27.5.21

Questa è una storia che non andrebbe raccontata ma urlata. Perché grida giustizia.il caso delle sorelle Rosa e Savina Pilliu,

come dice l'autore del post riportato sotto Questa è una storia che non andrebbe raccontata ma urlata. Perché grida giustizia. Una giustizia non riconosciuta dallo stato e dalla cosiddetta antimafia dei professionisti .
Ma   ora  basta chiacchere   e lasciamo parlare   l'articolo ma  prima    un link per  chi volesse  approfondire   a  vicenda   https://www.nextquotidiano.it/pif-libro-sorelle-pilliu-mafia-beffa-stato/
Tutto ha inizio a Palermo, nel 1990, quando Pietro Lo Sicco, costruttore in odor di mafia, si mise in testa di costruire un palazzo di sette piani in via del Bersagliere. Ma, per farlo, aveva bisogno di buttare giù le casette di fronte. Con mezzi leciti o illeciti riuscì a ottenerle e ad abbatterle tutte. Tutte meno una, quella di Rosa e Savina Pilliu, due sorelle sarde trapiantate in Sicilia che decisero di non cedere a quell’atto di sopraffazione, nonostante fusti di calce recapitati in negozio, corone di fiori sotto casa e altre intimidazioni esplicite.
Di fronte alla tenacia delle sorelle Pilliu, Lo Sicco si inventò che quel terreno era già suo, grazie anche a una mazzetta fatta scivolare a un assessore, e cominciò a demolire tutte le casette per costruire il palazzo, che nel frattempo era già passato da sette a nove piani.Ma anche in questo caso Lo Sicco dovette fermarsi di fronte all’orgoglio incrollabile delle due sorelle, che avviarono allora una battaglia legale per fermare le ruspe. Una battaglia che durerà per 30 anni, durante i quali le sorelle hanno lottato e vinto in tutti i tribunali, ottenendo l’arretramento del palazzo ma anche, grazie al loro decisivo contributo, la condanna di Lo Sicco a 7 anni per associazione mafiosa e un risarcimento civile di 750mila euro.E qui arriva la beffa atroce perché non solo non hanno mai visto neanche un euro, né da Lo Sicco (nel frattempo espropriato di tutto) né dal fondo vittime di mafia, che sbatté loro le porte in faccia nonostante prove di ogni genere, ma - tenetevi forte - si sono viste anche recapitare dallo Stato una cartella esattoriale da quasi 23mila euro, pari al 3% di tasse su un risarcimento che non hanno mai ricevuto né, forse, riceveranno mai. Ecco cosa resta a queste due sorelle dalla schiena dritta per aver combattuto, nei fatti e nei tribunali, mafia e corruzione per 30 anni: una tassa da 23.000 euro. Loro che hanno vinto la loro battaglia decennale contro la mafia, ma hanno dovuto piegarsi a uno Stato ottuso e iniquo. Ed è qui che entra in gioco l’uomo nella foto


noto a tutti come Pif, anche lui palermitano. Che, insieme a Marco Lillo, ha scritto un libro dedicato a questa battaglia di coraggio e di civiltà, ma, come spesso gli capita, è andato oltre, provando a cambiare il finale di questa storia: l’intero ricavato del libro, “Io posso: due donne sole contro la mafia” sarà, infatti, interamente devoluto alle sorelle Pilliu. Non solo. L’ambizione è quella di ricostruire quelle palazzine distrutte e affidare gli appartamenti di Lo Sicco ad associazioni antimafia. Un atto di riparazione culturale. Un modo per celebrare due italiane di cui essere orgogliose. Un degno finale per una storia indegna.

26.5.21

TOR BELLA MONACA / VIA ACQUARONI L’istituto di via Acquaroni ricorda Davide Marasco nella settimana dell’eduzione stradale L’iniziativa, fortemente voluta da mamma Maria Grazia Carta, si svolgerà nel giorno del secondo anniversario di scomparsa

 


Di  cosa  stiamo  parlando  
oltre   gli articoli del blog  , cercateli   nell'archivio , potete leggere  e sentire  l'intervista  alla  madre  qui  https://www.castedduonline.it/automobilista-educazione-stradale/


Anna Grazia Concilio

RomaToday

24 maggio 2021 18:24

“Non c’è un modo migliore per ricordare Davide se non quello di dedicare un’intera giornata alla sicurezza stradale perché la scuola continua, seppure con pochi mezzi a disposizione, a dare il massimo e a sostituirsi alla politica”. Queste sono le parole di Maria Grazia Carta, mamma di Davide Marasco ucciso da un pirata della strada all’alba del 27 maggio del 2019: è lei la promotrice dell’evento “Una scuola sulla buona strada”, fissato in calendario nel giorno in cui ricorre l’anniversario della morte di suo figlio.

Maria Grazia Carta e Davide Marasco


Sono trascorsi due anni da quando Naim Xhumari, cittadino di origini albanesi, ubriaco al volante, ha investito e ucciso Davide Marasco, di 31 anni, dopo aver imboccato contromano la via Casilina, all’altezza del quartiere Torre Maura. Da quel giorno, mamma Maria Grazia ha avviato una lunga battaglia, non solo legale ma anche sociale: già perché per la donna, insegnante presso la scuola di via Acquaroni a Tor Bella Monaca, della morte di Davide sono tanti i responsabili, in primis le istituzioni: è necessario fare prevenzione e sottrarre i territori al degrado affinché simili tragedie non si ripetano più.Raccogliendo la disponibilità della dirigenza e dei colleghi, Maria Grazia ha organizzato un’intera giornata dedicata a giochi, workshop, testimonianze e incontri nell’ambito della ‘settimana dell’educazione stradale’. “Saranno coinvolti tutti i bambini e i ragazzi dell’istituto comprensivo, in base all’età verranno riservate specifiche iniziative – ha concluso – L’impegno è massimo affinché queste morti non avvengano mai più”.

gente meschina che pur di guadagnare non esita fare cose turpi il caso della strage della funivia Mottarone

CRIMINALI ecco cosa sono che marciscano in carcere o siano condannati a 30 anni senza condizionale e altri benefici \premi . Ecco di solito per  una delle poche cose che ho deciso di tenere  del mio processo di battere e levare  delle sovrastrutture esterne  come l'educazione familiare  e le altre nozioni apprese dal sistema ( scuola , chiesa , politicamente corretto , ecc ) sarei  garantista . Infatti lo so che dovrei : essere coerente con quanto ho scritto nel post precedente ., evitare commenti come quelli espressioni dal titolo del post ed aspettare  l'ultimo grado giudiziario   per potermi esprimere  merito in quanto ogni persona è  innocente fino  alle fine e ..... bla.... bla .... . Ma  non sempre uno riesce a trattenersi . soprattutto  quando si viene arrestati per fatto del genere  . ... Non riesco a commentare ulteriormente tale notizia


ITALIA L'inchiesta della procura di Verbania ​Tre fermi per la strage del Mottarone. Tra loro il gestore Tra i fermati figura anche Luigi Nerini, proprietario della ferrovie del Mottarone. Per la procura sapevano che il freno di emergenza era disattivato. La strage ha provocato 14 morti. Ancora in corso gli accertamenti tecnici sulla rottura del cavo   da : http://www.rainews.it/ del 26 maggio 2021
e vi lascio condividendo questo post trovato su una bacheca social



e sulle note di queste due canzoni  che costituiscono la colonna sonora del post

senza parole - vasco rossi
ho perso le parole - Luciano Ligabue 
Morire -CCCP Fedeli alla linea

non sempre fare di testa propria e quindi essere anarchico è negativo il caso di di Tarcisio Burgnich alla semi finale dei mondiali del 1970 in italia -germania

Il nome  in se    non mi diceva niente  , essendo     cresciuto negli anni 80\90  ,  proprio  quando   Tarcisio Burnignich    era  già  andato in pensione .  É  dai miei  genitori , oltre  che dalla  tv  che  parla  della  sua   morte  .  E fra gli  articoli coccodrillo  che ne  parlano    ho  trovato questo d repubblica    del 26\5\2021 qui l'articolo completo    .  Articolo che     conferma   il  mio  commento  , che è  anche  il titolo del post    d'oggi  

[...] 

Ma anche gli immobili, venerabili e quasi eterni nella loro postura, una volta nella vita si concedono la vertigine del viaggio, come la prima e unica gita in aereo dei nonni. Dunque - e non in una partita qualsiasi ma nella mitica Italia - Germania =  4- 3  Messico '70 - Tarcisio Burgnich scappò di casa. Accadde nel primo tempo supplementare e sul risultato di 2-1 per i tedeschi, quando Muller aveva appena segnato e gli azzurri sembravano già depressi. Era un pericolosissimo momento di stanca, quando puoi perdere il filo e non ritrovarlo mai più E allora, chissà perché, Burgnich fuggì dal suo domicilio e si spinse in avanti, dall'altra parte del prato e del destino. Ci fu un calcio di punizione, e Rivera sapeva che Tarcisio di testa le prendeva tutte: quando lo vide dentro l'area, incongruo, come uno che avesse sbagliato indirizzo o si fosse perduto, Gianni calciò il pallone verso la capoccia del numero 2 ma fallì la misura e mirò troppo avanti. La palla, irraggiungibile per Tarcisio, carambolò tra l'azzurro e il tedesco Held che la respinse goffamente lasciandola, in pratica, quasi ferma. A quel punto, dopo un rimbalzostrambo, Burgnich colpì col sinistro, una specie di puntonata, e segnò. Poi corse a casa, cioè nella propria area, senza esultare. Aveva avuto la sua mattana ed era tempo di tornare in catena di montaggio.Come poi andò a finire lo sanno anche i sassi del ruscello, anche se non tutti ricordano i miracolosi salvataggi di Burgnich, uno addirittura in rovesciata sulla testa di Seeler. Questo portò gli azzurri in finale, e collocò Tarcisio nella sua seconda figurina estrema: lui che prova a saltare insieme a Pelè, angelo in decollo, irraggiungibile.                 Il re del calcio segnò di testa, anche questo lo sanno tutti, ma non tutti ricordano che Valcareggi aveva appena cambiato le marcature spostando Bertini su Rivelino e Burgnich su Pelè, che contro Bertini stava facendo un po' quello che voleva. L'azione del memorabile gol brasiliano si sviluppò proprio nel corso dell'infausto cambio di consegne, e Tarcisio arrivò in ritardo. Forse, sarebbe accaduto comunque. 

"Dicevo a me stesso: Tarcisio, anche Pelé è un uomo di carne e ossa come tutti. Mi sbagliavo". Questo Burgnich lo ripeterà sempre, non potendo tuttavia scendere da quella fotografia, come da una scala troppo alta. Adesso, però, il tempo che tutto consuma ha concesso a Tarcisio di tornare quaggiù, dove né Pelé né la corruzione degli anni e della memoria potrà più disturbarlo. Sei stato un grande, Tarcisio. Hai finito bene il tuo lavoro.

  nient'altro d'aggiungere   .  alla   prossima  

25.5.21

silenzio sui fatti di Stresa-Alpino-Mottarone

Sentendo  e leggendo  della  tragedia della funivia di Stresa-Alpino-Mottarone,  è come se  fossi bloccato    da  non riuscire   a  scrivere  niente  ., Infatti   1 )  sono ancora stravolto  come tutte le volte che sento o vedo la morte o eventi catastrofici  sia dovuti a noi uomini sia dovuti alla natura  imprevedibilità  del caso \ destino  2) non so cosa dire senza  scadere in banalità  e ovvietà  3 )  c'è  chi lo fa  ( bene o male ) per mestiere o perché  riesce a trovare  le parole adatte rispetto  a me  davanti a tali eventi .Ecco quindi scusatemi l'abuso retorico ma meglio un grande  silenzio che mille parole inutili che portano  molto spesso alla  morbosità .  Mi  auguro che  


[...] Mai come oggi, insomma, è indispensabile arrivare quanto prima a capire bene cosa è successo. E quali sono eventuali colpe e colpevoli. Non ci possiamo permettere in un momento così, in cui questa tragedia pugnala un Paese che tenta di ripartire e riacquistare fiducia, che un’altra inchiesta evapori in nuvolaglie di perizie, controperizie, ricorsi, controricorsi ... Quelle famiglie tradite da una fune che non si doveva rompere hanno diritto ad avere giustizia. E troppe volte altre famiglie non l’hanno avuta.

                              Gian Enrico Stella  corriere  della sera  24\5\2021 

Concludo con un altra  citazione musicale, stavolta diretta  ed esplicita,  che per  una coincidenza  è  in onda  radiofonica la  canzone da  cui ho preso il ritornello famoso pezzo  De  Andreiano   in questo momento  in cui sto scrivendo le ultime parole di questo post

[...]
Cos'altro vi serve da queste vite ?
Ora che il cielo al centro le ha colpite
Ora che il cielo ai bordi le ha scolpite


con questo è  tutto alla prossima .










24.5.21

precisazioni sul Caso di Marina ciontoli

leggi anche 

 https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2021/05/io-malata-di-sla-assistita-per-anni-da.html




L'altra  volta  ( qui  su  queste pagine  )  avevo dedicato  un post   all'altro lato  di   Marina ciontoli . Ed ho ricevuto  privatamente   ( CHE PUSILAMINI  NEPPURE  HANNO IL CORAGGIO  DI  ESPORSI PUBBLICAMENTE    , MA  SOLO IN PRIVATO  ) molti messaggi   alcuni ,  anche pesanti   ma  ho il imparato a no curarmene  . Ora o   caso di Marco vannini   è  una vicenda che mi devasta. E mi fanno orrore quei “giornalisti” che minimizzano le colpe dei Ciontoli. Soprattutto Martina, che era e resta sommamente e oscenamente imperdonabile.  Ma  alo stesso tempo mi da   fastidio     quando lo  si  fa    basandosi solo esclusicvamente   vedendo le  cose  da  una parte  sola   senza   vedere  anche l'altro lato    per  poi tirare le  somme ,  e  confermare o smentire   il tuo  pensiero  . Ora Per  chiarire  ogni equivoco    riporto   dalla bacheca del discusso  Andrea  Scanzi   l'intervento  di   Celestino Gnazi. il difensore storico dei coniugi Vannini. Gnazi hai scritto parole che trovo molto importanti. Ne riporto anche qui alcuni passaggi.


“𝐶𝑎𝑟𝑜 𝐴𝑛𝑑𝑟𝑒𝑎 𝑆𝑐𝑎𝑛𝑧𝑖, 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑖𝑙 𝑑𝑖𝑓𝑒𝑛𝑠𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑒𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑖𝑢𝑔𝑖 𝑉𝑎𝑛𝑛𝑖𝑛𝑖. 𝐹𝑜𝑟𝑠𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑑𝑜𝑣𝑟𝑒𝑖 𝑐𝑜𝑚𝑚𝑒𝑛𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝐿𝑒𝑖 ℎ𝑎 𝑠𝑐𝑟𝑖𝑡𝑡𝑜 𝑛𝑒𝑙 𝑝𝑜𝑠𝑡, 𝑚𝑎 𝑛𝑜𝑛 𝑝𝑜𝑠𝑠𝑜 𝑓𝑎𝑟𝑒 𝑎 𝑚𝑒𝑛𝑜 𝑑𝑖 𝑟𝑖𝑛𝑔𝑟𝑎𝑧𝑖𝑎𝑟𝐿𝑎 𝑝𝑒𝑟 𝑎𝑣𝑒𝑟𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑟𝑎𝑠𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑎 𝑢𝑙𝑡𝑖𝑚𝑎, 𝑖𝑛𝑑𝑒𝑐𝑜𝑟𝑜𝑠𝑎, 𝑛𝑎𝑟𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑢𝑛𝑎 𝑝𝑜𝑣𝑒𝑟𝑎 𝑣𝑖𝑡𝑡𝑖𝑚𝑎 𝑑𝑖 𝑢𝑛 𝑝𝑟𝑜𝑐𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑖𝑛𝑔𝑖𝑢𝑠𝑡𝑜, 𝑐𝑜𝑙𝑝𝑒𝑣𝑜𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑛𝑢𝑙𝑙𝑎.𝑀𝑎𝑟𝑐𝑜 𝑉𝑎𝑛𝑛𝑖𝑛𝑖 𝑓𝑢 𝑣𝑖𝑡𝑡𝑖𝑚𝑎 𝑑𝑖 𝑢𝑛  𝑐𝑜𝑙𝑝𝑜 𝑑'𝑎𝑟𝑚𝑎 𝑑𝑎 𝑓𝑢𝑜𝑐𝑜 𝑑𝑖 𝑝𝑜𝑡𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑣𝑎𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑒̀ 𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑡𝑜 𝑛𝑒𝑙 𝑏𝑟𝑎𝑐𝑐𝑖𝑜, ℎ𝑎 𝑏𝑢𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑖 𝑝𝑜𝑙𝑚𝑜𝑛𝑖, ℎ𝑎 𝑏𝑢𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑖𝑙 𝑐𝑢𝑜𝑟𝑒, ℎ𝑎 𝑓𝑟𝑎𝑛𝑡𝑢𝑚𝑎𝑡𝑜 𝑢𝑛𝑎 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜𝑙𝑎 𝑒 𝑙𝑎 𝑝𝑎𝑙𝑙𝑜𝑡𝑡𝑜𝑙𝑎 𝑛𝑜𝑛 𝑒̀ 𝑓𝑢𝑜𝑟𝑖𝑢𝑠𝑐𝑖𝑡𝑎 𝑠𝑜𝑙𝑜 𝑝𝑒𝑟𝑐ℎ𝑒́ 𝑡𝑟𝑎𝑡𝑡𝑒𝑛𝑢𝑡𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙'𝑒𝑝𝑖𝑑𝑒𝑟𝑚𝑖𝑑𝑒. 𝑀𝑎𝑟𝑐𝑜 ℎ𝑎 𝑒𝑚𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑢𝑟𝑙𝑎 𝑑𝑖𝑠𝑢𝑚𝑎𝑛𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑐𝑖𝑟𝑐𝑎 𝑢𝑛'𝑜𝑟𝑎. 𝐸𝑏𝑏𝑒𝑛𝑒, 𝑎𝑛𝑐𝑜𝑟𝑎 𝑑𝑜𝑏𝑏𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑠𝑒𝑛𝑡𝑖𝑟 𝑑𝑖𝑟𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑙𝑎 𝑓𝑖𝑑𝑎𝑛𝑧𝑎𝑡𝑎 𝑀𝑎𝑟𝑡𝑖𝑛𝑎 𝐶𝑖𝑜𝑛𝑡𝑜𝑙𝑖, 𝑝𝑟𝑒𝑠𝑒𝑛𝑡𝑒, 𝑎𝑙𝑙𝑜𝑟𝑎 𝑠𝑡𝑢𝑑𝑒𝑛𝑡𝑒𝑠𝑠𝑎 𝑖𝑛 𝑠𝑐𝑖𝑒𝑛𝑧𝑒 𝑖𝑛𝑓𝑒𝑟𝑚𝑖𝑒𝑟𝑖𝑠𝑡𝑖𝑐ℎ𝑒, 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑖 𝑒𝑟𝑎 𝑎𝑐𝑐𝑜𝑟𝑡𝑎 𝑑𝑖 𝑛𝑢𝑙𝑙𝑎. 𝑆𝑒𝑚𝑝𝑙𝑖𝑐𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑖𝑛𝑑𝑒𝑐𝑜𝑟𝑜𝑠𝑜.                                   𝐺𝑟𝑎𝑧𝑖𝑒”.



Ecco: facciamo tesoro di queste parole e teniamo alta la memoria su questa vicenda. Quella notte del 2015, a Ladispoli, Marco fu inghiottito dal Male più totale. Un Male che non potrà mai - mai - essere perdonato  o  se  lo sarà  sarà solo in punto di morte  .Spero di  essere   stato chiaro   su quale  sia  il mio pensiero su   tale vicenda   e    che non sempre   raccontare  una    fatto o la  vicenda  di una persona    da un diverso punto di  vista   significhi necessariamente     elogiarla   o assolverla 


Kebab in salsa torinese: ecco i magnifici 7 dove mangiarlo

da https://www.repubblica.it/il-gusto/  24\5\2021

 In Europa da 50 anni, il piatto arabo secondo la leggenda è nato tra i soldati persiani. In Grecia si chiama Gyros e si consuma dall'VIII secolo avanti Cristo. Nella città sabauda ha trovato casa mescolandosi a bagna cauda e salse locali

                                                    di Federica Giuliani

Un piatto di kebab da Demir 


Sembra facile dire Kebab, ma dietro una semplice parola araba si nasconde un mondo di tradizione e cultura spesso ignorato.  Il kebab è arrivato in Europa circa cinquant’anni fa e, nonostante le tante campagne denigratorie e fake news, resta un piatto apprezzato da tanti. Questo gustoso piatto ha conquistato anche Torino dove è possibile mangiarlo anche intrecciato alle specialità enogastronomiche locali, con risultati di interessante qualità: carne di fassone, bagna cauda, peperoni e altre prelibatezze piemontesi si mescolano così ai sapori mediorientali.
Ma qual è la sua storia?
La leggenda racconta che i soldati persiani, nel medioevo, cuocessero piccoli pezzi di carne infilzati sulle spade. Da questa abitudine nacque lo Shish Kebab: spiedini  spesso serviti con riso o pane. Tuttavia non si trattava di un piatto riservato ai guerrieri, ma adatto a chiunque facesse una vita nomade e avesse modo di cucinare su grandi fuochi piccole porzioni di carne.
Il termine kebab (kebap in turco) indica i piatti che, in un modo o nell’altro, contengono carne. Le preparazioni, sempre accompagnate da verdura cruda o cotta, differiscono molto tra loro, anche se in Italia si trova quasi esclusivamente il classico Döner: lo spiedo verticale.
In Turchia, ad esempio, esiste il Tandir kebab (carne di agnello cotta nel forno di terracotta) o il Arap kebab? (carne non macinata ma tritata al coltello stufata con cipolle e pomodori), ma anche l'Adana (carne macinata e speziata avvolta intorno a spiedi a forma di spada) e l'Iskender kebab (carne arrosto del Döner kebab servita su un letto di pane soffice simile alla nostra focaccia, salsa di pomodoro e abbondante yogurt).

Adana Kebab 

In generale, un buon kebab deve risultare saporito e sostanzioso ma senza essere di difficile digestione e la scelta delle carni da utilizzare è fondamentale. Il kebab, però, non è una prerogativa turca. In Grecia, dove si chiama più comunemente Gyros, si consuma dall'VIII secolo a.C. e se ne parlava già negli scritti di Omero e nelle opere di AristofaneSenofonte Aristotele. La ricetta egiziana è più speziata - profuma di cannella e noce moscata - ma in India le spezie possono arrivare fino a 160, tra cui garam masala, zenzero, cardamomo, chiodi di garofano e menta.

Ecco sette posti dove degustarlo a Torino. 

Kirkuk Kaffè

Situato in Via Carlo Alberto, 16b/18, porta il nome della città irachena multietnica a 100 km da Erbil dalla storia complicata e attualmente abitata da Kurdi, Arabi, Turcomanni e Armeni. Questa zona, così come tutto il Kurdistan, ha una cucina che affonda le radici nel nomadismo dei pastori, quindi buona parte delle pietanze prevede la presenza di carne, solitamente di pecora o montone, ma non mancano le verdure e il riso. Da assaggiare qui è l'Iskender Kebab: piatto inventato nel 1867 nella città di Bursa, in Turchia, che deve il nome al suo inventore Mehmetog?lu I?skender Efendi; da allora l'Iskender, traduzione letterale di Alessandro, è famoso non solo in Turchia, ma in tutto il mondo.

Un panino al Kirkuk Kaffè 

Sindbad Kebab

In Via Milano 10 si trova questo locale semplice ma spesso affollato dove mangiare, oltre a tante altre specialità arabe, un buon Döner Kebab servito con pane preparato giornalmente in loco. Naturalmente non manca la versione nel piatto accompagnata da riso e verdure.

Da Demir

Un classico del kebap è in Via Frejus 4a, a pochi metri dallo storico chiosco di Piazza Adriano. Demir, turco, offre un ottimo prodotto realizzato quotidianamente con carne di Fassone piemontese . Il prodotto è leggero e gustoso, servito nel classico panino o nel piatto. Oltre al Döner, da assaggiare l'Iskender anche se l'abbondanza di burro non lo rende un piatto digeribile nell'immediato.

Da Demir: kebab alla turca, anche con carne di fassone 

Kebaguette

Un mix di cucina francese e marocchina per questo locale che propone un fusion “Kebab Baguette”, servito nel tipico pane di forma allungata ma con i classici ingredienti che rendono questo tipo di panino riconoscibile. Inoltre, è anche possibile acquistare pane, panini e baguette fresche di giornate. Interessante anche lo Ftor domenicale, il brunch in versione marocchina. Si trova in Corso Belgio 43d e convincerà anche il più scettico.

Greek Food Lab

Il locale di via Berthollet, 6 è perfetto per chi voglia sentirsi un po' in vacanza. L'arredamento tipico greco e i profumi della cucina tradizionale lo rendono perfetto per una pausa in una giornata di sole. Qui il Kebab è servito in versione Shish, spiedino. Profumato di origano e limone è una garanzia di gusto.

Un piatto tipico del Greek Food Lab 

Da Fausi il tunisino

Fausi, tunisino, oltre a produrre da sé lo spiedo verticale con tacchino e vitello, inframezzati da grasso di agnello per rendere il tutto particolarmente morbido, ha pensato a un modo creativo di servirlo grazie all'aggiunta di salse dai sapori noti ai piemontesi: pesto, peperoni e bagna cauda, ma anche harissa piccante home made. Inoltre, il negozio non ha un orario di chiusura fisso: si abbassa la saracinesca quando lo spiedo è terminato, in modo da prepararlo fresco ogni giorno. Si trova in Corso Emilia 9.

Fausi, il re del kebab in salsa piemontese 

Horas Kebab

Un’istituzione (Via Berthollet, 24 e Corso Vittorio Emanuele II, 29) che compare anche nella canzone "San Salvario" dei The Zen Circus. Nel ricco menù si possono scegliere diversi piatti della tradizione araba ma il Kebab è il piatto forte. La carne è saporita e ben cotta, le porzioni sono abbondanti, il pane soffice e fragrante. Il personale è cordiale e disponibile.

dove vanno a finire

Potrebbe essere un'immagine in bianco e nero raffigurante il seguente testo "Dove vanno a finire le parole non dette? Le persone perse? I desideri inespressi? I sogni infranti? I cuori spezzati? Ci vorrei andare.... dev'essere un posto bellissimo."

23.5.21

Il naturalista che salva l'ululone appenninico: "Sono così pochi che li riconosco tutti"

CASTEL DI TORA (Rieti) 
 I piedi nella pozza (immersi dopo essersi accertato che non avrebbe calpestato nulla di vivo), Andrea Pieroni draga il fondo fangoso con il retino e con le mani. Le sue dita guizzano fuori dall'acqua e si intravvede un rospetto dal ventre giallo acceso, con macchioline nere: sta immobile, convinto che il suo predatore sarà messo in guardia da quella pancia dal colore così brillante, che indica tossicità. Il viso del responsabile del
servizio naturalistico della Riserva Monti Navegna e Cervia si illumina: "Ma sei tu! Non ti vedevo da un anno, pensavo fossi morto!". Uno degli esemplari più vecchi tra gli ululoni appenninici (Bombina pachypus), che dal 2006 Pieroni monitora e cataloga con una passione che va ben oltre i suoi compiti, viene controllato meticolosamente. "È un po' magro - osserva il naturalista - probabilmente ha appena ricominciato a muoversi dopo la fase di ibernazione, quando se ne stanno sotto il fango, ma sembra in buona salute. Lui ha circa 12 anni, ma possono arrivare anche a 16". Le macchioline nere sulla pancia dell'anfibio vengono confrontate con quelle di foto precedenti per una verifica ulteriore, poi viene messo in un barattolo, fotografato di nuovo e misurato. I dati, compresa la temperatura dell'acqua nella pozza in cui è stato trovato, sono annotati insieme a quelli degli altri esemplari che Pieroni pesca e poi rilascia. "Non è un bene che io li riconosca anche senza guardare le cartelle per il confronto - si rabbuia - vuol dire che sono pochi, sempre gli stessi".
 L'animaletto che l'Italia rischia di perdere. Gli ululoni sono pochi non soltanto qui, in questo angolo di paradiso dell'Appennino laziale, ma in tutta Italia. Il piccolo rospo (non supera i 5 cm) esclusivo della penisola italiana è l'emblema della nostra perdita di biodiversità e della minaccia che incombe sugli anfibi, che sono in tutto il mondo tra le specie più a rischio. Per restare all'Europa, il 59% di anfibi è in diminuzione e per il 23% la situazione è talmente grave da doverli annoverare nella Lista Rossa Europea. L'ululone appenninico rientra appunto in questo triste 23%: "Ha subìto negli ultimi anni un rapido declino tuttora in corso - spiega Pieroni - a causa della trasformazione del suo habitat. Vive e si riproduce in ambienti montani
o collinari e la sua sopravvivenza è strettamente legata alla presenza di pozze d'acqua anche temporanee, o di piccoli bacini artificiali come vecchi lavatoi in pietra usati in pastorizia. La distruzione degli ambienti adatti alla riproduzione, l'abbandono delle tradizioni agricole di un tempo e l'eccessivo sfruttamento dell'acqua minacciano l'ululone. In più, il clima sempre più caldo fa evaporare le pozze rapidamente e la cattura per il commercio illecito dei collezionisti, soprattutto verso la Germania, non si ferma".

Specie endemica della penisola (vive dalla Liguria alla Calabria) il piccolo rospo è ora a rischio di estinzione. Un progetto della Riserva Monti Navegna e Cervia, Università Roma Tre e Fondazione Bioparco di Roma alleva le uova in cattività e poi libera gli ululoni di 1 anno nelle pozze controllate dalla Riserva. Il naturalista Andrea Pieroni: "Distruzione del suo habitat e cambio climatico minacciano la sua sopravvivenza"

La sopravvivenza appesa a un filo (d'erba). Pieroni continua la sua osservazione delle pozze, che l'ufficio tecnico della Riserva Monti Navegna e Cervia, dove restano circa un centinaio di ululoni, ha recintato per evitare che cinghiali e altri animali entrino nell'acqua bassa. Con pazienza certosina osserva i germogli dei giunchi e delle erbe acquatiche alle quali sono attaccate le uova di ululone e le conta. "Rispetto ad altri anfibi l'ululone depone poche uova - dice - poche si schiudono e la mortalità dei girini e dei metamorfosati è altissima, circa il 92%". Con un altro filo d'erba recupera un grappoletto gelatinoso dal fondo e lo posa su uno stelo: "Perché le uova si schiudano devono essere a mezz'acqua, non posate sul fango. Provo a rimetterle qui, ma chissà...". Il suo non è fatalismo, è la praticità che, dopo anni di monitoraggio e tentativi di salvaguardare i nuovi nati, ha portato a cambiare strategia. Dal 2012, infatti, un progetto tra la Riserva, l'Università di Roma Tre e il Bioparco di Roma per aumentare la popolazione abbina alle attività sul campo quelle di laboratorio: dalle pozze si prelevano le uova, che vengono allevate nei laboratori del Bioparco, poi gli ululoni metamorfosati (cioè non più girini né adulti, a un anno di vita) sono rilasciati nelle pozze e monitorati.Uova al Bioparco, adolescenza nella riserva. "Il progetto sta dando risultati - dice il naturalista mentre controlla palmo a palmo anche l'abbeveratoio, che si trova un po' più a monte - ma mi preoccupa il cambiamento del clima: l'acqua è molto diminuita e non basta che, come abbiamo fatto, in agosto si sia arrivati a rifornire le pozze". Pieroni si blocca di colpo: "Ecco, hai sentito il verso?". Naturalmente soltanto lui ha l'orecchio allenato per percepire in mezzo al cinguettio degli uccelli un "uh uh", assai forte, considerato che è prodotto da un animaletto di pochi centimetri, e tanto particolare da aver dato il nome all'anfibio. È un buon segnale, vuol dire che i maschi stanno lanciando richiami alle femmine, che però oggi non si fanno trovare: alla fine si riesce a fotografarne soltanto due.
Il naturalista si infila in un pozzetto lungo strada, ammira una biscetta d'acqua e dopo aver passato palmo a palmo il tombino emerge con un altro ululone in mano. "Meno male che l'ho trovato - dice mettendolo nel barattolo che gli si porge - questo sarebbe finito dall'altro lato della strada e chissà se sarebbe riuscito a ritrovare la via delle pozze". Nel suo sollievo è palese la preoccupazione di chi sa che con una popolazione così ridotta perdere anche un solo esemplare è una tragedia. "Oggi ne abbiamo trovati pochi, ma è ancora presto, date le temperature - conclude - e poi ci vorrebbero più fondi e più personale. Se vengo da solo riesco a catalogarne meno, mi è prezioso qualcuno che prenda nota mentre li osservo".

Però la Riserva dei Monti Navegna e Cervia crede nel progetto ed è già molto: "Dopo anni di collaborazione con il Dipartimento di Scienze dell’Università Roma Tre e la Fondazione Bioparco di Roma,- conferma il presidente della Riserva, Giuseppe Ricci  - ora c'è l’accordo con l’Università Agraria di Vallecupola, che ci ha concesso il terreno per ampliare un’area in cui intendiamo realizzare piccoli siti umidi adatti alla vita dell’ululone appenninico; in questo modo potremo proseguire con il ripopolamento di questa specie e allo stesso tempo dare una possibilità di colonizzazione di nuovi habitat alle popolazioni esistenti". E magari quando Andrea Pieroni ne tirerà qualcuno fuori dal fango potrà gioire di non riconoscerlo a prima vista. 

 



Mia Canestrini: "Noi, donne e amiche dei lupi"La zoologa e ricercatrice, da oltre 10 anni studia gli esemplari italiani. "Non dobbiamo avere paura ma imparare a conviverci. È normale che si avvicinino ai centri abitati. Ma proteggiamo i nostri animali domestici dai pericoli

leggendo       questo articolo di     di Giacomo Talignani su  repubblica  22\5\2021 mi  chiedo      se  è possibile  farlo     con animali   selvatici     come  i lupi , perchè non  le  donne    non lo fanno anche  siu certi uomini  ? 

Più che un appello un “ululato”, un richiamo sociale affinché la nostra società - proprio ora che vive un momento critico per la pandemia -  faccia quel passo in più che servirebbe davvero a  contribuire alla salvaguardia della biodiversità, della conservazione della natura. Lo si potrebbe definire così, il desiderio della “ragazza dei lupi”. Mia Canestrini [  foto  sinistra   ] , zoologa, ricercatrice che da oltre dieci anni studia i lupi italiani, protagonista di diverse trasmissioni tv e radio, autrice del  libro “La ragazza dei lupi” è oggi impegnata nel primo monitoraggio nazionale di questi splendidi animali, è convinta che per riuscire a proteggere la biodiversità che stiamo perdendo serva coinvolgere sempre più persone, soprattutto le nuove generazioni, e farlo attraverso «tutti gli strumenti, che prima non c’erano, che oggi la scienza ha a disposizione: come i social, per divulgare e parlare ai giovani», racconta a Green&Blue. E, spiega la “lupologa”, "quando ho iniziato io c’erano pochissime donne ad interessarsi di lupi, mentre ora sempre più ragazze dimostrano una nuova attenzione per la natura e la convivenza con questi animali. Spero che l’Italia diventi più attrattiva, per chi vuol fare scienza, soprattutto per le donne".
 

Quando sente la parola biodiversità a cosa pensa?

"Alla Terra in difficoltà. A quanto diverse specie stanno soffrendo tra crisi climatica, inquinamento, perdita di habitat, urbanizzazione. Io da più di dieci anni mi occupo soprattutto di lupi, la mia specialità, e nel loro caso la perdita di biodiversità è soprattutto negli habitat in cui vivono. Se parliamo solo di lupi, qui ci sarebbero due biodiversità da raccontare".

Quali?

"Il lupo è un animale particolare, perché se è vero che ha rischiato l’estinzione in passato - e negli anni Settanta in Italia si contavano appena tra i 100 e i 300 lupi - in realtà questo era dovuto soprattutto alla caccia.  Ma grazie alle leggi per la loro protezione si sono adattati e ripopolati e senza caccia direi che non corrono grandi rischi. È invece diverso se per esempio parliamo di biodiversità genetica, in questo caso un elemento critico per la conservazione del lupo è proprio la scoperta continua di esemplari che hanno nel loro albero genealogico un antenato cane".
 
Ci sono molti ibridi?

"Diciamo che stiamo riscontrando sempre più incroci fra lupi e cani, confermati localmente da analisi genetiche di lupi che  hanno un contenuto canino, probabilmente di un trisavolo o chissà quale cane del passato. Dal punto di vista conservazionistico questa può essere una minaccia e come influiscono queste varianti genetiche di origine domestica in popolazioni selvagge a livello di impatto è difficile da ipotizzare. Ma, per esempio, abbiamo riscontrato alcune caratteristiche morfologiche selezionate dalla natura, come molti lupi che oggi hanno un mantello color crema, tigrati, nero focato oppure con strane pezzature che non sono tipiche del lupo selvatico. E se le colorazioni in natura hanno una fuzione, per esempio per caccia e comunicazione, queste alternative derivate dal cane stanno deviando il percorso genetico del lupo e aprendo a nuove strade che non conosciamo".

La via selvatica - Mia Canestrini: "Il ritorno dei lupi"


 
Lei insegna a proteggerli, a come conviverci, anche perché - come ha ripetuto più volte - cercava i lupi e ha trovato se stessa.

"È vero, e ora provo a fornire e divulgare le giuste attenzioni per questa convivenza uomo lupo. Ricordo sempre che è normale che i lupi si avvicinino ai centri abitati e non bisogna avere paura, è il meccanismo con cui i primi lupi centinaia di migliaia di anni fa si sono auto-addomesticati e poi attraverso l’intervento diretto uomo si è arrivati al cane. Il lupo per opportunismo si avvicina dove c’è cibo: non c’è bisogno di preoccuparsi, ma se si abita in zone di lupi è bene adottare comportamenti compatibili con la convivenza col predatore. Per esempio non lasciare animali domestici incustoditi all’esterno nelle ore notturne, così come evitare di lasciare umido o mangimi all’aperto perchè potrebbero attirarli".

Prima del successo com’è stato essere “la ragazza dei lupi” in un mondo di maschi al vertice?

"A volte mi sono sentita abbastanza sola, ma non ero l’unica donna, nonostante il mio sia un ambiente che tende ad essere più maschile che  femminile. Ma le cose lentamente cambiano. Per esempio il monitoraggio nazionale lupo, che stiamo facendo per la prima volta in Italia, ha quattro coordinatrici e sono tutte donne. Una prima volta anche per un team lupo tutto coordinato da figure femminili. Direi che se prima quello del lupo era un mondo di baronetti, adesso è di lupesse donne. Però credo che finché in Italia si sente l’esigenza di istituire eventi, manifestazioni o associazioni in cui viene valorizzato il ruolo delle donne nella scienza significa che la parità ancora non c’è. Bisogna ancora lavorare molto per la parità di genere".
 

Cosa consiglia ai giovani che vogliono diventare zoologi?

"Devo dire, da quando ho pubblicato il libro e fatto interventi in televisione, che moltissimi giovani soprattutto in età da liceo mi chiedono cosa ho studiato, oppure mi contattano sui social network ragazze dell'università che non hanno le idee molto chiare, chiedendomi come fare la mia professione, spesso pensando che questo sia un ambiente ostile, difficile. Io consiglio di non mollare, magari di andare all'estero a fare un po' di esperienza. Dopo quindici anni di militanza nella conservazione in Italia se tornassi indietro io per prima andrei all'estero, magari in Inghilterra. Oppure oltreoceano, in Usa o Canada, dove è molto più valorizzato questo lavoro rispetto all'Italia o al sud Europa".

Intende in termini economici?

"Fare scienza o ricerca in Italia spesso significa avere un ritorno che ti serve giusto per sopravvivere a meno che, come sto provando a fare, non si stratifica con attività di divulgazione. Perché altrimenti il trattamento economico è davvero pessimo rispetto per esempio a nord Europa o oltreoceano, dove si hanno più opportunità di carriera. Quello che qui si ignora è che se le persone che si occupano di scienza sono gratificate anche dal punto di vista economico o di carriera, c'è un entusiasmo diverso. Invece sempre più spesso qui mi capita di vedere molti colleghi mollare, anche dopo 20 anni, e cambiare lavoro perché con i mille euro al mese di un progetto di conservazione non riesci anche a portare avanti progetti di vita".

Se non avesse studiato i lupi, quali altri animali avrebbe voluto proteggere? E quali sono i suoi progetti futuri?
 

"Devo dire che ho sempre avuto un occhio verso i primati. Da giovane mi vedevo partire per il Tropico del Capricorno a seguire le orme di Jane Goodall, ma mi sono ritrovata a seguire quelle dei lupi. E sono felice così".

Mia Canestrini: "Noi, donne e amiche dei lupi"

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