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(....) Agosto. Si muore di caldo
e di sudore.
Si muore anche di guerra
non certo d'amore,
si muore di bombe, si muore di stragi
più o meno di Stato,
si muore, si crolla, si esplode,
si piange, si urla.
Spesso , vedere titolo , anche i grandi fatti nascondono al loro interno dei piccoli fatti \ delle storie che nel riportare i fatti ne vanno perse \ dimenticate o considerate minuterie \ cose di poco conto Ed è proprio questa una delle storie che riporto sotto dal fatto quotidiano del 4\8\2014 che riporto sotto che oggi intendo narrare per ricordare ( chi se ne frega se non l'ho vissuto direttamente , nacqui 2 anni dopo ) ma solo indirettamente nei ricordi dei mie vecchi , e di altre persone di quella generazione E' questa insieme a tanti misteri d'italia e depistaggi , segreti di stato , ecc ( vedere ill'url di wikipedia ) che rendono possibile che condivida ciò << A causa del divieto di amministrare la giustizia vigente nel nostro Paese, l'articolo che segue parla di un fatto che non ha spiegazioni e/o colpevoli. Quindi ce li siamo inventati di sana pianta.
Può anche darsi che i fatti narrati non siano mai accaduti e che siamo tutti vittime di un'allucinazione collettiva. >> ( da , insieme alla foto a sinistra http://nonciclopedia.wikia.com/ alla voce italicus vedere sopra url dell'articolo )
Ma a ora basta tediarvi ed eccovi la storia ( sopra trovate link se volete approfondire ) in questione
Strage Italicus, 40 anni dopo. Storia del ferroviere morto per salvare passeggeri
Il 4 agosto del 1974 l'attentato terrroristico al treno Espresso in provincia di Bologna. Oggi un libro ricostruisce le storie di sopravvissuti e familiari alla ricerca della verità
di Antonella Beccaria | 4 agosto 2014
il treno italicus |
Chi se lo ricorda il nome di Silver Sirotti ? In pochi, probabilmente, e non era un eroe, almeno non nel senso che in genere si attribuisce a un termine del genere. Eppure Silver, 25 anni e da dieci mesi impiegato nelle Ferrovie dello Stato con varie mansioni, il 4 agosto 1974, all’1 e 47 minuti del mattino, era sul treno Italicus per un caso, perché da controllore – mansione che svolgeva in quel periodo – doveva sostituire un collega, in attesa di prendere servizio di lì a poco alla stazione di Faenza, dove si sarebbe occupato della biglietteria. Ma quel giorno, a quell’ora, una bomba devastò la quinta carrozza del convoglio ferroviario partito da Roma alla volta del Brennero. L’ordigno, a base di termite, miscela incendiaria che raggiunge il punto di fusione dell’acciaio, esplose dentro la galleria della Direttissima, nel comune di San Benedetto Val di Sambro, verso Bologna.
E oltre alle dodici vittime che costituiscono il bilancio ufficiale della strage dell’Italicus, altre ce ne sarebbero state se il macchinista non avesse fatto scivolare il treno fuori dal lunghissimo tunnel, oltre 18 chilometri. E se Silver, finito nella conta dei morti, non avesse rinunciato a mettersi in salvo. Invece tornò indietro, in mezzo alle fiamme, afferrando un estintore e tentando di portar fuori chi ancora poteva essere vivo. Per risalire sul treno il ragazzo aveva dovuto addirittura divincolarsi dal placcaggio di un passeggero incolume, che ne aveva intuito le intenzioni e aveva provato a strapparlo a morte sicura. A quel punto, liberatosi, Silver si lanciò verso la quinta carrozza e nessuno lo rivive più vivo.
Quarant’anni esatti dopo a raccontare questi fatti è il fratello del giovane ferroviere, Franco Sirotti, che oggi lavora alla stazione di Bologna. E con le sue parole si apre il libroItalicus – 1974, l’anno delle quattro stragi (Eir) scritto dal deputato e presidente dell’Associazione vittime del 2 agosto 1980Paolo Bolognesi e dal giornalista Roberto Scardova. Alla loro seconda prova letteraria in coppia – la prima, del 2012, si intitolava Stragi e mandanti –, stavolta non partono dalla bomba alla stazione di Bologna, ma tornano indietro di sei anni, a quel 1974 che fu un anno di svolta nel periodo della strategia della tensione. E nelle oltre 300 pagine del volume, di storie umane, se ne incontrano tante. Come quella dell’architetto fiorentino Luigi Cardarelli, che si impegnò per creare un’associazione vittime che “difendesse i diritti di chi era rimasto”. O, ancora, di Mauro Russo, che tornava a Bolzano da una gita a Firenze insieme alla famiglia.
Ma il libro Italicus è anche altro. È – come scandisce per l’appunto il sottotitolo – anche la storia di 4 stragi: le due riuscite di Brescia (28 agosto 1974) e del 4 agosto e le altrettante tentative, quella di Silvi Marina (Pescara) del 29 gennaio lungo la linea Adriatica su cui transitava il treno Milano-Bari e l’altra, del 21 aprile, a Vaiano (Prato), di nuovo lungo la linea Bologna-Firenze. “Nel 1974 ci fu chi credette che fosse giunta l’ora X”, scrivono gli autori. “Che fosse il momento di mettere definitivamente l’Italia in ginocchio. È questo ciò che si ripromettevano di ottenere i quattro eccidi programmati e progettati per quell’anno”. Ma poi, secondo la ricostruzione di Bolognesi e Scardova, il panorama internazionale mutò con la fine dell’asse statunitense Nixon-Kissinger e il tramonto delle dittature in Grecia e in Portogallo. E anche in Italia le carte si sparigliarono al punto che per “destabilizzare per stabilizzare”, secondo un vecchio slogan, occorreva inabissarsi e occupare dall’interno le istituzioni, non abbatterle con un colpo di mano.
Ecco così che entrò nel pieno la stagione d’oro della P2 di Licio Gelli e che dalle strategie militari si passò a quelle definite nel Piano di rinascita democratica, documento d’ordine tale per cui la società italiana andava trasformata tagliando le code estreme del Parlamento, soffocando l’attività sindacale, controllando la stampa e orientandosi verso una Repubblica che non fosse più parlamentare ma presidenziale. E mentre i giochi dei poteri infedeli alla Costituzione non si interrompevano, ecco che dal 1974 in avanti sulla scena sarebbero ricomparse organizzazioni eversive neofasciste disciolte poco prima, informatori dei servizi segreti depistanti, inchieste spostate e spezzate tra una procura e all’altra, comitati di industriali disposti a finanziare disegni autoritari. Un quadro complesso, questo, ricostruito attraverso le carte giudiziarie digitalizzate e più facilmente consultabili. E che, negli auspici degli autori, potrà essere arricchito dall’apertura di basi documentali mai consultate (non solo quelle coperte da classifica) e da riversare nell’Archivio di Stato.
Conclude in proposito Paolo Bolognesi in proposito: “Per rendere inaccessibile alla magistratura un documento non occorre un timbro che imprima il formale ‘segreto di Stato’. In questi decenni, per cambiare il corso dei processi per strage, è bastato omettere l’invio di una nota informativa, distruggere un atto, far sparire un fascicolo, non ‘ricordare’ nomi e circostanze, negare l’esistenza di fascicoli e interi archivi. Si è potuto così coprire mandanti e ispiratori politici, proteggere esecutori e lasciare sul tavolo della storia eccidi impuniti”. Con la direttiva firmata dal presidente del ConsiglioMatteo Renzi la primavera scorsa, si potrà andare a guardare anche un pezzo di questa storia attraverso documenti inediti, almeno quelli sopravvissuti. Ed entro l’autunno, probabilmente, avvalersi del reato di depistaggio, il cui testo è appena stato licenziato dalla Commissione giustizia per passare a breve al vaglio delle Camere.
Infatti
Unione sarda del 4\8\2014
prigionia. Ma Aldo Moro rientra anche nella storia della strage dell'Italicus perché sul quel treno ci sarebbe dovuto essere anche lui quella sera diretto a Bellamonte per raggiungere la famiglia. Quel treno Moro non lo prese perché fu raggiunto da alcuni funzionari del Ministero e venne fatto scendere all'ultimo momento per firmare alcuni documenti. Una fortunata casualità o uno dei tanti misteri che la storia italiana ha consegnato e conserva. I grandi gialli vanno risolti ma per raccontare una storia e ricordarne gli attori principali non si può rischiare di perdersi nel tentativo di svelare i misteri o, almeno in questo ricordo, andare a ripercorrere le tappe dei processi. Abbiamo i protagonisti quelli che, loro malgrado, lo sono diventati senza volerlo, senza chiedere medaglie da eroi. Sono Elena Donatini (58 anni), Nicola Buffi (51 anni), Herbert Kontriner (35 anni), Nunzio Russo (49 anni), Marco Russo (14 anni), Maria Santina Carraro in Russo (47 anni), Tsugufumi Fukuda (32 anni), Antonio Medaglia (70 anni), Elena Celli (67 anni), Raffaele Garosi (22 anni), Wilhelmus J. Hanema (20 anni) e Silver Sirotti (25 anni). I morti, chi rimase ferito, chi perse amici e parenti e le tante persone che andarono per dare una mano: queste sono le per
Infatti
Unione sarda del 4\8\2014
Il 4 agosto del 1974 una bomba esplose sul treno espresso Roma-Monaco di Baviera. Morirono 12 persone.
"Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti". Sono le parole contenute in un volantino che rivendicava uno dei tanti attentati che hanno messo in ginocchio l'Italia degli anni 70 e 80. È da poco passata l'una del 4 agosto 1974, per la precisione sono passati esattamente 23 minuti e sulla vettura 5 dell'espresso Roma-Monaco di Baviera via Brennero viaggiano numerose persone. All'improvviso un boato squarcia la notte quanto il treno si trova vicino alla stazione di San Benedetto val di Sambro. Una bomba uccide 12 persone e ne ferisce altre 48. Dopo l'esplosione sulla vettura scoppia un terribile incendio che dura diverse ore. Una morte risucchiata in quel periodo in cui l'ideologia politica ammazzava, a destra e a sinistra. A morire, però, furono persone normali come spesso con accezione tendente al negativo si chiama "gente comune". Eppure era proprio quella gente comune ad assistere e molto spesso a subire un'onda violenta che da Piazza Fontana in poi ha dato vita a quelli che passano alla storia come gli anni di piombo. Tra le tante figure simbolo di quegli anni c'è Aldo Moro rapito e ucciso dalle Brigate rosse il 9 maggio del 1978 dopo 55 giorni di sone che meritano il ricordo perché in quegli anni era difficile anche essere "gente comune".
il treno italicus |
Matteo Sau