una nuova interpretazione della sua gente, tra un nuovo naturalismo e un accentuato realismo espressionista. In netto contrasto col classicismo novecentista, espone due nudi alla Biennale di Venezia del 1928, accolti freddamente dalla maggior parte: la critica ne condanna il folklorismo e il decorativismo. Nel 1935, contro l’arte del regime, pubblica violenti pamphlet contro la gestione delle Quadriennali romane. L’attività artistica di Giuseppe Biasi si conclude con la sua morte ad Adorno Micca nel 1945. Le sue tele, al di là dei soggetti affrontati, dimostrano che si può stare al centro dell’arte pur non rientrando nei grandi circuiti culturali o delle avanguardie.

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Primo pittore moderno in una Sardegna che all’inizio del Novecento lottava per liberarsi da una lunga storia di soggezione coloniale o semicoloniale, Giuseppe Biasi (Sassari 1885-Andorno Micca 1945) ha dedicato i tre quarti della sua opera a rappresentare la propria terra. Questo non fa però di lui uno dei tanti pittori regionalisti di cui abbonda l’arte italiana a cavallo di secolo.
Biasi non è uno sfruttatore del folklore a buon mercato, ma l’inventore di una tradizione: se una scrittrice come Grazia Deledda aveva raccontato la Sardegna, Biasi per la prima volta ne ha costruito l’immagine. Quella che era agli occhi dell’Italia un’isola arretrata e miserabile, infestata dalla malaria e dai banditi,  diventa un Eden primitivo, immune dai guasti della civiltà e del progresso. Attraverso un vero e proprio rovesciamento di valori, Biasi trova nella cultura popolare le radici di un’identità sarda che gli intellettuali della sua generazione si sforzavano affannosamente di definire.
Populista e aristocratico, avvezzo alla mondanità più elegante e però perfettamente a suo agio tra i pastori, nella solitudine degli stazzi; nutrito di aggiornata cultura internazionale ma incrollabilmente fiero delle proprie radici; ironico, disincantato, e insieme profondamente intriso di romanticismo; fortemente individualista, ma pronto ad assumere con coraggio il peso di situazioni collettive; scettico e disilluso, ma ugualmente impegnato a cercare nell'arte "la buona volontà dell'illusione"; persuaso di non poter "abbracciare alcun partito né arruolarsi in alcun esercito", insofferente del clima della dittatura fascista, eppure capace di schierarsi - quando niente lo richiedeva, e per motivi esclusivamente ideali - con il fascismo nella sua ora estrema, quella della Repubblica Sociale: questo è Biasi, pittore e uomo.
Irrazionalismo, pessimismo, nichilismo, pensiero antiborghese, ma anche antidemocratico – elementi su cui si fonda la sua cultura – ne fanno un singolare fascio di contraddizioni e una personalità eccentrica e originale nel quadro dell’arte italiana del primo Novecento.
In Sardegna esistono così poche opere d’arte e quelle che ci sono vengono maltrattate, abbandonate snobbate .
Salviamo queste opere. Ci rivolgiamo a tutti gli intellettuali, agli animi sensibili, a tutti coloro che credono nelle belle cose, fermiamo con una firma questo ennesimo oltraggio alla Nostra cultura.

                                   Nuccio Leoni e Giorgina Fenu

Note
1)  casa  editrice  sarda  che  organizza  anche manifestazioni culturali ed artistiche http://www.ilisso.it/  ( portale  generale  )  e qui per  i libri  http://www.ilisso.it/series/
2) vecchia  , ormai  chiusa    RIVISTA TRIMESTRALE del DISTRETTO SCOLASTICO N.3   di  Tempio Pausania



31.1.12

la setta degli alchimisti ., la cattedrale dell'anticristo ., di fabio delizzos


                                                   LA SETTA degli  ALCHIMISTI 



Un romanzo avvincente . Un buon esordio Abbastanza  originale  , pur essendo un genere  stra  abusato  allmeno  e  iper trattato e che  sta iniziando a dioventare di moda   anche  da noi ( si tratta di un thriller esoterico )  ha  un ritmo  inesorabile e incalzante che porta alla scoperta  di un mistero che si dipana attraverso i secoli, tra alchimia, inquisizione e segreti barocchi. Un'opera prima sorprendente e affascinante . Ottima la  trasportazione lo si nota  dall'influsso , dele  tematiche  di Martin Mystyere e di voyager trasmissione  tv di rai 2  . Ma  immune  dalla banalità  di quest'ultima
<> secondo  la recensione de la  repubblica  <<  ha impostato un complesso thriller che regge fino alla fine, mantenendo alta l’attenzione del lettore. I personaggi sono ben caratterizzati, la parte storica è ben documentata, così come gli aspetti che riguardano la musica. Un romanzo che avvince, con un’ottima scrittura e una felice costruzione della struttura del racconto.>> .Si vede  che è uno scrittore poliedrico  

                                                   LA CATTEDRALE  dell' ANTICRISTO 



 Qui Delizzos  hasuperato il suo  precedente  . L'ho trovato più avvincente  ed intrigante , sta maturando a vista d'occhio . Esso  contiene  più pathos   e più 
Poetico, incalzante, avvincente, mantiene alta l'attenzione del lettore. Parte come romanzo storico ma si trasforma lentamente in thriller. I personaggi sono vividi, la parte storico -politica  è evidentemente frutto di un'accurata ricerca . 
Infatti  ho capito   di più il pensiero di F.Nietzsche    da questo suo  romanzo in cui come il precedente   vi riversalas  sua  esperienza   degli studi   ( in cui  è laureato  )  filosofici  , che  da  una barbosa  e ioncocludnete lezione di filosofia  del mio prof   delle superiori . Non so che altro aggiungere  se non   confermare  quanto dice Luca Filippi su LA VIBRAZIONE NERA  ( di cui trovate anche   un ottima  intervista a  Fabio Delizzos   ) << Il romanzo di Delizzos ha molti pregi. Una prosa limpida, capace di passare attraverso registri diversi, sostiene una trama sicuramente avvincente. La risoluzione di questo "giallo d'ambientazione storica" offre all'Autore l'opportunità di affrontare tematiche impegnative come la massoneria, lo gnosticismo, e il presunto anti semitismo nietzschiano. Lo stesso filosofo viene ritratto nella sua intensa e a volte contraddittoria umanità, scevro degli orpelli accademici, e sapientemente incastonato nel flusso narrativo. Molta carne al fuoco, si direbbe, ma con funambolica destrezza Delizzos riesce a suscitare interesse senza appensantire il lettore. E ve lo dice uno che, al liceo, la Filosofia non l'ha mai digerita .
Sopra ogni cosa, in questo libro c'è una fascinosissima Torino fin de siècle. La città santa della Sindone e la città dannata percorsa da un freatico ed oscuro esoterismo coesistono in un impossibile equilibrio che inquieta ed affascina nello stesso tempo.>>


blog  dell'autore    http://fabiodelizzos.posterous.com

27.1.12

consigli cinematografici :un pefetto gentiluomo., benvenutio al nord ; cattiva maestra


                                                                 Un perfetto gentiluomo 


Un ritratto grottesco e satirico dell'élite spiantata dell'Upper West Side . Prondo e divertente . ho sentito le  stesse  atsmosfere  di  scoprendo forest (Finding Forrester) è un film del 2000, scritto da Mike Rich e diretto da Gus Van Sant.o di Mery per sempre è un film del 1989 diretto dal regista Marco Risi, ambientato a Palermo e basato sull'omonimo romanzo di Aurelio Grimaldi

                                                                     Benvenuti al  nord 



Niente  d’eccezionale  discreto    In questa sagra del luogo comune manca solo il romano che dice "mortacci vostri". Gag scontate e forzatamente banali , se  ne  salvano poche  ; la scena della famiglia che va a Milano è un insulto alla mitica scena di Totò, Peppino e la malafemmina del 1956 E la morale del film quale sarebbe ? "Rimaniamo nella nostra superficialità e volemose bene". Ottimo, proprio quello che serve. Povera Italia, come stiamo messi male...

                                                             Cattiva  mastra



Una  ….  Americanata ma con tante schifezze che vengono prodotte oggigiorno, questo forse lo salverei  in quanto  mi ricorda  le  serie  tv  ameriocane  degli anni 70\ 80  e  primo biennio  degli anni 90

26.1.12

per i vegani ,  i simpatizzanti ( come me   )   non vegani e   non vegani completi
 
1) Scrivi a volontari@veganfest.it e offri la tua disponibilità per distribuire i volantini nella tua zona indicando il tuo indirizzo.
2) Pubblica banner e scudetti sul tuo blog o sito: www.veganfest.it/?page_id=1929
3) Usa le grafiche VeganFest sul tuo profilo FaceBook: http://www.veganfest.it/?page_id=1929
4) Invia a tutti i tuoi amici e contatti i riferimenti del sito: www.veganfest.it   e della pagina Facebook: www.facebook.com/VeganFestExpo
 
Forza!... L’Onda Vegan deve travolgere la Toscana!!!
 
Il VeganFest non solo ha preso l’impegno di mantenere l’INGRESSO GRATUITO a tutti i visitatori, ma ha anche garantito l’accesso gratuito a tutto il ricchissimo programma di concerti, spettacoli teatrali, proiezioni, corsi di cucina, conferenze, presentazioni e mostre. Oltre a questo, i costi di partecipazione per gli espositori, sono bassissimi proprio per aiutare anche le piccolissime realtà commerciali a far conoscere i propri prodotti ecologici e crueltyfree. Nel rispetto della motivazioni etiche che danno vita al  VeganFest, verrà anche garantita la partecipazione gratuita alle associazioni animaliste e umanitarie.
In un esperimento mai tentato prima e per la prima volta in un evento Vegan. il Festival si estenderà nell’intero paese di Seravezza con la partecipazione degli abitanti che addobberanno la città in onore del VeganFest e dei commercianti che convertiranno le loro proposte offrendo prodotti e servizi Vegan… Le piazze ospiteranno mostre permanenti e eventi…
Insomma, l’onda Vegan arriverà a Seravezza, trasformandola per 5 indimenticabili giorni nella Capitale Vegan d’Europa!
Ovviamente un evento etico di queste dimensioni con ospiti e spettacoli internazionali ha un gran bisogno di volontari per essere promosso in tutta Italia.
Se sei Vegetariano, Vegan o comunque attento e sensibile agli aspetti etici ed ecologici che il VeganFest rappresenta, ti invitiamo a dare anche il tuo contributo nel promuovere l’evento.
Puoi aiutarci in molti modi, mettendoti a disposizione durante i 5 giorni del VeganFest, ma anche semplicemente distribuendo nella tua città i volantini che possiamo spedirti insieme a delle indicazioni su come svolgere questo compito al meglio.
Se vuoi anche tu contribuire al VeganFest, contattaci: volontari@veganfest.it  
Forza e coraggio… Sarà un evento grandioso e mai tentato prima!