Attacco all’Iran il 6 aprile?
Maurizio Blondet
21/03/2007
Ehud Olmert a Washington
Gi USA attaccheranno l’Iran il 6 aprile.
Lo afferma, sul settimanale russo «Argumenti Nedely», Andrei Uglanov, che pare avere fonti informative dei servizi di Mosca.
L’operazione sarebbe stata battezzata «Bite» (Morso) perché non prevede nessuno sbarco o invasione, ma una serie di bombardamenti, della durata di dodici ore (dalle 4 del mattino alle 16), contro una ventina di obbiettivi e installazioni nucleari iraniane.
Saranno le squadre di B-52 in decollo dalla base Diego Garcia, nell’Oceano Indiano, e armate di bombe e missili, a colpire.
Questa prima ondata sarebbe seguita da altre, effettuate con aerei in decollo da altre basi USA nella zona, nel golfo e in Afghanistan.
Secondo Uglanov, Mosca ha già informato Teheran, ma chiarendo che la Russia non interverrà nel conflitto.
«Più volte la Russia ha invitato Teheran ad attenersi alle proposte della commissione internazionale per l’energia Atomica (IAEA), e se Teheran non vuole accettare, il nostro Paese non può trovarsi coinvolto in un’avventura tragica», scrive Uglanov: «La Russia non può partecipare ai giochi anti-americani».
Da settimane Mosca segnala che non si farà manovrare da Teheran nei suoi «giochi anti-americani», che se Ahmadinejad spera di trattare la seconda potenza nucleare come un suo fantoccio, si sbaglia di molto.
Putin, i cui tecnici stanno installando la centrale iraniana di Bushehr, aveva offerto in passato di arricchire l’uranio iraniano nelle sue centrali, sotto garanzia internazionale; Ahmadinejad ha sempre rifiutato.
Ora Mosca, rende noto la Reuter, minaccia ancora di interrompere le forniture di combustibile atomico a Bushehr, se Ahmadinejad non fermerà il programma di arricchimento come chiesto dal Consiglio di sicurezza.
L’avvertimento è stato dato da Igor Ivanov, segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale russo, ad Ali Hosseini Tash, un alto diplomatico iraniano.
Lo stesso ministro degli Esteri Sergei Lavrov avrebbe confidato a diplomatici europei che la decisione di non fornire più combustibile a Bushehr era frutto di una decisione politica di Mosca, non una questione di pagamenti mancati del materiale.
Ahmadinejad non è il nuovo Hitler, ma è stupido se crede di poter giocare la Russia contro gli USA, e determinare lui, a capo di un Paese di peso irrilevante nel gioco delle grandi potenze, la politica estera di Mosca.
Sta andando verso l’ineluttabile.
Secondo i russi, l’attacco americano ormai imminente metterà in ginocchio la popolazione persiana, e potrà portare alla caduta di Ahmadinejad (già ai livelli più bassi) se non dell’intero regime degli ayatollah.
Verrà sconvolto l’assetto sociale interno, e il prezzo del petrolio potrà salire - essendo la regione già destabilizzata dall’occupazione dell’Iraq - fino a 200 dollari il barile.
Ma anche per gli USA una nuova fase bellica può riservare amare sorprese, sulla sua economia e sul dollaro.
Ma «bisogna» obbedire a Israele.
Una nostra fonte, che cita un suo informatore della CIA, ci conferma l’attacco per i primi di aprile.
E una conferma almeno indiretta viene da Israele, che ha invitato i suoi cittadini a non viaggiare in una quarantina di paesi (la lista è lunghissima, e comprende l’intero mondo musulmano e l’Africa) come prevedendo reazioni inferocite alle prime immagini del bombardamento a tappeto.
«Ci stiamo preparando a scenari di guerra su vari fronti», ha detto anche il ministro della Difesa giudaico Amir Peretz: «Non faremo compromessi nella guerra al terrorismo. Coloro che rifiutano di riconoscere Israele rifiutano la pace», ha aggiunto.
L’ex capo di Stato Maggiore Moshe Ya’alon è stato ancora più esplicito.
Ha definito «inevitabile» il conflitto con l’Iran, e - come fanno da tempo lui e i suoi pari - ha rimproverato l’Occidente, che non vuole andare in guerra per Israele, in quanto è «debole», e questo «avvicina il conflitto anziché allontanarlo».
Ahmadinejad, ha detto, «ha dichiarato guerra all’Occidente e alla sua cultura» (sic).
Insomma gli ordini di Giuda all’Occidente sono stati dati.
Lo ha fatto Olmert nella riunione dell’AIPAC (American Israeli Political Committee) a Washington il 12 marzo scorso, davanti ad una platea di politici, parlamentari e candidati presidenziali democratici, che ha rimproverato per la loro «debolezza»: «Sono sicuro», ha detto, «che tutti voi che siete preoccupati della sicurezza e del futuro dello Stato di Israele comprendete l’importanza di una forte leadership americana per affrontare la minaccia dell’Iran, e sono sicuro che voi non intralcerete né frenerete questa forte leadership (di Bush)».
La voce del padrone ha parlato al potere americano, a casa sua, con questo tono.
Sembra confermare i preparativi per il bombardamento dell’Iran anche l’esercitazione congiunta USA-Israele completata la settimana scorsa.
Battezzata «Juniper Cobra 2007», l’esercitazione simulava «lanci missilistici non-convenzionali» e tra l’altro mirava a mettere a punto il sistema d’intercezione anti-missile israeliano «Arrow» in coordinamento con la rete, sempre israeliana ma prodotta in USA, dei missili Patriot.
Allo scopo evidente di parare una possibile reazione iraniana.
Ya’alon ha reso abbastanza chiaro che, in coincidenza con l’attacco aereo americano all’Iran, Israele combatterà «su vari fronti contemporaneamente», riecheggiando Peretz e probabilmente alludendo alla «soluzione finale del problema palestinese» da mettere a segno mentre il mondo sarà distratto dall’incenerimento dell’Iran, e alla rivincita in Libano contro Hezbollah.
Qui, la ripresa della guerra è necessaria perché Hezbollah ha scosso «la deterrenza di Israele», e tale deterrenza va ricostituita.
Ya’alon ha definito quella palestinese «una cultura di morte» (sic).
«Finchè non metteranno nei loro libri di testo la menzione di Israele, continueremo a combatterli», ha detto.
Anche il generale egiziano Mahamoud Khallaf, intervistato dallo EIR (1), ha confermato sostanzialmente l’attacco imminente.
«La situazione si è volta a favore di Bush, purtroppo», ha detto il generale: «L’Iran ha tentato di giocare una parte superiore a quella di potenza regionale, e Bush ha avuto buon gioco a persuadere il Congresso USA che Teheran minaccia interessi americani. L’Iran ha anche minacciato Israele, e nessuno ignora il ruolo della lobby ebraica in USA. L’Iran è guardato come un elemento di disturbo dai sunniti in Egitto, Arabia Saudita, Libano… io e molti altri abbiamo sostenuto a lungo l’Iran. Ma ora l’opinione pubblica in Egitto è contro l’Iran».
Secondo il generale Khallaf, «Bush ha mandato quei 21.500 uomini in più in Iraq non per stabilizzare Baghdad, ma per preparare il colpo contro l’Iran. Il mandato di Bush sta per finire, e per determinare un cambiamento in Medio Oriente, egli deve fare qualcosa di drammatico. I neocon non lasceranno la Casa Bianca con il Medio Oriente nello stato attuale».
Lo renderanno sicuro per Israele.
Maurizio Blondet
Dal sito http://www.effedieffe.com
Note
1) Muriel Mirak-Weissbach, «US ‘surge’ in Iraq is to prepare attack on Iran», Executive Intelligence Review, 23 marzo 2007.