4.8.14

Strage Italicus, 40 anni dopo( 4\8\1974- 4\08\2014 ) . Storia del ferroviere morto per salvare dei passeggeri



canzoni suggerite 



(....)   Agosto. Si muore di caldo 
e di sudore. 
Si muore anche di guerra 
non certo d'amore, 
si muore di bombe, si muore di stragi 
più o meno di Stato, 
si muore, si crolla, si esplode, 
si piange, si urla. 
Un treno è saltato. 

                  da  Agosto di Caludio Lolli 


Spesso , vedere titolo , anche i grandi fatti nascondono al loro interno  dei piccoli  fatti  \  delle storie che   nel  riportare  i fatti  ne vanno perse \ dimenticate  o considerate minuterie  \  cose  di poco  conto     Ed è proprio questa una delle  storie    che riporto sotto dal fatto quotidiano del 4\8\2014 che riporto sotto che oggi intendo narrare per ricordare ( chi se ne frega se non l'ho vissuto direttamente , nacqui 2 anni dopo ) ma solo indirettamente nei ricordi dei mie vecchi , e di altre persone di quella generazione E' questa insieme a tanti misteri d'italia e depistaggi , segreti di stato   , ecc ( vedere  ill'url  di  wikipedia  ) che rendono possibile che condivida ciò << A causa del divieto di amministrare la giustizia vigente nel nostro Paese, l'articolo che segue parla di un fatto che non ha spiegazioni e/o colpevoli. Quindi ce li siamo inventati di sana pianta.
Può anche darsi che i fatti narrati non siano mai accaduti e che siamo tutti vittime di un'allucinazione collettiva. >> (  da , insieme  alla  foto  a  sinistra  http://nonciclopedia.wikia.com/ alla voce italicus vedere sopra url dell'articolo ) 
Ma a ora basta tediarvi ed eccovi la storia ( sopra trovate link se volete approfondire ) in questione  




Strage Italicus, 40 anni dopo. Storia del ferroviere morto per salvare passeggeri
Il 4 agosto del 1974 l'attentato terrroristico al treno Espresso in provincia di Bologna. Oggi un libro ricostruisce le storie di sopravvissuti e familiari alla ricerca della verità
di Antonella Beccaria | 4 agosto 2014



il treno italicus 




Chi se lo ricorda il nome di Silver Sirotti ? In pochi, probabilmente, e non era un eroe, almeno non nel senso che in genere si attribuisce a un termine del genere. Eppure Silver, 25 anni e da dieci mesi impiegato nelle Ferrovie dello Stato con varie mansioni, il 4 agosto 1974, all’1 e 47 minuti del mattino, era sul treno Italicus per un caso, perché da controllore – mansione che svolgeva in quel periodo – doveva sostituire un collega, in attesa di prendere servizio di lì a poco alla stazione di Faenza, dove si sarebbe occupato della biglietteria. Ma quel giorno, a quell’ora, una bomba devastò la quinta carrozza del convoglio ferroviario partito da Roma alla volta del Brennero. L’ordigno, a base di termite, miscela incendiaria che raggiunge il punto di fusione dell’acciaio, esplose dentro la galleria della Direttissima, nel comune di San Benedetto Val di Sambro, verso Bologna.
E oltre alle dodici vittime che costituiscono il bilancio ufficiale della strage dell’Italicus, altre ce ne sarebbero state se il macchinista non avesse fatto scivolare il treno fuori dal lunghissimo tunnel, oltre 18 chilometri. E se Silver, finito nella conta dei morti, non avesse rinunciato a mettersi in salvo. Invece tornò indietro, in mezzo alle fiamme, afferrando un estintore e tentando di portar fuori chi ancora poteva essere vivo. Per risalire sul treno il ragazzo aveva dovuto addirittura divincolarsi dal placcaggio di un passeggero incolume, che ne aveva intuito le intenzioni e aveva provato a strapparlo a morte sicura. A quel punto, liberatosi, Silver si lanciò verso la quinta carrozza e nessuno lo rivive più vivo.
Quarant’anni esatti dopo a raccontare questi fatti è il fratello del giovane ferroviere, Franco Sirotti, che oggi lavora alla stazione di Bologna. E con le sue parole si apre il libroItalicus – 1974, l’anno delle quattro stragi (Eir) scritto dal deputato e presidente dell’Associazione vittime del 2 agosto 1980Paolo Bolognesi e dal giornalista Roberto Scardova. Alla loro seconda prova letteraria in coppia – la prima, del 2012, si intitolava Stragi e mandanti –, stavolta non partono dalla bomba alla stazione di Bologna, ma tornano indietro di sei anni, a quel 1974 che fu un anno di svolta nel periodo della strategia della tensione. E nelle oltre 300 pagine del volume, di storie umane, se ne incontrano tante. Come quella dell’architetto fiorentino Luigi Cardarelli, che si impegnò per creare un’associazione vittime che “difendesse i diritti di chi era rimasto”. O, ancora, di Mauro Russo, che tornava a Bolzano da una gita a Firenze insieme alla famiglia.
Ma il libro Italicus è anche altro. È – come scandisce per l’appunto il sottotitolo – anche la storia di 4 stragi: le due riuscite di Brescia (28 agosto 1974) e del 4 agosto e le altrettante tentative, quella di Silvi Marina (Pescara) del 29 gennaio lungo la linea Adriatica su cui transitava il treno Milano-Bari e l’altra, del 21 aprile, a Vaiano (Prato), di nuovo lungo la linea Bologna-Firenze. “Nel 1974 ci fu chi credette che fosse giunta l’ora X”, scrivono gli autori. “Che fosse il momento di mettere definitivamente l’Italia in ginocchio. È questo ciò che si ripromettevano di ottenere i quattro eccidi programmati e progettati per quell’anno”. Ma poi, secondo la ricostruzione di Bolognesi e Scardova, il panorama internazionale mutò con la fine dell’asse statunitense Nixon-Kissinger e il tramonto delle dittature in Grecia e in Portogallo. E anche in Italia le carte si sparigliarono al punto che per “destabilizzare per stabilizzare”, secondo un vecchio slogan, occorreva inabissarsi e occupare dall’interno le istituzioni, non abbatterle con un colpo di mano.
Ecco così che entrò nel pieno la stagione d’oro della P2 di Licio Gelli e che dalle strategie militari si passò a quelle definite nel Piano di rinascita democratica, documento d’ordine tale per cui la società italiana andava trasformata tagliando le code estreme del Parlamento, soffocando l’attività sindacale, controllando la stampa e orientandosi verso una Repubblica che non fosse più parlamentare ma presidenziale. E mentre i giochi dei poteri infedeli alla Costituzione non si interrompevano, ecco che dal 1974 in avanti sulla scena sarebbero ricomparse organizzazioni eversive neofasciste disciolte poco prima, informatori dei servizi segreti depistanti, inchieste spostate e spezzate tra una procura e all’altra, comitati di industriali disposti a finanziare disegni autoritari. Un quadro complesso, questo, ricostruito attraverso le carte giudiziarie digitalizzate e più facilmente consultabili. E che, negli auspici degli autori, potrà essere arricchito dall’apertura di basi documentali mai consultate (non solo quelle coperte da classifica) e da riversare nell’Archivio di Stato.
Conclude in proposito Paolo Bolognesi in proposito: “Per rendere inaccessibile alla magistratura un documento non occorre un timbro che imprima il formale ‘segreto di Stato’. In questi decenni, per cambiare il corso dei processi per strage, è bastato omettere l’invio di una nota informativa, distruggere un atto, far sparire un fascicolo, non ‘ricordare’ nomi e circostanze, negare l’esistenza di fascicoli e interi archivi. Si è potuto così coprire mandanti e ispiratori politici, proteggere esecutori e lasciare sul tavolo della storia eccidi impuniti”. Con la direttiva firmata dal presidente del ConsiglioMatteo Renzi la primavera scorsa, si potrà andare a guardare anche un pezzo di questa storia attraverso documenti inediti, almeno quelli sopravvissuti. Ed entro l’autunno, probabilmente, avvalersi del reato di depistaggio, il cui testo è appena stato licenziato dalla Commissione giustizia per passare a breve al vaglio delle Camere.

Infatti
Unione sarda del 4\8\2014
Il 4 agosto del 1974 una bomba esplose sul treno espresso Roma-Monaco di Baviera. Morirono 12 persone.
"Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti". Sono le parole contenute in un volantino che rivendicava uno dei tanti attentati che hanno messo in ginocchio l'Italia degli anni 70 e 80. È da poco passata l'una del 4 agosto 1974, per la precisione sono passati esattamente 23 minuti e sulla vettura 5 dell'espresso Roma-Monaco di Baviera via Brennero viaggiano numerose persone. All'improvviso un boato squarcia la notte quanto il treno si trova vicino alla stazione di San Benedetto val di Sambro. Una bomba uccide 12 persone e ne ferisce altre 48. Dopo l'esplosione sulla vettura scoppia un terribile incendio che dura diverse ore. Una morte risucchiata in quel periodo in cui l'ideologia politica ammazzava, a destra e a sinistra. A morire, però, furono persone normali come spesso con accezione tendente al negativo si chiama "gente comune". Eppure era proprio quella gente comune ad assistere e molto spesso a subire un'onda violenta che da Piazza Fontana in poi ha dato vita a quelli che passano alla storia come gli anni di piombo. Tra le tante figure simbolo di quegli anni c'è Aldo Moro rapito e ucciso dalle Brigate rosse il 9 maggio del 1978 dopo 55 giorni di sone che meritano il ricordo perché in quegli anni era difficile anche essere "gente comune".
il treno italicus
prigionia. Ma Aldo Moro rientra anche nella storia della strage dell'Italicus perché sul quel treno ci sarebbe dovuto essere anche lui quella sera diretto a Bellamonte per raggiungere la famiglia. Quel treno Moro non lo prese perché fu raggiunto da alcuni funzionari del Ministero e venne fatto scendere all'ultimo momento per firmare alcuni documenti. Una fortunata casualità o uno dei tanti misteri che la storia italiana ha consegnato e conserva. I grandi gialli vanno risolti ma per raccontare una storia e ricordarne gli attori principali non si può rischiare di perdersi nel tentativo di svelare i misteri o, almeno in questo ricordo, andare a ripercorrere le tappe dei processi. Abbiamo i protagonisti quelli che, loro malgrado, lo sono diventati senza volerlo, senza chiedere medaglie da eroi. Sono Elena Donatini (58 anni), Nicola Buffi (51 anni), Herbert Kontriner (35 anni), Nunzio Russo (49 anni), Marco Russo (14 anni), Maria Santina Carraro in Russo (47 anni), Tsugufumi Fukuda (32 anni), Antonio Medaglia (70 anni), Elena Celli (67 anni), Raffaele Garosi (22 anni), Wilhelmus J. Hanema (20 anni) e Silver Sirotti (25 anni). I morti, chi rimase ferito, chi perse amici e parenti e le tante persone che andarono per dare una mano: queste sono le per


Matteo Sau

3.8.14

Una piccola storia per scandire la settimana e imparare a rimanere umili . Uno studente supera il maestro

da https://www.facebook.com/lagreca un ex  splinderiano  (  iscritto alla piattaforma   Splinder  ora  non più  attiva  )   riporto  Una storiella per imparare ad essere umili… Uno studente con più talento del professore -   (  See more at: http://www.lagreca.it/blog/2014/07/31/quando-lallievo-supera-il-maestro/   )



Un insegnante pranza in mensa quando uno studente si siede di fronte a lui.
L’insegnante con un sorriso, prende in giro lo studente: “Gli uccelli e maiali non pranzano insieme!” “Oh! Chiedo scusa, volo via.” rispose lo studente.
Sdegnato per essere stato trattato in quel modo, il professore decide di interrogarlo la settimana successiva, ma lo studente risponde perfettamente a tutte le domande.
                                             Professoressa stressata
Alla fine l’insegnante gli pone un piccolo problema: “Tu sei per strada e trovi due borse, una contenente banconote e l’altre intelligenza, quale delle due prendi?”
“La borsa piena di soldi», rispose lo studente.
“Se fossi stato in te, avrei scelto l’intelligenza!”
“La gente prende sempre ciò che non ha” rispose lo studente! Il professor inghiottì la rabbia, ma diede una nota allo studente: “STRONZO”.
Lo studente prende la sua nota, e va a sedersi, dopo pochi minuti torna indietro dall’insegnante.“Signore,” dice “ha firmato, ma si è dimenticato di mettermi la nota!”


                                             Versione originale in francese

Subject: Pour rire avant demain Une petite histoire pour rythmer la semaine et apprendre à rester humble Un élève plus doué que le maître

Un professeur déjeune à la cantine quand un étudiant vient s’asseoir en face de lui.
Le prof lui dit avec un sourire narquois, pour le taquiner :
«Les oiseaux et les cochons ne déjeunent pas ensemble !»
- «Oh ! s’cusez, alors je m’envole». lui répond l’étudiant.
Honteux de s’être fait avoir si bêtement, le professeur décide de le coller lors du contrôle de la
semaine suivante, mais l’étudiant répond parfaitement à toutes les questions.
Alors le prof lui pose un petit problème : “Tu es dans la rue et tu trouves deux sacs, l’un contient des billets de banque et l’autre de l’intelligence, lequel choisis-tu ?”
- ” Le sac rempli de billets” répond l’étudiant.
- “Moi, à ta place, j’aurais choisi l’intelligence ! “
- “Les gens prennent toujours ce qu’ils n’ont pas” lui répond l’étudiant !
Le professeur ravale sa rage, mais il prend la copie de l’étudiant et inscrit dans la marge: “CONNARD”.
L’étudiant reprend sa copie, va s’asseoir et au bout de quelques minutes revient.
“Monsieur” lui dit-il “vous avez signé mais vous avez oublié de me mettre une note ! “

Mamma perchè qui in Italia non si parla di SIDA(AIDS)? La solidarietà fuori dall’emergenza: 6 anni in Ciad come “immigrati al contrario” mettendo a disposizione la propria umanità e professionalità

Grazie  https://www.facebook.com/dario.cicchero per    la storia  \ intervista  a  Emanuela Sbriscia Fioretti e Paolo Simone sono due medici italiani che hanno passato 6 anni in Ciad,
 grazie ad un progetto di fraternità missionaria, e lo hanno fatto come “immigrati al contrario”, vivendo nella periferia della capitale come qualsiasi altro abitante di quella città. Paolo ha lavorato all’interno delle strutture del servizio sanitario del Ciad ed Emanuela ha contribuito alla nascita di un centro per la cura dell’AIDS che oggi continua la sua preziosa attività. Vivere e lavorare come “ciadiani” gli ha permesso di scoprire la vera anima di quel luogo, le esigenze e le peculiarità.

2.8.14

anche i bambini fanno oh e c'insegnano molte cose

 in sottofondo  Paola Turci - Bambini
Da  contro altare  a  questa news  dei giorni scorsi  



Australia, affittano mamma surrogata  ma abbandonano un gemellino: è down

Il piccolo abbanonato
Incredibile vicenda in Australia. La coppia ha portato a casa la piccola sana lasciando in Thailandia, alla mamma surrogato il piccolo malato. La donna thailandese aveva detto si alla coppia per risollevarsi economicamente. Con loro aveva pattuito un prezzo di 11.700 dollari ai quali furono aggiunti altri 1.673 quando seppero che la signora aspettava due gemelli.
LA STORIA - La scoperta già all'inizio della gravidanza. Al terzo mese è stato detto alla "mamma in che uno dei due gemellini che portava in grembo era malato. La donna decide comunque di non abortire, convinta della bontà dei genitori adottivi. I due però, quando i gemellini sono venuti alla luce, hanno abbandonato il piccolo perché down e affetto da una patologia congenita cardiaca).
Gammy, questo il nome, non può essere mantenuto dalla mamma naturale. Un medico dell'ospedale dove è nato e che ha seguito la vicenda ha quindi aperto una sottoscrizione online sul sito Gofoundme.
leggo  una bella  news    che  Su Twitter circola in modo insistente: è l'hashtag #JewsAndArabsRefuseToBeEnemies, un'iniziativa congiunta di israeliani e palestinesi per la pace in Medio Oriente. Le Foto che ritraggono coppie di giovani sposi, amici, figli di genitori di diversa provenienza e persino bambini



che dichiarano a gran voce di non considerare   solo ed  esclusivamente  l'altro come nemico. Fra  queste  foto   della galleria  di repubblica.it  ho  scelto  questa  di  due bambini  perchè rappresentata meglio  il  messaggio forte contro decenni di guerra irrisolta.
E  e sempre  dal  conflitto arabo  israeliano sulla mia bacheca  di facebook  ho trovato  questa


sono  d'accordo con Silvia Grandi  quando dice  : <<  E' davvero commovente vedere con quanto orgoglio questa ragazzina difenda il suo diritto allo studio e alla vita... quando tanti ragazzi italiani invece sembra vadano al patibolo quando vanno a scuola. In realta' spesso non ci rendiamo conto di essere molto fortunati ! >>



Un altra  storia  è  questa  
Unione sarda online  di Sabato 02 agosto 2014 16:35


A scuola prendeva buoni voti ma era stata bocciata: aveva fatto troppe assenze. Ma il Tar del Piemonte ha annullato la bocciatura.Ci è voluto l'intervento dei giudici del Tar del Piemonte per permettere a una studentessa di una quinta 
Esame di maturità
classe di un liceo linguistico di Torino di accedere all'esame di maturità. Se la ragazza non partecipava alle lezioni non era per pigrizia, ma per motivi familiari: entrambi i genitori, infatti, sono malati. La partita giudiziaria si è risolta nel giro di poche settimane.


Il Consiglio di classe, visto che la studentessa aveva superato il monte ore complessivo di assenze, non aveva nemmeno proceduto allo scrutinio dei suoi voti. La ragazza non si è data per vinta, si è rivolta ai giudici e, una decina di giorni dopo, la presidenza della seconda sezione del Tar piemontese ne ordinava l'ammissione all'esame di Stato (che ha superato senza grosse difficoltà). La scuola era a conoscenza della situazione della studentessa e, secondo i giudici, si è macchiata di una "grave" violazione del "principio di proporzione dell'azione amministrativa".



non sempre il fango è negativo

1.8.14

Un gesto sbagliato a scuola, ma dopo anni rimedia e fa commuovere




Letter
Non è mai troppo tardi per rimediare ai propri errori e lo dimostra la storia di un uomo tormentato dal senso di colpa per aver commesso un gesto sbagliato quando aveva solo 12 anni a scuola. James Berardi – preside della Grizzly Hill Elementary School – si è visto recapitare una lettera scritta a mano, firmata e accompagnata da 300 dollari. Nella lettera, il mittente spiegava che 17 anni fa, quando frequentava la scuola ed aveva solo 12 anni, aveva rubato dei soldi che dovevano essere destinati ad una gita scolastica o alla festa di fine anno.Ho fatto irruzione a scuola”, ha scritto l’autore della lettera, di cui non è stato reso noto il nome, “poco prima della fine dell’anno scolastico. Ho rubato il denaro di alcune classi (che lo avevano messo da parte per una gita o per la festa di fine anno) e, dall’ufficio del preside, ho rubato alcuni oggetti che erano stati confiscati. Ho rotto qualche serratura e i telai di alcune finestre. Non so esattamente quant’è costato riparare i danni, né quanti soldi avevo rubato. Secondo i miei calcoli, dovrebbero essere 300 dollari. Ho allegato alla lettera questa cifra per rimediare a ciò che ho fatto, per cercare di risarcire i danni e riparare ai miei errori”. La lettera, infine, si chiudeva con questa frase: “Se, a scuola, lavora ancora qualcuno che si ricorda di questo episodio e ritiene che 300 dollari non siano sufficienti a coprire i danni, non esitate a contattarmi”.Il preside Berardi ha subito contattato l’ex allievo per ringraziarlo del bellissimo gesto e per comunicargli che i soldi inviati erano più che sufficienti. Ed ha commentato, visibilmente commosso: “Mi auguro che questo gesto gli abbia dato la serenità che stava cercando. Forse l’ha fatto per liberarsi da un grosso peso o dal senso di colpa”.Secondo gli insegnanti della Grizzly Hill School la lettera vale molto più del denaro che conteneva, perché ha dato agli studenti un’importante lezione di vita. “Questa persona ha fatto una cosa sbagliata”, ha sottolineato Willow De Franco, “E forse si è sentita così male e così in colpa per aver fatto scelte sbagliate, che alla fine ha deciso di rimediare al suo errore”.

PRECARIA ''ECCELLENTE'': L'UNESCO LA PREMIA, LA REGIONE LA IGNORA .IL CASO DI VALERIA ALZARI



La storia assurda ma purtoppo vera di una giovane ricercatrice sassarese. I suoi studi bocciati dalla regione perchè giudicati ''scientificamente irrilevanti'', sono stati premiati dall'Unesco, ma nonostante questo la sua, come quella di tanti altri, è una vita da precaria.

DA  VIDEOLINA DEL 01/08/2014 h 14:00

31.7.14

Contro le persecuzioni dei cristiani in Iraq il coraggio di una giovane giornalista che appare in TV con un crocifisso al collo e



Questa storia è la risposta a tutti i malpancisti che si bevono la propaganda dei gruppi exenofobi e dei falsi catttolici , dei celerico fascisti e cattolici reazionari che 





“Siamo tutti cristiani”, questo è il titolo di una campagna lanciata dalla giornalista irachena Dalia Al Aqidi, di religione islamica, per esprimere la propria contrarietà alla tragedia vissuta dai cristiani di Mosul.
Infatti, per la prima volta da quasi 2000 anni, non ci sono quasi più cristiani nell'antica città di Mosul,
da  http://www.milanopost.info/
nel nord dell'Iraq, uno dei primi luoghi di insediamento del cristianesimo, che ospitava una comunità che riuniva dai 5000 ai 25000 cristiani.
Intervistata dal giornale libanese Annahar la giornalista aveva spiegato così la sua decisione di indossare la croce durante il telegiornale: “Il pluralismo religioso è ciò che ha reso l’Iraq la culla della civiltà, delle scienze e della cultura”.
Al Aqidi si chiede: “Che benefici potrebbero trarne la storia e la civiltà dal tornare indietro all’oscurantismo? I cristiani sono il popolo di questa terra, e non possiamo andare avanti senza di loro o in assenza di qualsiasi componente dell'Iraq”.
Poi ha rivolto le sue parole a “chi accusa gli altri d’infedeltà”: “siete voi i non credenti, gli apostati, i politeisti, voi tagliatori di teste. Io sono un semplice essere umano che difende i diritti dei figli del proprio Paese a prescindere dalla loro identità”.
“La nostra è una religione della tolleranza – ha concluso la giornalista musulmana –, ed è il fascismo islamista politico ad aver indotto i musulmani moderati come me a vergognarsi della loro religione. La 
paura ha portato tanti al silenzio, ma io non starò zitta di fronte a questa ingiustizia”.
Incurante delle possibili conseguenze del suo gesto clamoroso, la giornalista Dalia AlAqidi (nella foto a sinistra), dipendente dell’emittente irachena Sumaria, si è messa una croce al collo e si è scagliata dalla tv contro il «fascismo politico islamista», unendosi alla schiera di quei musulmani iracheni che a proprio rischio e pericolo hanno deciso di difendere i cristiani dalla persecuzione dello Stato islamico. Perché «colui che tace sulla giustizia è un diavolo muto», ha detto la donna.

«UNA PERDITA PER TUTTI». AlAqidi ha deciso di presentarsi in tv con la croce al collo non solo perché dalla città di Mosul, da giugno nelle mani dei terroristi islamici guidati dal “califfo” Al Baghdadi, èscomparsa una comunità cristiana che contava migliaia di fedeli, ma anche per «il bene dell’intero paese». Interpellata dal quotidiano libanese Al Nahar, la giornalista ha invitato i suoi connazionali e l’Occidente a chiedersi: «Quali benefici potrebbero trarre la storia e la civiltà da un ritorno al passato oscurantista?». Secondo la donna, infatti, l’esodo dei cristiani è grave per tutti. «I cristiani fanno parte della popolazione indigena di questa terra e non possiamo andare avanti senza di loro, né senza qualche altra componente dell’Iraq».
CHI SONO GLI INFEDELI. Agli estremisti che le hanno affibbiato il marchio di “infedele”, AlAqidi replica che la croce al collo se l’è messa proprio per difendere «il pluralismo religioso che ha fatto dell’Iraq la culla della civiltà». La giornalista è fermamente convinta che l’islam sia «una religione della tolleranza», perciò «i non credenti siete voi». «Siete voi gli apostati, i proseliti, voi i tagliatori di teste», ha detto, mentre «io sono un semplice essere umano che difende i diritti dei figli del proprio paese, qualunque sia la loro identità». Secondo AlAqidi il «fascismo politico islamista» ha «indotto i musulmani moderati come me a vergognarsi della loro religione». Ma se è vero che «la paura ha ridotto molti al silenzio», ha aggiunto coraggiosamente, «io non starò zitta davanti a questa ingiustizia». La donna ha poi invitando tutti a seguire la sua iniziativa, che «non è solo religiosa, ma rivolta a tutti, contro chiunque tenti di cancellare la civiltà».
LA “N” DEI CRISTIANI. Le parole della giornalista irachena forti hanno immediatamente colpito la collega Dima Sadeq (foto a destra), della rete libanese Lbci, la quale si è presentata in tv con stampata sulla t-shirt la lettera araba “ن” (corrispondente alla “N” iniziale della parola “nazareni”) con cui sono state marchiate le case dei cristiani nella città di Mosul. Prima di cominciare ad annunciare le notizie del telegiornale, Sadeq ha detto: «Da Mosul a Beirut, siamo tutti cristiani».
IL LOGO DELLA TV. Successivamente il network libanese per assecondare l’iniziativa di AlAqidi ha trasformato il suo logo in Lbن e lanciato l’hashtag #Lbن per dare il via a una campagna di sensibilizzazione che ha convinto migliaia di utenti di Twitter e Facebook a sostituire la propria immagine con il “marchio” dei cristiani iracheni. «Il posto più buio dell’inferno è riservato a coloro che si mantengono neutrali in tempi di crisi morale», ha detto Dalia AlAqidi parafrasando Dante Alighieri. «Non permetteremo – le ha fatto eco Sadeq – che i muri diventino il luogo su cui disegnare lettere di esilio».


BIGLIETTI PER VEDERE DAL VIVO IL PARTO DELLA EX STAR DEL GRANDE FRATELLO. 12MILA EURO: TUTTI VENDUTI [ pornografia dei sentimenti II ]

musica  consigliata  \  colonna  sonora
mi vendo  - Renato zero

N.b 
Poichè   in alcune email private   sono stato accusato di nerdismo  , di maleducazione ,  di amncanza  di rispetto , di  mancanza  di tatto  perchè  non ho messo due  righe d'avvertimento  in alcuni account  \ pagine di facebook  o  su  googleplus    e molti l'hanno scambiata per  pornografia  tout  Court  , ecc 
Provo a  spiegare  con queste due  storie  riportate sotto cosa intendo per pornografia dei sentimenti  di   cui parlavo   nel mio precedente  post  : " quanto piace la pornografia dei sentimenti " e  la differenza  tra pornografia   vera  e  propria         (   quella  di cui sono stato accusato )   e quella  dei sentimenti  (   termine usato da il filosofo Galimberti )  termini     il cui confine  è labilissimo se  si  analizzano i diue  termini  (  vedere  collegamenti  ipertestuiali )  . 

Entrambe le  storie    \  articoli sono tratti   dal sito  www.leggo.it


La prima  e questa  nuova tendenza esibizionistica cioè   La nuova frontiera del selfie  ( ne  avevo parlato  sempre qui  sul  blog  in :  " era prevvedibile visto l'uso dei selfie che si sarebbe arrivati prima o poi a Un concorso fotografico denominato <>." ) -- come  l'ha  chiamata il messaggero  --  si chiama "Underboob". E si fa ancora più hot. 
Stavolta il décolleté femminile sbuca dalla maglietta. Sui social network, l'Underboob fa tendenza

da la  galleria  fotografica  di  http://societa.panorama.it/life/Underboob-la-nuova-frontiera-del-selfie-arriva-dagli-Usa


l'altra  è  la  vicenda    di  Josie Cunningam    

 da http://www.leggo.it/SPETTACOLI/TELEVISIONE/ Mercoledì 30 Luglio 2014

Avrebbe voluto abortire per partecipare al Grande fratello, edizione inglese, poi il web l'ha convinta a desistere ed ha portato avanti la gravidanza. Adesso Josie Cunningam ne ha inventata un'altra per fare soldi.
Come riferisce il Daily Mail [  da  cui  ho tratto foto  e video sopra  ]  ha messo in vendita





a 12.500 euro cinque posti per assistere dal vivo al parto che avverrà nella sua casa a ottobre. E il particolare incredibile è che li ha venduti tutti nel giro di 14 minuti.
Due degli ospiti potranno anche fare riprese video e foto del parto che avverrà dinanzi ai loro occhi.

Da Sassari alla cattedra di Microbiologia in California, Manuela Raffatellu racconta il suo sogno americano


L’attitudine a bruciare le tappe l’ha dimostrata sin da piccola «ho imparato a leggere prima di aver compiuto due anni, grazie a mia madre, docente di Lettere alla scuola media» e, a vedere i risultati, l’ha mantenuta intatta nel tempo. Laurea con 110 e lode a 24 anni in Medicina e Chirurgia a Sassari, Manuela Raffatellu, vive dal 2002 negli Stati Uniti. Qualche settimana fa è diventata professore associato con “tenure” -col posto fisso – di Microbiologia e Immunologia alla facoltà di Medicina dell’UCI (Università della California, Irvine), 149 esima nel ranking mondiale secondo il QS World University Rankings 2013, e prima assoluta tra quelle americane nate meno di 50 anni fa.                                                                                                                                                        A 38 anni, la docente sassarese vanta una serie impressionante di riconoscimenti; citiamo in ordine sparso: il premio ICAAC della ASM (Società Americana di Microbiologia), l’Astellas della IDSA/NFID (Società Americana di Malattie Infettive) e quello della fondazione Burroughs Wellcome
Fund per lo studio delle malattie infettive. Nel 2013 e nel 2014 è stata menzionata per la qualità eccellente del suo insegnamento all’interno dell’università ed è stata invitata a tenere diversi seminari, incluse alcune lezioni magistrali, in tutto il mondo: dalla Svezia a Taiwan, dalla Germania al Messico e in tanti prestigiosissimi atenei quali Berkeley e Stanford.
«Attualmente – racconta – faccio soprattutto ricerca di base, dirigo un gruppo di otto persone e insegno Microbiologia e Immunologia agli studenti del corso di Medicina. Mi interessoprincipalmente dell’interazione di batteri patogeni come la salmonella con l’ospite e con il microbiota, la flora normale intestinale. Con la mia équipe studio anche i meccanismi d’azione dei probiotici, batteri che hanno effetti positivi sulla salute; ci occupiamo inoltre del potenziale sviluppo di vaccini. Passo la maggior parte del tempo nel mio ufficio a scrivere lavori scientifici e progetti. Quasi ogni giorno mi confronto con gli studenti, i dottorandi e i post-doc: analizziamo i dati e discutiamo gli esperimenti successivi. Circa una volta al mese faccio un viaggio per illustrare la mia attività. Faccio circa 50 mila miglia di volo ogni anno».                                                                                                                                     Un talento, il suo, che non è sfuggito al sistema a stelle e strisce, lestissimo ad accaparrarsi sistematicamente i migliori, puntando su merito e trasparenza. Due principi che, soprattutto in Italia, riempiono da anni il dibattito pubblico ma che sono poco praticati, diversamente da quanto avviene negli USA, come racconta lei stessa: «Sei anni fa, superando la concorrenza di 150 candidati, una ragazza straniera di 32 anni ottenne all’unanimità l’incarico di realizzare un laboratorio; le affidarono 700 mila dollari per comprare strumenti, assumere personale e fare ricerca. Nel tempo ha portato all’università molti più soldi di quelli che le erano stati concessi e, quindi, si è rivelata un ottimo investimento. Quella ragazza ero io. Questa fiducia nei giovani non esiste altrove, che io sappia».Certamente non nel nostro dove, da decenni, i posti di responsabilità sono occupati militarmente dalle stesse persone; alfieri di un sistema ingessato che ci tiene inchiodati malinconicamente ai nastri di partenza della competitività, spingendo chi vuole emergere a cercare altri approdi. Una scelta, quest’ultima, che Manuela Raffatellu ha preso 12 anni fa: «Sono andata via perché volevo imparare a fare ricerca e capire se quella poteva essere la mia strada. Ho scelto gli Stati Uniti perché sono ancora il Paese più all’avanguardia in questo settore e anche perché sono la terra delle opportunità. Recentemente sono andata alla cerimonia per i nuovi dottorandi di tutte le facoltà della mia università, c’erano giovani di 100 nazionalità differenti che parlavano 80 lingue diverse. Credo che la forza degli Stati Uniti sia proprio l’accoglienza e la valorizzazione dei migliori, indipendentemente dalla loro provenienza. Io dico sempre ai ragazzi che mi scrivono dall’Italia e che vogliono venire qui per fare un’esperienza lavorativa di pensarci bene; questa è una realtà difficile da lasciare. L’altra faccia della medaglia è che gli USA sono basati sulla competizione. Mi rendo conto che questo stile di vita non è adatto a tutti. La mia esperienza sinora è molto positiva, sono riuscita a realizzare molto di più di quello che pensavo. Il mio progetto è continuare a fare il mio lavoro ad alti livelli e contribuire alla formazione di altri ricercatori. Tuttavia – conclude Manuela – non escludo di poter tornare in Italia, un giorno, se si dovessero presentare le opportunità giuste».
Giovanni Runchina

mamma le turche di © Daniela Tuscano [ vietato alle donne ridere in turchia ]

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#kahkaha 

In fondo 'sto vicepremier turco, fino a ieri conosciuto ai meno, io lo capisco. Vorrebbe vietare alle donne di

ridere in pubblico (ma se evitassero pure in privato non sarebbe male, vero?). Ripeto, lo capisco. L'avete visto in faccia? Ha un ghigno così tristo, così goffamente onanistico. E tanto, tanto invidioso. La risata, si sa, è spontanea. Chi ride mostra i denti, esplode di gioia incontenibile. Chi ride, non sorride. Il riso è aperto, il sorriso velato. Nessun maschio si è spinto a vietare alle donne il sorriso; anzi, in molti casi glielo raccomanda. Perché il sorriso è grazia, pazienza, sottomissione e recita. Il sorriso si può simulare; ma la risata no, quella nasce dal di dentro, è l'irrompere dello spirito bambino nella vita adulta. E i bambini sono anarchici, così come il riso dissacra il potere e la gerarchia. Questo, il tetro vicepremier lo sa bene. E sa che il riso delle donne è impudente il doppio, perché sono belle e osano essere felici. Ma l'invidia del potere, quand'e' anch'essa così smaccata e nuda, non suscita nemmeno indignazione; al massimo, pietà. 

Sull'umorismo involontario Pirandello ha scritto pagine immortali. "Una risata vi seppellirà" è la classica profezia che si autoavvera.



 Ma, in un simile frangente, non sembra neppure il caso di scomodare la letteratura. Ci bastano un paio di foto. La risata solare d'una bella ragazza di Istanbul, scattata proprio in risposta alla sgangherata "fatwa" dell'imam mancato, e il sorriso, stavolta maschile, d'un fascinoso giovanottone nudo e disponibile. Esclamata l'una, sussurrato l'altro, entrambi forti e vitali. Robe turche, insomma, che il vice ingrugnato non può che sognare, rosicando.



© Daniela Tuscano

29.7.14

Quanto piace la “pornografia sentimentale” al pubblico




ha ragione http://l-isola-di-lolla.blogautore.repubblica.it/2014/07/28/ in cui parla ( vedere articolo sotto ) di spettacolarizzazione o meglio pornografia dei sentimenti dei sentimenti . Che dire , se non che , purtroppo è la dura realtà. ormai da quasi 40 anni su 60 che la tv italiana ( limitandoci ad essa ) è una tv sempre più cannibale , è alla frutta e non sa cosa sfruttare per fare ascolti

Ci hanno abituati alla spettacolarizzazione dei sentimenti, ci hanno abituati al fatto che possiamo assistere alle tragedie altrui comodamente seduti sul divano, con le patatine al pepe rosa sul tavolino e l’Aperol soda in mano. “Carramba che sorpresa” è stato un precursore della pornografia sentimentale, ma chi poteva immaginarlo mentre guardava la Carrà nel suo caschetto sfavillante quasi vent’anni fa? Ci hanno anestetizzati, resi insensibili di fronte alle lacrime e ai singhiozzi di madri esasperate, di famiglie lontane, di storie finite. In televisione e sul web tutto è vendibile, mercificabile, riutilizzabile,
come in un allevamento intensivo delle emozioni. E se non sono vere, queste emozioni, allora si pilotano, come il Grande Fratello ci insegna: il colpo di scena, l’entrata di un nuovo personaggio, la tensione creata ad hoc per far scontrare i concorrenti. In questo enorme “The Truman show”, dopo anni di Barbara D’Urso con le sue espressioni sgomente, nonostante io mi sia impermeabilizzata anche di fronte alle lacrime più sincere, ho scoperto che posso ancora scandalizzarmi. Recentemente, dopo l’abbattimento dell’aereo di linea malese diretto verso Kuala Lumpur, sono state diffuse alcune foto del profilo Instagram di un ragazzo che era presente a bordo. Una in particolare mostrava il suo passaporto e la didascalia da brividi: “Adios amigos”. I commenti degli amici che gli auguravano buon viaggio, qualcuno addirittura esprimeva la sua invidia. Ebbene sì, ci sono cascata anche io, con tutte le scarpe, in queste sabbie mobili del macabro: mi sono ritrovata a cercare il suo nome sul web e a guardare il suo profilo con il resto delle foto. Mi sono ritrovata a sorridere scorrendo uno dopo l’altro gli scatti con i suoi amici abbracciati in riva al mare, i tramonti, la sabbia bianca, i viaggi che faceva, la sensibilità e il gusto estetico evidente in ogni foto. Che vita piena doveva avere, che vita ricca, ho immaginato; “come mi dispiace”, ho pensato. Ed eccolo lì, il risultato matematico e lineare: ancor più della tragedia stessa, è il gusto del macabro che attira, che è vendibile, sfruttabile. Mentre leggevo la storia di quel ragazzo, a poche ore dalla tragedia, quando ancora i corpi senza vita dovevano essere estratti dalle macerie, a fianco alle sue foto e ai suoi sorrisi, alle sue didascalie tipiche di chi ha il mondo in pugno e non vuole far altro che vivere la vita zaino in spalla, i banner pubblicitari di Google Adsense spuntavano di lato: uno a sponsorizzare i fanghi anticellulite per la temuta prova costume e un altro per un volo last minute verso un’isola tropicale. Il destino beffardo sembrava in grado di fare del sarcasmo anche in questa occasione. Consapevole che i motori di ricerca non hanno sentimenti (ma io sì) ho dovuto chiudere immediatamente la pagina, premendo forte la X rossa in alto, per uscirne il più presto possibile. Quasi vergognandomi di aver morbosamente violato quel profilo, quelle foto, quegli stralci di vita di uno sfortunato ragazzo a me sconosciuto.

E'  proprio vero, il mondo ormai va così e non possiamo farci niente ( se non lottare contro i mulini a vento ed essere scambiati per pazzi o snob ) o meglio avremmo potuto, se la società cioè non avesse accettato passivamente e acriticamente programmi spazzatura non modo da fornire spirito critico e elementi di resistenza al lavaggio del cervello alla generazione precedente ( quella degli anni '80 \90 ) che ha ormai già messo al mondo dei figli plasmati su questi schemi.
Avremo evitato che la [ sic ] Rai rispondesse alla nascita Mediaset con lo stesso livello inculturazione anziché con la cultura e che quindi ormai i media rappresentano la seconda famiglia, dettano legge e direi buona parte dell’educazione che i più giovani assorbono in maniera viscerale..
IO come l'autrice dell'articolo sopra riportato faccio parte di quella generazione di mezzo , cioè fra il 68 e il reflusso \ edonismo degli anni 80 (  vedere  i due  due  documentari sotto in particolare  il secondo  cioè Videocracy - Basta apparire  2009 diretto da Erik Gandini.  qui maggiori dettagli  \  informazioni  )




ma devo dire che, nonostante la consapevolezza e qualche anticorpo al pattume culturale dello stato attuale delle cose, a volte mi lascio coinvolgere dal gusto del macabro, dalle spettacolarizzazioni televisive dei sentimenti, dalla teatralità dei racconti..purtroppo questo fenomeno non accenna a diminuire e non sembra conoscere crisi..e tuttavia, come accennavi, rischiamo di renderci sempre più insensibili..dirò una banalità però fa riflettere come ci si commuova per uno sconosciuto quando spesso non si degna nemmeno di uno sguardo i mendicanti (ormai sempre più anziani) che ti chiedono una moneta per andare avanti..
Infatti dopo aver visto :  1)    le prime due edizioni del grande  fratello ed   un edizione d'amici   . La  prima  per  curiosità , nonostante  sia  il  mie vecchi   che il prof  di letteratura  dell'epoca   lo sconsigliavano  , ma  io  per la mia testardaggine di vedere  le  cose  a  tutti i  costi  e  non fidarmi  di giudizi aprioristici  , ma soprattutto per  vedere  come la tv  avrebbe messo in atto quello   che  G. Orwell aveva predetto  con il suo   romanzo   1984  . La seconda ( anche se alternata alla versione comico\ satirica di mai  dire  grande  fratello   della Gialappas  ) perchè " imposta  " dai miei coinquilini    e perchè  certi personaggi  , se pur manovrati   con i microfoni facevano ridere  .  2)  la  prima ( o una delle prime  edizioni )  di amici  perchè  c'era un mio compaesano fra i protagonisti     e perchè  credevo fosse  come il film  e  poi la serie  omonima    saranno famosi  .
Ma  dopo aver  visto  il  film   the truman show    (  sotto il promo )  sto attuando   la stessa scelta di


 Clizia  autrice  del  commento al post citato prima di Lolla 29 luglio 2014 alle 12:46
Personalmente non guardo mai questi programmi….reality o varietà in cui si chiede alle persone di piangere pubblicamente sulle proprie tragedie. Sarò anche cattiva ma ultimamente mi chiedo se siano davvero reali, perchè se lo fossero come può una persona straziata dal dolore più lacerante accettare di truccarsi, vestirsi e prepararsi per raccontarlo in tv? Allora non è dolore…. perchè diciamocelo, se la mia famiglia è stata devastata da una tragedia l’ultima cosa di cui io mi preoccupo è truccarmi per andare in tv e piangere davanti a tutti…… Eppure queste sono le stesse storie che tutti i tg anticipano….le storie di cronaca nera di cui tutti i giornali parlano e riparlano, quindi sono reali. Eppure non capisco. A me darebbe fastidio dover parlare con un giornalista di mio figlio morto sgozzato …. penso che piuttosto che uscire di casa e vendere dichiarazioni mi tagllierei un dito, ma anche un braccio e il resto del corpo. mi viene da pensare che siano tutte montature per fare notizia….
Eppure sembrerebbero proprio vere.
Io non ho mai seguito il grande fratello, anche se ricordo abbastanza bene le prime tre-quattro edizioni che ho guardato di tanto in tanto ma le consideravo quasi come una soap, per me erano paragonabili a qualsiasi programma tv, una storia con attori e copioni. Niente di vero , serio o reale. E invece ultimamente sto riflettendo sul fatto che il GF come tutti gli altri reality in cui tot persone vengono “rinchiuse” in case, isole , ecc, possano essere considerati dei veri e propri esperimenti sull’uomo. non penso che l’idea sia “male”. “Cosa succederebbe se io metto dieci persone in questa casa senza tv, computer, cellulari per 100 giorni? Cosa succede? In passato molti studiosi si sono avvicinati al fare questo genere di cose. Può sembrare crudele come cose però a me incuriosisce…… e lo seguirei se purtroppo non ci fosse questa spettacolarizzazione dei sentimenti. se non si chiamassero in causa persone con passati oscuri da dover raccontare per fare audience o continue entrate e uscite dalla casa, dalla cantina, dalla suite, dalla stalla…… ora è diventato caotico e quello che poteva di base essere un programma a mio parere interessante è diventato un vero e proprio pollaio. Non è possibile che appena accendo la tv veda gente piangere e vendere la propria storia….. mi viene da chiedere se davvero questi ragazzi stiano tutto il tempo chiusi nella casa o no. In genere la spettacolarizzazione dei sentimenti non la tollero, sembrerà brutto ma ora noto che si è diffusa sul tubo. Oltre alla miriade di ragazze che si svegliano scoprendo che la loro più grande aspirazione è quella di diventare makeup artist (nulla da ridire…..mestiere rispettoso come tutti gli altri, se fosse autentico e non una moda) e che piangono ad ogni video perche raccontano la loro piccola tragedia personale, o quanto si siano commosse per la tal cosa o il tal evento. io di base sono una persona riservata e non amo parlare dei miei problemi a tutto il mondo, d’altra parte trovo che lo sfogarsi sia importantissimo e quando succede e ho intorno persone che amo sto meglio…come d’altra parte mi fa piacere che persone che amo si sfoghino con me o abbiano anche dei crolli in pubblico perchè esasperate da una serie di eventi e io in qualche modo riesca a dar loro conforto.
Al di la di tutto ciò che ho detto, che può essere condiviso o meno (ci mancherebbe!!!!) la domanda finale che mi pongo è la seguente: probabilmente le vicende di vita chiacchierate o le tragedie sono reali. Sono reali tutti i fatti di cronaca nera, sono reali le storie delle ragazze che su internet piangono la loro storia personale…….. ma in ogni caso se hanno la forza di mettersi davanti ad uno schermo e vendere tutto quello che è successo piangendo e disperandosi….sarà vero anche il loro dolore?
Anche   a costo di passare  per  snob  o    suscitare clamore  e preoccupazione   perchè  durante  un uscita  con la compagnia  tutti\e  stanno parlando di reality e menate  varie  ed  io  non guardando simili sconcezze  ( metaforicamente  parlando  )   sono rimasto   in silenzio    per  una buona mezz'oretta  . Ora  se   tutti  faremo un gesto di resistenza    come suggerisce   questa  famosa  canzone   di Sabrina  Guzzanti  





e smetteremo di mandare   il cervello all'ammasso in cassa integrazione   cvin riprenderemo la  nostra  dignità  e  avremo una  tv  meno cannibale

28.7.14

c'era bisogno di chiamare gli stranieri per recuperare la costa concordia ? basta applicare lo stesso sistema usato 74 anni fa per l'incrociatore trieste

fra  i tanti bla  .. bla  ...  spesso futili e  morbosi per  riempire  le pagine dei giornali sul recupero  prima  e  il viaggio  funebre  della costa  concordia    ci si  è   dimenticati  che un recupero simile avvenuto  con gli stessi sistemi   è avvenuto   quasi un secolo  fa  , sempre  in italia . 

da  la  nuova  sardegna  online del 27\7\2014


La Costa Concordia recuperata come l’incrociatore Trieste affondato a Palau
Il precedente in Sardegna: nel 1950 la nave da guerra fu raddrizzata con tecniche simili a quelle impiegate al Giglio per la nave da crociera






PALAU. Flash dal passato per fotografare l’attualità di oggi. Nelle acque della Sardegna sono già stati sperimentati alcuni metodi avveniristici simili a quelli usati in questi giorni per recuperare e trainare la Costa Concordia sino a Genova. E lo si è fatto 64 anni fa. Nel 1950 la Marina italiana ha promosso, e portato a termine con successo, un’operazione all’avanguardia per quei tempi. Al centro della complessa missione, l’incrociatore Trieste. Il filmato dell'Istituto Luce, conservato su Youtube, 

mostra la parte finale dell'operazione avvenuta a La Spezia dove la nave venne trainata. Nelle acque della Sardegna sono già stati sperimentati alcuni metodi avveniristici simili a quelli usati in questi giorni per recuperare e trainare la Costa Concordia sino a Genova. E lo si è fatto 64 anni fa. Nel 1950 la Marina italiana ha promosso, e portato a termine con successo, un’operazione all’avanguardia per quei tempi. Al centro della complessa missione, l’incrociatore Trieste.Trasporto in 4 fasi. Ecco come si sono svolti i fatti. Prima è stata fatta risalire in superficie da un fondale di 25-30 metri la nave, che era stata colpita da aerei anglo-americani nella primavera del 1943 durante un massiccio bombardamento davanti a Palau. Poi applicati alla chiglia dell’unità militare - lunga quasi 200 metri e larga più di 20, 13.885 tonnellate di stazza a pieno carico - enormi cassoni riempiti d’aria.Tappa successiva: il trasferimento con i rimorchiatori sino alla Spezia, centinaia di km percorsi col relitto a galla ma non ancora in posizione verticale. Quindi, nel porto ligure, si è proceduto a raddrizzare lo scafo. Anche in questo caso, lavoro tutt’altro che semplice (soprattutto se si considerano i mezzi, di sicuro meno progrediti rispetto agli attuali, che i militari italiani avevano a disposizione in quegli anni).empi e modalità. La parte finale del lavoro, comunque, ha richiesto a sua volta diverse fasi, qualcuna delicatissima. Innanzitutto, decine di palombari militari hanno asportato le sovrastrutture sulla tolda dell’incrociatore, tamponato le falle, creato compartimenti stagni. Successivamente, sotto le direttive dell’ingegnere triestino Antonio Merceglie, dal pontone della nave è stata pompata aria compressa nella parte destra più interna.Nello stesso tempo, per ottenere un riequilibrio perfetto, gli uomini incaricati della manovra hanno fatto entrare acqua nel lato destro della stiva ottenendo così un’efficace contro-spinta. Al termine sono stati riempiti d’acqua marina anche 7 cassoni da 20 tonnellate ciascuno. «Una leva invisibile», spiegavano i commentatori nel dopoguerra, «ma capace di far girare l’intera nave riportando la chiglia e le eliche nella posizione originaria».La storia e i ricordi. Ma come mai si riparla adesso di quest’impresa compiuta tanto tempo fa? Tutta l’operazione è descritta in diversi libri. E se ne può trovare traccia su internet: fra l’altro, nel documentatissimo sito della Marina italiana. Non solo: su You Tube scorre un video girato dall’istituto Luce nel 1950 sul “raddrizzamento” del Trieste.Ma il nuovo spunto alla rievocazione del caso, naturalmente, è arrivato dallo spettacolare traino della Concordia, ancora in fase di ultimazione in queste ore. Un trasporto così straordinario ed eccezionale che è stato “coperto” dai media di tutto il mondo attraverso giornali, tv e web. E che ha suscitato grande interesse in Sardegna. Richiamando alla mente di molti anziani che vivono tra La Maddalena e Palau ricordi del passato su questo precedente.Prima le terribili immagini dei bombardamenti. Poi quelle della nave colata a picco. Infine le sequenze dell’immane lavoro per riportare a galla l’incrociatore e indirizzarlo verso le Bocche di Bonifacio per il trasferimento nell’area militare dello scalo spezzino.La logistica. Allora come oggi la città ligure resta una delle maggiori roccaforti della Marina. Non solamente per la presenza di cantieri e altre importanti sedi e strutture operative, ma anche per le elevatissime competenze professionali degli uomini in servizio.Specialisti. Caratteristiche note sin dall’epoca nella quale è stato organizzato il traino dell’incrociatore dal nordovest dell’isola verso la Corsica e la Liguria. E che sono state alla base dell’attività di recupero del relitto.Significativo, proprio sotto quest’aspetto, lo spezzone di cine-giornale presentato dagli operatori e dai giornalisti dell’istituto Luce.Il video, che in quegli anni veniva trasmesso nelle sale cinematografiche negli intervalli della proiezione dei film, rivela dettagli e particolari sui sistemi utilizzati. E mostra i tecnici e i marinai all’opera per rimettere in posizione verticale la grande nave militare, affondata sei mesi prima della corazzata Roma (in questa seconda circostanza, dopo l’armistizio dell’8 settembre, l’attacco era stato sferrato dagli ex alleati tedeschi della Luftwaffe tra La Maddalena e l’Asinara).L’epilogo. Ciò che invece i pochi minuti di video dell’istituto Luce non possono rivelare è quel che succederà in seguito. Sempre nel 1950, il governo di Roma prende accordi col ministero della Difesa spagnolo per la cessione dell’incrociatore alla regia marina iberica. All’origine della vendita, l’idea di Madrid di trasformare l’unità navale italiana in una portaerei. Il Trieste è così portato in un porto spagnolo. Ma il progetto viene poi abbandonato. Sei anni più tardi, la demolizione.
L’ex assicuratore Giuseppe Pala ha 81 anni e non lavora da tempo. Ma la sua memoria è intatta come quando si occupava di contratti e polizze. «E certo non dimentico le tremende scene del Trieste bombardato alla Sciumara, ce le ho qui in testa da quando ero un bambino di 10 anni», dice.È uno dei testimoni che si sono fatti avanti per sottolinerare «come in tv non si faccia altro che presentare quello della Concordia come un primo caso per l’Italia», e invece «già nel 1950, quando di anni ne avevo 17 ed eravamo tornati da un bel pezzo a Palau dopo essere rimasti sfollati a Sant’Antonio, ho potuto vedere all’opera le squadre della Marina e i palombari che recuperavano il relitto facendolo tornare a galla e lo predisponevano per il traino sino alla Spezia».«Da ragazzo, in barca, andavo nel punto dove l’incrociatore è affondato – continua – Il Trieste si era adagiato su una fiancata, in alcuni punti con i remi riuscivamo a toccare la parte più vicina alla superficie. Ma non ci avvicinavamo spesso perché ovunqueo c’era catrame: quando è stato colpito aveva i serbatoi pieni». Il lavoro per riportare la nave in assetto, rammenta, era durato molto. «E tutti, da terra, a Palau, lo seguivamo con attenzione – aggiunge – Sino a quando abbiamo visto che venivano usati i cassoni d’aria e altri sistemi sofisticati per sostenerla».«Così un giorno del 1950 abbiamo visto partirea la squadra: l’incrociatore era trainato con cavi d’acciaio da due rimorchiatori davanti mentre un terzo stava dietro – conclude il racconto Pala - Poi ho saputo che alla Spezia avevano raddrizzato lo scafo e che il relittto era stato venduto. Da allora è passato tanto tempo, ma io ricordo tutto benissimo e mi è sembrato giusto non dimenticare gli uomini che per primi si sono impegnati in una missione tanto difficile». 







25.7.14

il destino e come una lotteria . Malata di cancro prepara il funerale ma .... la diagnosi si rivela errata la storia di Denise Clark

da  unione sarda  Venerdì 25 luglio 2014 14:39

A Denise Clark era stato diagnosticato un cancro in stadio terminale: lei aveva organizzato il suo funerale e scritto lettere d'addio ai suoi figli. In realtà la diagnosi era errata.
Le avevano dato pochi mesi di vita, quindi Denise Clark, 34 anni, di Aberdeen (Regno Unito), aveva pensato a tutto: organizzare il suo funerale, dire addio ai suoi figli con una lettera, godersi l'ultima estate con la sua famiglia.

Si è però scoperto che quella diagnosi, che parlava di un tumore in stadio terminale, era sbagliata. La donna quindi farà causa all'ospedale.
La storia, raccontata dal Telegraph, è iniziata 5 anni fa, quando era incinta del suo secondo figlio, Luca. Un esame aveva riscontrato un cancro al collo dell'utero e, per salvarle la vita, i medici avevano fatto nascere in anticipo il bambino e sottoposto la mamma a una serie di cure. La malattia, le avevano detto, era stata debellata. Due anni fa il problema si è ripresentato: nuovi esami e diagnosi devastante; il tumore si era riformato. Questa volta, però, le rimaneva poco tempo, perché era in stadio avanzato. La donna, che nel frattempo si era separata dal marito, che non aveva retto alla difficile situazione, era rimasta con i suoi due figli, aveva seguito delle terapie in diverse cliniche specializzate per "allungare" il periodo di tempo per stare in vita, spendendo oltre 10mila sterline.
Per quest'estate aveva preso delle ferie speciali dal lavoro per trascorrere le vacanze con i bambini (Harvey, 10 anni, e Luca, 4). Aveva scritto loro delle lettere, che avrebbero potuto leggere e conservare: "E' stato struggente mettere nero su bianco quelle parole", racconta Denise. Poche settimane fa, invece, il colpo di scena: quella diagnosi si è rivelata errata. "Nessuno potrà mai restituirmi la serenità persa in questi anni, i sorrisi mancati, i pianti devastanti ogni giorno e ogni notte", ma una cosa non dimenticherà mai: "Il viso dei miei bambini quando sono tornata a casa e ho detto loro: la mamma non se ne va più".

23.7.14

ecco cosa succede ad usare specie massaggiare il cell mentre si guida . video shock di Peter Watkins-Hughes


lascio un po' di spazio  cosi le persone sensibili e deboli di stomaco  fanno ancora  in tempo  a  non vedere  questo  video  regista è l'inglese Peter Watkins-Hughes (vedi il suo profilo http://goo.gl/KKlimF). , cerco  scioccante  , ma  visto che la  gente   non capisce   e  ti guarda  ridendo o sconsolato quando  gli lo fai notare  , la dura e cruda realtà   mi sembra l'unico mezzo . 
Il video è abbastanza un pugno nello stomaco (quando vedrete il neonato probabilmente penserete che si siano spinti troppo oltre), ma secondo me è giusto che sia così.....
Poi è fatto benissimo - recitazione, montaggio, effetti speciali meccanici e digitali sono tutti di alto livello.
 A  voi al scelta  se  guardarlo  o meno  .




voleva rapire gianfranco zola ora la sua stria è un film . dal calcio alla mala la storia spericolata del criminale redento fabrizio maiello

   chiedo scusa se   è in foto  non   ho     troppi impegni  e    non ho tempo  per  estrapolarne il testo  dal pdf