24.6.21

quando un gesto simbolo come quello dei Blm diventata conformismo e monotonia

 

da poco ho condiviso sulla mia bacheca  di fb   questi  due   post :  uno con  polemica   

Potrebbe essere un'immagine raffigurante una o più persone e testo
«Secondo me inginocchiarmi è degradante, perché i miei genitori mi hanno sempre detto di essere orgoglioso di essere nero. Dovremmo rimanere in piedi, non inginocchiarci. Io non mi inginocchierò e non indosserò una maglietta con la scritta Black Lives Matter. Si cerca di dire che siamo tutti uguali, ma la verità è che ci stiamo isolando con queste cose, che secondo me non stanno nemmeno funzionando. Questa è la mia posizione».
Wilfried Zaha, centrocampista ivoriano del Crystal Palace.

un altro    in cui  riporto  il  video (  se  non lo trovate  qui  https://video.gazzetta.it/europei-letta-inginocchiatevi-tutti-domenica-scena-pessima/011afd54-d336-11eb-bfa7-132b99147e44 )   di letta  in cui si lamenta  perchè non tutti i  giocatori  azzurri  si sono inginocchiati 


è  vero che  è  gesto simbolico   perchè quella è la posizione dell'assassino in divisa quando ha ucciso George Floyd.   Ed  esso    Come   il pugno chiuso alle olimpiadi di città del Messico  1968  ha  una  forte  valenza   politica  \  culturale    tant  è vero che   gli enti sportivi  li vogliono vietare  come  hanno vietato   quello  dello stadio illuminato con i colori dell'arcobaleno  durante la partita   contro  l'Ungheria    per la  sua politica  omofoba  e  anti lgbt    tentando    di  spoliticizzare gli eventi  sportivi . Ma  quando un rappresentante  di partito   (vedi primo  post  ) lo rivendica     non  è  più  qualcosa   di simbolico  spontaneo ma  un  rituale  e  quindi   perde      il  suo significato originale  , finendo  per   diventare  un qualcosa  di  forzato ed  obbligatorio   .   Infatti  come    ho  detto   nela discussione del  secondo  post


  • Pina Sechi
    Rimani in piedi, nessuno costringe nessuno. Degradante è ignorare il gesto dei tuoi compagni di gioco che, in tal modo, esprimono la loro condanna al razzismo. Degradante è giustificare i propri atteggiamenti con scuse ridicole del tipo "Non stanno funzionando". Un gesto di solidarietà come un altro. Se avessero deciso di prendersi per mano o di manifestare con un altro gesto tu saresti comunque rimasto in disparte infatti si poteva restare in piedi anche solo indossando la maglietta BLM...per fortuna non tutti la pensano come te!
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  • Giuseppe Scano
    si può essere anche blm senza doversi per forza inginocchiare o portare magliette .
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    • Pina Sechi
      Giuseppe Scano No se una persona non vuole essere uguale agli altri...si comporta diversamente dagli altri come fa lui!
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    • Giuseppe Scano
      Pina Sechi si può essere uguali anche con la diversità
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    • Pina Sechi
      Giuseppe Scano Parole, parole, parole...
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    • Pina Sechi
      Giuseppe Scano Per me si se si pronunciano frasi come " inginocchiarmi è degradante, perché i miei genitori mi hanno sempre detto di essere orgoglioso di essere nero" anche i bianchi che si sono inginocchiati sono orgogliosi di essere bianchi e quindi? Oppure "non indosserò una maglietta con la scritta Black Lives Matter" o ancora "ci stiamo isolando con queste cose, che secondo me non stanno nemmeno funzionando" Piu' menefreghismo di questo e "Ci inginocchiamo giusto per farlo, non è sufficiente" e cosa vorrebbe la rivoluzione armata? Scuse ridicole che nessuno gli ha chiesto che forse a nessuno interessano i suoi perchè, ma dopo le critiche qualcosa doveva pur dire ma non ha neppure detto che apprezza queste manifestazioni contro il razzismo.

Quindi    si può ( e  si deve  )  essere  anti razzisti ,  a prescindere  da  rituali  e    gesti forzati  per  parafrasare  questa  vignetta  (  a  sinistra  )  contano  di  più    i fatti concreti   che i gesti simbolici obbligatori  . Ecco    Che se ripetuti  e standardizzati   tali  gesti possono diventare   una  sorta di conformismo    e  lo  si fa  tanto per  fare  con il  rischio   che  succeda ,  e  già sta iniziando  a  succedere nelle polemiche  in rete  ogni qualvolta  si  parla   di ciò.   quanto prospetta  l'amico    

Commenti: 1

  • Omar Eustat Arcano
    Ci sono 3 motivi validi per inginocchiarsi: 1) durante una preghiera. 2) per chiedere perdono/clemenza. 3) per sottomettersi a qualcuno. Inginocchiarsi per altri motivi, seppur nobili, rischia di avere l'effetto contrario e alimentare ciò che almeno a parole si sta combattendo.



  




23.6.21

Lupin di netflix una mezza delusione . vale la pena farne una terza stagione ? OCCHIO SPOILER

 





Dopo una scoppiettante prima stagione la storia di Lupin va avanti con meccanismi troppo prevedibili, si riescono ad anticipare le mosse dei personaggi prima ancora che le mettano in pratica con una facilità che lascia davvero stupiti (in negativo). Manca lo stupore, manca a differenza della prima il restare a occhi sbarrati perché non ci si aspettava minimamente quel risvolto di trama . Sembra secondo molte critiche in particolare quella di https://www.today.it/media/serie-tv manca tutta o quasi quell'astuzia che Lupin ha per carattere ma che non mostra al suo pubblico in questa seconda parte di stagione.
Il cattivo viene catturato , il figlio di Lupin viene ritrovato, Lupin stesso riesce a non essere arrestato dalla polizia, il poliziotto appassionato dei romanzi su Lupin si allea con lo stesso Assane Diop, la polizia corrotta viene scoperta, tutto è andato come doveva andare . E la serie sia secondo indiscrezioni sia alcun indizi all'intermo di questa stagione è già confermato una terza stagione, a questo punto poteva anche finire così. Infatti   farne una 3 mi sembra esagerato   visto che   come fa  notare  anche      quest  articolo  di  https://www.today.it/media/serie-tv


Non c'è alcun motivo per aspettare nuovi episodi senza neanche un cliffhanger finale nella storia. Manca anche il minimo appiglio che possa creare un hype o una minima voglia nello spettatore di aspettare l'uscita dei nuovi episodi ma questo punto, si è ben capito che Lupin altro non è che una di quelle serie tv da vedere in scioltezza quando non si sa cosa guardare, si vuole accontentare un po' tutti e non si ha voglia di pensare. Un po' come le commedie romantiche dove si sa già tutto quello che accadrà ma le si guarda lo stesso per passare il tempo in leggerezza, allo stesso modo Lupin da grande naovità Netflix di questo inverno è diventato la versione "mistery" di una classica commedia romantica. Ma, alla fine, c'è bisogno anche di questo.re rispetto alla precedente. troppo prevedibile . ma da lì a farne una 3 mi sembra esagerato . infatti

a meno che , ma non mi sembra , abbiano progetti idee originali del tipo : far saltare fuori la famosa collana ( sempre che non sua stata smembrata nei diversi diamanti dati ai complici o svenduta per ottenere i soldi usati per le varie spese affrontate nelle due stagioni ) ., decidere se proseguire la relazione con la madre di suo figlio o la figlia del suo rivale ., far sapere alla figlia del suo rivale che il conto off store con le donazioni ottenute dall concerto è intestato alla figlia del suo rivale e alla sua associazione benefica ., mettere la testa apposto o continuare la carriera di Lupin., finire in galera in maniera definitiva ., arrendersi per  il bene del figlio  . Per il momento facendo la media con la stagione precedente un bel 6.5 non gli lo toglie nessuno . Quindi per la terza serie che non so se seguirò posso dire chi vivrà vedrà

Antonio malato di Sla prende la laurea magistrale con 110 e lode e la dedica alla mamma scomparsa un mese fa

 Antonio, 45 anni, di Villa Literno, malato di Sla da 20, ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Economiche con 110 e lode, frequentando a distanza i corsi universitari.Ha voluto dedicare la sua tesi all'amatissima mamma Brigida, scomparsa un mese fa. Tantissimi i messaggi di congratulazioni arrivati ad
Antonio per l'importante traguardo raggiunto.
"Non mi sono voluto fermare alla laurea triennale – racconta Antonio Tessitore – Avevo l'obiettivo di completare tutto il percorso di studi. E sono contento di esserci riuscito, specialmente in un periodo difficile come questo segnato dalla pandemia del Covid19. Userò tutte le mie conoscenze per garantirmi una vita adeguata".

Leggi la storia di Antonio su:
http://fanpa.ge/xKrEJ

anche con la birra si può fare del bene e creare lavoro il caso della birra del "Il progetto Cacciatori di briciole e della birra messina

da repubblica del 23\6\201 e dalla pagina https://www.repubblica.it/il-gusto/argomenti/Le_storie c'è ancora chi resiste al calo dei consumi e alle pressioni delle multinazionali \ colossi esteri che dopo aver iniziato a fare acquisti in italia con le Peroni e le Ichnusa. 




Poi hanno puntato ad acquisire quelle artigianali. Vista la resistenza italiana ora cambiano strategia. E si travestono

repubblica  del  23\6\2021

Cacciatori di briciole: una birra buona capace di fare del bene


Nata dall'associazione Volontarius di Bolzano, viene prodotta da pane nero altoatesino riciclato e i proventi delle vendite vanno a finanziare i servizi a finanziare i progetti del gruppo di volontari

Un gruppo di persone e una vocazione, quella di aiutare gli altri. Una vocazione che non permette di stare fermi, con le mani in mano, di chiudere gli occhi davanti alle difficoltà del mondo e che porta sempre a nuovi passi, nuovi progetti, nuovi tentativi di cambiare le cose. "Il progetto Cacciatori di briciole è nato così, da un'idea, dalla
voglia di continuare ad aiutare e a fare di più, magari uscendo dalle nostre bellissime montagne per andare ancora oltre". A parlare sono Christian Bacci e Irene Gillio Meina, Vicepresidente dell'Associazione Volontarius di Bolzano lui ed entrambi referenti del progetto che, prendendo spunto dalla raccolta e redistribuzione quotidiana che l'associazione attua di cibo (che altrimenti andrebbe buttato) presso i meno abbienti, ha portato alla creazione di una birra che fosse allo stesso tempo antispreco e solidale. Perché tutti i proventi della vendita della birra andranno a finanziare le attività dell'associazione. Un doppio goal, che è uffialmente partito e arrivato nei mercati il 4 giugno 2021, dopo una piccola conferenza stampa che ha già fatto tanto rumore. 
La loro Cacciatori di briciole prende la sua forza dal pane, quello riciclato e donato a Volontarius (che opera sul territorio altoatesino dalla fine degli anni '90) "da un'azienda che vuole restare anonima. La beneficenza come pubblicità non gli interessa" sottolina Bacci, "ha a cuore solo la possibilità di aiutare chi ne ha bisogno" ed è nata grazie alla visione di un documentario. "Abbiamo scoperto così, per caso, che la birra veniva prodotta già ai tempi dei Sumeri con il pane, principalmente da una farina mista di orzo e farro; il prodotto veniva fatto macerare con l'acqua e si trasformava poi in una bevanda considerata una proto birra. Avendo già dei contatti con un birrificio locale gli abbiamo presentato", nel mese di febbraio 2021 l'idea. "Ovvero di utilizzare un prodotto estremamente territoriale, il pane nero altoatesino, per una birra. Il birrificio (Batzen di Bolzano, uno dei più antichi della città, ndr) ha sposato subito il progetto e le sperimentazioni sono partite immediatamente. Siamo stati fortunati, perché la prima prova era già organoletticamente perfetta". Le bottiglie della prima cotta sono 4200 e sono serviti oltre 50 chili di pane per poterle portare sugli scaffali di botteghe e supermercati, "per ora solamente del nostro territorio, ma dalla prossima produzione contiamo di aumentare i numeri e oltrepassare i nostri confini. Sarebbe un grande successo". 

Christian Bacci e la birra Cacciatori di briciole 

  Una birra, Cacciatori di briciole, che vuole essere un megafono per le attività dell'associazione che da sempre si "occupa di servizi alla persona. In tutto i progetti dell'associazione sono più di 40", ma la birra è strettamente legata all'attività più vecchia di Volontarius. Ovvero quella del riutilizzo e del riclo del cibo avanzato alle attività di ristorazione. "All'inizio giravamo con il camper una volta a settimana e portavamo un panino, un tè e una brioches ai senza tetto della città, del circondario, ma a lungo andare abbiamo visto che tutto questo non bastava più: i soldi che ci venivano erogati erano sempre meno e le persone che ne avevano bisogno sempre di più". Così è nata l'idea di andare a recuperare il cibo mancante, rispetto alle necessità, "da bar e panifici che altrimenti lo avrebbero buttato. Compreso il panificio che oggi ci fornisce anche del necessario per la produzione di Cacciatori di briciole", nome che assume un significato in più quando si va appena appena al di là delle apparenze. Non semplicemente un gioco di parole rispetto all'ingrediente principale, quindi, ma un rimando reale al lavoro che decine di volontari fanno, ogni giorno, sul territorio.

Il tutto grazie, spiega Irene Gillio Meina, "all'ampliamento della Legge Gadda contro lo spreco alimentare. Varata nel 2016 e ampliata nei suoi poteri nel 2019, poco prima dell'avvento del Covid, è una legge unica in Europa, che ha permesso non solo un crollo del volume del cibo sprecato quotidianamente in Italia, ma anche una crescita della consapevolezza" e soprattutto un cambio di mentalità rispetto al concetto consumistico degli acquisti di cibo e dei conseguenti sprechi. "La vera novità è che non agisce tramite sanzioni (come la normativa precedente, ndr), ma attraverso un incentivo che avviene sottoforma di importanti sgravi fiscali e di una sensibile semplificazione burocratica". Una legge che, di fatto, finalizza "all'inclusione sociale il recupero dei beni considerati primari per la vita di un essere umano", dal cibo ai medicinali, passando anche per la cancelleria. "E che di riflesso si sposa alla perfezione con le nostre finalità come Associazione". Ha aiutato infatti, spiegano i volontari, non solo nella realizzazione della birra solidale, ma anche in quella del Briciole Market: "un market in cui abbiamo superato il concetto di pacco solidale, in cui le persone potrebbero ritrovarsi prodotti che per attitudini, necessità o religione non possono utilizzare. Invece diamo ai nostri assistiti dei punti spesa a seconda del reddito familiare, che possono essere spesi come se fossero veri e propri soldi, acquistando dagli scaffali in totale autonomia". Un metodo per aiutare le persone ad avere quello di cui veramente hanno bisogno, che richiede una copertura del territorio di recupero dei beni capillare, permessa appunto "dalla Legge Gadda di cui" sottolinea sorridendo la volontaria, "sono diventata esperta mio malgrado, studiandola per aiutare noi e le aziende che ci aiutano". Una legge, tanti esseri umani di buona volontà e un progetto - fra i tanti - bello e buono, che vuole aiutare in due modi: incamerando soldi da investire in buone pratiche e raccontando queste buone pratiche a chi ne era lontano a causa di questo mondo frenetico, sempre meno solidale. 




La birra a Messina è una storia che risale al 1923, ma quella che rappresentava una tradizione nella storia produttiva della Sicilia rischiava di scomparire nel 2011, quando a causa dei modelli dominanti di economia fu chiuso lo storico stabilimento, ancora oggi dismesso e vandalizzato, con i dipendenti che rimasero senza lavoro. Dopo un anno e mezzo di presidi da parte dei lavoratori e vedendosi negare anche la possibilità di un prestito è intervenuta la Fondazione Comunità di Messina che non solo ha fatto da garante agli ex 15 operai, ma ha attratto importanti investimenti. Nel 2013 nasce così la cooperativa Birrificio Messina, con un nuovo stabilimento dove oggi viene prodotta La birra dello Stretto e la Doc15. A tramandare la ricetta “segreta” sono generazioni di mastri birrai che qui lavorano e hanno combattuto per salvare quella che a Messina è molto più che una tradizione.


Un sogno chiamato Olimpiadi


leggi  anche
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2021/06/cosi-nacquero-gli-altri-giochi-olimpici.html



Rebecca non aveva ancora compiuto 5 anni, era in vacanza con suo padre e alla televisione del campeggio trasmettevano i Giochi olimpici di Atene. Lei alzò il dito e indicò lo schermo: «Papà, io questo voglio fare da grande: voglio andare alle Olimpiadi». Era l’estate del 2004 e da quel momento Rebecca alla domanda “Cosa vuoi fare da grande” avrebbe sempre risposto «Fare le Olimpiadi». Sono passati diciassette anni, Rebecca ne ha ventuno, e questa estate il suo sogno di bambina si sarà realizzato.



Rebecca Nicoli a 8 anni in sella alla sua prima cavalla Daniela


Rebecca Nicoli è nata a Milano mentre finiva lo scorso millennio, è cresciuta nella stessa zona dove abitavo io da bambino e si è fatta notare intorno al Parco di Trenno dove faceva equitazione. Avevo sentito parlare di lei, così quando mi hanno detto che si era qualificata per Tokyo ho immaginato che ci andasse con il suo cavallo. Invece no, mi hanno raccontato che aveva cambiato e si era messa a fare i tuffi, ho pensato che potesse essere l’erede di Tania Cagnotto, allora sono andato a guardare su internet e, con grande sorpresa, ho scoperto che la sua specialità è il pugilato. Rebecca è una delle quattro atlete italiane che saliranno sul ring in Giappone, di uomini invece non ce ne sarà nemmeno uno.
Mi sono procurato il suo numero e l’ho chiamata per farmi raccontare la sua storia e la realizzazione del suo sogno di bambina.

C’è sempre il campeggio nei racconti di Rebecca: «Sì, perché lo gestivano i miei nonni, poco lontano da Genova e io ci passavo moltissimo tempo e tutte le vacanze. Poco lontano c’era un maneggio e ho cominciato a salire sui cavalli per gioco. In pochissimo tempo l’equitazione è diventata la mia grande passione. Sono andata avanti dieci anni, facevo le gare sia di salto a ostacoli che di endurance e ho vinto un campionato invernale del mio centro ippico».
La sua prima cavalla si chiamava Daniela - «Però il nome – precisa ridendo - non gliel’ho dato io: non si può chiamare così un cavallo!» -, poi ne seguirono altri cinque, che oggi sono ospitati nell’azienda agricola gestita dal padre in Piemonte, tra loro c’è ancora Macho con cui ha iniziato a gareggiare seriamente. Quando può li va a trovare e allora io non riesco a capire cosa si sia rotto tra lei e i suoi cavalli.
«La verità è che avevo sempre in testa questa storia delle Olimpiadi e l’equitazione non mi dava l’idea che il merito fosse mio quando vincevo una gara, il merito è soprattutto del cavallo e non ero così soddisfatta. Nel frattempo, avevano iniziato a fare i tuffi e mi ero innamorata anche di quello sport». Rebecca smette di parlare e si mette a ridere: «Ho fatto dieci miliardi di sport contemporaneamente, pensa che insieme ai cavalli e ai tuffi facevo parkour, attività pericolosissima ma bellissima (…). Comunque, ho dovuto smettere di tuffarmi perché mi chiedevano di andare due volte al giorno, mattina e pomeriggio, ma io non ero tanto brava a scuola e non me lo potevo permettere».


Rebecca impegnata in un test match prima del torneo di qualificazione ai Giochi olimpici


Poi la famiglia si trasferisce a Pavia e i mille sport di Rebecca, che aveva appena compiuto 16 anni, si interrompono: «Ero un po’ in carne e facevo le diete malate delle ragazzine, tipo: acqua e limone. Una sera mia madre porta a casa il volantino di una palestra di pugilato e mi dice: “Invece di fare queste stupide diete vai a bruciare un po’ di calorie”. Io chiamo e mi risponde Gianni Birardi, che diventerà il mio allenatore, e dice semplicemente: “Vieni a provare, ti aspetto”».
La prima domanda che le fa quando arriva in palestra è secca: «Tu dove vuoi arrivare?». «Voglio arrivare alle Olimpiadi», risponde come al solito lei. «Beh, vedo che sei molto convinta di te stessa, allora cominciamo subito». Da quel momento Rebecca non è mancata un giorno. Al primo incontro batte la campionessa italiana youth e poco dopo la chiamano in Nazionale.


Rebecca Nicoli nel suo angolo prima dell’inizio dell’incontro


Una ragazza che a sedici anni decide di prendere pugni mi fa impressione e non riesco a nasconderglielo: «All’inizio ero convinta che mi sarei rovinata la faccia, che facesse malissimo, invece era più una paura mentale che reale. Pensa che non solo non mi sono mai rotta il naso ma non mi è mai nemmeno sanguinato. Mio padre invece era terrorizzato e il mio primo match è stato il giorno del suo compleanno, una coincidenza assurda. Oggi è il mio primo fan. Invece mia madre era già appassionata di pugilato perché lo faceva il nonno».

La ascolto parlare, la sua lingua è un misto di inflessioni dialettali, c’è dentro Milano, ma anche la Liguria e i luoghi dove ha vissuto per allenarsi, da Assisi a Napoli. Ama profondamente quello che fa e studia ogni dettaglio con dedizione assoluta: «Il mio pugilato è molto preciso, io ho gli occhi veloci e schivo i colpi. Ho fatto mia l’idea che la miglior difesa è l’attacco, sono pressante sul ring: io schivo e ti rispondo subito». Mi viene in mente il documentario bellissimo su Muhammad Ali – When We Were Kings - al suo match in Congo, in cui lui sembrava ballare e danzare sul ring, le chiedo se si ispiri a quello. «Potrei risponderti di sì e non sarebbe sbagliato, però la verità è che cerco di prendere qualcosa da tutti, partendo dalle mie compagne di nazionale fino ai grandi campioni della storia. Tutte e tutti hanno qualcosa da insegnarti».


Rebecca Nicoli esulta dopo aver ottenuto al torneo di Parigi la qualificazione alle Olimpiadi


Insisto a chiederle cosa ci trovi nella boxe, non si secca ma, anzi, è sempre più gentile e cerca di convincermi: «Il pugilato riesce a tirare fuori tutte le mie emozioni: è talmente vero. Quando sei sul ring vedi in uno specchio come sei dentro, vedi chi sei nelle tue paure e nelle tue incertezze. Lo sport è una guida per la vita, ci parla di noi stessi».
Uno sport storicamente maschile ma questa volta completamente femminile: «Questa è una svolta storica, certo mi dispiace che nessuno dei ragazzi si sia qualificato, siamo una squadra molto unita, ma per la storia del pugilato una delegazione tutta femminile è un’immagine fortissima».


Rebecca dopo essersi qualificata alle Olimpiadi abbraccia il direttore tecnico Emanuele Renzini e il suo fisioterapista Fabio Morbidini


L’ultima domanda è sul suo sogno di bambina, come farà adesso che lo sta per coronare a soli 21 anni? «È vero, questa estate avrò avverato il mio grande sogno, non sapevo in che sport ma sono arrivata alle Olimpiadi. Ora sto con i piedi per terra ma spero in una medaglia. Però il nuovo sogno è già qui con me: diventare un’allenatrice che porta un’atleta alle Olimpiadi. La soddisfazione immensa di insegnare e accompagnare qualcuno. La bambina che porterò ai Giochi non lo sa ancora, ma è già da qualche parte».

22.6.21

l'italia schiacciata tra il vaticano che richiama l'ambasciatore per il decreto zan Letta che si lamenta perchè i giocatori della nazionale non si sono inginocchiati


Ama il tuo prossimo come te stesso, ma se è gay invece odialo avrà sicuramente interpretato così la Bibbia il Vaticano, quest’ultimo ha infatti attivato i propri canali diplomatici per chiedere formalmente al governo italiano di bloccare il disegno di legge zan contro l’omotransfobia, l’abilismo e il sessismo. [..... da https://www.instagram.com/apriteilcervello/ ]
Secondo il Vaticano il ddl zan violerebbe alcuni contenuti dell’accordo di revisione del Concordato, poiché limiterebbe la libertà d’espressione dei cattolici, fake news smentita più volta, tant’è che all’interno dello stesso ddlzan è presente l’articolo 4 che afferma: “ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.
Nessuna novità il Vaticano a ha sempre fatto pressioni ed interventi diretti contro la politica italiana ricordate quello contro il referendum sulla procreazione assistista . Ma - sempre come dice l'account Instagram apriteilcervello - Ad ogni modo si tratta di un atto senza precedenti nella storia, mai infatti, la
Chiesa era intervenuta nell’iter di approvazione di una legge italiana, esercitando le facoltà previste dai Patti Lateranensi (e dalle loro successive modificazioni, come in questo caso).
È triste vedere come una religione che nella teoria dovrebbe professare amore, si muova ancora una volta per tutelare odio ed omofobia.
I giovani cattolici, che in tantissimi casi sono molto diversi rispetto ai classici bigotti cattolici, dovrebbero prendere atto di tutto questo e constatare che purtroppo la Chiesa cattolica (a causa dei continui interventi del Vaticano) sta tendendo sempre di più verso posizioni estremiste e volte al “ non rinnovamento” e poi piange lacrime di coccodrillo se le chiese sono vuote e la gente soprattutto i giovani gli chiedono ma tu sei credente : << si . ma non praticante >> Interessante vedere come i sovranisti :  si agitino di fronte a ogni minima presunta ingerenza straniera, ogni miglio marino “rubato” dagli “invasori” francesi, che aizzano le folle contro l’Europa brutta e cattiva ad ogni accordo o risoluzione, ma plaudono gaudenti di fronte a un paese straniero a cui abbiamo dato il diritto e il potere di decidere le leggi “A CASA NOSTRA” (per usare un’espressione cara ai salvinardi). Sovranisti  che 

   Se non ci fosse da piangere, ci sarebbe da ridere.

Avevo appena  finito di   commentare  l'intromissione del vaticano nella nostra  politica   quando     sempre da  fb ho appreso  quest'altra news 

Un livello di sottopiano questo che si credeva fosse un politico serio nonostante fosse nipote di Gianni Letta, all'anagrafe Giovanni Letta un Berlusconiano di ferro invece    è  un solo un cialtroncello che impone l'ennesimo oltraggio alla libertà di scelta. Per cosa poi? Per dire al bidè americano che l'Italia e gli italiani sono fedeli. 



Inginocchiatevi anche per i milioni di poveri della strage impunita di questi ultimi anni, dei suicidi per disperazione, per chi ha subito e subisce la disperazione di non avere un lavoro, per i 10 milioni di italiani in povertà estrema, per i malati che non hanno possibilità di curarsi, per i nostri vecchi abbandonati che non hanno una famiglia, per chi muore ogni giorno e più volte, per coloro che lottano inutilmente per i diritti sociali e civili....

21.6.21

intervista a Mario Gerolamo Mossa autore del saggio “Bob Dylan & Like a Rolling Stone. Filologia-Composizione-Performance” (Mimesis, 2021

Qualche mese fa è uscito un libro “Bob Dylan & Like a Rolling Stone. Filologia-Composizione-Performance” (Mimesis, 2021). di Mario Gerolamo Mossaun giovane studioso, dottorando di ricerca in Studi italianistici all'Università di Pisa, con un progetto di natura comparatistica incentrato sulla canzone d'autore italiana e sul singer-songwriting angloamericano.    

Un libro particolare vista la prefazione di pregio , quella di Alessandro Carrera traduttore di Bob Dylan in Italia e il fatto che l'autore è stato ospite del Centro Studi Fabrizio De André per presentare il suo libro insieme ad Alessandro Carrera.
L'evento è organizzato in collaborazione con "Semicerchio. Rivista di poesia comparata" e con il patrocinio della Fondazione De André, del Dipartimento di Filologia e Critica delle Letterature Antiche e Moderne dell'Università degli Studi di Siena e della Società Italiana di Musicologia.
In questo libro, Mario Gerolamo Mossa indaga per la prima volta tutte le fasi creative del capolavoro dylaniano, dalla sua ideazione fino alle più significative esecuzioni dal vivo, facendo ricorso a numerosi materiali inediti e adottando una metodologia interdisciplinare particolarmente attenta al rapporto tra oralità e scrittura, unendo elementi tipici della tradizionale biografia rock all’analisi musicologica aderente alla più moderna accademia in materia di popular music studies.
Incuriosito oltre dal batage culturale e mediatico ( vedi le righe precedenti ) anche da quanto ha scritto Alessandro Carrera nella prefazione, questo saggio “offre l’analisi più ampia, minuziosa e ossessiva mai condotta di Like a Rolling Stone in qualsiasi lingua”, ricostruendo la storia di una voce che da oltre mezzo secolo affida alla cruciale domanda “Come ci si sente?”, How does it feel?, la ricerca di una verità imprevedibile e transitoria, libera da ogni ideologia come da ogni pregiudizio che è nata questa mia intervista  all'autore  (  foto sotto sotto a destra  )


di solito i millennial generation non amano granchè la musica degli anni 60\80 e la considerano jurassica \ anticaglie , quindi ti chiedo com'è nata la tua passione anzi meglio venerazione da come ti descrive https://www.rollingstone.it/musica/perche-like-a-rolling-stone-di-bob-dylan-e-una-canzone-sconfinata/548932/#Part9 ?

Ho iniziato ad avvicinarmi alla canzone d’autore durante la mia adolescenza. Non dirò chi era
il mio mito di allora perché è facilmente prevedibile, essendo originario di Tempio Pausania. Sicuramente all’inizio il mio interesse per quella tradizione era vicino alla “venerazione”; poi, con gli anni, e soprattutto studiando la letteratura “non” cantata, mi sono accorto che era più appagante confrontarsi criticamente con i propri miti. Non necessariamente per demistificarli, ma anzi per renderli più umani, e comprenderli più da vicino. La passione per la musica deriva da mio padre – che resta il mio cantautore preferito per ragioni che prescindono dal mio lavoro – anche se è stata mia madre a farmi sentire per la prima volta gli artisti che avrebbero poi cambiato la mia vita.

come mai hai scelto per analizzare un icona cosi complessa ( vedere No Direction Home: Bob Dylan il film documentario del 2005 diretto da Martin Scorsese che ripercorre la vita di Bob Dylan fino all'incidente motociclistico occorsogli nel 1966 e il suo impatto sulla musica e sulla cultura americana. Bob Dylan , la sua Like a Rolling Stone e non tutte le sue canzoni ?

Ho scelto Like a Rolling Stone per due ragioni. La prima è che tra tutte le canzoni dylaniane, Like a Rolling Stone è quella che ha avuto un maggiore impatto sul mondo, segnando un momento di rottura sia rispetto alla poetica dell’autore, sia rispetto alla storia della popular music e della critica musicale secondo-novecentesca. La seconda ragione è che, anche un po’ per caso, mi sono ritrovato a consultare molti documenti inediti che testimoniavano la composizione di Like a Rolling Stone, e che erano assenti in tutta l’immensa bibliografia su questo brano. Aggiungo che ad oggi non esiste una tradizione di studi filologici intorno alle canzoni, e quindi il caso di Like a Rolling Stone era particolarmente utile per porre dei problemi di metodo più generali.

in che senso : <<tra tutte le canzoni dylaniane, Like a Rolling Stone è quella che ha avuto un maggiore impatto sul mondo, segnando un momento di rottura sia rispetto alla poetica dell’autore, sia rispetto alla storia della popular music e della critica musicale secondo- novecentesca. >> ? in cosa consiste questa importanza e perchè .


Like a Rolling Stone é stata una canzone di rottura per varie ragioni, di tipo storico, poetico e compositivo. Dal punto di vista storico, ha per la prima volta imposto al mondo l'immagine di un Bob Dylan provocatoriamente disinteressato alla canzone folk e ai suoi ideali, suscitando enorme scandalo tra i suoi stessi fan e in generale in tutti coloro che avevano visto in lui il cantore del movimento per i diritti civili. Dal punto di vista poetico, Dylan manifesta un individualismo cinico e provocatorio che rivela l'intenzione di liberarsi da quell'immagine pubblica e dai suoi presunti "doveri" ideologici e morali. Da una prospettiva tecnica, infine, Like a Rolling Stone é la prima canzone dylaniana che viene composta estrapolando frammenti testuali da prose dattiloscritte che non erano state concepite per il canto. A questo si aggiunge anche il fatto che si tratta del primo brano in cui Dylan collabora attivamente con una band, confrontandosi con il genere del folk-rock e proponendosi per la prima volta come un "regista" della sua opera.

corrisponde a verità oppure è solo un modo di dire che : << Una cosa è certa. Quando la critica rock è nata per cercare di capire cos’era mai l’oggetto Like a Rolling Stone, caduto dal cielo come un meteorite, il rock and roll ha perso l’innocenza. L’ha persa molte altre volte, ma l’analisi filologica di Mossa, che davvero rivolta tutte le pietre (leaves no stone unturned, si direbbe, o no stone rolling, se vogliamo) è un’ulteriore perdita di innocenza. Mossa ha rotto il giocattolo, ed era tempo, ma non c’è da preoccuparsi, alla prossima esecuzione Like a Rolling Stone si rimetterà insieme, tornerà come nuova e riprenderà il suo rolling on.>>( dalla rivista rollingstone ) ?

Le metafore di Alessandro Carrera intendono sottolineare il fatto che, come dicevo, non esistono studi filologici dedicati alle canzoni, e quindi in un certo senso il mio libro rappresenta anche una sorta di “perdita dell’innocenza”. Le sfumature ironiche si devono al luogo comune della dylanologia (termine storicamente negativo che identifica più i fanatici che gli studiosi) per cui ogni lavoro critico su Dylan dovrebbe essere anti-accademico e anti-specialistico. Bisognerebbe, in altre parole, essere critici “rock” per parlare di rock. E questo è un problema specifico della popular music, perché il nostro sistema culturale non impone di essere drammaturghi per studiare Shakespeare, o pittori per studiare Picasso e così via. In questo senso, è irrilevante che io sia un musicista e scriva canzoni, anche se la familiarità con uno strumento aiuta a interpretare meglio la natura di una composizione. Il punto è che ormai la classicità di Dylan non può più esistere soltanto nel canone della controcultura, ma in quello della cultura vera e propria (pur senza rinunciare – tanto per essere chiari – a ciò che identifica la cultura tradizionale: direi che il punto è proprio aggiungere, non rimuovere). Non è certo il mio libro a stabilire il confine: il mio libro, casomai, prende atto di un cambiamento già avvenuto da anni e sotto gli occhi di tutti, nel bene e nel male. Il discorso scientifico sulle materie umanistiche comporta sempre una apparente “perdita dell’innocenza”, perché abbiamo paura che interpretare un’opera adottando un metodo di studio più o meno rigoroso finisca per privarci del piacere che quell’opera ci garantiva indipendentemente dalle accademie. Per certi versi, non siamo lontani dal vecchio pregiudizio per cui una poesia può emozionarti finché non arriva il momento di studiarne la parafrasi (magari in vista in un’interrogazione). A volte questo rischio è reale, soprattutto quando si chiamano in causa ideologie politiche e sistemi di istruzione che conferiscono maggiore importanza all’erudizione che alla sensibilizzazione critica. Ma se la prospettiva scelta non dimentica l’autonomia del bello, presupponendo cioè il bisogno di descrivere il legame tra forma e significati culturali, l’obiettivo è anzi opposto, e va difeso: confermare il piacere, renderlo accessibile combinando punti di vista diversi, e nei casi migliori persino aumentarlo. Certo, la filologia non è una disciplina in sé “democratica”, ma neanche la matematica o la fisica lo sono, e neanche i classici. A mio avviso, il miglior modo per parlare di un classico è sforzarsi di non celebrarlo passivamente, ma anzi provare a comprenderlo con tutti gli strumenti a disposizione, anche a costo di “smontarlo” per poi “ricostruirlo”.

Secondo wikipedia alla voce Suze_Rotolo: << [...] La presenza di Suze nella vita di Dylan ebbe una forte influenza su quest'ultimo, sia per quanto riguarda la scrittura di canzoni d'attualità, sia per il suo modo di suonare e di stare sul palco, influenzato dal teatro brechtiano a cui assistevano Suze e Dylan durante la loro relazione. Anche l'interesse di Dylan per la pittura è dovuto alla relazione con Suze. Secondo la sua autobiografia, Suze rimase incinta durante la relazione con Dylan, ma abortì.[...] >> pensi che ci sia lei sia come " infliuenzer " sia come la ragazza citata nella canzone ?

Il ciclo di canzoni dedicato a Suze Rotolo (di cui fanno parte, per esempio, Don’t Think Twice e Ballad in Plain D) precede la trilogia rock, la svolta stilistica beat e la scoperta di quello che Dylan avrebbe definito mercury sound. Nel corso degli anni una certa dylanologia ha diffuso il pettegolezzo per cui dietro Miss Lonely vi sarebbe Edie Sedgwick (modella di Andy Wharol e verosimile dedicataria di un brano successivo, Leopard-Skin Pill-Box Hat). Da un punto di vista biografico, invece, sappiamo che la compagna da cui Dylan si stava lasciando nella primavera 1965 era Joan Baez. Ma, esattamente come accade in letteratura, questo tipo di identificazioni lasciano un po’ il tempo che trovano: non aggiungono nulla alla comprensione dell’opera e non fanno che ridurre il discorso artistico e poetico a un giornale di gossip (e non escludo che in altre canzoni la componente biografica abbia maggiore rilevanza, ma non è questo il caso). Vedere in Like a Rolling Stone una canzone di “non amore” è solo una delle possibilità, e forse la meno convincente. L’aggressività del narratore, il suo desiderio di “vendetta” verso la protagonista non hanno nulla a che vedere con l’eros, o se manifestano un eros represso lo fanno in modo talmente indiretto da rendere alto il rischio di sovrainterpretazioni. Il disprezzo dell’io nascosto di Like a Rolling Stone intende piuttosto sovvertire una logica di classe, senza peraltro (e fortunatamente) prescrivere alcuna alternativa concreta. Da una parte ci sono i giovani privilegiati degli anni Sessanta nordamericani (e.g. il pubblico di Dylan), convinti di poter conoscere la vita soltanto per una via teorica, rinunciando all’esperienza; dall’altra ci sono i “mystery tramps” (neri, come dimostrano alcuni autografi inediti, o comunque vicini alla cultura afro-americana) che non hanno risposte assolute, non hanno “alibi” e tutto ciò che sanno del mondo deriva da un’esperienza diretta con la vita di strada. Questo per dire che Miss Lonely non è mai evocata in quanto donna, ma in quanto persona costretta improvvisamente a doversi confrontare con tutte le contraddizioni umane e sociali che prima dava per scontate (e questo trauma, a sua volta, rende possibile la sua auto-liberazione). Anche per questa ragione, siamo tutti Miss Lonely, o lo siamo stati almeno una volta.

che ne pensi se lì'è meritato il premio nobel B.Dylan ?

Ovviamente ho accolto con entusiasmo la vittoria di Dylan, anche se non condivido le ragioni dell’assegnazione. L’Accademia Svedese ha più volte giustificato la sua scelta limitandosi a vedere in Dylan un “grande poeta”, e cioè alimentando la convinzione che canzone e poesia siano la stessa cosa. Questo intento apparentemente “corretto” riconferma in realtà l’antico pregiudizio per cui le arti orali sarebbero arti di livello inferiore rispetto a quelle scritte. Mi sembra un’enorme svista, soprattutto perché l’esistenza performativa di questi testi viene relegata a semplice modalità di fruizione, quando invece è parte integrante di una vera e propria tecnica: le canzoni non sono mai semplicemente “poesie per il canto”, sono testi che nascono nel canto e vivono nel canto, e la maggior parte delle volte i loro autori non si pongono nemmeno il problema di comporre o meno delle “poesie”. Non si può premiare Fellini per essere un poeta “visivo”: lo si premia perché è un grande regista e perché la sua grandezza diventa evidente solo all’interno di un codice ben preciso. Il fatto che il linguaggio verbale sia parte di quel codice e di conseguenza sia analizzabile anche attraverso l’estetica letteraria, non significa che i film di Fellini siano romanzi. Ricondurre al noto, “addomesticare” in senso etimologico, è un’operazione inevitabile ma anche aggressiva: spesso finisce solo per confermare su basi diverse le gerarchie culturali da cui magari vorremmo liberarci.

una   domanda per i non addetti ai lavori e per chi è a digiuno di studi letterari \ filologici come è , e tu da quel che ho Letto della recensoni sul tuo libro ,possibile analizzare l'intera opera di un cantante ed ora anche premio nobel per la letteratura sulla base di una sola , forse la più celebre visto che è citata anche in un film https://it.wikipedia.org/wiki/Pensieri_pericolosi ?

Non ho una opinione forte. Ci sono artisti che nella loro carriera compongono solo un grande capolavoro e il resto della loro opera può essere considerato un tentativo di riprodurre quel capolavoro. In altri casi, la grandezza di un autore emerge in opere apparentemente incompatibili tra di loro, che intaccano (o estendono) la nostra idea di poetica e ci invitano a individuare una continuità insolita, inaspettata. Dylan appartiene a questa seconda categoria, e senza dubbio in Like a Rolling Stone riconosciamo, seppure in forma stravolta, i presupposti delle canzoni precedenti e la premessa delle evoluzioni stilistiche successive. Il punto, però, è che un classico diventa tale proprio per la sua capacità di maturare una progressiva indipendenza dalle ragioni dell’autore, e in questo senso Like a Rolling Stone contiene in nuce alcune contraddizioni della società contemporanea, non solo di quella nordamericana degli anni Sessanta.

tu che hai avuto la possibilità di fare le ricerche al Bob Dylan Archive di Tulsa, un archivio universitario che apre le sue stanze solo alla crème degli studiosi. ed ora tenere per la stessa l'onore d'aprire un cnvegno internazionale su bob dylan https://dylan.utulsa.edu/dylan-80-a-global-perspective/ Che esperienza è stata ?

È stato un onore, come dici, aprire l’edizione 2021 del convegno internazionale che il Bob Dylan Center organizza a Tulsa (Oklahoma) ogni due anni. Onore fortunatamente condiviso con altri due studiosi italiani, Valentina Vetri (Università di Bologna) e Fabio Fantuzzi (Università Roma Tre). Probabilmente siamo stati messi all’inizio del convegno soprattutto per ragioni di fuso orario (erano presenti studiosi da tutto il mondo), ma parlare per primi è stata comunque una responsabilità. Con Fabio siamo stati a Tulsa nel 2019 ed è stata un’esperienza indimenticabile, come ho più volte raccontato in altre occasioni. Devo dire che è stato più difficile raggiungere Tulsa che entrare all’archivio. Noi credevamo che l’accesso dipendesse da una complessa procedura burocratica, e invece era sufficiente dimostrare di avere un interesse scientifico legato a un progetto reale. Non dimentichiamo che i fan di Dylan – i cosiddetti “dylanologi” – sono tantissimi, non sempre intenzionati a fare ricerca e non sempre “democratici”… Quindi un po’ di diffidenza è anche comprensibile.

ti manca d'incontrare o d'essere citato da Bob Dylan che ne pensi ?

Dylan non ama gli studiosi della sua opera, per varie ragioni che non è importante descrivere qui. Questo per dire che è una eventualità molto improbabile, e in ogni caso non credo che incontrarlo sarebbe una buona idea: rischierei di esserne deluso, e soprattutto non saprei davvero cosa dirgli. Come dicevo, non amo idealizzare le grandi personalità: sono innanzitutto uomini, e come tali devono riservarsi anche il diritto di essere scortesi, o in generale di avere una visione del mondo diversa dalla tua e da quella che ti sembra di intravedere nelle loro opere. Se lo incontrassi, poi, forse si limiterebbe a “fare Bob Dylan”, e cioè a indossare una maschera. Lo farebbe per difendersi, e nascondersi. Dunque cosa può aggiungere alla mia esperienza l’interazione fisica con una maschera? Niente, o almeno niente che già non possano fare le sue testimonianze artistiche. Sarebbe interessante, casomai, conoscerlo come uomo, sapere come scrive le sue canzoni, quali sono le sue letture e i suoi ascolti etc., ma questo tipo di conoscenza dovrebbe avvenire indipendentemente dal fatto che ho scritto un libro su di lui e inoltre sospetto che non sia il tipo di artista disposto a rivelare queste cose di sé. Sarebbe stato molto diverso in altri casi, come quello di Leonard Cohen, o, in Italia, di Guccini (che mi è capitato di intervistare qualche anno fa, e ne ho un ricordo fantastico). Quanto al discorso sulla citazione, preferirei di gran lunga essere citato da Richard Thomas, da Alessandro Carrera, o da altri colleghi o, estremizzando un po’, da tutti coloro che amano Dylan e hanno trovato il libro in qualche modo utile (o dannoso, perché la ricerca deve anche essere contestazione). È per questo tipo di comunità che ho scritto il libro, e non certo per Dylan, che non ha mai avuto bisogno di un libro per sentirsi legittimato ad essere l’artista che è. Sarebbe pericoloso, d’altra parte, se fosse così, e i ruoli si invertissero.



un ultima  domanda  che ne pensi della cover di like a rolling stone intitolata come una pietra scalciata degli ex articolo31 http://testicanzoni.mtv.it/testi-Articolo-31_16344/testo-Come-una-pietra-scalciata-1756630 è un ricalco dello spirito di dylan o un suo stravolgimento ?


La cover degli Articolo 31 è incosciente e libera, e questo la rende autentica. Non c’è alcun intento emulativo o celebrativo, tanto è vero che più che una cover è una riscrittura e un duetto virtuale, visto che la voce di Dylan continua a sentirsi nei ritornelli. Da un punto di vista compositivo, inoltre, mi pare che J-Ax riesca a mettere in evidenza l’affinità ritmica tra le strutture tradizionali del rap di fine anni Novanta e la metrica della studio version, che a suo modo anticipa alcune tecniche divenute poi distintive della versificazione rap. Siamo sicuri che Dylan ha sentito e apprezzato questa interpretazione perché è inclusa all’interno della colonna sonora di uno dei suoi film (Masked and Anonymous, del 2003), composta principalmente da canzoni dylaniane tradotte in altre lingue (è presente anche Non dirle che non è così di De Gregori). Che piaccia o no, l’unico modo di rendere necessaria – e non per forza riuscita, ma è un rischio da correre – la rielaborazione di un classico è stravolgere l’oggetto di partenza, manipolarlo spudoratamente, rinunciando ad ogni retorica. Come una pietra scalciata è in questo senso positivamente straniante, e paradossalmente fedele allo spirito di rottura che contraddistingue la Like a Rolling Stone del 1965. 





La cover degli Articolo 31 è incosciente e libera, e questo la rende autentica. Non c’è alcun intento emulativo o celebrativo, tanto è vero che più che una cover è una riscrittura e un duetto virtuale, visto che la voce di Dylan continua a sentirsi nei ritornelli. Da un punto di vista compositivo, inoltre, mi pare che J-Ax riesca a mettere in evidenza l’affinità ritmica tra le strutture tradizionali del rap di fine anni Novanta e la metrica della studio version, che a suo modo anticipa alcune tecniche divenute poi distintive della versificazione rap. Siamo sicuri che Dylan ha sentito e apprezzato questa interpretazione perché è inclusa all’interno della colonna sonora di uno dei suoi film (Masked and Anonymous, del 2003), composta principalmente da canzoni dylaniane tradotte in altre lingue (è presente anche Non dirle che non è così di De Gregori). Che piaccia o no, l’unico modo di rendere necessaria – e non per forza riuscita, ma è un rischio da correre – la rielaborazione di un classico è stravolgere l’oggetto di partenza, manipolarlo spudoratamente, rinunciando ad ogni retorica. Come una pietra scalciata è in questo senso positivamente straniante, e paradossalmente fedele allo spirito di rottura che contraddistingue la Like a Rolling Stone del 1965.

IL guardiano del faro Racconto di Daniela Bionda

                        IL guardiano del faro 

 


Sbarcò in un giorno assolato da un battello a vapore. Sembrava un fuggiasco, uno che scappava dai posti affollati, dai chiacchericci di vecchie comari, dagli strali di un prete, dai vicoli della città. Il nostro non è che un villaggio fatto da piccole case, campi coltivati, orti e bestiame. Portava con sé solo una sacca con pochi vestiti, un rasoio affilato, una saponetta, un piccolo pettine ed un mondo fatto di libri, le pagine consunte, frutto di ripetute letture ed un fiore secco come segnalibro. Disse al capo villaggio di voler diventare il guardiano del faro, che spiccava lassù in alto, arroccato sulla scogliera, con i gabbiani che ci volavano attorno, per poi fiondarsi sul mare. Si chiama Jonathan, divenne il guardiano del faro, con lo sguardo poteva abbracciare l' immenso azzurro del mare. Indicare ai naviganti rotte sicure. Un giorno, salii su una piccola barca, raggiunsi l'altra sponda e mi inerpicai sulla scogliera, sino a raggiungere il faro. Bussai alla sua porta, portavo con me un cesto di fiori, di quelli che il suo mare non gli avrebbe mai dato. Portai un cesto pieno di cibo, formaggi, gallette, olive ed un fiasco di vino. Mi ci volle molto coraggio, ma troppo a lungo avevo fissato quel sole, seduta su di un muretto da cui si vedeva il mare. Fece un passo all' indietro, non disse nulla, si limitò a farmi entrare. Le anime perse si riconoscono tra loro, non hanno bisogno di parlare. Il mio bagaglio era un cuore spezzato, un fiume di lacrime ed inchiostro su vecchie poesie. Avevo bisogno di un luogo sicuro, lontano da ogni clamore. Al villaggio, venivo indicata ai passanti, come donna perduta, avendo vissuto sotto gli occhi di tutti, una storia d' amore, con un uomo il cui cuore apparteneva ad un'altra.
Parlavamo pochissimo, bastava uno sguardo, un cenno e tutto andava come doveva andare. Facevamo lunghe passeggiate sulla spiaggia, raccogliendo conchiglie e tutto quello che restituiva il mare. Tronchi d' alberi, piccoli oggetti di barche andate alla deriva, bottiglie di vetro color verde oliva, trasportate dalla corrente. Mi innamorai di lui, dei suoi silenzi, delle sue grandi mani che compivano tutti i lavori con gesti calmi e misurati. Gesti di chi non ha fretta, di chi si è lasciato tutto alle spalle e non intende tornare. Poi un giorno, trovai sulla spiaggia una bottiglia di vetro, con dentro un messaggio d'amore, mi affrettai a leggerlo, prima eccitata, poi sorpresa, speranzosa. Volsi verso di lui il mio sguardo e lui mi sorrise con calore.

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata IX SE NON POTETE SCAPPARE USATE I GOMITI E LE GINOCCHIA

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