27.4.17

affronto statale ai morti che ancora riemergono a 100 anni di distanza ai morti della greande guerra ( 1914- 1918 )


Così lo Stato sfregia il "milite ignoto": le ossa dimenticate in una scatola



Un femore, un cranio, le costole che raccontano e ricordano la storia di un ragazzo, morto al fronte nella Grande Guerra, sono stati ritrovati nel 2015 sulle Dolomiti tra la Marmolada e il Passo di San Pellegrino. Così lo Stato sfregia il "milite ignoto": le ossa dimenticate in una scatola


Le ossa erano state ritrovate da Livio Defrancesco in un canalone, dopo che un violento temporale aveva smosso le ghiaie. Dal femore recuperato sotto la Marmolada pare che il giovane soldato fosse molto alto per il suo tempo, intorno al metro e ottanta. Probabilmente cadde da un dirupo e si ruppe la testa. Nell'inverno del 1916 caddero 18 metri di neve sulle Dolomiti e i soldati rimasero a difendere le posizioni.


Ancora oggi quei resti sono rimasti in uno scatolone nella caserma della compagnia dei Carabinieri di Moena  nel  video sotto la vicenda     




Sia      che  si ritenga     giusta   o  secondaria  ( io somno  d'accordo  con quest'ulti o giudizio ormnai  sono passati cent'anni    chi sa  se  sono anche vivi   gli eredi  ,    l'importante  non è  piangerlo   davanti ad  un  tomba   ma dentro di te  )    come non dare  ragione    al'incipit  giustamente   sarcastico l'incipit dell'articolo su Repubblica   (   sotto   l'articolo    completo  ) di Paolo Rumiz, giornalista, scrittore e grande viaggiatore:
Attenti: se trovate un Caduto, rimettetelo subito sotto terra. Riconsegnate il corpo alle stelle alpine, alle primule, alla pace ritrovata dei luoghi dove ha combattuto. Altrimenti, se ne denuncerete la presenza secondo le procedure di legge, lo farete finire in qualche sottoscala o in uno scaffale.



È il destino del milite ignoto trovato nella primavera del 2015, a cent'anni esatti dall'inizio della Grande Guerra, sotto la Cima di Costabella in Dolomiti, tra la Marmolada e il Passo di San Pellegrino, dove Italiani e Austriaci si sono combattuti per due anni e mezzo in condizioni estreme. Ventidue mesi dopo il ritrovamento e trasferimento a valle, il cadavere è ancora lì, alla stazione dei Carabinieri di Moena, non si sa se in un sacco, una cassetta o una scatola, in attesa di un "Requiem" e di un camposanto dove riposare.
A Moena tutti hanno fatto il loro dovere. Il "recuperante", Livio Defrancesco, che ha trovato il corpo senza nome in fondo a un canalone dopo un violento temporale che aveva smosso le ghiaie sopra lo scheletro. Il magistrato che ha avviato la pratica. I Carabinieri, che hanno avvertito i loro superiori. La stampa locale e nazionale, che ha informato gli Italiani.
Non il ministero della Difesa, che attraverso l'apposito istituto interforze denominato "Onorcaduti", avrebbe dovuto occuparsi della sepoltura. Morale: i Cc di Moena vivono dal luglio del 2015 con in caserma un morto che nessuno vuole. Ci avranno fatto quasi l'abitudine, a quel mucchietto di femori, clavicole, costole e falangi, chiusi non si sa dove con probabile targhetta di cartone. Tutto questo a pochi chilometri dal cimitero militare di Santa Giuliana, a Vigo di Fassa, dove altri Caduti della Grande Guerra hanno trovato onorevole riposo, in una prateria con vista sui monti più belli del mondo.
E sì che, dal 2001, il comando di "Onorcaduti" è in mano a commissari scelti dall'arma dei Carabinieri, che alla tenenza di Moena avrebbero dovuto dare risposta immediata. Nell'ordine, i generali Bruno Scandone, Vittorio Barbato, Silvio Ghiselli e, ora, Rosario Aiosa, il quale si è trovato a fronteggiare le commemorazioni del centenario con mezzi inadeguati, in gran parte grazie all'aiuto volontario di associazioni combattentistiche e d'arma, a fronte di una situazione disastrosa, con ossari e cimiteri in pessime condizioni.
Se una civiltà si giudica dai suoi cimiteri, allora è possibile dire che con la nuova gestione sono finiti, anzi sepolti per sempre, i tempi in cui "Onorcaduti", nati nel 1919 con al comando nientemeno che il generale Armando Diaz, portarono a compimento la missione in posti come El Alamein e il fronte russo. Tempi in cui l'istituto fu trascinato dall'entusiasmo di figure mitiche, come i generali Umberto Ricagno e Ferruccio Brandi, o da superiori iper-attivi come Benito Gavazza, che nel 1990 avviò il rimpatrio dei Caduti sul fronte del Don.
Ma tu chi sei, alpino di Costabella? Sì, perché tu, soldato, morto certamente in azione sul canalone Ovest della montagna, col cranio spaccato da un masso a soli cinquanta metri dalle linee austriache, eri un alpino che andava all'assalto. Un alpino gigantesco per l'epoca, alto sul metro e ottantacinque. Lo dicono i tuoi femori. Dovevano conoscerti tutti, per la tua forza. Lo sappiamo con sicurezza in che compagnia stavi, perché su quel tratto di fronte c'eravate solo voi, ragazzi della 206.a, battaglione Val Cordevole, settimo reggimento.


L'ultimo affronto al milite ignoto: dimenticato in una scatola


Tu ignori, per fortuna, la miseria dei nostri tempi. Noi, invece, sappiamo qualcosa di te e dei tuoi compagni. Eravate tappi di un metro e sessanta di media, ma capaci di sopportare fatiche da bestie. Gente come Giacomo Dall'Osbel detto "Ross faghèr", faggio di pelo rosso, in grado di portare sulle spalle un quintale e mezzo in salita. O il vostro capitano, Arturo Andreoletti, immenso alpinista, che ebbe il fegato di mandare a quel paese il generale Peppino Garibaldi per gli ordini che dava, considerati suicidi.

Come l'assalto al Col di Lana, una vera tomba per gli Italiani. Sappiamo anche quando, presumibilmente, precipitasti in quel canalone: fu alla fine del tremendo inverno del 1916, in cui caddero, in Dolomiti, diciotto metri di neve.

L'ultimo affronto al milite ignoto: dimenticato in una scatola


Sono tutte cose che Livio Defrancesco sa bene. È da bambino che batte le sue montagne e oggi, con i materiali che ha trovato, ha aperto in casa propria uno dei più bei musei della guerra alpina. Si definisce un miracolato, per essere sopravvissuto a tre esplosioni, tra cui il botto micidiale di una bombarda. "I tre jolly della mia vita li ho già giocati", commenta rudemente, come chi ha già visto cosa c'è oltre la linea d'ombra.
"Ero sotto la cima di Costabella a fare manutenzione dei sentieri - racconta - e ho visto delle scarpe chiodate, tipiche di quella guerra in montagna. Le ho prese in mano e ho sentito che dietro venivano i piedi, la gamba, il corpo. Le ossa erano perfette, grandi più del normale. Accanto al corpo, un arpione per far sicurezza ai compagni, una gavetta e una bomba a mano. Niente piastrina di riconoscimento. L'elmetto era spezzato. Era stato chiaramente portato via da una valanga o da una frana".

L'ultimo affronto al milite ignoto: dimenticato in una scatola

Chissà se, attraverso questa denuncia, riusciremo a sapere il tuo nome, soldato di Costabella. "Gli alpini della 206.a compagnia non erano poi tanti, ed erano sicuramente bellunesi - commenta Mariolina Cattaneo, coordinatrice della rivista "L'Alpino" a Milano - se poi si pensa alla statura inconsueta dell'uomo e alla memoria leggendaria di quegli scontri, forse qualche parente o studioso della Grande Guerra si farà vivo per sciogliere l'enigma".


E chissà, a quel punto, che non requiescat in pace.🤔😟😐😔🛏️❤️✝️




26.4.17

la filosofia spiegata a mio figlio con il libro " Lettere a Sofia sulla felicità ”,

  dalla  rubrica  di concita  


Dalla Cina le lettere per Sofia



Raffale con la figlia Sofia

Questa storia ce la racconta Raffaele dalla Cina

Mi chiamo Raffaele Tamborrino e sono un avvocato pugliese che, da oltre 10 anni, vive e lavora in Cina, fornendo consulenza alle imprese europee che investono in questo Paese o hanno rapporti commerciali con le imprese cinesi. Per varie ragioni, negli ultimi due anni mia moglie e mia figlia Sofia si sono trasferite in Italia mentre io, per motivi di lavoro, continuo a risiedere a Shanghai (ma fortunatamente ho la possibilità di tornare frequentemente nel mio Paese).
L’interesse che, fin da ragazzo, nutro per la filosofia e l’etica, la lontananza dalla mia famiglia ed il desiderio di fornire a mia figlia insegnamenti che ritengo importanti per la sua crescita mi hanno ispirato la scrittura di un libro nel quale ho voluto descrivere, con un linguaggio semplice (sotto forma di lettere indirizzate alla piccola Sofia), gli insegnamenti di Socrate, Platone e Aristotele che sono ancora attuali ed utili per vivere felici.
Nasce così “Lettere a Sofia sulla felicità”, un racconto epistolare nel quale ho cercato di combinare, in ogni paragrafo, i consigli di un padre a sua figlia su come vivere una vita felice e saggia con la descrizione di un tema proposto da questi antichi filosofi (illustrato in modo facilmente comprensibile anche per chi non ha una formazione classica).
L’obiettivo è stato quello di presentare Socrate, Platone e Aristotele non come voci di un passato lontano ma come maestri di vita, i cui insegnamenti possono aiutarci ancora oggi a riflettere sul senso della vita e su come trascorrere un’esistenza serena (“una vita che non faccia di tali ricerche non è degna di essere vissuta”, ci direbbe Socrate).
La principale lezione che ho tratto, rileggendo i filosofi della Scuola di Atene, è che il comportamento migliore per poter vivere felici è quello di chi, agendo secondo il bene e secondo giustizia, favorisce una pacifica e costruttiva convivenza con gli altri, perché raramente è felice colui che si comporta in modo scorretto ed egoista, pur di emergere e prevaricare su tutti (non a caso, Aristotele sosteneva che “la giustizia è la più importante delle virtù: né la stella della sera, né la stella del mattino sono altrettanto degne di ammirazione”).
Un altro aspetto fondamentale che questi filosofi ci hanno trasmesso è l’importanza di coltivare la propria saggezza per poter vivere in modo consapevole e poter fare sempre scelte razionali; per questo motivo, come ci insegna Platone, “è necessario che ogni uomo cerchi di diventare il più sapiente possibile, pregando e supplicando padre, tutori e amici che ci rendano partecipi della loro sapienza, piuttosto che delle loro ricchezze”.
Il libro è arricchito da un saggio del professor Luciano Canfora che mi ha onorato fornendomi un contributo che aiuta il lettore a comprendere come nasce il mito di Atene.
Inoltre, la pubblicazione sostiene la campagna Unicef For Sofia, destinando gli utili derivanti dalla vendita del libro a progetti per la tutela dei bambini rifugiati nelle zone di guerra.

Raffaele Tamborrino

amore ( malato , all'improvviso , a distanza ) , eremiti, silenzio , diversità

  da  repubblica  del  26   aprile 2017



Processo Pietrantonio a Roma, Paduano: "Chiedo scusa ma non chiedo sconti di pena"
L'ex fidanzato e killer di Sara in aula per la prima volta. Presenti la madre e il padre della studentessa 22enne uccisa, il 29 maggio, lungo la Magliana

                                                     di GIUSEPPE SCARPA



"Chiedo scusa anche se so che non sarò perdonato. Ci tenevo a farlo di persona. Non chiedo sconti di pena". È venuto a processo, per la prima volta, a quasi un anno dall'omicidio. Ha detto questo Vincenzo Paduano, ex fidanzato e killer di Sara Di Pietrantonio. In aula c'erano la madre e il padre della studentessa 22enne uccisa, il 29 maggio, lungo una strada di periferia a Roma, dopo esser stata strangolata e poi data alle fiamme.
Gli avvocati del 27enne, che hanno discusso oggi, hanno spiegato che il "loro assistito ha confessato l'omicidio" hanno chiesto al giudice di valutare "le attenuanti generiche, senza le aggravanti (come la premeditazione e le attenuanti generiche, ndr)". I legali hanno poi proseguito dicendo che "Vincenzo non ha mai stalkizzato Sara" e che non sussiste "il reato di distruzione di cadavere, il corpo aveva solo delle ustioni".
Nella precedente udienza il pm Maria Gabriella Fazi aveva chiesto "l'ergastolo per Vincenzo Paduano". Da un lato ci sono i messaggi che minacciano vendette inviati all'ex per la nuova relazione sentimentale con un altro ragazzo, dall'altro le prove che Paduano, vigilantes di 27 anni, la seguisse ossessivamente, da almeno una settimana, e senza mai farsi vedere.
Con questo pacchetto di prove il pm Fazi aveva argomentato la sua richiesta di fronte al gup. Il pm aveva chieato che Paduano venisse condannato per tutti i reati di cui è accusato: omicidio volontario aggravato dalla premeditazione dai futili e abbietti motivi, dagli atti persecutori, e ancora stalking, incendio e occultamento di cadavere.
Per sette giorni Paduano si è nascosto e ha pedinato Sara. Gli investigatori hanno ricavato questo dato dal Gps. Il navigatore installato nell'auto del 28enne che era già servito per inchiodare il ragazzo il giorno del delitto.
Il Gps in sostanza aveva in memoria i percorsi compiuti da Paduano una settimana prima dell'omicidio. In giorni diversi Vincenzo sarebbe andato sotto casa di Sara, poi sotto quella del nuovo fidanzato della studentessa (Alessandro Giorgi), da un'amica dell'ex e ancora fuori dalla palestra e dall'Università frequentata dalla ragazza. Un'ossessione che si unisce alle minacce rivolte alla 22enne per averlo lasciato (da diversi mesi) ed aver iniziato una nuova relazione: "Ti rovino la vita a te e a lui (Giorgi, ndr), tu devi soffrire come stai facendo soffrire me", le diceva il 21 maggio. E ancora c'è il tentativo di incendiare l'auto di Alessandro, con una Molotov, alle 5 del mattino del 28 maggio. Ovvero 24 ore prima dell'assassinio.
E infine la stessa dinamica del delitto. Lui che esce dal suo posto di lavoro (vigilantes in orario notturno) lascia sulla sua scrivania il cellulare, individua Sara sotto casa di Alessandro poi anticipa con
la sua auto la strada che l'ex compie per rientrare a casa. In un tratto di via della Magliana, una strada periferica buia ed isolata, si apposta con la sua auto. A quel punto passa Sara a bordo della sua Toyota Aygo, la sperona, la fa scendere dalla macchina, una breve discussione, poi la strangola (5-minuti al massimo) e infine cerca di disfarsi del cadavere dandole fuoco con una tanica di benzina acquistata precedentemente. La sentenza è fissata per il 5 maggio.


Scialpi, la verità di quei tweet sul Pride In un’esclusiva a Pride Online il cantante lancia una riflessione su come emancipare la più importante manifestazione di orgoglio omosessuale


Scialpi, la verità di quei tweet sul Pride
Alcuni tweet dei giorni scorsi, a firma del cantante Scialpi, che invitavano a moderare alcuni atteggiamenti provocatori durante i Pride, hanno da un lato scatenato il risentimento da parte  degli attivisti organizzatori e di molti partecipanti, dall’altro  hanno invece aperto un serio dibattito sull’argomento.  La decisione dell’artista è scaturita da un episodio omofobico di cui è stato recentemente vittima a Roma,  il 28 marzo scorso. «Un ragazzo camminando per strada mi ha riconosciuto e ha detto “frocio” – racconta l’artista – sputandomi addosso».
I tweet di Scialpi sul Gay Pride
Combattere i nostri diritti senza culi al vento ma seri nelle sedi opportune #gaypride per fare un passo avanti
Credo che la gente si faccia meno pippe di quante ce ne facciamo noi (#gay) #gaypride
Fallo vedere alle coppie LGBT che vogliono dare il cognome ai propri figli e ancora non possono.
E’ arrivata l’ora di essere più moderati per ottenere più diritti.
Addio viva il #gaypride e viva il #culoalvento

Pride Online ha voluto approfondire la vicenda ascoltando dalla viva voce del cantante e del suo compagno, il manager Roberto Blasi, con cui è unito in matrimonio dal 2015, le ragioni di questi tweet, destinati sicuramente a dividere la comunità Lgbti sull’argomento, tra sostenitori di chi vuole un Pride più morigerato e oppositori che rivendicato a tutti gli effetti la libertà di espressione.
Ma prima facciamo un passo indietro, ripercorrendo le tappe dell’impegno pubblico del cantante sul tema dell’omosessualità. Il loro matrimonio, celebrato negli Usa – in Italia all’epoca non era ancora consentito – destò molto scalpore e l’evento guadagnò la copertina del settimanale Chi: «Non siamo più una coppia di fidanzati, siamo una famiglia . È importante per una persona poterlo dire, con fierezza e con amore e trovare così il proprio posto nel mondo. È una battaglia che abbiamo combattuto e, ufficializzando la nostra unione, abbiamo vinto, almeno lo spero. Abbiamo superato i pregiudizi e ci siamo esposti dal punto di vista mediatico»,  raccontò Scialpi in quel numero della rivista diretta da Alfonso Signorini. Negli Usa, grattacieli alle spalle, il cantante scriveva: «Non confuso ma felice!». Il 31 agosto di quell’anno con l’hashtag  #viaggiodinozze. scattò  un selfie  in aeroporto a New York con la didascalia che recitava: «Oggi torniamo da marito e marito».
Come abbiamo detto, nel 2015 il ddl Cirinnà era ancora in discussione in Parlamento: «Il nostro atteggiamento è stato ancora più forte perché ha anticipato l’approvazione della legge in Italia. Abbiamo osato dunque sfidare tutti quei politici italiani proprio perché volevamo che la legge entrasse in discussione alla Camera».
Al rientro in Italia la coppia partecipò al reality “Pechino Express“, l’adventure show di Raidue che li vide protagonisti lungo le strade del Sudamerica.
«L’orgoglio di essere gay per contrapporsi alla polizia che picchiava. Occorre riprendere il vero spirito del Pride quando andarono in scena le prime parate dell’orgoglio omosessuale che si sono poi svolte in molte città del mondo per rivendicare rispetto e diritti. Ricordando, soprattutto ai più giovani, quel 1969 a New York, con i moti dello Stonewall Inn e quel codice penale dello stato di New York, che puniva i gestori di locali che servivano persone gay visto come favoreggiamento dell’omosessualità, descritta come un crimine contro la natura. Le retate della polizia erano frequenti e i gestori finivano spesso al commissariato di polizia per violazione delle leggi dello Stato.
Dire che occorre essere più moderati al Gay Pride non significa attaccare la manifestazione, che resta assolutamente importante perché il senso è proprio quello di rievocare e onorare quel 28 giugno 1969, quando i frequentatori dei locali, le drag queen e i giovani della zona reagirono con la forza all’ennesimo raid della polizia e segnarono l’inizio della mobilitazione politica per il riconoscimento dei diritti dei gay. Significa dire che occorre alzare l’asticella qualitativa sul Gay Pride, in termini di comunicazione.
Non mi sembra di  affermare una eresia né tantomeno voler sminuire il significato di questa parata così importante per i motivi che ho ricordato. Credo che  combattere per i diritti con i culi al vento, prima ancora di averli conquistati questi diritti, possa rappresentare  un autogol. Prima raggiungiamo gli obiettivi concreti,  poi lasciamo spazio alle provocazioni, culi al vento compresi. Questa dei diritti è una partita troppo importante e, usando ancora una metafora calcistica, dovremmo essere più astuti usando una tattica diversa per le nostre rivendicazioni.
Sono sicuro che ormai  quelli con i cosiddetti culi al vento sono una minoranza, perché al corteo sfilano associazioni impegnate quotidianamente sul territorio contro discriminazioni e violenze o le famiglie arcobaleno che sostengono i figli omosessuali e i genitori nel percorso di accettazione, ma quella minoranza è presa di mira dai media che fanno a gara a pubblicare foto e immagini destinate poi a incidere negativamente sulla credibilità della manifestazione e ad essere strumentalizzate dai poteri forti con le classiche didascalie e commenti alla foto di uno che ha una bandiera rainbow  nel proprio culo: “Ma voi dareste vostro figlio in mano a uno così?”.
L’immagine della shampista, per rendere l’idea, che quando stacca dal lavoro corre al Gay Pride per indossare abiti provocatori,   è ormai obsoleta e ha rotto, scusate il termine, le palle a tanti gay che vogliono costruire il proprio percorso di vita rivendicando i diritti in altro modo. Il Pride in Italia deve un po’ emanciparsi e non essere solo radicato al concetto di esprimere la propria libertà sessuale,  ma orientato a raggiungere dei risultati importantissimi nella società civile che ancora sono lontani, dalla legge contro l’omofobia e quella delle adozioni”.
Vi faccio un esempio pratico: la manifestazione Svegliati Italia, dove io e Roberto abbiamo partecipato con grande entusiasmo e il nostro bacio immortalato dai giornali, è stato un bel messaggio alla società per non discriminare l’amore, è stata una mobilitazione esemplare dove tante persone si sono ritrovate nella piazza testimoniando con grande civiltà la propria identità sessuale per avere il giusto riconoscimento e il posto che merita in questa società. Queste sono le manifestazioni intelligenti che servono a dare forza, credibilità e rispetto a tutta la comunità Lgbti.
Credo difficile che restiamo credibili se restiamo ancorati alle vecchie modalità se vogliamo essere ascoltati e accolti. Poi ognuno agisca di propria coscienza e vada al Pride come meglio crede, ma mostrare al mondo l’omosessualità nel massimo della volgarità, con una bandiera conficcata nel culo, non mi pare un aiuto concreto a chi sta facendo un percorso di accettazione, famiglie comprese di figli omosessuali, con il rischio di rovinare il certosino lavoro di associazioni che ogni giorno si battono per i diritti di tutti. Non è la bandiera nel culo il simbolo della battaglia del movimento Lgbti nel contrasto alle discriminazioni e del riconoscimento pieno dei diritti».
Questa è l’opinione di uno come Scialpi che, per rivendicare con orgoglio il diritto all’amore e all’unione same-sex, ha messo a repentaglio anche la propria carriera: «Non ci ho rimesso solamente il lavoro, ma soprattutto ci ho messo la faccia, cosa che non ci ha messo mai nessuno in Italia rispetto a chi dice che ci sta vicino “con il cuore”».

25.4.17

i vergognosi insulti a Milano alla Brigata Ebraica

Premetto che  anch'io sono   contro lo stato d'israele per  i  motivi   detti in precedenza   su queste pagine,  ma  non mi metto   nè  ad  insultare  un popolo per  colpa   dei suoi rapressentanti  .







o  a negare   il  contributo  nel bene    e  nel  male

da  https://it.wikipedia.org/wiki/Brigata_Ebraica

(....) 

Nel periodo immediatamente successivo alla fine della guerra fu acquartierata a Tarvisio. Un capitolo ancora tutto da chiarire è il ruolo che, secondo notizie recentemente raccolte in un'intervista rilasciata da Chaim Miller uno dei componenti la Brigata, la Brigata stessa ebbe nel Tarvisiano nell'esecuzione di criminali nazisti e collaborazionisti[6][7][8], con azioni che secondo alcune testimonianze, in alcuni casi sarebbero sfociate anche in atti di violenza ai danni della popolazione locale "colpevole" solamente di avere cognomi tedeschi.[9]

Attività di supporto alle popolazioni ebraiche  
Già durante il periodo bellico, a fianco del ruolo militare, la brigata ebraica svolse, a livello assolutamente spontaneo, anche un importante compito civile a favore soprattutto delle comunità ebraiche liberate, sconvolte dalla guerra e dalla persecuzione nazi-fascista (aiuto ai sopravvissuti, accoglienza dei minori rimasti orfani, riunificazione delle famiglie disperse, ecc.). Nel dopoguerra la Brigata si distinse in particolare nell'opera di assistenza della massa di profughi che dall'Europa centrale si dirigevano o transitavano dall'Italia. Soprattutto dai porti della Liguria (in particolare Vado) era infatti iniziato un movimento di navi (vere carrette dei mari) appositamente trasformate per un viaggio in genere di sola andata verso la Palestina del mandato britannico.
Milano, in via Cantù 5, presso i locali del club della Brigata ebraica, si installò un vero e proprio ufficio fantasma di emigrazione, diretto da Jehudah Arazi, dal quale nel 1945-46 passarono migliaia di profughi diretti in Palestina, attraverso i porti italiani. A Magenta fu presa in affitto una fattoria semidistrutta che serviva come campo di addestramento sia militare sia al lavoro agricolo per i profughi validi.[10] Ben presto la Brigata venne in contrasto con i comandi britannici che cercavano di evitare tali attività in supporto dell'emigrazione clandestina verso la terra di Israele. L'unità fu trasferita, pertanto, nell'ambito delle forze di occupazione alleate, in Belgio e Paesi Bassi, infine smobilitata nel luglio del 1946 per ordine del governo britannico, anche per le crescenti tensioni che si registravano in Medio Oriente.

Il ritorno in Israele[modifica | modifica wikitesto]

Molti tra i circa cinquemila soldati[3] che fecero parte della Brigata ebraica tornarono o si trasferirono in Israele dai loro Paesi originari, portando con sé l'esperienza militare acquisita. Essi contribuirono in maniera significativa alla nascita dell'esercito israeliano ed alle sue vittorie nelle prime guerre che presto si trovò a sostenere.


 e  mi trova  d'accordo  la  discussione   , vedere   sotto  avenuta  nella  rubrica  le  lettere di corrado augias  sui repubblica  d'oggi

Nessun testo alternativo automatico disponibile.





cosa è per me il 25 aprile


leggi    anche 



un avento ricco di emozioni difficile da descrivere . preferisco farlo con
L'amaca del 25 aprile 2017  Michele Serra e la vignetta  di Altan

Risultati immagini per cosa è il 25 aprile

GLI occhi di Irma Bandiera (Mimma) furono spenti dalle torture dei nazisti nell’agosto del 1944. La accecarono perché non voleva rivelare i nomi dei suoi compagni. Poi la uccisero e lasciarono il suo corpo in strada, perché la gente vedesse che fine fanno i partigiani. Aveva 29 anni: rispetto alla media dei partigiani italiani, nemmeno pochi.
Ora gli occhi di Irma brillano intatti, restituiti al suo volto di giovane donna, dipinti di fresco sul muro di una scuola della sua città, Bologna. Un grande murale colorato: bello, vivo, potente. Chi si trovasse oggi da quelle parti passi da via Turati 84, se ne ha il tempo, a salutare Irma. Anche in automobile, basta un attimo, basta uno sguardo di gratitudine e di amicizia. Ovunque voi siate cercate un piccolo segno, un piccolo posto dove celebrare i nostri liberi avi, morti ragazzi. Non è indispensabile — anche se è bello — sfilare in corteo. Nei cortei troppo spesso le beghe di cronaca rubano la scena alla ragione dei vincitori di allora, che fu una ragione larga, una ragione generosa. Per un momento di memoria vera bastano anche il fiore deposto, il gesto grato, lo scorcio di muro, la fotografia, il portone, la lapide, il cippo, la breve sosta silenziosa. Basta un minuto per sentire che oggi è il 25 Aprile.














muro, la fotografia, il portone, la lapide, il cippo, la breve sosta silenziosa. Basta un minuto per sentire che oggi è il 25 Aprile.

Mantova Arriva la panchina rossa in nome delle donne uccise. una pagliacciata antifemminicidio

Leggo che a
Mantova. Anche Canneto sull’Oglio potrebbe avere presto una panchina rossa. Dello stesso colore dell’amore, quel sentimento che vive di passione, rispetto, speranza. Ma anche dello stesso colore del sangue,








quello di cui si macchiano per sempre gli uomini che arrivano ad uccidere le loro donne. Per rabbia, vendetta, paura di essere lasciati e perfino di lasciare. Una panchina rossa come quelle che ormai si trovano in diversi Comuni per sensibilizzare sulla violenza sulle donne.
 [ ---]
( continua qui http://gazzettadimantova.gelocal.it/mantova/cronaca del 23\4\2017)






Secondo me è una , mi perdono le femminste dure e pure come alcune utenti del mio facebook ( account e pagina ) e utenti del blog , delle solite pagliacciate non si comb
atte cosi il femminicido . ma facendo leva sull'educazione fin dale scuole primarie ad una cultura che comprenda il rispetto reciproco , non violento , e della diversità


una cultura che 

trovata pubblicitaria o tentativo di proporre culura non dozzinale ?Parte da Padova l'iniziativa di bookcrossing che coinvolge i negozi di parrucchieri e i saloni di bellezza. In attesa della messa in piega si leggono Hosseini o Baricco

da http://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca/2017/04/24/

Shampoo e libri, dall'estetista il gossip non è più di moda
Parte da Padova l'iniziativa di bookcrossing che coinvolge i negozi di parrucchieri e i saloni di bellezza. In attesa della messa in piega si leggono Hosseini o Baricco
di Elvira Scigliano

PADOVA. "Shampista" nel linguaggio comune è ormai diventato un termine dispregiativo; dalla parrucchiera ci si aspetta tuttalpiù di parlare del divorzio di Brad Pitt e Angelina Jolie; dall'estetista non si va oltre un paniere di luoghi comuni e pettegolezzi, la cui liturgia è scritta dalle riviste patinate dei fatti e misfatti del prossimo. Invece no, almeno per venti aziende del padovano che - grazie alla Confederazione nazionale degli artigiani - ha lanciato l'iniziativa "I libri nella testa".


Il gruppo di parrucchieri che ha aderito all'iniziativa di bookcrossing


La prima esperienza nazionale di bookcrossing nei centri estetici e saloni di bellezza. Le aziende (Athena Beauty club di via Cittadella; Equipe Terry di via Santi Martino e Solferino; Estetica Naif, sempre di via Santi Martino e Solferino; Salone Dora di via Altinate; Estetica e benessere di via Dal Pozzo; Vip Center di via Teza; Daniel Capelli di Baone; Estetica profili di Stra; Eva Luna di Maserà; Isidea Estetica di Pionca di Vigonza; La Quintessenza di Mestrino; Meridian Center di Terraglione; Salone Matteo di Cadoneghe e Studio Cem di Este) si sono ribellate al pregiudizio e hanno dato il benvenuto nei loro negozi a un assaggio di dieci volumi di saggi, romanzi, poesie, da offrire ai clienti, in alternativa alle riviste patinate. C'è Il cacciatore di aquiloni di Hosseini, c'è Baricco, ma anche la padovana Silvia Veronese con la poesia (L'eco dell'aria), Grisham e Lilli Gruber; l'intramontabile Orgoglio e pregiudizio e pubblicazioni sulla terra veneta e padovana.
Come funziona? Il cliente arriva, inizia a leggere il libro, si appassiona e lo porta a casa con l'impegno di restituirlo la volta successiva o con la promessa di portare un altro libro in cambio. «Non siamo né delle zuccone, né delle pettegole», scandisce Luisa Borgato, titolare di un parrucchiere a Forcellini, «per quanto mi riguarda seleziono le mie collaboratrici: pretendo siano diplomate. E nel mio negozio da sempre entrano Focus e National Geographic e le mie clienti non si sono mai lamentate. Ora potrò condividere con loro la mia passione per le storie d'amore e i gialli». «Ho letto la storia di Madre Teresa di Calcutta e vorrei che tutti la leggessero», aggiunge Matteo Massarotto, parrucchiere a Cadoneghe, «e più di una cliente mi ha chiesto di portare letture nuove». Con tutto il rispetto per chi nei saloni di bellezza ci va proprio per "informarsi" e, magari, non sentirsi fuori dal mondo quando non si parla di politica, filosofia o finanza.
Perché scegliere per due ore la leggerezza non fa di noi dei somari impenitenti. «I fatti leggeri creano discussione, appassionano senza impegno», sottolinea Roberto Buson, estetista in centro, «vogliamo
solo offrire qualcosa di più». «Un grazie speciale - chiude Matteo Rettore, presidente della Cna - va alla biblioteca civica di Este, alla libreria caffè Il mondo che non vedo e a Proget edizioni e nuova grafotecnica che ci hanno regalato 150 libri».

Sofia Rossi ·
ahahahahahahah prendo nota da questi non ci vado....sono come dice l'articolo "somara impenitente"
Mi piaceRispondi221 h
Giuseppe Scano ·
Lavora presso Tempio Pausania
LOL
Mi piaceRispondi5 min
Mirko Rossi
Ma per favore!! Siamo alla follia. Mettete quello che vi pare da leggere ma non rilasciate stè dichiarazioni: "le mie clienti leggono solo focus", "la mia cliente ha letto il libro della teresa di calcutta e le sono sparite le doppie punte". Se volete farvi pubblicità fatela, anche questa è un'idea ma la gente viene a sistemarsi la testa, spesso a prezzi diciamo non popolari e se ne sbatte di tutto il resto.
Mi piaceRispondi320 h
Anna Alberti
Forse l'iniziativa è buona, ma io vedo le signore in attesa della messa in piega sempre con lo smartphone fra le mani...speriamo ritrovino il piacere della lettura.
Elena Bedin
Anche da Carmen & Vallì (Estetica e parrucchiera) a Vigodarzere! Bellissima iniziativa!


nonostante sia antisionista e pro palestina io sto con la brigata ebraica

nonostante io sia contro ( ma anche se con titubanza lo riconosco perchè prmai esiste ed è storia ) per come si è arrivati 




Un film indipendente di Ronen Berelovich è la storia storia del sionismo e dell'applicazione pratica di questa ideologia nella creazione dello stato di Israele
La pulizia etnica,il colonialismo e l'apartheid usati verso la popolazione palestinese


. io sto E NON SONO DEL PD , con la brigata ebraica . poerchè un conto è essere antisionisti un altro ed è questo che è vergognoso essere antisemita