da http://wwwhete.blogspot.it/2014/12/basquiat-child-prodigy.html
Oltre la strada
di Matteo Tassinari
Padre di Portorico e madre di Haiti, Jean Michel Basquiat è cresciuto a Brooklyn. Appena prese le matite in mano, si capiva che era dotato per le setole dei pennelli intinti nei colori ad olio. A sei anni dava i suoi primi segni di genialità e per questo lo iscrissero al museo del suo quartiere per cominciare ad educarlo allo stato dell’arte. Quello stesso museo, il Brooklyn Museum, restaurato e ampliato fino a diventare un punto centrale di tutti gli artisti del mondo, organizzando numerose retrospettive complete di questo artista vissuto come una meteora passata velocissima per spegnersi il 12 agosto 1988 a Noho e nato a New York il 22 dicembre 1960. E’ pazzesca una cosa, anche lui morì al suo 27° anno d’età e più so di questa leggenda metropolitana, comunque vera e più mi chiedo perché una coincidenza così particolare: come mai anche lui è morto al suo 27esimo anno completato? Forse è roba per noi vecchi rocchettari che rievocano cose che non interessano a nessuno se non a pochi.
27, il numero maledetto
Mi accorgo quanti artisti, cantanti e star siano morti proprio a quella età e controllate pure, vi accorgerete che il 27 non è un numero che passava inosservato da questi grandi visionari capaci laddove gli altri non potevano che rimanere allibiti o senza parole per l’incredibile potenza della rappresentazione. “27, è un numero maledetto” ha detto Eric Clapton durante un suo concerto al Basket Ball Stadium di Miami, per farvi capire come è sentita questa storia dagli show man rock and blues e di artistica varia.
Il numero
delle morti
come Hendrix, Morison, Brian Jones, Janis Joplin. In occasione del quindicesimo anniversario dalla morte di Kurt Cobain, Robert Smith della National Public Radio disse: "La morte di queste rock star avvenute all'età di 27 anni ha davvero rivoluzionato il modo di guardare al rock", cosa volesse dire però non chiedetemelo, perché fu un’affermazione avara d’info e coordinate, in breve è un'affermazione del cazzo. Amy Whinehouse, Pituce Bioll Stornes e la voce più acuta di tutte, Janis Joplin, quella di Hete ledger, l’attore in totale ascesa con il Joker nel sequel Batman, in circostanze non chiare, morto il 2008, nato nel 1979. Robert Johnson dei Flag of the United States per avvelenamento di droghe. Celebre chitarrista blues e jazz, due ossimori, pur avendo la stessa matrice, checché ne dicano i pischelli, sempre al 27° anno ha staccato il biglietto del non ritorno, vite come meteore o una candela che brucia da entrambe le parti come i Replicanti.
Keith Haring assieme a Basquiat
Keit Haring mimetizzato nell'ambiente per essere un tutt'uno con esso stesso, grande amico di Basquiat. Anche Haring covava uova al patinato di origini albanesi Warhol che agli artisti vampirizzava anche l'ultima goccia
Il colore come obiettivo
Inizia davvero ad essere strano, troppi gli artisti morti allo scoccare del 27esimo anno della loro vita sudata. Su questa stringa,http://3ppppier.blogspot.it/2014/01/il-club-del-27-anno.html, c’è scritto molto di più su questa incredibile coincidenza o leggenda metropolitana. Basquiat, muore all’apice del suo successo, una dose esagerata di eroina lo stroncò. Le cento opere in mostra, raccolte dalle collezioni di tutto il mondo, sintetizzano il suo breve viaggio, lo raccontano con i suoi stessi segni, linee, figure, colori, tensioni, gesti, silenzi, grida, giallo, verde, nero. Se già la transavanguardia aveva portato a compimento la riscoperta dell'immagine significante, il graffitismo procedeva verso la rivalutazione delle forme identificandosi come una vera e propria arte di frontiera. Basquiat, è stato uno dei primi artisti afroamericani a guadagnarsi la fama da vivo, in ambienti dove l'arte era conciliabile quasi sempre e a certi livelli, col un certo mondo ristretto di bianchi.
Le maschere, i teschi, le tele
strappate per umiliare Andy Warhol (ma è sempre di mezzo ‘sto qui?) s’innamorò di Basquiat. Le tele, quasi tutte di formato gigante, come gli avevano suggerito i maestri della pop art. E' un concentrato di umori e malumori, visioni primordiali, ma soprattutto energia solida che ti spacca il volto all'impatto col viso. Sonò il campo su cui Basquiat sfogava le sue contraddizioni, la passione per la vita, l’attrazione per la morte. Spesso diventano strumento di protesta contro violenze, emarginazioni, luoghi comuni, oppure il pretesto per Gillespie, Cassius Clay, Joe Louis. Intuitivo e animalesco com’era, più che sentire, Basquiat sapeva. Sapeva la brevità del suo destino. E si scatenava a raccontare senza sconti tutto se stesso. Una vita bruciata ma costellata di successi, basti pensare che negli anni ’80 le gallerie addette ottenevano dalle tasche dei collezionisti dai 5.000 ai 10.000 dollari per un’opera e mitizzata anche grazie alla brevissima durata, quella di un artista che il 15 maggio 2013 segna da Christie’s un record d’asta di circa 49 milioni di dollari per Dustheads, acrilico su tela realizzato nel 1982 e stimato tra i 25 e i 35 milioni di dollari.
La morte di Warhol e quella di Basquiat
Quando il 22 febbraio del 1987 Warhol all’improvviso morì al New York Hospital in seguito ad un’operazione alla cistifellea, davanti a Basquiat. Per il giovane portoricano si spalancò il baratro, una vertigine da cui non sapeva uscire, era tutto più confuso e non aveva l'ispirazione di sempre, come se con la morte di Warhol fosse estinta la sua arte. Visse la morte dell’amico come fosse la sua e cominciò la discesa a picco definitiva. L’abuso d’eroina lo consegnò in pasto a troppe malattie, che non troppo lentamente lo portarono ad indossare il cappotto di legno che, prima o poi spetterà a tutti noi, mai dimenticarlo, sarebbe la nostra morte da vivi, quella forse più terribile. Hai paura della morte? Bene, parlane, confrontati, senti cosa ne pensano gli altri. Un accidente tutto occidentale, perché basta andare in India e la morte è parte integrante della vita ed è vista con minor tabù. Ma come si può parlare di morte in una società che fa di tutto per rimuoverla? Come discutere di cosa pensiamo del nostro post mortem? Perché fuggiamo così dall'argomento morte?
Era il suo momento
Ma Basquiat rimane com'era da giovanissimo, anche se con le mani sporche di colori ad olio nei locali più costosi di New York. In fondo a lui, non serviva l’attenzione del mondo dell’arte, della stampa, non gli servivano le copertine dei settimanali, non gli serviva nemmeno sapere che, appena dipinti, i suoi quadri finivano subito nelle collezioni internazionali a battute d'asta di milioni e per gli appassionati fino al midollo del moderno disposti anche a discutere anche in miliardi. Il suo tempo era compiuto. E con esso anche tutto quello che sapeva disegnare. Aveva una poesia ultra moderna esprimevano le sue tele spesso dalle dimensioni immense, pareti lunghe anche 20 metri contenenti una crosta di Basquiat.
Andy Warhol e Jean-Michel Basquiat
La mostra dimostra lavastità delle visioni del Writer e pittore portoricano. E’ stato uno dei più importanti esponenti del graffitismo americano, riuscendo a portare, insieme a Keith Haring, questo movimento che partiva dalle strade metropolitane alle gallerie d’arte dove mecenati di tutto il mondo compravano le loro tele a dozzine e a prezzi altissimi. Perché nella vastità delle opere, nel biancore delle pareti sconfinate opere come Jimmy the Best, Acque pericolose, The Nile, Tuxedo, Grillo, Pegasus, Eroica, fino a Exu, il più apocalittico dei suoi ultimi lavori e dedicato al dio africano, che fa da tramite con forze dell'aldilà, spiegano, senza bisogno di parole, chi era questo ragazzo che solo dieci anni fa è entrato a grandi passi nella storia dell’arte. Da adolescente si divertiva ad invadere coni suoi graffiti i muri del Lower East Side, alla punta estrema di Manhattan. Spruzzava frasi enigmatiche contro il lavaggio del cervello della religione, della politica, della filosofia e le firmava con lo pseudonimo Samo, che significava “same old shit”, stessa vecchia merda.
Le palle, sulla scia del
Surrealismo, gli servivano per fare scorrere il flusso della coscienza. Segni, ritmi, genio, dote, fantasia non comune, con virtuosismi posti all’estremo del suo apogeo così alto, all’apice del culmine massimo e parossistico, sommità e splendore, vertice e vette, lo zenit della pop art. La cima colma della sommità acutizzata dall’esasperazione autentica e non truffaldina. David Bowie, disse di Basquiat: “la potenza che trovi nelle opere di Michel, hanno un’indole aquilina, alta, laddove l’estro è un gigante dal talento come nume tutelare e vocazione del gusto e genialità del suo mistero”. Al punto che Andy il patinato, abbassò le mani e in un’intervista al NME sparò: “Non ho mai visto trattare il colore come sapeva fare Basquiat.
Viveva alla giornata
Quando disegnava sulle sue immense tele ad olio, sembrava assente, o forse lo era davvero. Mi sento umiliato ogni volta che guardo una sua tela, al punto di sentirmi inutile”. E’ vero. Warhol era inutile e Basquiat non ebbe bisogno dell’albanese per sfondare nei salotti bene di New York, la sua fiumana ti travolgeva e non sapeva quali fossero i suoi metodi e se glielo chiedevi s’arrabbiava, perché era come chiedere a Mozart come mai decise nella Sinfonia n.40esima in Mi bemolle maggiore, composta a Salisburgo nel luglio 1772, anziché usare un la minore in quarta. Abilità, ingegnosità, maestria, specialità, istinto, penchant, mago di bombolette spray e figlio legittimo della corrente collage-style su tela.
e per mantenersi vendeva in giro per il suo quartiere disegni, collages, magliette dipinte da lui. Quando ancora non aveva i soldi per comprare tele e pennelli, sicché si sfogava su cornici di finestre, porte di armadi o qualsiasi altro materiale che trovava abbandonato per strada, prediligendo per il materiale che il mare portava a terra partito da chissà dove. A volte passava intere settimana sulla costa californiana per vedere cosa l’oceano gli aveva preservato. Piantava la tenda e dormiva in un sacco a pelo da solo sulla costa di Malibù, per girare tutto il giorno e racimolare tutto quel che reputava utilizzabile per ottenere un risultato spirituale.
L'arte del riciclo
Ogni volta tornava a New York con un camper nuovo zeppo di sterpaglie, legni, ogni oggetto era imprevisto e per questo buono per esprimere quel malore che sentiva se non dava senso alla sua vita tramite questa forma d’arte, dove è stato il migliore. La svolta avvenne nel 1980 al Tintes Sqare Show, dove i critici con l'occhio più lungo di altri, si accorsero di lui subito. Se ne accorse pure la gallerista Annina Nosei, un’autentica mecenate molto influente nei salotti americani che sostenne il giovanissimo artista portoricano nella sua produzione, catalogata dalla prestigiosa casa d’asta Sothebys come una fonte inesauribile di soldi. Si sa le case d’aste non vanno per il sottile, per loro l’arte a massimi livelli, rimane sempre un business, come i farmaci per le case della farmacopea. Annina Nosei fiutò giusto, come sempre, ed esporrà le opere di alcuni dei più noti artisti contemporanei: Jean-Michel Basquiat, Keith Haring, Jeff Koons, Barbara Kruger e Julian Schnabel.
Location creative di Jean-Michel Basquiat
In particolare, nel 1981, Annina Nosei è la prima gallerista a dare fiducia a Jean-Michel Basquiat, e gli organizza la prima mostra personale in assoluto. Per vivere e lavorare, gli offrì lo scantinato della sua galleria a Soho, uno studio, una location ultramoderna e minimalista di 380 metri. Jean Michel Basquiat ha spiccato il volo, solo che è partito come un razzo ed è andato troppo alto e fatica poi a tornare giù. Le gambe divennero timorose di ogni passo, per ogni capriola che prima gli riuscivano bene, la gratuità del suo operato non era più così coinvolgente. Era entrato anche lui nel mondo del business artistico e questo non gli fece bene. Disse Basquiat: "Non ascolto ciò che dicono i critici d'arte. Non conosco nessuno che ha bisogno di un critico per capire cos'è l'arte. Quando lavoro non penso all'arte, non penso all'arte, tento di pensare alla vita".
Tristan Tzara, fondatore Dadaismo
Per meglio scrivere
lo rovinò. Basquiat aveva appena compiuto vent’anni. Abbandonò lo pseudonimo e cominciò a firmare le tele col suo nome, perche nel frattempo era divento come Andrè Breton per i surrealisti che canalizzò la vitalità distruttiva del dadaismo alla Tristan Tzara, pseudonimo di Samuel Rosenstock, poeta e saggista rumeno di cui si poteva pure fare a meno, sopravalutato, anche se citarlo fa fichi. Tzara scrisse i primi testi Dadà, “La première aventure céleste de Monsieur Antipyrine”, ma soprattutto il manifesto del movimento, “Sept manifestes Dada”. Nella vastità delle sale appena restaurate e da Basquiat battute, senza bisogno di parole esprimevano chi era questo ragazzo, che in solo dieci anni è entrato a grandi falcate nel mondo alto dell’arte contemporanea americana e mondiale. Passi da gigante nel consorzio umano ed alto entourage dell’arte, da adolescente si divertiva ad invadere con i suoi graffiti i muri del Lower East Side alla punta estrema delle “personali” di Manhattan.
Spruzzava frasi enigmatiche
contro il lavaggio del cervello della religione, della politica, della filosofia e le firmava con lo pseudonimo Samo. Significava “sa' me old shit”, ossia, stessa vecchia merda. Le parole, sulla scia del Surrealismo, gli servivano per fare scorrere il flusso della coscienza. Erano suono, segno, ritmo, arma. Anche se miliardario, Basquiat viveva alla giornata e per mantenersi vendeva in giro per il suo quartiere disegni e collages.
Col tempo, inevitabile, Basquiat
s’innamorò di Warhol, sempre nel mezzo i quegli anni, davvero una mignatta. L’idea di questo strano sodalizio era venuta al loro gallerista svizzero Bruno Bischotberger perché pensava fossero complementari l’uno all’altro. In realtà erano agli antipodi. Gelido, meticoloso, ripetitivo il patinato col parrucchino bianco, appassionato, intuitivo e imprevedibile il portoricano. Poi arrivo la donna che sperò ad Andy Warhol da parte dello SCUM, ad opera di Valerie Solanas. Entro cinque anni scompariranno tutti e rimarranno pochi nostalgici di certi momenti irripetibili, sia per il momento sociale collettivo e il panorama che ne emergeva, che per la mia giovane età che mi supportava e un certo spirito della ricerca rimbaudiano, mai stanco di girare i sette mari, girato il mare del Drago 10 volte per ammazzarlo 3. So che la morte di Warhol, mandò Basquiat fuori di testa, qualche mese e se andò anche Basquiat, ucciso, forse, nient'altro che dalla propria stessa vita. Non è semplice apprezzare il movimento artistico dell'artista portoricano, se non ce lo si trova di fronte, fatto che non capitò mai neppure a me. Il suo espressionismo è un’arte di ardore, esaltazione e furia, impulsività e impeto, passione e fiuto.
Allo stesso tempo è filtrata
e purificata da una irriverente anarchia multiforme, parlo dell'anarchia delle forme, curve, rettilinii, colori. Per essere chiaro, Bakunin, filosofo russo rivoluzionario e anarchico, non centra nulla in questo contesto. Va visto e nel momento in cui lo si vede sembra quasi di capire la ragione per cui è morto a soli ventisette anni, con quella sua bellezza anomala e quella sua eleganza innata. Come se l’irruenza, le virtù, la malattia che aveva fra le sue corde creative, fossero insieme troppo forti da reggere, la tensione di tutto era pressione. Entra in una violenta fase di tossicodipendenza. Il suo forte attaccamento al re della Pop Art, che aveva manifestato fino alla fine e gli voleva davvero bene, lo conduce all'abuso di eroina per superare il trauma. Ma lo spaesamento è troppo forte anche per chi ha vissuto in strada da bambino. È stato uno dei più importanti esponenti del graffitismo americano, riuscendo a portare, insieme a Keith Haring, questo movimento dalle strade metropolitane alle gallerie d'arte.
Entra in una fase violenta
depressiva associata ad un pesante uso d'eroina, a quei tempi era anormale non farsela, soprattutto in ambienti simili. Il suo forte attaccamento al re della Pop Art, che aveva manifestato fino alla fine, lo conduce all'abuso di eroina per superare il trauma. Ma lo spaesamento è troppo forte anche per chi ha vissuto in strada da bambino. È stato uno dei più importanti esponenti del graffitismo americano, riuscendo a portare, insieme a Keith Haring, questo movimento dalle strade metropolitane alle gallerie d'arte.