4.6.14

Così Angela è diventata Simone: storia (fotografica) di una transizione

 potrebbe  interessarvi  anche la storia   di   **** di Iside, giovane transessuale MtF e del suo percorso per diventare veramente ciò che è sempre stata: una donna. Dalla realtà incementata di pregiudizio di un piccolo borgo rurale, alle aule spesso troppo grandi, dell'università. Il lungo volo di una farfalla che non vuole rimanere crisalide  . Non ricordo  l'url  del  post  in cui  ne  ho parlto    ,  ma  la  trvate  in questo  crto qui sotto




espresso online del 03 giugno 2014


Simone ha 57 anni. Non ha lavoro, deve cambiare casa, ma è felice. Perché finalmente è (quasi) ciò che ha sempre desiderato essere: un uomo. La fotografa Alessia Bernardini lo ha seguito per i due anni in cui ha vissuto sulla soglia. Dal passato femminile a un futuro maschile. E ha raccolto l'esperienza in un libro, premiato a Riga. E che sarà a Milano il 7 giugno
DI FRANCESCA SIRONI

«All'inizio mi chiedevo: chissà se è vero fino in fondo. Chissà se non è solo un malessere psicologico. Alla fine ho scoperto che no: è reale. E noi non possiamo proprio giudicare». Alessia Bernardini è una fotografa. Che come vicina di casa, due anni fa, si è trovata una donna di nome Angela. Che le ha chiesto: «Aiutami a raccontare la mia storia».



La sua storia era la storia di una bambina, poi ragazza, poi adulta, che ha sempre provato vergogna, fino alla rabbia, all'odio, per il proprio corpo. Non perché brutto: grasso, storto o castano. Ma perché “sbagliato”, rispetto a ciò che lei sentiva di essere: il corpo di una donna per una persona che si vede uomo. È complicato, ma, racconta, Alessia, meno di quello che sembra: «Lui è sempre stato convinto».
Così, ha chiesto ad Alessia di accompagnarlo. Per due anni hanno sfogliato insieme vecchi album, camminato per strada, guardato la gente come guarda una donna che vuole essere uomo. Nel frattempo è arrivata anche per Angela la possibilità di realizzare, tramite il Servizio sanitario nazionale, il suo unico desiderio. E così le prime due operazioni. Gli ormoni. Oggi, lui si chiama Simone, ha 57 anni, è un uomo. È disoccupato, ma felice: «Tutta la storia che abbiamo voluto raccontare è un mix di sofferenza e successo, di dolore e possibilità».

le interviste, gli incontri, le fotografie e le vecchie polaroid sono diventate infatti nel frattempo un libro fotografico, intitolato “Becoming Simone” , che ha vinto il primo premio al Self Publishing contest di Riga e sarà presentato il 7 giugno a Milano in occasione dell' evento  "Ladyfest" .
In un momento in cui anche il settimanale “Time” mette per la prima volta in copertina una transgender, Alessia Bernardini dice di aver voluto raccontare «Più che l'aspetto fisico, o le operazioni, lo sdoppiamento interiore, il doppio modo di vedere e vedersi anche nei momenti più semplici. Per questo nel libro passato e presente sono mescolati: non c'è un prima o un dopo nettamente separati. Io quasi, fotografandolo, non mi sono accorta di quanto fosse cambiato con la terapia. Solo dopo aver visto il libro completo ho realizzato»




Il cambiamento non è ancora totale. Manca la terza operazione, la più importante forse, quella che riguarda il pene. «Simone deve aspettare. Ha dovuto aspettare anni per ottenere le prime cure dall'Asl. Se avesse potuto, lo avrebbe fatto subito. E ora ha ancora attese davanti». E il libro, già chiuso? «Il titolo – becoming – racconta il processo. E lui ormai è un uomo». Che deve affrontare da uomo i 57 anni di vita che ha passato da donna.




A cominciare dagli sguardi degli altri: «Non è che la gente lo osservi: non è una persona appariscente», racconta Alessia: «Piuttosto il problema sono i vicini: lui continua ad abitare nella stessa casa dove la portinaia l'ha sempre chiamato Angela. Vorrebbe trasferirsi, iniziare in un contesto nuovo, con una nuova identità». Senza specchi, insomma del passato. Per ora, non può permetterselo. Ma intanto non prova più vergogna di sé. È felice, dice. Pensa di non aver perso nulla. Anzi: di aver guadagnato un futuro. Partendo dal libro con cui ha voluto provare a raccontarsi. Per dire che è difficile, sì, la transizione. Ma possibile. E che ora, ripete, lui è felice.

amore fino all'ultimo anche con Alzheimer.


   canzone in sottofondo 

Sulla mia  bacheca   leggio tale storia  tratta  da  

“Quest’uomo ha 80 anni e insiste ogni mattina a portare la colazione a sua moglie. Quando gli hanno chiesto : “Perché sua moglie è in un ricovero per anziani?”, lui ha risposto: “Perché ha la malattia di Alzheimer.” 


Allora gli hanno chiesto, “Sua moglie si preoccuperebbe se un giorno non venisse a portarle la colazione?” e lui ha risposto: “Lei non ricorda… Non sa neanche chi sono io, sono cinque anni che non mi riconosce più.” 
Sorpresi, gli hanno detto: “Che cosa meravigliosa! Ma sta ancora portando la colazione a sua moglie ogni mattina, anche se lei nemmeno la riconosce?” 
L’uomo ha sorriso, l’ha guardata negli occhi e le ha stretto la mano. 
Poi ha detto: “Lei non sa chi sono io, ma io so chi è lei

3.6.14

Una storia "Into the wild" al femminile lastoria di Jordana Grant “La mia scuola alla fine della Terra” Jordana ha 24 anni e una missione: “Voglio dare un futuro al luogo più estremo”

   musica    consigliata  gli album  
   alla  bellezza  dei  dei margini    (  qui  l'omonima canzone  )    dei Yo Yo Mundi 
   Into The Wild (Full Album)  - Eddie Vedder  


ti potrebbe interessare  http://www.iotornose.it/  da   cui  è preso l'incipit  della   storia  d'oggi
  e  alcuni  url   in cui si parla  dei luoghi in questione


In cui  oltre   che appartenere  uno agli Usa  e  un altro  alla Russia   tra l du isolette passa  anche  la  linea del cambiamento di data  ed  ecco  che per  il  gioco dei fusi orari ci sono 21  ore  di differenza  tra una e  l'altra  isola 
Una storia "Into the wild" al femminile. Jordana Grant, originaria del Montana, ha scelto di vivere nelle Diomede, sette chilometri quadrati di terra e roccia che fanno capolino nello Stretto di Bering, un isolotto dove vivono 100 persone dedite alla caccia e alla pesca in uno dei luoghi più estremi del pianeta.




da  http://it.wikipedia.org/wiki/Diomede_(Alaska)
 «Insegnare era il mio sogno - spiega Jori -. Appena uscita dal college sono andata ad una fiera del lavoro e il sovrintendente del distretto mi ha mostrato un video dove si vedevano gli studenti arrampicati sulle rocce, sciare sul ghiaccio e intenti a fare i compiti di scienze con le balene sullo sfondo. Mi sono innamorata di quelle immagini: a casa ho guardato su Internet dove fosse quel lembo di terra dimenticato da Dio e ho deciso di partire».

Curiosi  vero  ?   leggete allora    questo articolo  da   la stampa del 19/04/2014





“La mia scuola alla fine della Terra”  Jordana ha 24 anni e una missione:
“Voglio dare un futuro al luogo più estremo”
           



FEDERICO TADDIA




«Per stare qui è necessario avere una sorta di vocazione e bisogna allenare quotidianamente il carattere: così non si cede alla pazzia e si allontana la sensazione di sentirti in trappola. Ma l’amore per questo posto e i suoi abitanti è più forte di qualsiasi difficoltà». Ha gli occhi che sprizzano gioia e il sorriso che contagia buon umore Jordana Grant, 24enne originaria del Montana, la maestra «Into the wild» che da tre anni ha scelto una delle cattedre più fredde e sperdute del mondo: quella della scuola di «Little Diomede», sette chilometri quadrati di terra e roccia che fanno capolino nello Stretto di Bering, in corrispondenza del 65° parallelo.
  Jordana Grant, 24 anni, è originaria del Montana. 
Isolotto abitato da poco più di 100 persone dedite prevalentemente alla caccia e alla pesca. 
«Insegnare era il mio sogno - spiega Jori -. Appena uscita dal college sono andata ad una fiera del lavoro e il sovrintendente del distretto mi ha mostrato un video dove si vedevano gli studenti arrampicati sulle rocce, sciare sul ghiaccio e intenti a fare i compiti di scienze con le balene sullo sfondo. Mi sono innamorata di quelle immagini: a casa ho guardato su Internet dove fosse quel lembo di terra dimenticato da Dio e ho deciso di partire». Le Diomede - così chiamate perché l’esploratore russo Vitus Bering le raggiunse e vi mise piede per la prima volta il 16 agosto 1728, giorno di San Diomede - sono due isole separate da 3 km di mare: sulla più piccola, appartenente all’Alaska, sventola la bandiera degli Usa, mentre la più grande
da  topolino  n 3053
appartiene alla Russia e dagli anni della Guerra Fredda è adibita a base militare. Tra loro passa la linea internazionale del cambio di data e con i giochi dei fusi orari c’è una differenza di 21 ore. 
«La terraferma dista circa 40 km e l’unico collegamento possibile è con l’elicottero, che vola un paio di volte alla settimana, quando non si rompe - racconta la giovane insegnante -. Io stessa ho dovuto aspettare una settimana prima di poter decollare, in attesa di un pezzo di ricambio dalla Germania. Visto però che la riparazione tardava, ho deciso di chiedere un passaggio ad una barca per la pesca dei granchi: sono state 17 terribili ore, in balia delle onde e del vento». 
Dal 1920 sull’isolotto esiste una scuola, che garantisce l’istruzione ai bambini dalla materna alle superiori, con insegnanti che ruotano e uno psicoterapeuta che interviene ogni due mesi. Attualmente gli alunni sono 23. «Il problema è l’apatia: l’impossibilità di facili spostamenti porta tanta frustrazione, anche se nessuno dei giovani potrebbe vivere lontano da qua. C’è chi sogna di diventare infermiere, cacciatore o intagliatore di legno, ma tutti sono spaventati dall’idea di trovarsi in una città». 
Oltre le otto ore di scuola al giorno, in un panorama algido e mozzafiato, con il termometro che arriva fino a -20°, a Diomede City non rimane molto da fare e la maestrina passa il tempo tra escursioni in motoslitta e film e Internet. «La routine è spezzata da piccoli eventi, che coinvolgono il villaggio e fanno saltare anche le lezioni, come la pesca di un tricheco o l’arrivo di qualche visitatore. Lo scorso anno una nave da crociera ha chiesto se era possibile far scendere i 200 passeggeri: è stata una festa e i ragazzi hanno organizzato danze e balli per i turisti. In cambio hanno avuto la possibilità di salire sulla nave e usare la piscina: nessuno aveva, ovviamente, il costume e così si tuffavano vestiti». 
Consegnare gli strumenti per costruirsi un domani: è l’obiettivo di Jori, che non si rassegna a non vedere voglia di futuro negli occhi dei suoi allievi. «In troppi trovano consolazione nello “Spice Diamond”, una sorta di marjunana sintetizzata che sta creando tanti danni in questa comunità: è necessario salvaguardare questa popolazione, che mi ha insegnato la pazienza, la solidarietà e il rispetto per la natura anche quando sembra ostica».

orgia con i clandestini la pornostar Valentina Nappi risponde alla Lega Nord

da http://www.retenews24.it/

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Anche la pornografia si scaglia contro la Lega Nord e la campagna anti-immigrazione clandestina promossa dal suo segretario, Matteo Salvini. Una prorompente Valentina Nappi, attrice a luci rosse originaria di Scafati, ha pubblicato su facebook una fotografia che la ritrae in compagnia di un gruppo di muscolosi uomini dalla pelle nera. “Matteo Salvini, te la dedico: il primo blowbang in black. SONO TUTTI CLANDESTINI”. Questa la provocazione della 24enne campana, lanciata nel mondo della pornografia da Rocco Siffredi. Nella foto la disinibita ragazza sembra pronta a sfoggiare tutta la sua ‘arte’ seduttrice per conquistare il corpo degli aitanti immigrati in un’orgia di gruppo. Un chiaro messaggio alla battaglia del leader del Carroccio contro l’arrivo in Italia degli stranieri dai paesi in difficoltà. La campagna contro l’immigrazione è stata infatti uno dei principali slogan elettorali dei leghisti prima delle elezioni europee, testimoniate anche da un video choc del consigliere regionale della Lombardia, Cioccia. Nello spot l’esponente della Lega e candidato al parlamento di Bruxelles ha utilizzato alcuni immigrati per consigliare, a chi ci stesse pensando, di non venire in Italia. Guarda il video:

2.6.14

fa rivivere gli antichi giochi di strada per liberare i ragazzi delle dipendenze della playstation e perchè non crescano solo cellulari dipendenti


vi potrebbero essere  utili   queste due  libri  




Abò  -giochi di strada  in un villaggio della  Gallura   Quintinio Mossa ( editrice  Taphiros luglio2004 )
















Bruno Vargiu, Via Mannu e dintorni   rievocazione di ricordi che l’autore fa della via dove è nato e ha vissuto in adolescenza. Attraverso la descrizione di una copiosa galleria di personaggi, aneddoti e giochi di carrèra, emerge uno spaccato, non solo di via Mannu, ma della Tempio degli anni dell’ultimo dopo guerra.











e questo mio precedente  post   su uno dei giochi  più usati


il 28\5\2014 L'associazione  culturale  (  di   cui sono fiero  di far parte  )  la sardegna  vista   da  vicino   per  cercare  materiale  per  


la  nuova  sardegna  de l20\4\2014

La terza edizione di Primavera in Gallura, la manifestazione etnica, ideata ed organizzata dall’associazione culturale di Aggius,“ Stazzi e Cussogghjj”, verrà presentata ufficialmente martedì mattina, alle 11,30, a Tempio nel palazzo dell’ex provincia Olbia-Tempio, in Piazza Brigata Sassari,
una  passata  edizione 
nei pressi dell’antica chiesa di Sant’Antonio. Saranno presenti, l’assessore al Turismo della Regione Sardegna, Francesco Morandi i rappresentanti delle amministrazioni locali coinvolte nella manifestazione e ovviamente gli organizzatori dell’Associazione Stazzi e Cussogghij, cui va dato merito di perseguire con grande caparbietà gli scopi promozionali del territorio gallurese che stanno alla base della sua attività. L’evento, partendo da sabato e domenica prossimi, da Oschiri, interesserà, settimanalmente, sino alla fine di giugno, undici comuni, le rispettive Proloco, lì dove esistono ed altre associazioni culturali. Nell’ordine, dopo Oschiri, settimana dopo settimana, saranno in vetrina i comuni di Berchidda (11 maggio, Aglientu (24/25 maggio), La Maddalena (31 maggio), Santa Teresa di Gallura e Trinità D’Agultu (1° giugno), Aggius(7/8 giugno), Luogosanto (14/15 giugno), Palau(14 giugno), Tempio( 21/22 giugno) e infine Olbia (28/29 giugno).La manifestazione darà ad ogni comunità l’occasione di far rivivere, per un giorno, gli antichi mestieri, le usanze e le tradizioni legate soprattutto al sistema agropastorale, e far gustare i sapori di cibi, rimasti solo nella mente dei più anziani e difficilmente reperibili sul mercato. L’iniziativa, che verrà presentata martedì, ha il patrocinio e la collaborazione della Regione, della Camera di Commercio di Sassari, della Fondazione Banco di Sardegna, dei Comuni e delle Proloco. (a.m.)
 ha  tenuto  grazie  anche  ai nipoti e  figli degli iscritti  , ma anche    ai figli dei loro amici\che  che si sono offerti volontari  , una  giornata  di riscoperta  d'antichi  giochi  .


N.b
non riporto tutte  le  mie foto  mie perchè   : 1)   non ho ottenuto    il permesso dei genitori  di riportare  le  foto dei loro  figli ., 2)  i soggetti sono troppo  vicini e  per la legge italiana , le  foto dei minori in primo piano  non posso essere  pubblicate
Quindi  le  foto  che   ivi riporto sono  o dell'iscritta  Natalina Casu o  prese  dalla  rete oppure  alcune mie  dove   non sono ritratti i protagonisti in primo piano  .


I  principali   vista  l'improvvisazione  sono stati  :
le  gubbine \biglie  
lu carruleddu 
pampana 
corda
 i  giochi con le  figurine 
la  carniola \  il cerchio  

ecco  le  foto   d'alcuni d'essi 


  •   le  gubbine  \  le  biglie  
Con la  "  variante  "  \  modalità  a  Pola   .  Si  scava  una buca  premendo e  roteando  con forza il tacco   sul terreno in modo  da  creare una buca  . IL Pola  appunto . verso cui   ad una  distanza  concordata  i giocatori  lanciano  le proprie biglie . ( da  Abò  -giochi di strada  in un villaggio della  Gallura   Quintinio
Mossa editrice  Taphiros luglio2004 - vedi sopra  la copertina   ) . Ogni giocatore ha a disposizione un numero definito di biglie. Il totale viene distribuito nelle buche, in quantità calcolate e memorizzate. A turno, ciascuno tira verso le buche una biglia, stando sulla linea di partenza che viene tracciata a una certa distanza dalle buche. Se il giocatore riesce a far entrare la biglia in buca, prende le biglie che stanno in essa, e riprende la sua. Se ciò non accade si perde la biglia che verrà posta nella buca in cui si è fermata più vicina. Vince chi accumula un numero maggiore di biglie.  (  da http://www.regoledelgioco.com/giochi-di-abilita/biglie/  )



  di   natalina  casu 

  •  pampana \  campana  


.

da http://www.regoledelgioco.com/category/giochi-di-abilita/page/2/
  • Lu  carruleddu  
rinvio  al mio post  di  cui trovate  sopra  l'url 

  • la  carniola  \  cerchio 
che può essere  o di  copertone  o una vecchia  ruota   oppure  in legno e  lo si  può  far  muovere  o  le mani  o  con un bastoncino  o  un  ferro  

di natalinma  casu 

                                                     di natalina  casu 

ma  qui  è stato  anche usato  a  mo'  di Hula hoop  come  alcune foto  scattate  da me 



E' stata una  bellissima  giornata  , una  dimostrazione  che  si  può anche  divertirsi e  giocare   senza   giochi elettronici  .  E  pensare  che all'inizio  , si ha  avuto  un po'  di  difficoltà visto  che le  nuove  generazioni sono ormai  disabituati  a  giocare  con qualcosa  di diverso  che  sia  : il pallone  , la bicicletta , e  la  play station infatti




Ma  poi  .......    ( vedere righe  precedenti  )   si  sono scatenati   ed alcuni non volevano  andarsene    , i genitori   gli hanno  portati via  quasi a forza  . Ci hanno  addirittura ringrazio  per  averli  fatto scoprire  giochi     che  neppure  conoscevano  o  ignoravano  come nel caso  del  carroleddu  o del  cerchio  l'esistenza   se  non nelle  foto dei nonni\e.
 Sono  ritornato bambino anch'io  , nel  vedere   giocare questi bambini\ e  . i  è venuta  un po' di  nostalgia   della mia infanzia  (  generazione di mezzo cioè   fine anni  70  prima anni 80 )  fatta  di questi    giochi   ma anche  di imitazioni  di eroi  del  kolossal cinematografici    e  serie  tv  degli anni  70\90  o   miti  sportivi  . Un epoca in  cui i  video  e  sale  giochi   stavano iniziando a prendere piede



L'AMORE INCOMPIUTO di daniela tuscano







Scorro il silenzio delle vecchie immagini, al Museo del Risorgimento, dedicate a "La Nebbiosa", il film mai girato di Pier Paolo Pasolini su Milano. E, come tanti, mi chiedo: perché non c'è riuscito? Non l'amava? È un luogo comune duro a morire, avverte la guida. Eppure, di quella sceneggiatura, sono rimaste solo pagine sparse. Pagine belle: alcune, magnifiche. Ciò che maggiormente colpisce è il riferimento ossessivo alla luce.
Forse, l'aspetto di Milano più caratteristico. Ma - attenzione - si tratta pur sempre della luce d'una Nebbiosa. Luce avvolta, soffocata, che si fa largo, ed esplode, in violenti bagliori. C'è ghiaccio in quella luce, o forse nemmeno: non vi si trova natura, né umanità. Roma è sempre ritratta d'estate, Milano accoglie il poeta coi suoi inverni, stagioni oggi scomparse, come la nebbia dileguatasi al largo, ostaggio di rade periferie o signora, incontrastata, delle campagne. Eppure, il sole esiste anche a Milano, impigrito e canagliesco, e sa essere duro, umido e repulsivo. È un sole sensuale, di macchia, ma a PPP si nega; infatti, egli vi preferisce la notte. Una notte di cui crede di svelare i segreti. Ma la notte di Milano non è uniforme. Milano è una totalità frastagliata. Non si risolve in una rapina o in uno stupro, non nella marginalità dei teddy boys, non nei fianchi delle magnifiche borghesi cotonate da vezzi di perle (così lontane dal generone romano!), non negli sterri diMetanopoli né nelle coppie attempate del centro, lei dai capelli a fil di ferro, lui prossimo all'infarto. Milano: è tutto questo, ma anche di più. Forse - caso più unico che raro - può essere descritta solo da chi ci vive e la vive. Perché Milano, anche quando coinvolge, sa mantenere le distanze. È ancor nebbiosa, non climaticamente, ma nel cuore. Perciò appare, lei - o lui, in dialetto è maschile - la città più europea d'Italia, e anche la più araba: cosmopolita e velata. Attuffata. Non si concede facilmente nemmeno a un occhio dolce e indagatore. La Milano marginale e periferica aveva già il suo cantore, Giovanni Testori da Novate. E già il suo cattolicesimo: pur'esso, impossibile da ritrarre. Ampio. Roma era il barocco, il Concilio di Trento: quello e null'altro. Ma Milano... Milano era la fabbrica del Duomo, un gotico fiammeggiante e operoso.

 Con quel suo rito mezzo bizantino, Milano era - ed è - Ambrogio, i Borromeo, il Martini innamorato di Gerusalemme. Non Alessandro Farnese. Come la città, come le sue guglie, sale. E si distende. Il cattolicesimo ambrosiano è locale ma non territoriale. Ha vocazione planetaria. Manzoni l'ha rivelato. Solo qui percorri un nastro d'asfalto, fra dirupi di grattacieli senza cielo, e all'angolo vedi una sagoma umana, rattrappita, e sei in Occidente e in Palestina. Anche la miseria è così universale. Quel cattolicesimo invena lo spirito del cittadino, non ne vellica la pagana, mediterranea rassegnazione. La teppa milanese non è la plebe. Milano è la borghesia, l'unica esistente in Italia. Pier Paolo, che la odiava, non poteva prescinderne; la ritrovava ovunque. A bloccargli sguardo e cuore. Milano, a differenza di Roma, non era mai stata un grosso mercato. Nelle sere morbide, galleggianti, che pure qui hanno un fascino strano, imprendibile e vellutato, nessuna donna in scialle nero stendeva i polpacci congestionati su qualche sedia di paglia, fuori del cortiletto. Restava, semmai, dietro le tende, piegata su una vecchia Singer. Il suo sguardo celava una letizia soave. Rintracciarla però era impresa disperata. La non-immediatezza di Milano disarmò Pier Paolo? Egli vi trovò, o intuì tutto e doveva solo contemplarlo. Lasciare la città al suo segreto, ai mezzitoni che lui non poteva usare. Gli rimaneva solo la desolazione, quella desolazione che talvolta ti prende nel percorrere, la notte, il cavalcavia Renato Serra: "Di nuovo nessuno gli risponde: e, fuori, quel paesaggio ossessivo di immagini tristi di case, di viali, senza speranza".





1.6.14

gli ostacoli si superano insieme

Voglio  celebrare  il  10 millessimo  post    con questo  bellissima  iniziativa    fatta  dalmio  contatto di facebook  la prof     https://www.facebook.com/romina.fiore




 


  • Giuseppe Scano Romina Fiore scometto che la prof di cui si sente la voce in sottofondo sei tu , Continuate cosi . però il video per essere più incisivo avrebbe dovuto contenere aiuto da parte degli altri " normali " davanti agli altri ostacoli che la ragazza deve affrontare . cmq bello . e grazie a gente come voi che la scuola resiste e non va completamente in malora

    • SARDEGNAblogger No, la voce non è la mia: è di una collega. Io mi sono limitata alla bassa manovalanza delle riprese con la videocamera. Il filmato ha sicuramente tante piccole pecche e mancanze, ma è stato interamente ideato dai ragazzi e noi non abbiamo né dato suggerimenti né cambiato una virgola di ciò che loro avevano pianificato: ci siamo limitate alla messa in opera delle loro idee. Grazie (r.f.)

    31.5.14

    IL NOME DI MARIA di Daniela Tuscano - [ Meriam, la donna cristiana condannata a morte ]



    Meriam, Mariam, Myriam. Ormai questo nome è diventato familiare alle cronache, ma chissà quanti occidentali ne conoscono ancora l'origine. Meriam, cioè Maria. Maria è la donna del maggio al tramonto. È la donna della Visitazione che ha affrontato un lungo cammino, disprezzando i pericoli, incinta (anch'essa!), per recarsi da un'altra donna e proclamare un mondo nuovo, di eguaglianza, pace, liberazione dagli oppressori. Una donna di giustizia prima che di carità. O meglio, d'una carità nella giustizia. Quel nome oggi vive in Sudan, in carcere e in catene. Come la sua omonima, incinta. Anzi, quel figlio della pace e della liberazione l'ha già dato alla luce: ed è naturalmente femmina, ed è nata prigioniera, perché per lei non v'è posto nell'albergo, ma solo dietro le umide sbarre d'un carcere. Prigioniera e fuggitiva, il sole visto dietro un riquadro di pietra - così la immaginiamo -, è stata accolta dal padre come un doppio dono: chissà se sarebbe stato lo stesso, fosse nata in condizioni normali. Maya, figlia di Meriam la cristiana, è nata in galera perché la madre non ha abiurato la propria fede. Meriam è figlia d'una cristiana e d'un musulmano, e per legge considerata islamica, anche se quel genitore non l'ha mai visto, pur se quel padre ha abbandonato la famiglia quando lei aveva pochi mesi. Come se una fede si potesse imporre. Sposatasi con un cristiano, Meriam è stata così dichiarata "adultera", il matrimonio considerato nullo, il primogenito - sbattuto in cella con lei, a
    venti mesi - un "bastardo". E lei, condannata all'impiccagione. E poi, quella saccenteria cavillosa: ha un nome musulmano. Falsità. Menzogne. Meriam Yahia Ibrahim sono nomi anche cristiani. Sono nomi. Hanno radici bibliche, indicano unità, prosecuzione, crescita. Sono espansioni, mentre la grettezza integralista separa, sgretola, fustiga e uccide, specialmente se si tratta d'una donna. Meriam ha resistito, resiste. Grazie all'intervento dei media cattolici il suo caso è rimbalzato in tutto il mondo (ma un'altra donna, Faiza Abdalla, rischia la medesima condanna). Fonti governative hanno appena annunciato la sua prossima liberazione. Ma libera, Meriam lo è già. Lo è "dentro", anche "da dentro". Una vicenda, questa, talmente ricca di simboli, anzi, di allegorie, che risulta difficile, se non impossibile, non vedere in essa un appello alle coscienze morte, al lassismo del nostro cristianesimo fumigante. Una vicenda capace di stordire, ammettiamolo. Anche, direi soprattutto, certi/e difensori d'ufficio dei diritti umani, in particolare femminili, che per Meriam e le donne come lei (la pachistana Asia Bibi ha trascorso il suo quarto Natale in cella e da quell'antro sperduto ha indirizzato al Papa una lettera colma d'amore e gratitudine verso Dio), non hanno trovato parole adeguate né si sono mossi con la consueta tempestività. Cosa li ha bloccati? L'autocensura del politicamente corretto? L'ostinazione nel non voler riconoscere che i cristiani, in Africa e in Asia - quest'ultima, loro naturale culla - stanno subendo una violenta persecuzione? Senza dubbio. Ma non basta. Meriam e le sue compagne incarnano la sorpresa e lo scandalo. Non solo per gli integralisti. Ma per il relativismo idiota e torpido delle nostre menti. Meriam e le altre hanno infatti mandato in frantumi le tesi care ai legulei dell'umanitarismo salottiero, secondo cui l'emancipazione delle donne si manifesta nelle finte urla nude delle Femen. Meriam e le altre sono perseguitate non per aver cercato d'occidentalizzarsi, né per aver rinunciato alla propria cultura o credo; anzi, proprio in quest'ultimo esse trovano la forza e il significato del loro esser donne. Stanno dimostrando, a costo della vita, che esiste un altro modo di testimoniare la propria dignità di persone: sì, nella fede "patriarcale, misogina, oppressiva" che il conformismo progressista vorrebbe estirpare. In tal senso, poco importa Meriam sia cristiana. Potrebbe appartenere benissimo a quell'Islam in nome del quale essa è stata condannata, o all'induismo... a tutto. Le religioni sono costruzioni di uomini; di uomini maschi. La religione (religare) è maschile, la fede femminile. La religione fissa limiti, detta regole, impone riti. E pretende sacerdoti, e quei sacerdoti, d'una religione simile, non possono essere che maschi, poiché sono la parzialità fattasi totalità, la deificazione d'una creatura misera e presuntuosa. La religione dei maschi è, al massimo, il rudimento della fede, la sua lallazione, ma la maturità è un cielo mistico e appartiene alla donna. "Iddio ha creato l'uomo maschio e femmina, l'uno e l'altro a propria immagine - scrive Edith Stein. - Solo quando le rispettive caratteristiche maschili



    E femminili sono pienamente sviluppate, si raggiunge la massima somiglianza possibile col divino, e solo allora la comune vita terrena viene tutta potentemente compenetrata dalla vita divina". Fino ai giorni nostri, questo sviluppo non s'è attuato, perché sotto diverse forme ha dominato soltanto un individuo sull'altro. Origine d'ogni violenza, falsità, perversione. Dittatura, anche. Così, i maschi-piccoli iddii che legiferano sul credo femminile, che stuprano e impiccano ragazzine minorenni in India e crocifiggono misere sventurate in Italia (con la giustificazione, rispettivamente dell'avvocato e dello stesso assassino, "sono ragazzi, possono sbagliare" e "ho fatto una bischerata"), attestano la persistenza della struttura di peccato e della natura decaduta. Come ho scritto altrove è questo l'unico, vero, peccato originale. P. S.: Il nostro pensiero si rivolge, naturalmente, anche alle studentesse nigeriane (per la maggior parte, ma non solo, cristiane) rapite dai sanguinari terroristi di Boko Haram. Colpevoli di andare a scuola, di non sottomettersi a una parodia di religione a immagine maschile, semplicemente del fatto di esistere come donne. Ma la cieca violenza non prevarrà.

    27.5.14

    lezione di dignità e umiltà Milionaria fa la spazzina per insegnare ai figli il valore dei soldi

    anche   per  me  ,  che   essendo una generazione di mezzo  , non ho conosciuto  direttamente  ma  solo indirettamente  (  racconti  e scritti storici e politici  )    del lavoro della terra ( contadini e  pastori  ) e delle fabbriche  , questa  è  una lezione di vita


    Scelta d'amore






    Un bambino di una scuola elementare americana ha preso il coraggio a due mani e ha aperto il proprio cuore ad una compagna di classe.
    Sul social network Imgur, sito di condivisione di immagini e foto, è stata postata questa “lettera d’amore” che ha riscosso notevole successo, Il motivo? Sicuramente il contenuto della lettera, che potremmo definire, con un eufemismo, onesto ed istintivo. Ecco cosa scrive il bambino: “Cara Ashely, vorresti diventare la mia fidanzata? Mi piaci molto.” E per consentire all’amata di rispondere adeguatamente, il bambino aggiunge poi tre possibili risposte, tra cui scegliere proprio come in un gioco: “sì”, “no” ed anche “forse”, per riservarsi qualche speranza in caso di risposta negativa.  (   continua  http://on-msn.com/1gRfPO8  )

    anche i duri hanno un cuore

     Anche  duri  hanno un cuore



    è  quello che   ho pensato  leggendo  tali news  . entrambe prese  dall'unione  sarda online del  27\5\2014



    la prima 

    Un video tanto tenero quanto divertente. E' quello ripreso dalla telecamera installata su una pattuglia della polizia del Wisconsin (Usa). 

    Che ritrae un poliziotto che ferma il traffico per un motivo molto, molto speciale: permettere a un'anatra, seguita dai suoi piccoli, di attraversare una strada affollatissima di auto. Il filmato, postato in Rete, fa il pieno di clic.

    la  seconda  




    Un anziano del Napoletano ha tentato di rubare tre confezioni di mortadella al supermercato.
    Quando il direttore del supermercato di Torre del Greco (Napoli) l'ha sorpreso dopo aver tentato di rubare tre confezioni di mortadella, l'anziano, un 78enne di Torre Annunziata, è scoppiato a piangere: "Ho rubato perché ho fame e non ho i soldi". Chiamati i carabinieri, i militari si sono commossi e hanno pagato il conto; il direttore del market, in via Nazionale, ha deciso di non sporgere denuncia e gli altri clienti hanno improvvisato una colletta per acquistare all'anziano una serie di prodotti alimentari e di prima necessità.









    Le fotocamere dei cellulari rovinano i nostri ricordi ? - Mangiare lavorando o inviare mail al bar Così la crisi sta cambiando il lavoro

     da repubblica  online  


    A volte scattare in modo frenetico immagini, può impedire di fissare nella memoria i momenti importanti della nostra vita. Lo rivela uno studio della Victoria University di Wellington
    di VALERIA PINI


    DIMENTICARE momenti importanti della propria vita, perché presi dall'ansia di fotografare o filmare . L'ossessione di immortalare episodi con video e foto, per poi condividerli, potrebbe avere un effetto negativo sulla memoria. Lo rivela uno studio coordinato da Maryanne Garry, docente di Psicologia alla Victoria University di Wellington, in Nuova Zelanda.     Secondo la ricerca, la fotocamera e la videocamera che si trovano ormai nella maggior parte dei cellulari, stanno rovinando i nostri ricordi, impedendoci di vivere con serenità il presente. L'idea di cogliere in uno scatto istanti magici e unici di matrimoni, feste o viaggi impedisce di partecipare a pieno a situazioni piacevoli. Stress e tensione fanno sì che nulla viene impresso nella nostra mente. Un problema che tende ad aumentare nel caso dei selfie, dove alla preoccupazione per la scelta dell'inquadratura giusta, si aggiunge quella di apparire fotogenici. 


    Insomma più si fotografa, meno si 'vive' il momento. Fra chi osserva e il mondo si crea una parete invisibile, che impedisce di vivere completamente esperienze. Garry ha approfondito da tempo il rapporto fra tecnologie digitali e cervello e ora sta studiando gli effetti della fotografia sui ricordi d'infanzia. "Le persone fanno mille foto e poi le scaricano da qualche parte e in realtà non hanno il tempo di guardarle molto perché è troppo difficile etichettarle e organizzarle. Questa mi sembra una perdita", spiega Garry. 
    Dai compleanni alle vacanze, tutti vogliamo ricordare quei momenti preziosi grazie a una fotografia. Ma scattarle in modo frenetico, può secondo la psicologa farci dimenticare tutto in un lampo. Inoltre mentre in passato gli album esposti nelle librerie di casa, potevano essere sfogliati di tanto in tanto, oggi centinaia di immagini digitali archiviate nei computer, su chiavette o cd sembrano 'scomparire'. E nell'era della 'dematerializzazione' anche l'album dei nostri ricordi si cancella.

    Un precedente studio della Fairfield University in Connecticut, pubblicato su Psycological Science, aveva rivelato che le troppe foto possono impedirci di avere ricordi più dettagliati.  I ricercatori hanno chiesto a un gruppo di studenti di visitare un museo e fotografare alcune opere. Il giorno dopo i ragazzi sono stati interrogati ed è stato così possibile verificare che avevano difficoltà a riconoscere quadri e sculture che avevano fotografato rispetto a quelli che avevano solo guardato.


    Per gli studenti è risultato difficile ricordare i dettagli delle opere fotografate. "La gente spesso tira fuori le macchine fotografiche senza pensarci. Quando però si affidano alla tecnologia per ricordare, questo può avere un impatto negativo sul modo in cui si memorizzano le esperienze", spiega Linda Henkel, autrice dello studio. Precedenti studi hanno dimostrato che rivedere vecchie foto può aiutarci a ricordare, ma solo se dedichiamo abbastanza tempo a quest'operazione. "Per ricordare - ha detto Henkel - dobbiamo accedere e interagire con le foto, e non solo accumularle". 
    Infine uno studio della Harvard University, della University of Wisconsin-Madison e della Columbia University ha invece messo in evidenza che molte persone sostituiscono i propri ricordi con il web. Utilizzano la rete come 'una memoria esterna' da consultare di volta in volta, in caso di necessità. Secondo i ricercatori statunitensi, oggi siamo talmente dipendenti da smartphone e tablet, da abbandonare le ricerche su un determinato argomento se non troviamo una risposta on line in tempi rapidi.

    da  l'unione sarda   online del  27 maggio 2014 16:02

    Vita privata addio. Il confine tra lavoro, casa, vacanze si fa sempre più labile. Ecco perché.

    In Italia solo un quarto degli impiegati afferma di non lavorare nel weekend o fuori dall'orario d'ufficio, mentre gli altri dichiarano di lavorare in orari non convenzionali, o per necessità (il
    42% ) o per proprio desiderio. A fronte di tanta invasività, il 52% sarebbe disponibile a lavorare anche più ore pur di beneficiare di maggiore flessibilità. Lo rivela una ricerca di Microsoft-Harris Interactive diffusa oggi a Torino, in occasione di una dimostrazione con Alpitour World di "ufficio a cielo aperto" grazie alle tecnologie più innovative.
    Oltre la metà di coloro che lavora in ufficio (57%) desidererebbe essere messo nelle condizioni di lavorare, se non interamente, almeno in gran parte da casa. Il 45% degli interpellati lavora durante il viaggio verso l'ufficio o di rientro, il 27% mentre mangia a casa e il 25% mentre guarda la televisione. Inoltre il 12% dei genitori che lavorano in ufficio ammette di aver sbrigato compiti di lavoro durante eventi o attività dei propri figli.
    In generale 6 su 10 di coloro che lavorano in ufficio (67%) contano di essere in grado di lavorare fuori sede in posti come aeroporti, treni, bar, parchi. Quando sono fuori dalle quattro mura dell'ufficio, gli impiegati per lo più leggono e rispondono alle e-mail (62%), scrivono (50%) collaborano (33%) su documenti, e analizzano dati e informazioni (49%).



    «Sono l'ultima abitante del paese dove sono nata. Vivo all'antica, coi gatti, senza gas né elettrodomestici. Ma non mi sento sola»

    Vive senza gas, elettrodomestici e soprattutto in  solitudine . È la storia di  Anna , ultima abitante del borgho di Mossale Superiore, in p...